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Comunicazione Filosofica n. 10 maggio 2002
Negli ultimi anni c’è stato un improvviso
rigurgito di interesse per le funzioni della democrazia…. È come se, una volta
raggiunta la prima tappa del nostro viaggio con l'istituzione della democrazia,
dovessimo impegnarci per scoprire come la democrazia possa funzionare al
meglio. Molto dipende dagli stessi cittadini. I cittadini di una democrazia
dovrebbero impegnarsi nel pensiero... Dovrebbero essere riflessivi,
introspettivi, responsabili, ragionevoli, collaborativi, cooperativi... Alcune
- o molte - di queste qualità potrebbero essere rinforzate mentre i futuri
cittadini sono ancora a scuola...
M.
Lipman
Poche
persone si preoccupano di studiare logica, perché ciascuno ritiene di essere
abbastanza bravo nell’arte di ragionare. Io però osservo che questa
soddisfazione si limita al proprio personale raziocinio, e non si estende
invece a quello degli altri uomini.
Noi
giungiamo al pieno possesso delle nostre capacità di operare inferenze alla
fine, dopo lo sviluppo di tutte le nostre facoltà; non si tratta infatti di un
dono naturale ma di un’arte lunga è difficile.
C.
In
questo articolo vogliamo difendere soprattutto la tesi che l’insegnamento della
filosofia è un elemento fondamentale del curricolo formativo in una società
democratica, ma a condizione che esso muti radicalmente i suoi metodi, le sue
usuali pratiche didattiche e, in parte almeno, le sue finalità.
Vogliamo
inoltre proporre una visione dell’attività filosofica come gioco individuale e
collettivo volto a risolvere problemi (rompicapo). A questo scopo proponiamo,
nella seconda parte del nostro intervento,
un’ipotesi di modello pedagogico
(strutturato secondo nuclei fondanti, strategie didattiche e macrocompetenze)
che ci pare utile per l’impostazione di una didattica innovativa.
Ridare
un senso al fare filosofia con i (e non ai) ragazzi significa rompere
l’atmosfera seriosa e plumbea, annoiata o falsamente compiacente della classe,
per costruire una classe “aperta” dove ci si mette alla prova, si saggia la
propria inventiva nel risolvere rompicapo filosofici, ci si impegna nella
difesa delle proprie tesi e nell’attacco delle tesi avversarie; si dialoga con
i grandi pensatori del passato e del presente, cercandovi spunti, idee,
argomentazioni; litigandoci quando non si è d’accordo (ma sempre col dovuto
rispetto)[1], e
mettendosi a caccia dei trucchi, delle astuzie argomentative, dei sofismi,
delle fallacie a cui ricorrevano o in cui sono caduti anche i grandi pensatori.
Filo
Il
"ragionamento" è il motore dell'apprendimento umano (e come potrebbe
essere diversamente essendo l'uomo ciò che è: un essere dotato di Ragione). Non
c'è conoscenza vera senza comprensione, ma comprendere non si può se non si
ragiona su quanto si apprende, o se non si intende il ragionamento che fonda,
giustifica l'affermazione, la tesi, la legge scientifica, ecc., che viene
proposta dall'insegnante o che ci viene data dal libro. Dove questo processo di
rimasticazione personale, di rielaborazione, di analisi del ragionamento
sotteso ad ogni affermazione o ad ogni tesi, e proposto esplicitamente
(pensiamo a una dimostrazione matematica o sperimentale) o implicitamente
(pensiamo a certe spiegazioni storiche); dove non c'è consapevolezza del valore
delle prove o della concatenazione logica che porta a quelle determinate
conclusioni, non ci può essere vero apprendimento ma mero nozionismo.
Ora, la
Tuttavia,
malgrado le lamentazioni sui ragazzi che non sanno giustificare le loro
affermazioni (anzi che non sentono la necessità di farlo), o che imparano senza
capire, o che scrivono da cani ("non sanno l'italiano" si dice, ma,
come diceva
Non
così avviene negli
In effetti, la nostra scuola ha già a
disposizione una disciplina che dovrebbe produrre “pensatori critici”, e questa
disciplina è sicuramente la Filosofia.
Questo
punto è stato messo bene in evidenza da D. Massaro:
Pensare e in particolar modo
pensare bene, riveste … grande importanza, soprattutto oggi che viviamo in un
mondo sempre più composito e difficile, che richiede l’impegno e la
responsabilitàdi una visione panoramica e sistemica non solo
nella risoluzione di problemi teorici, ma anche nelle scelte pratiche e
nelle decisioni. Pensare in modo corretto, secondo le regole della logica
formale, e argomentato, secondo le ragioni del dialogo tra persone costituisce
dunque un obiettivo primario dei sistemi formativi. Infatti, per quanto il
pensiero rappresenti il fattore essenziale e distintivo dell’uomo, tuttavia il
suo corretto esercizio non è un dato spontaneo e naturale, ma è un’arte che si
apprende e che, quindi, richiede una didattica adeguata.
La
conclusione di Massaro è che “l’educazione al pensiero autonomo e critico è il
fine principale della formazione scolastica, in particolare di quella
filosofica […]”[4]
Più
controversa o controvertibile è invece la risposta affermativa alla domanda
“l’insegnamento filosofico tradizionale produce pensatori autonomi e critici?”.
Abbiamo
già avanzato in altra sede i nostri ponderati dubbi e le nostre moderate
perplessità. Proviamo a sintetizzarle, rimandando per un approfondimento al
nostro saggio.
Acquisito
che lo studio nozionistico della storia della filosofia non forma pensatori più
critici e autonomi, la didattica della filosofia a partire dalla fine degli
anni ottanta ha puntato molto sulla lettura diretta dei testi come via maestra per insegnare a filosofare
e, quindi, a pensare in modo autonomo e critico. E’ diventata quasi un’ovvietà,
tanto da farla passare dallo stato di teoria
a quello di un vero e proprio dogma.
Ma si tratta di un dogma indimostrato.
L’unico
riferimento sembra essere quello dell’assimilazione dell’insegnamento della
Filosofia a quello della lingua italiana. Ora, è quantomeno curiosa questa
fiducia nell’apprendimento “per imitazione” (leggendo Platone si impara a
pensare platonicamente; leggendo Arstotele aristotelicamente … alla fine avremo
un pensatore critico), quando è sotto gli occhi di tutti il fallimento
dell’insegnamento di abilità di scrittura via lettura e studio dei classici
della letteratura: che studiando e leggendo il Manzoni uno impari a scrivere
manzonianamente non lo crede il più sprovveduto degli insegnanti di Italiano.
I
sostenitori di questo dogma si rendono conto che non basta la mera lettura dei
testi per “ […]
apprendere strategie
argomentative e modalità di pensiero, contribuendo così alla definizione di una
serie di competenze concettuali che vanno al di là della semplice conoscenza
dei contenuti.” Ma che “Occorre fare dei testi il materiale per una serie di
attività didattiche da sviluppare su essi e grazie ad essi””[5]
Ma
quali sono queste attività?
Il set
operativo di uno studente di filosofia è “costituito da brani selezionati e/o
da testi completi mediante il quale svolgere attività di analisi, di
ricostruzione di argomentazioni e di teorie, sul quale compiere esercizi.”[6]
A
questo proposito, abbiamo esaminato alcuni dei manuali più noti che hanno
seguito le indicazioni dei Programmi Brocca. Ci siamo concentrati sui capitoli
iniziali dei diversi testi (diciamo, grosso modo, fino ad Aristotele).
Le operazioni maggiormente richieste sono:
§
chiarimento di concetti, di passaggi testuali, di
citazioni ecc.
§
produzione o compilazione di schemi e tabelle
§
riassunti
§
definizione di termini e concetti
§
confronto di tesi e posizioni di filosofi diversi
§
spiegazioni o verifica di passi o di
interpretazioni
§
ricostruzione di argomentazioni
§
ricerca sui testi letti di espressioni pro o
contro una certa tesi;
§
ricerca sui testi letti di espressioni che
illustrano una data tesi o un tema dell’Autore studiato;
§
utilizzazione di coppie concettuali per
ricostruire il pensiero di un autore o per fare confronti;
§
motivare tesi interpretative;
§
esporre in modo articolato a partire dai testi la
tesi di un Autore;
§
ricerca nel testo di metafore, analogie paragoni.
Alcune
considerazioni.
Non c’è
una gradualità riguardo alla complessità delle operazioni richieste, gradualità
che dovrebbe essere relata alle competenze iniziali degli studenti.
Ma ciò
che è importante è che si danno per possedute proprio quelle abilità cognitive
e quelle competenze che lo studio della filosofia dovrebbe far maturare, anche
attraverso le esercitazioni.
L’idea
sottesa a questo tipo di attività è che facendole
lo studente sviluppa abilità,
competenze e capacità cognitive di livello superiore. Attraverso queste
attività e attraverso la lettura dei testi che esemplificano i diversi modelli
di ragionamento, il ragazzo, miracolosamente, dovrebbe sviluppare la capacità
di ragionare e pensare in proprio.
Ciò
detto, proviamo a immaginare quale possa essere sia il modello di apprendimento
che si può presupporre sia alla base di questa fiducia.
E’ un
lavoro che potrebbe anche essere interessante, ma quanto “economico” in termini
di tempo di lavoro e quanto produttivo, in termini di efficacia? Quanto tempo
si dovrebbe impiegare per un lavoro ben fatto? Dopo la lettura e l’analisi di
quanti testi, un ragazzino di sedici o diciassette anni riuscirebbe ad
impadronirsi dello stile filosofico
di Aristotele o di
D’altra
parte, un tale apprendimento ha senso se accompagnato dalla capacità di transfer dei modelli appresi a contesti
e problematiche diverse o attuali. Ma che senso avrebbe affrontare le tematiche
della bioetica o dell’intelligenza artificiale o dell’epistemologia con lo stile filosofico ora di Platone, ora di
Aristotele, ora di Kant ?
E’ per
questa fiducia nel “confilosofare” che i manuali si dimenticano di fornire ai
ragazzi proprio quegli strumenti del pensare filosofico (ma si potrebbe dire
del pensare e del ragionare tout court)
senza i quali il fare filosofia o il riflettere filosoficamente o, più
semplicemente svolgere le operazioni testuali richieste, non hanno senso.
Pensare
e ragionare correttamente non sono, come abbiamo sopra ricordato, un dato
naturale ma un’arte che va acquisita costruendo una serie di strategie di
apprendimento adeguate. A maggior ragione ragionare e pensare filosoficamente.
Ebbene, finora non abbiamo trovato un solo manuale di filosofia che si
preoccupi di costruire un percorso graduale di appropriazione degli strumenti
del pensare con correttezza e metodo.
Per
finire, incerto, per non dire misterioso, rimane il nesso fra le attività di
studio e di pratica proposte in questo modello didattico con le competenze
richieste per la formazione di persone “in grado di orientarsi nella società e
nella vita”![7]
A
questo punto, vale la pena affrontare una questione su cui non ci eravamo
troppo soffermati. Perché la filosofia è la disciplina che (più di ogni altra?)
dovrebbe essere atta a sviluppare il pensiero autonomo e critico? E, se può
farlo, quale insegnamento della filosofia può farlo meglio?
Bene,
va detto in via preliminare che la tesi che sosteniamo in questo articolo si
fonda su una visione della filosofia e del ragionamento che sono oggetto di
dibattito e che non possiamo dare per scontati. Tuttavia, noi riteniamo che
questi assunti meglio di altri rendono ragione dell’attività filosofica quale
si è svolta nel corso dei secoli, e delle pretese formative dell’insegnamento
della disciplina oggi.
Per
chiarire meglio questo punto dovremo fare una breve digressione sulla natura
della Filosofia e del filosofare.
Che co
e come pre
Partiamo
con una tesi, che per noi è una constatazione, e che non discuteremo: non si può in nessun modo se non impropriamente parlare (come pure alcuni fanno) di "
Già a che serve? E’ difficile rispondere. Non che i
filosofi non abbiano dato delle risposte in questi duemila anni, ma si ha come
l'impressione che nessuna di esse sia pienamente soddisfacente.
Alla fine non si può evitare l'impressione che l'attività
filosofica sia una vocazione più che
un sapere specializzato, vocazione che, naturalmente, uno può avere oppure no.
Forse per questo è così difficile riuscire a convincere gli studenti della
bontà dello studio della Filosofia.
Generazioni
di professori di Filosofia hanno cercato di dimostrare a generazioni di
riluttanti allievi che studiare questa disciplina era fondamentale per la loro
vita di uomini o di cittadini. Chi non si è posto mai il problema del
significato della nostra esistenza? ingiungevano minacciosi; quanti di voi, non
si sono posti il problema del bene e del male, o dell'esistenza di Dio?
suggerivano sornioni. I ragazzini,
terrorizzati, assentivano sia che questi problemi li avessero vagamente
sfiorati, sia che la sicurezza dell'affermazione dell’insegnante li facesse
sentire un po’ vermi, perché così avrebbe dovuto essere da che mondo e mondo,
ma così, vergogna!, non era stato.
Ma le cose stanno veramente così? Possono delle giovani menti che la vita con i
suoi drammi, le sue spesso drammatiche scelte ha solo sfiorato, privi di
quell'esperienza del mondo che è l’humus
da cui nasce la Filosofia, comprendere le problematiche etiche, gnoseologiche,
politiche, o, addirittura, cosmologiche affrontate dai filosofi antichi e
moderni?
E tuttavia non ci si può mica limitare a svolgere solo
quelle tematiche filosofiche che possono avere un qualche aggancio con la
realtà vissuta dagli adolescenti (a che cosa si ridurrebbero? al tema
dell'amore, della giustizia, della bellezza, dell'apparenza...), tematiche
importanti certo, ed anche, per certi aspetti, interessanti, ma che
impoverirebbero, e umilierebbero la disciplina .
In questi anni in cui abbiamo insegnato la storia della
Filosofia ci siamo accorti di come dagli studenti i problemi filosofici vengano
spesso visti, accolti, osteggiati più che come problemi «vitali», come meri rompicapo: una sfida al buon senso,
all'intelligenza dei singoli; qualcuno interessante, ma, più spesso, del tutto
"inutili", irrilevanti, oziosi. Ebbene perché non sfruttare questa
naturale tendenza favorendola: in fondo ogni problema filosofico è
innanzitutto un rompicapo, rompicapo con
forti implicazioni esistenziali.
Ma perché "rompere il capo" a degli
adolescenti, perché farli ammattire dietro a problemi ardui che, in questi
momenti della loro vita, difficilmente si trovano ad affrontare?
Noi riteniamo che la risposta giusta sia questa: lo
studio della Filosofia va visto come una sorta di palestra intellettuale. Uno scontrarsi con i dilemmi
dell'esistenza prima di doverli affrontare direttamente. E se è così, allora
non serve a niente studiare e tenere a mente lunghe teorie di soluzioni date da
Tizio o da Caio, basta esercitarsi a comprendere le varie soluzioni, le argomentazioni
che le sorreggono, e divertirsi a smontarle. In questa visione la Filosofia ha
la stessa funzione del gioco per gli animali: un apprendistato
necessario per quando bisognerà affrontare davvero i problemi.
La Filosofia è un gioco, ma un gioco che può essere fatto
a diversi livelli. Ad un livello elementare è un gioco che facciamo tutti. Chi
più chi meno, ognuno di noi "filosofeggia", che si sia studiata o no
la storia della Filosofia. Ma "filosofeggiare" non basta, bisogna
farlo, come per tutti i giochi,
rispettando delle regole.
Bisogna quindi conoscere le regole (ma anche i trucchi) per giocare
correttamente, e per poter smascherare eventuali bari. Tanto più che in gioco
c'è la nostra stessa esistenza. Non sono indifferenti per noi le diverse
soluzioni accettate: non è indifferente per noi accettare la filosofia
cristiana dell'esistenza oppure una filosofia materialistica che nega
l’esistenza di Dio!
E’ un gioco che ci permette di trattare con problemi
esistenziali e sociali ad un livello astratto (come se fossero i nostri), che
ci permette di giocarci con il disinteresse
tipico dell'adolescenza, ma anche con l'accanimento
che vi poniamo quando tentiamo di risolvere un rompicapo matematico,
enigmistico ecc.
Perché il gioco funzioni occorre accettare di entrarci e
di rispettarne le regole.
Ma quali
sono le regole del gioco filosofico?
In prima istanza potremmo dire che le regole fondamentali
del gioco filosofico sono quelle di tutti i giochi razionali. Chi accetta di
entrare in un gioco razionale si impegna ad essere onesto, cioè a non barare, a non usare trucchi, nella fattispecie,
a non usare argomenti speciosi, per il solo gusto di vincere la disputa
eventuale; si impegna ad usare argomenti
corretti sotto il profilo
logico e convincenti, che costringano cioè
«l’uditorio universale» all'assenso o alla controargomentazione (in questo
senso la Filosofia non può accettare che siano posti limiti alla ragione, cioè nega che ci siano
verità che non siano accessibili alla ragione). Va da sé che un argomento che ci convince non
necessariamente è un argomento valido, che dimostra
la verità della tesi; la
Ebbene, noi crediamo che lo scettico sia uno che pretende troppo, un
assetato di verità incontestabili che, non potendole avere, rinuncia all'uso
della Ragione nei limiti di quello che può offrirci[9]. In
fondo i nostri manuali di storia della
filosofia sono pieni di teorie e
dottrine filosofiche cadute in pieno discredito, superate e che non hanno più
seguaci; e quand’anche teorie filosofiche del passato vengano riprese e tornino
in auge, è solo perché qualcuno ritiene di aver trovato nuovi "buoni
argomenti" per rispolverarle.
La critica
(razionale) è l'arma della Ragione. Ogni dottrina filosofica, ogni teoria, nel
momento in cui viene resa pubblica, viene sottoposta, si può star certi, ad una
critica serrata!
La critica puntigliosa, mordace, sistematica, ossessiva,
finanche biliosa, cattiva ci assicura che nessuna teoria che non sia costruita
su solide fondamenta può passare indenne al setaccio: ogni fessura, ogni crepa
se pur minima verrà scandagliata, allargata quanto possibile, l’edificio intero
verrà scosso prepotentemente per valutarne la stabilità... Difficilmente le
teorie filosofiche passano indenni e integre questo esame: molte vengono
abbandonate, altre subiscono riformulazioni, raggiustamenti, per tornare alla
nostra metafora, si turano le falle, si consolida dove è necessario, si murano
le crepe. Alla fine di queste opere di ristrutturazione niente è più come
prima, e qualche volta la costruzione originaria non è più riconoscibile (se
pur è ancora la stessa).
Questa opera di demolizione critica non solo è
necessaria, ma é altresì salutare per la filosofia, e lo è talmente che una
regola su tutte dovrebbe valere per il filosofo (la stessa che Popper auspicava
per lo scienziato) : fai in modo che la
tua teoria possa essere esaminata in tutti i suoi aspetti, difendila più che
puoi, ma senza usare sotterfugi, non sfuggire alle critiche!
E’ proprio per favorire la critica che la seconda regola
fondamentale della filosofia dovrebbe essere:
scrivi chiaramente, evita il linguaggio oscuro, per iniziati, aborrisci
le parole ambigue, i doppi sensi, il gusto aforistico e paradossale.
Non sempre questa regola è stata rispettata dai filosofi,
anzi, forse, fra tutte è quella che lo è stata meno; qualche volta per
oggettive difficoltà (non sempre è facile render
in modo
chiaro questioni complicate), più spesso per
opportunismo, per una malcompresa esigenza di profondità e rigore, per
elitarismo accademico, od altro ancora[11].
Proviamo a questo punto a riformulare la definizione di
Filosofia:
la filosofia è un’attività
che mira a risolvere
rompicapo
(filosofici!) via argomentazioni (razionali) che mirano a convincere l’uditorio universale, e che vengono poi
sottoposte a critica serrata.
Messa in questi termini, la filosofia così intesa è stata
praticata (e forse lo è ancora oggi) da pochi, almeno intenzionalmente. La
stragrande maggioranza dei filosofi, infatti, ha sempre pensato che la propria
dottrina fosse "vera" anzi l'unica vera, e non solo convincente;
che le proprie argomentazioni fossero prove
che dimostravano la verità della
tesi, non argomentazioni più o meno convincenti o sostenibili razionalmente.
Tutti invece, fin dagli inizi della storia della filosofia hanno fieramente e
pugnacemente usato la Critica come arma demolitrice delle dottrine avversarie;
utilizzandola con parsimonia quando si trattava di mettere sotto esame le
proprie di dottrine. Comunque, quale che fosse in passato, o sia tuttora
l’intenzione dei filosofi,
noi siamo
convinti (stavamo per dire certi) che essi non hanno fatto altro che la filosofia nel
senso che siamo venuti sostenendo.
L'obiettivo
da raggiungere è la Verità. La Filosofia, infatti, non cerca soluzioni
"confortanti" ma soluzioni vere, o meglio (visto che non si possiede un criterio assoluto di
verità che ci possa permettere di discriminare fra soluzioni vere e false)
soluzioni valide razionalmente: una soluzione, per quanto confortante sia per
noi, deve sempre essere vagliata alla luce della ragione critica, solo se
supera i tentativi di confutazione può essere accettata provvisoriamente come
valida.
Vi sono naturalmente molte altre regole che devono essere
conosciute, ma queste verranno apprese, come in qualsiasi apprendistato, iniziando a giocare.
[…] le nostre convinzioni più
giustificate non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a
tutto il mondo a dimostrarle infondate.
E
ancora, sostenendo con favore il metodo ciceroniano di studiare sempre gli
argomenti dell’avversario con uguale se non maggiore attenzione dei propri,
Mill arriva a dire che:
[…] se una verità fondamentale
non trova oppositori è indispensabile inventarli e munirli dei più validi
argomenti che il più astuto avvocato riesce ad inventare.[14]
Ci si potrebbe a questo punto chiedere: cosa
ha a che fare questo con la filosofia? Ebbene cosa sta difendendo Mill se non
l’attività filosofica intesa come esame incessante, mai domo di qualsiasi
certezza e posizione precostituita?
Anche
chi è certo di possedere la verità trova alimento dall’esame critico di essa, e
una società democratica non può che invitare a difendere la libera discussione
di tutte le idee anche di quelle ritenute più certe e sacrosante. La critica
rivitalizza e dà nuova linfa alle nostre convinzioni perché ci costringe a
ricordarci le ragioni per cui le avevamo accettate una volta.
Ciò che
ci preme sottolineare è che questo compito di analisi libera e critica delle
idee (e delle “alternative” come direbbe E. Bencivenga[15]) è o
dovrebbe essere la funzione tipica della Filosofia.
Tuttavia,
perché questo accada si deve rinnovare e molto profondamente (per dirla con
Fulvio Manara, una nuova “rivoluzione copernicana”?) l’insegnamento della
filosofia a tutti i livelli.
A
nostro avviso solo un insegnamento filosofico che miri a sviluppare il gusto
dell’esame critico delle diverse idee e delle diverse posizioni e
l’armamentario logico-argomentativo dei ragazzi, è coerente con le sue finalità
educative, e può far ritrovare il senso ormai perduto dello studiare Filosofia
a scuola.
La
Filosofia (quando non pretende di possedere vie alogiche all’Assoluto), al suo
meglio, è fatta, come abbiamo visto, di ragionamenti che portano a tesi e ad
argomentazioni che le sostengono; essere capaci di comprendere e valutare con
competenza le argomentazioni altrui, formulare con consapevolezza e competenze
adeguate le proprie argomentazioni significa uscire dalla vuota chiacchiera,
dalle insopportabili discussioni a vuoto in cui nessuno tiene veramente conto
di quanto dice il contendente, non sentendosi obbligato a controargomentare;
significa ponderare razionalmente la propria posizione prima di abbracciarla, e
poi saperla difendere[17].
Educare
alla razionalità significa anche questo, educare all’etica del rispetto delle
regole del gioco argomentativo.
Tutto
questo in classe di filosofia non si fa o si fa soltanto in modo rapsodico e
senza metodo. Quali competenze di retorica (nel senso del Perelman) o di
dialettica (nel senso di Aristotele) o di logica abbiamo mai cercato di
costruire con metodo nelle nostre classi? Quale programma di addestramento
dialettico abbiamo mai proposto ai nostri ragazzi negli anni?
Tuttavia,
è inutile nascondersi dietro a un dito: accanto alla mancanza di tempo
(mirabile scusa per chi non vuole lasciare sentieri familiari!) vi è
sicuramente una cronica carenza nella formazione degli insegnanti di filosofia,
che riguarda proprio quelle conoscenze e quelle competenze logico-argometative
che dovrebbero andare a formare nei discenti.
I corsi
di formazione dei nuovi insegnanti (almeno da quello che se ne sente dire) sono
egemonizzati dai teorici della nuova didattica modulare (qualsiasi cosa possa
voler dire in Filosofia) e dai sostenitori del dogma della “centralità del
testo”. Ci piacerebbe sapere in quanti di questi corsi si insegna teoria
dell’argomentazione o a gestire una disputa filosofica regolata.
Il che
non vuol dire che l’insegnamento filosofico non debba ricorrere alla
costruzione di moduli tematici (pensiamo, p.e., alla programmazione
interdisciplinare) o rinunciare agli excursus
storici (la contestualizzazione storica è fondamentale per ogni testo o ogni
soluzione presa in esame, in quanto ogni argomentazione è una risposta diretta
o indiretta ad almeno un’altra). E’ che non sono queste cose che, a nostro avviso,
devono caratterizzare e sostanziare la pratica dell’insegnamento filosofico.
La
proposta di un insegnamento della filosofia finalizzata allo sviluppo di
competenze logico-argomentative si fonda, come abbiamo visto, sull’idea che la
filosofia sia (ed è necessario che sia così) un’attività eminentemente
razionale, pubblica e collaborativa[18].
Quali che siano i modi in cui noi perveniamo alle nostre idee, alle nostre
ipotesi di soluzione, ciò che veramente importa è che queste idee e queste
soluzioni siano espresse in modo chiaro e che siano controllabili
razionalmente; il che significa che si deve poterne valutare sia la correttezza
e la validità logica, sia la tenuta argomentativa.
Questa
vuol essere una presa di posizione a favore della tesi sostenuta dal Perelman,
da Billig, dalla
E
ancora. Già Cicerone e Bacone avevano sostenuto che l’essenza del pensare sia
nel discutere. Quando pensiamo noi riproduciamo una sorta di dialogo interiore
in cui esaminiamo i pro e i contra delle diverse opzioni che abbiamo
davanti.
Riferendosi
alla dialettica socratica e alla tradizione delle discussioni scolastiche
medievali
[…] il pensiero moderno deve a entrambi molto più
di quanto non voglia generalmente ammettere, e l’educazione moderna non
comprende alcuno strumento che minimamente svolga la funzione di questi due
[…]. Attualmente è di moda screditare la logica negativa – quella che individua
debolezze teoriche o errori pratici senza affermare verità positive. Questa
critica negativa sarebbe certo insoddisfacente come punto di arrivo, ma come
mezzo per conseguire conoscenze positive o convinzioni degne di essere chiamate
tali non sarà mai abbastanza apprezzata, e fino a quando non se ne riprenderà
l’insegnamento e l’esercizio sistematico vi saranno pochi grandi pensatori e un basso livello intellettuale complessivo
[…].[20]
Il dibattito sull’insegnamento della filosofia si è
frequentemente polarizzato attorno alla dicotomia tra approccio storico ed
approccio per problemi: due prospettive alternative - entrambe autorevoli e
forti - per la giustificazione della didattica.
[22]
Un passo in avanti rispetto alla contrapposizione rigida tra i due punti
di vista si è realizzato – negli anni ottanta – grazie alla valorizzazione
degli aspetti didattici dell’insegnamento filosofico, in evidente polemica con
l’impostazione gentiliana.
Lo studente, si è detto, può e
deve essere guidato nella comprensione diretta dei testi classici, per potere
entrare in dialogo con autori che parlano ancora efficacemente e
significativamente ai giovani di oggi. Il testo deve essere avvicinato con
strategie apposite - procedure di comprensione globale, di analisi, di sintesi
- per potere essere attualizzato ed apprezzato.
Lo sbocco finale di questa impostazione è l’idea felice
del laboratorio filosofico, in cui si
mettono alla prova le capacità dello studente nella ricostruzione del senso del
testo filosofico.
In un precedente intervento abbiamo tuttavia suggerito
che, con ogni probabilità, esistono modi differenti, ed altrettanto felici, di
intendere il procedimento laboratoriale.[24]
Volendo considerare i casi più estremi, potremmo dire
che esistono due posizioni laboratoriali opposte (con numerose posizioni
intermedie).
Da un lato si può accentuare l’importanza del punto di
vista tematico, cioè dell’ampiezza di vedute filosofiche, della consapevolezza culturale,
dell’arricchimento progressivo del patrimonio intellettuale. Nulla di sbagliato
nell’asserire che con l’aumento di conoscenza e di esperienza aumenti anche lo
spirito riflessivo e la capacità di ragionare. L’aumento quantitativo, secondo
l’opinione di alcuni scienziati cognitivi, finisce per tradursi anche in un
aumento di qualità dei processi di pensiero.[25]
Il giocatore di scacchi che conosce molte partite è meno ingenuo del giovane
brillante, ma con poca esperienza. Ma basta solo questo?
Eccoci al polo opposto. Alla constatazione che il
semplice accumulo di conoscenze ed esperienze comporta il pericolo di
ingombrare la mente di un cumulo di splendidi arnesi del tutto inservibili;
all’idea di affrontare la filosofia come una ricerca e una serie di rompicapo,
in modo che gli studenti si soffermino soprattutto sugli strumenti e i metodi dell’attività filosofica,
piuttosto che, semplicemente, sui prodotti.
E’ una posizione di tipo costruttivista, che ripone fiducia nella padronanza di strutture
fondamentali e nella pratica attiva della filosofia, confidando nel fatto che,
grazie ad esse, i ragazzi possano conseguire un’autonomia, di metodo e di
pensiero, che permetta loro di reperire le informazioni di cui eventualmente
siano privi.
È un dato di fatto che gran parte delle metodologie e
dei contenuti trasmessi in classe vengono rapidamente perduti e rimpiazzati da
saperi più professionali e specializzati, una volta conclusa la scuola
superiore. Di fronte a questa
inesorabile perdita, la scelta che viene proposta è quella di:
a)
fare apprezzare il piacere
della ricerca filosofica (aspetto del gioco), in modo che – dopo la conclusione
degli studi – rimangano agli studenti curiosità intellettuale e motivazione ad
approfondire gli aspetti filosofici della cultura e della vita;
b)
fornire alcuni strumenti e metodi intellettuali tipici della filosofia
(formazione intellettuale), che possano essere trasferiti anche a campi molto
diversi dalla filosofia.
Tenendo conto di questa doppia articolazione (approcci
storico/per problemi e, rispettivamente, approccio tematico/metodologico),
risultano complessivamente quattro
tipologie di attività laboratoriale. Una tabella a doppia entrata può forse
aiutare a sintetizzare il quadro
complessivo in maniera schematica:
|
Approccio per
Problemi |
Approccio
|
Approccio
tematico |
Laboratorio teoretico
Comprensione,
ricostruzione e valutazione
di problemi e teorie
filosofiche |
Laboratorio
(cfr.programmi Brocca:
nuclei tematici)
|
Approccio
metodologico |
Laboratorio dei metodi
attraverso l’analisi e la
produzione di concettualizzazioni e argomentazioni
|
Laboratorio
Classici (es. dialettica
in Aristotele) |
Il problema è a questo punto, chiarire che cosa significhi esattamente
lavorare nel laboratorio dei metodi.
Occorre anzitutto dedicare un’attenzione centrale alle procedure argomentative
tipiche, se non esclusive, della filosofia; ciò a cui si mira è quel
particolare tipo di conoscenza delle strutture dell’argomentazione che si
congiunge con la capacità di usarle opportunamente: in poche parole, la padronanza metacognitiva dei processi
argomentativi.
Nell’ambito degli studi metacognitivi si possono
individuare, però, due tradizioni di
ricerca distinte: l’una assegna importanza prioritaria alla conoscenza dei
processi al fine della loro regolazione; l’altra parte dall’idea che occorra
prima sperimentare e misurare le proprie capacità, per ricavare da queste
esperienze alcune prime indicazioni astratte sulle procedure, per poi ritornare
all’azione e nuovamente ricostruire, a partire da essa, nuove generalizzazioni
operative (approccio induttivo).
È questa seconda opzione metacognitiva che ci sembra più
felice, in quanto meno prescrittiva e più adatta a colmare il solco tra una
consapevolezza astratta e improduttiva (tassonomie argomentative) e competenze
argomentative reali.
Riteniamo, inoltre, che solo la riflessione su contesti
“caldi” di discussione permetta di acuire il senso dell’osservazione analitica
e motivi realmente alla modificazione delle strategie argomentative spontanee.
In terzo luogo, ci sembra che l’approccio metacognitivo induttivo corrisponda meglio alle
caratteristiche psicologiche degli studenti. I ragazzi, infatti, manifestano
frequentemente l’esigenza di un procedimento di apprendimento per tentativi ed
errori e di una minore passività nella situazione educativa.
In quarto luogo, vi è da considerare l’aspetto degli stili cognitivi e dei correlativi stili di insegnamento. La scuola
“di tutti”
[26] non può
permettersi di adottare uno stile di lavoro univoco; è noto, infatti, che la
metodologia della lezione frontale corrisponde all’idea di un
sapere già ben ordinato, logicamente strutturato, cioè deduttivamente ed
assiomaticamente predisposto.
[27]
Questo maniera di procedere seleziona in partenza il tipo di studenti
rispetto a cui risulta efficace; esprime una involontaria preferenza per uno
specifico stile di apprendimento: gli studenti che riescono meglio - in questo
tipo di relazione educativa - sono quelli abili nella codificazione
logico-analitica e nella visione strutturata del sapere. Nella loro mente le
sequenze di informazioni si ricompongono come i pezzi di un meccano
dall’ingarbugliata e splendida struttura.[28]
Gli psicologi suggeriscono, però, l’esistenza di altre intelligenze ed
altri stili di apprendimento.
Le modalità di lavoro induttive
si prestano bene a questo scopo.
Vi sono ragazzi che desiderano comprendere la regola astratta perché
questa rappresenta per loro uno strumento potente che subito riescono ad
applicare a contesti nuovi; questa esigenza è tipica dell’atteggiamento
logico-analitico.
Vi sono, invece, studenti, per cui la regola è un’inerte suppellettile il
cui uso rimane inizialmente misterioso.
Hanno, in questo modo, effettuato i passi richiesti dal percorso
formativo, ma in un ordine inverso rispetto alle nostre aspettative: sono
risaliti dal caso concreto a generalizzazioni intermedie, alle verifiche e,
infine, alla scoperta della regola. L’insegnante, tenendo conto dell’esistenza
di questo ordine psicologico, parzialmente difforme dall’ordine logico del
sapere sistematico, dovrebbe abituarsi ad una diversa strutturazione del
proprio percorso di insegnamento. Non crediamo che ne deriverebbe una
disarmonia educativa, bensì una pratica didattica concepita come un’arte della fuga, in cui le medesime
operazioni si possono ripetere in una varietà di sequenze diverse.
Questa alternanza di approcci può arricchire anche gli
studenti che già abitualmente consideriamo abili nello studio. Per loro,
abbiamo detto, la comprensione della teoria, della concatenazione logica
delle asserzioni e l’applicazione delle
regole e delle procedure note non costituisce in genere una difficoltà
eccessiva. C’è tuttavia un aspetto che può metterli in difficoltà: il
trasferimento delle conoscenze e dei metodi noti a contesti parzialmente nuovi,
a situazioni sensibilmente diverse da
quelle sinora affrontate. Queste occasioni di apprendimento si creano
specialmente affrontando dei casi concreti, degli esempi in forma di problema.
In casi come questi, vengono messe alla prova le loro
capacità di procedimento induttivo, per prove ed errori e la flessibilità
ideativa; proprio per questo ne possono risultare esperienze estremamente
istruttive.
Lungi dall’apparire come un riempitivo o una perdita di
tempo, l’approccio induttivo può, dunque, risultare un’opportuna e proficua
variazione dell’usuale metodologia di insegnamento.
L’esigenza di buone metodologie didattiche è
fondamentale per evitare il rischio che il sapere filosofico venga considerato
marginale nel profilo educativo scolastico e poco significativo nella
formazione dell’individuo.
Nell’ambito più generale della cultura, la filosofia non
è affatto marginale: lo dimostrano la vitalità e la reviviscenza di interessi
per le questioni che essa pone e la sequela di nuove pubblicazioni filosofiche
anche di livello divulgativo. I problemi e le argomentazioni filosofiche
fuoriescono dal ristretto ambito delle discussioni specialistiche, per mostrare
la loro concretezza nelle molteplici applicazioni sociali, morali e politiche:
le questioni etiche, gli interrogativi esistenziali, le decisioni sociali e le
scelte sulle tecnologie.
L’impressione è che nella scuola di tutti si continui ad utilizzare un modello pedagogico
superato e tipico dell’educazione élitaria
del passato.
È necessario, viceversa, delineare un modello pedagogico
alternativo, che insita maggiormente sulle abilità intellettuali complesse.
Le ipotesi che presentiamo di seguito non pretendono
certo di rivoluzionare il significato del lavoro filosofico; cercano solo di
evidenziare maggiormente il significato formativo della filosofia, dal punto di
vista della crescita personale e della cittadinanza.[29]
Il primo problema da affrontare, nella strutturazione di
un percorso didattico nuovo, è quello del modello pedagogico da utilizzare.
Nella discussione degli ultimi anni è ormai consolidata l’abitudine di
articolare la presentazione dei modelli indicando i nuclei della disciplina, le competenze
e le strategie didattiche. Useremo quest’ impostazione con le seguenti
specificazioni terminologiche.
Intendiamo i nuclei
fondanti come gli aspetti formativi caratterizzanti l’esperienza filosofica
scolastica; essi indicano il significato formativo e l’utilità specifica
dell’insegnamento – già al livello
scolastico superiore – della filosofia;
spiegano per quale motivo la cultura di un giovane dovrebbe includere la
filosofia, per potersi considerare completa.
Alcuni di questi nuclei sono dominio quasi esclusivo
della tradizione filosofica; altri riguardano competenze trasversali alle
discipline. Anche in quest’ultimo caso, però, la filosofia può contribuire ad
un significativo potenziamento di esse.
Ciascun nucleo non rappresenta un “atomo” di sapere, ma un aggregato di
corpuscoli e di forze, di contenuti e di capacità. Ogni nucleo è una “famiglia”
dalla composizione a volte più allargata, a volte più ridotta.
I nuclei specifici della filosofia corrispondono a
quelle che sono state chiamate, nella tradizione psicopedagogica, le strutture
[30]
della disciplina, cioè l’insieme delle
teorie, degli strumenti e dei metodi utilizzati dai filosofi.
Con il termine macrocompetenza
intendiamo indicare quelle capacità più generali e macroscopiche che il
filosofo esperto padroneggia e che, di conseguenza, cerchiamo di fare acquisire
al giovane che intraprende lo studio della filosofia.
Una grande quantità di equivoci si è creata
relativamente all’uso del concetto e del termine di competenza (collegato,
peraltro, all’idea di modulo didattico).
Le competenze del primo tipo sono di tipo applicativo ed
esecutivo: si tratta di un “saper fare” codificabile e, in modo relativamente
semplice, esemplificabile.
Prendiamo un semplice esempio: servire correttamente un piatto ad un
cliente in un ristorante. Anche in questo caso l’operazione non è solamente un
esercizio scolastico – in cui sia sufficiente applicare una procedura univoca e
nota – in quanto l’esecuzione prevede il controllo di variabili situazionali,
imprevisti e relazioni comunicative: tutto ciò che fa la differenza tra un
locale in cui ci troviamo a nostro agio ed un altro apparentemente impeccabile, ma freddo e poco ospitale.
Le competenze culturali sono qualcosa di relativamente diverso, perché la
componente meramente esecutiva è, in questo caso, piuttosto ridotta.
Le competenze culturali costituiscono il metodo tipico,
il modo di operare caratteristico di un esperto che si trovi ad operare nella
soluzione di questioni specifiche del suo campo di sapere. Nel caso, ad
esempio, della lingua straniera, una competenza caratteristica è la capacità di
traduzione simultanea.
Gli ingredienti generali delle competenze – culturali e
operative – sono simili, ma la proporzione è diversa: in quelle culturali prevalgono aspetti di transfer,[31]
mentre in quelle operative prevalgono aspetti semplicemente applicativi.
In entrambe, però, sono rilevanti gli atteggiamenti e/o
le componenti relazionali. Né le une né le altre hanno a che fare con il
tradizionale esercizio scolastico in cui si dimostra semplicemente di avere
compreso e di saper applicare una determinata procedura.
Le
strategie didattiche. L’idea di un metodo
d’insegnamento è vista, nella tradizione italiana, - più orientata verso il
disciplinarismo - con qualche sospetto.
A questa posizione (di impronta gentiliana) se ne oppone
un’altra: l’idea secondo cui possa esistere una metodologia generale per
l’insegnamento, adatta a tutti i luoghi e a tutte le circostanze.
Una prospettiva di questo genere può, ad esempio,
radicarsi nell’impostazione psicologista:
si prende come punto di riferimento una qualche tassonomia delle operazioni
psichiche coinvolte nei processi di apprendimento e se ne desume una
corrispondente tavola delle operazioni didattiche da attivare nel corso
dell’insegnamento. Questa meccanica
trasposizione si basa sulla convinzione che le operazioni di ciascun
campo disciplinare siano un calco o la copia-carbone del medesimo gesto
mentale, tante volte ripetuto con le stesse caratteristiche.
Ci pare più verosimile un’altra visione pedagogica,
secondo cui le operazioni psicologiche di apprendimento rappresentano delle
categorie, dei tipi generali di abilità che si concretizzano, si articolano e
si differenziano a seconda dei diversi campi disciplinari.
Prendiamo, ad esempio, la classica tassonomia di Bloom:
il significato dell’operazione di “applicazione”
delle conoscenze acquisite risulta chiaro solo se si specifica il campo
cognitivo ed i contenuti rispetto a cui si esegue quel tipo di operazione
mentale. Esistono svariati tipologie di “applicazioni” e tra esse sussiste solo
un’affinità.[32] In
matematica, l’applicazione del calcolo letterale non ha molto a che vedere con
le operazioni applicative della geometria euclidea; e, tantomeno, con quelle
dell’analisi testuale in letteratura.
Più che di obiettivi “trasversali” si dovrebbe
probabilmente parlare di competenze analoghe
in campi disciplinari distinti. Le somiglianze che sussistono tra esse
giustificano alcune intersezioni nel lavoro didattico, soprattutto con lo scopo
di permettere la generalizzare di alcune strategie fondamentali, comuni a campi
conoscitivi diversi.
Nel proporre di dedicare uno spazio particolare alle
strategie didattiche, intendiamo tenerci lontani sia dall’antididatticismo sia
dal didatticismo estremo (come teoria di una didattica generale).
Intendiamo le strategie
didattiche come i metodi tipici e le procedure utilizzabili,
nell’insegnamento della filosofia, per la razionalizzazione dei percorsi di
insegnamento.
Tali strategie sono formulate tenendo conto di un doppio
vincolo:
a.
le caratteristiche generali
dei processi di apprendimento (individuali e di gruppo);
b.
le operazioni
caratteristiche del pensiero filosofico.[33]
Riteniamo che l’insegnamento della filosofia richieda una metodologia specifica (riconducibile al cosiddetto laboratorio filosofico), con caratteristiche distintive rispetto ad altri campi di sapere.
Il modello pedagogico
Nella
seguente tabella riepilogativa sono indicati, in forma sintetica, i nuclei, le
strategie didattiche e le macrocompetenze del modello pedagogico che
illustriamo nei paragrafi seguenti.
[34]
Nuclei
didattici |
didattiche |
Macro
Competenze |
Centralità dei
problemi |
Domande
filosofiche |
Problematizzare |
Centralità del
metodo |
Laboratorio del
metodo |
Argomentare |
Apertura
culturale |
Esplorazioni
filosofiche |
|
Costruzione
intersoggettiva |
Laboratorio
delle teorie |
Concettualizzare |
Complessità
interpretativa |
|
Interpretare |
Conoscenza
storico-filosofica |
Lettura dei
testi |
Valutare le
fonti |
Apprendimento
attivo |
Dialogo e
lavoro di gruppo |
Valutare le
argomentazioni |
1.
Centralità dei problemi.
Alcuni studenti nutrono
aspettative elevate nei confronti della filosofia: la concepiscono come una
disciplina che li aiuti ad orientarsi nella ricerca di fondamentali risposte
per la vita individuale o per quella sociale; altri si accostano al sapere
filosofico con circospezione, privi di aspettative positive e con l’idea di non
trovarvi altro che un inventario delle più originali ed astruse elucubrazioni
che la mente umana ha prodotto nel corso della storia.
Vi è da chiedersi in che misura l’approccio didattico
consueto fornisca un’adeguata risposta a questi atteggiamenti spontanei.
Apparentemente in modo piuttosto limitato. Gli studenti meno motivati non
traggono alcun incentivo dall’impostazione didattica di tipo storiografico
“tradizionale” (basata unicamente sull’illustrazione storico-cronologica di
autori o opere).
Gli studenti più motivati, invece, vanno alla ricerca di
conferme alle loro convinzioni spontanee, esprimendo simpatie o idiosincrasie
per l’uno o l’altro autore. Il lavorio mentale di valutazione degli argomenti
rimane, però, questione privata di cui l’insegnamento non si occupa. Le ragioni
che spingono alla scelta – tra diverse visioni filosofiche – non sono sottoposte ad una discussione
intersoggettiva e, a volte, paiono sconfinare nel campo delle simpatie o antipatie
“di pelle”, piuttosto che rappresentare delle riflessioni articolate.
In genere gli studenti hanno idee ben chiare (seppure
non sempre condivisibili) a proposito delle questioni morali, religiose o
politiche, ma troppo spesso tali convinzioni assomigliano a delle fedi,
piuttosto che a tesi argomentate o argomentabili.
Lo studio paziente dei classici e la lunga sequela di
testi ed autori non riescono ad intaccare questa situazione; per questo occorre
ipotizzare un diverso approccio alla filosofia, partendo da problemi “autentici” – cioè direttamente
ed esplicitamente connessi con i problemi della vita e della cultura
contemporanea – affrontati dapprima in una chiave più vicina al discorso
ordinario e alle teorie spontanee (più o meno ingenue), per arrivare – anche
attraverso i testi classici, i temi filosofici e gli autori – alla
riformulazione più rigorosa e ricca (dal punto di vista teoretico) delle
medesime questioni.
L’elenco dei nuclei problematici
su cui concentrare l’attenzione risulta ampio; senza voler fornire
un’elencazione sistematica si potrebbero, ad esempio, indicare: le questioni di
bioetica, il diritto dei popoli, i diritti fondamentali dell’individuo, la
questione dell’eguaglianza e della giustizia, la certezza delle scoperte
scientifiche, fede e ragione, il problema della vita felice, la coscienza e le
macchine. Questi problemi risultano più chiari, “autentici” e comprensibili per
chi si avvicina alla filosofia, rispetto alle problematiche di tipo
storico-culturale generalmente proposte dalla scuola.
Proponiamo, perciò, di partire sempre da domande di
senso, di verità e di valore, affrontando con metodo il tentativo di articolare
una descrizione raffinata delle questioni ed una visione più feconda delle
argomentazioni.
Un’impostazione di questo genere richiede una visione più
umile e pragmatica della filosofia; le grandi questioni (il bene, il bello, il
vero) vanno esaminate al loro livello “elementare”, cioè nelle forme più
concrete ed accessibili. Ogni domanda deve essere affrontata a partire dal
sapere applicato e da una prospettiva concreta, per acquistare progressivamente
maggiore generalità.
I testi classici
non perdono affatto, in questa impostazione, la loro importanza; ma non
basteranno più rinsecchite citazioni più o meno lunghe, come fiori recisi dalla
pianta; occorreranno ampi estratti testuali, opportunamente scelti e graduati
per complessità e pertinenza rispetto al problema da esaminare. Non più la
brevità epigrammatica e quasi oracolare dei piccoli estratti, bensì l’ampiezza
distesa di un lungo ragionamento di cui apprezzare, valutare o mettere in
dubbio le ragioni.[35]
2.
Centralità del metodo critico-argomentativo.
La rilevanza culturale della filosofia consiste, da un
lato, nella ricchezza delle ipotesi – a volte assai originali – formulate per
dare risposta alle domande più difficili e, apparentemente, insolubili.
Dall’altro lato, consiste nella elaborazione di un metodo generale di
conduzione della riflessione razionale nel campo dell’incertezza e della
complessità. Il patrimonio specifico, dal punto di vista metodologico, della
filosofia è costituito da un insieme di strategie razionali e argomentative, la
cui consapevolezza è già presente fin dalle origini greche della filosofia (metodo dialettico).
La filosofia non può certo pretendere di fornire, oggi,
un metodo generale per la ricerca razionale: il campo delle “metodologie delle
scienze” si è arricchito ed articolato enormemente, dalla logica (intesa come
logica matematica, cioè metodologia dell’argomentazione matematica di tipo
assiomatico-deduttivo) all’esperimento, dal calcolo delle probabilità alla metodologia delle scienze storiche.
Resta, però, il fatto che le scienze esatte, o quelle
della natura, non esauriscono affatto il campo del sapere umano. Le questioni
più quotidiane e, all’opposto, quelle più cruciali e difficili - per la società
o l’individuo - rientrano in un campo di riflessione più vasto delle singole
scienze, in cui il “gioco” delle ragioni è assai più sfumato, controverso e
indecidibile. In questo campo il metodo filosofico della “dialettica”,
arricchito dai contributi moderni della teoria
dell’argomentazione, conserva una sua indiscutibile attualità ed utilità.[36]
Una malintesa visione epistemologica ha portato ad
identificare il pensare con il dedurre, l’argomentare con il ricavare
logicamente da ipotesi e con il determinare in misura rigorosa la maggiore o
minore corroborazione di una tesi.
Una differente tradizione di pensiero ha rivendicato,
invece, l’esistenza di un metodo diverso da quello strettamente sperimentale e
da quello assiomatico, testimoniandone la presenza diffusa fuori ed entro la
scienza (ad esempio, nel campo giuridico e, rispettivamente, nelle discussioni
argomentative sulle interpretazioni più plausibili dei risultati sperimentali):
un livello di riflessione argomentativa, rispettosa della logica, ma non
sovrapponibile ad essa.
Buona parte delle scelte individuali e sociali
richiedono un’indispensabile competenza tecnica, ma non sono disgiunte da
valutazioni di tipo argomentativo e critico, nel senso tradizionalmente
sperimentato dalla filosofia: definire in modi alternativi un problema,
chiarirne la struttura, esplorare gli argomenti opposti, valutare la
plausibilità e la coerenza delle argomentazioni a favore o contro una
determinata conclusione ipotetica.
La cultura di ogni giorno è imbevuta di procedimenti
argomentativi e filosofici, ma non ci accorgiamo della foresta che ci troviamo
davanti; continuano a citare e considerare solo modelli di razionalità
inadeguati, come la dimostrazione matematica o l’esperimento.
L’importanza del metodo nell’insegnamento della
filosofia è stata oggetto di numerosi interventi. Non basta, a nostro parere,
evidenziare la centralità di questo fattore formativo; occorre anche farne un
obiettivo esplicito (non episodico), graduale e ciclico del percorso di
insegnamento.
3.
Apertura culturale. I filosofi si sono sempre
felicemente interessati di questioni apparentemente non filosofiche. Vi sono
questioni e problemi che non sono immediatamente etichettabili come filosofici
(ad esempio, il problema della mente o quello dei metodi scientifici); è il
modo di affrontarli, le domande e le
deduzioni che ne derivano, a caratterizzarli come ascrivibili alla filosofia.
Altri problemi sono più chiaramente riconducibili al
campo della filosofia (ad esempio, il problema del divino o dell’esistenza), ma
anch’essi potrebbero essere affrontati in modi alternativi: il problema
dell’esistenza di Dio, ad esempio, può essere affrontato dal punto di vista
dell’argomentazione razionale o della semplice credenza; da una parte avremo la
filosofia della religione, dall’altra una qualche forma di fideismo.
È vero, in un certo senso, che non si può non filosofare, dato che il
rifiuto stesso di discutere le proprie ragioni rappresenta – di per sé – una scelta
di campo filosofico; ma, in senso proprio, indichiamo con la denominazione di
“filosofia” proprio l’aperta disponibilità a sottoporre le proprie ragioni ad
un controllo intersoggettivo. La filosofia potrebbe essere caratterizzata come
un tentativo di chiarificazione razionale di questioni poste dal senso comune,
dalla cultura e dalle scienze e di cui né il senso comune, né le scienze
possiedono una risposta esauriente.
L’immediata conseguenza didattica di questa visione è, a nostro parere,
la seguente: i testi e le questioni di cui si occupa il filosofo o lo studente
di filosofia dovrebbero essere sia testi e problemi classici - in cui la
tradizione ha depositato i risultati più originali ed importanti della
riflessione filosofica - sia documenti di vario tipo, particolarmente
significativi, forniti dalla cultura contemporanea.
Il testo classico può venire affrontato più efficacemente accostandolo ad
altri testi e documenti più recenti che possano “contestualizzarne” il
significato, rispetto alla forma attuale dei problemi filosofici classici.
4.
Costruzione intersoggettiva.
Nessun senso, nessuna verità, nessun valore sembra
emergere, in apparenza, da questo sforzo composito, la cui unica
giustificazione pare essere l’inesauribile curiosità umana ed il desiderio di
potenza. Non vi sono argomentazioni o ragioni più plausibili di altre: ciascuno
vive nel chiuso delle proprie convinzioni, che sono simili a delle fedi più o
meno illuminate, a riti privati e superstizioni personali oppure a riti
condivisi da molti.
L’orizzonte della tecnica ci rinchiude nelle nostre
soggettive interpretazioni del mondo, tracciando una netta separazione tra lo
spazio della discussione scientifico-tecnica (entro cui è plausibile un
discorso intersoggettivo e l’adozione di criteri di razionalità condivisi) e lo
spazio soggettivo delle convinzioni personali, entro cui le carte si confondono
e strumenti e criteri oggettivi di razionalità sembrano mancare.
Al più, ciascuno di noi può provare a chiarire i
presupposti delle proprie convinzioni
(le sue credenze fondamentali) e
dedurre correttamente da esse le conseguenze che ne derivano, giustificando, in
tal modo, le proprie scelte; ma non esiste la possibilità di una discussione
critica pro o contro tali presupposti.
La difesa di una concezione
umanistica del sapere si basa, invece, sulla scommessa della possibilità di
un confronto intersoggettivo, sulla convinzione che una formazione richieda,
per essere completa, anche l’abitudine ad affrontare questioni di senso, di
verità e di valore, per quanto esse risultino estremamente complesse. La loro
complessità, infatti, è proporzionale alla loro rilevanza, sia a livello
personale che a livello sociale.
Non si tratta, semplicemente, di far emergere il vissuto personale degli
studenti – le loro convinzioni o i loro pregiudizi – giustapponendoli alle
teorie dei filosofi (sperando in una “fusione fredda” che talvolta
inaspettatamente si verifica, ma più spesso non si realizza). L’obiettivo del
lavoro filosofico a scuola può essere un altro: scandagliare le convinzioni
personali, portarle a galla, definirne i contorni sfuocati, problematizzarle,
farle collidere con opinioni diverse ed autorevoli, innescare la reazione a
catena della discussione e dell’argomentazione, soppesare le soluzioni,
distinguendo quelle con un valore intersoggettivamente accettabile dalle
convinzioni meramente personali.
Fare questo significa concepire il gruppo degli studenti
come comunità di ricerca per la
costruzione - personale, ma intersoggettivamente controllata - delle
argomentazioni di senso, di verità e di valore.
Nel lavoro in comune dovrebbero essere messi a punto gli
strumenti di una discussione che possieda i caratteri della fondatezza
intersoggettiva, evitando invece i pericoli della emotività argomentativa.
Nessuno rinuncerà alla passione delle proprie convinzioni, ma ciascuno si
renderà conto del valore (razionale o meno) delle proprie argomentazioni e
della possibilità che esse hanno di essere accettate dagli altri come
ragionevoli.
Questo rappresenta, tra l’altro, il presupposto per la
conquista della difficile capacità di rinunciare
ad una propria convinzione qualora non si riesca in alcun modo ad argomentarla
in maniera sufficientemente accettabile.
5.
Complessità interpretativa.
Il “metodo dialettico”, maturato all’interno della
filosofia, trova le sue applicazioni nelle zone più distanti della frammentata
cultura contemporanea, dalle scienze dell’uomo a quelle della natura. La
filosofia può, allora, essere considerata una palestra formativa per
l’apprendimento di un metodo caratteristico della riflessione, di cui ci
serviamo nel prendere decisioni o nel trarre conclusioni in contesti complessi, in base a dati
incerti o incompleti.
L’arte dialettica (o metodo critico-argomentativo) prende in
considerazione ragioni “verosimili” e utilizza complessi di dati ampi, ma non
tali da permettere conclusioni certe o altamente probabili (come esempio si
considerino le discussioni argomentative degli scienziati sui risultati
sperimentali relativi al prione della “mucca pazza” o del HIV). È, dunque, la
capacità di soppesare i fatti, le prove, gli indizi e le deduzioni, in vista di
una conclusione o di una decisione.
Riteniamo che il ruolo formativo centrale della
filosofia dipenda proprio dalla pervasività
di questa capacità critico-argomentativa; essa, quindi, assume un’importanza
fondamentale nella formazione culturale di qualsiasi cittadino che aspiri ad
una formazione completa.
Questo
“autentico” filosofare si esercita realmente solo in contesti di complessità
problematica, di difficoltà argomentativa, di pluralità di esigenze concorrenti
e di possibili soluzioni.
Occorrerebbe innestare questi percorsi storiografici su problemi e temi che risultino più vitali e “caldi”, affrontando testi di filosofia applicata, cimentandosi nell’analisi di casi, esaminando problematiche morali legate alla contemporaneità. In questo modo risulterebbe anche più facilmente comprensibili il significato e l’attualità culturale dello studio filosofico[38].
6.
Conoscenza storico-filosofica.
L’approccio storiografico-testuale[39]
alla filosofia può risultare ricco di interessanti implicazioni formative; ma è
sufficiente questo per farne una metodologia esclusiva?
L’operazione di recupero di documenti classici può
essere condotta a diversi livelli e profondità. L’approccio più rigido è quello
tradizionale, basato sull’idea che lo sviluppo delle correnti filosofiche
(secondo la codificazione storiografica ottocentesca) costituisca una sorta di
“fenomenologia dello spirito” che, per consonanza, contribuisce alla crescita
filosofica della personalità dei giovani.
All’opposto sta l’altra concezione, secondo cui per
educare filosoficamente non è necessario spingersi troppo indietro; è
sufficiente recuperare il dibattito più recente (gli ultimi decenni), in
ciascuna area filosofica, per essere certi di non perdere nessun elemento
teoretico fondamentale.
Ciascuna di queste opzioni ha autorevoli sostenitori;
rispetto alla tradizione italiana di studi filosofici - e in relazione alle
caratteristiche dell’insegnamento secondario - sembra essere preferibile una
soluzione intermedia che eviti sia l’aridità filologica di ricostruzioni
storiografiche ineccepibili ma aride, sia l’avanguardismo di un approccio per
problemi che escluda radicalmente la lettura dei testi classici.
Lo studio delle testimonianze del passato – prossimo o
remoto – non è un valore in sé (dal punto di vista formativo), ma un’esigenza
legata a domande filosofiche che siano (per lo studente) chiare e ben definite.
L’insegnamento mirato esclusivamente e prioritariamente alla precisione
filologica e storiografica risulta più adatto a studenti universitari che a
quelli della scuola superiore; per questi ultimi, una impostazione
rigorosamente storiografica ingenera rapidamente noia ed assuefazione.
La conseguenza naturale di ciò è che la tradizione – dal punto di vista dello
studente – ha significato non in quanto storia della filosofia tout court, ma in quanto può essere
vista come lo “stato dell’arte”
delle ricerche relative ad un certo tema o ad un problema.
Ciò non significa che si debba rinunciare ad esigere precisione nelle
ricostruzioni storiografiche. La soluzione intermedia che, nella nostra
esperienza, è risultata più efficace si basa sull’idea di prevedere alcuni
moduli (due o tre all’anno) di inquadramento storiografico per grandi periodi
storici e per autori, in modo da fornire una intelaiatura entro cui collocare
sensatamente le informazioni più specifiche.
Dopodiché lo sforzo di contestualizzazione storica dei documenti –
riferiti sempre a nodi concettuali e problematici ben chiari ed espliciti
– viene considerato un requisito
strumentale necessario per “attualizzare” testi del passato, riferendoli alle
domande e alle questioni di cui ci si sta occupando.
a)
intendere fedelmente il
testo nel suo contesto storico e nella complessità degli intrecci culturali;
b)
distillare ed interpretarne
il senso filosofico, per poterlo riferire alle domande significative da cui ha
preso avvio la riflessione in classe.
I fraintendimenti sono naturalmente possibili e probabili, ma essi
possono rappresentare un’occasione favorevole per intervenire con precisazioni
e chiarimenti storiografici più mirati.
È ovvio che gli studenti non giungono sempre ad un rigore storiografico
paragonabile a quello che ci potremmo attendere da studenti universitari; ma
spesso essi dimostrano di possedere insospettabili risorse interpretative.
Frequentemente sottovalutiamo le loro capacità di analisi e tendiamo a sostituirle
con l’apprendimento mnemonico di un barocco apparato di note, introduzioni e
schede di commento.
Ci interessa soprattutto che gli studenti possano avvicinarsi
direttamente alle opere filosofiche nella maniera più naturale – per trovarvi
delle interpretazioni e delle risposte – dedicando parecchio tempo alla lettura
di testi lunghi, ma accessibili e ben tradotti.
È importante, per noi, che, al
termine del loro percorso di studi, i ragazzi conservino il piacere di
considerare la tradizione filosofica come un tesoro a cui attingere per trovare
stimoli ulteriori per le loro riflessioni. Non vorremmo, al contrario,
scatenare alcuna allergia da “indigestione” storiografica.
7.
Apprendimento attivo. Abbiamo sinora sostenuto
che l’obiettivo principale del lavoro filosofico a scuola è l’acquisizione di
strumenti intellettuali, di metodi e strategie di pensiero, di attitudini
riflessive e produttive; cioè di “competenze” filosofiche.
Questa impostazione comporta la drastica riduzione
dell’insegnamento unidirezionale e cattedratico e il ridimensionamento
dell’impostazione didattica astratta e deduttiva.
L’apprendimento di competenze è sicuramente condizionato
dall’assimilazione di una grande quantità di conoscenze: non potrebbe esservi
una buona competenza senza momenti intensivi di insegnamento in senso tradizionale
(di concetti, di metodi, di teorie), cioè attraverso la mediazione delle
lezioni dell’insegnante o dello studio di materiali strutturati. Ma
l’apprendimento non si riduce solo a questo: è indispensabile una fase di
rielaborazione attiva e di acquisizione della padronanza dei termini, dei
concetti e dei metodi.
L’apprendimento, di conseguenza, non può essere
semplicemente riproduttivo, cioè basato sulla conoscenza di informazioni o
sulla loro comprensione analitica.
Né può basarsi sulla semplice conoscenza e comprensione
dei metodi argomentativi, piuttosto che dei singoli filosofi e delle loro
opere.
L’apprendimento attivo – cioè il laboratorio didattico – è connaturato alle finalità della
formazione filosofica e non può essere considerato solo una significativa
appendice di essa. Nel laboratorio gli studenti (individualmente, con l’aiuto
dell’insegnante, o in gruppo, con o senza la presenza di stimoli strutturati)
cercano da soli e induttivamente le risposte ad un problema (di vario tipo:
storico-interpretativo, argomentativo, concettuale, testuale, eccetera).
1.
Formulazione delle domande
filosofiche.
La prima ragione è di tipo psicopedagogico: si tratta di far percepire in termini chiari e
concreti qual è la questione di cui ci si sta occupando e in che cosa consiste
la sua importanza.
Una mossa didattica di questo tipo è senz’altro
favorevole, in quanto predispone gli studenti ad una curiosità mirata e ad
un’attenzione selettiva: anche nell’intricato sentiero di ricostruzione di un testo
o del pensiero di un autore, gli studenti avranno ben presente qual è la meta
finale e qual è lo scopo che giustifica lo sforzo di interpretazione e di
riflessione.[40]
Questo vantaggio si può però facilmente tramutare in un ostacolo, dato
che sposta le aspettative degli studenti verso l’alto: se abbiamo fornito loro
delle domande e dei problemi cui rispondere, essi si aspetteranno che il
percorso didattico non si esaurisca nella conoscenza di un periodo storico
specifico o di un filosofo, ma sia orientato alla ricerca argomentata o alla
ricostruzione – nei testi letti – di risposte alle questioni poste. Un percorso
che si apra con una problematizzazione, per poi proseguire secondo le modalità
consuete della rassegna storica, manifesta un’intima contraddittorietà
didattica, che viene presto colta dagli studenti. Non ha senso sollecitare
delle dissonanze cognitive se esse non costituiscono poi l’occasione per una
ristrutturazione del campo conoscitivo.
La seconda ragione che spinge ad attribuire importanza alla problematizzazione è interna al discorso filosofico. Problematizzare significa recuperare la domanda di senso, di verità o di valore che giustifica la lettura di un determinato testo. Rappresenta, quindi, la fase di costruzione di una struttura concettuale di base su cui ramificare articolazioni più complesse di pensiero.
L’esplorazione del ricco repertorio di teorie – complementari o alternative – elaborate dai filosofi è troppo spesso considerata secondo un modello storicistico, in cui si sottolinea la permanenza di alcune grandi questioni e la organicità del pensiero rispetto al contesto storico-culturale.
a)
il fatto che le grandi
questioni filosofiche sono soggette ad una costante riformulazione, in termini
aggiornati rispetto alla situazione culturale del momento (ad esempio, le
domande ontologiche permangono anche nella cultura contemporanea, ma non hanno
più un ruolo di tipo fondazionale rispetto al complesso del sapere);
b)
il fatto che molto spesso gli studenti
percepiscono il significato formativo dei percorsi storici in modo riduttivo
rispetto alle intenzionalità educative dei docenti: la contestualizzazione
storico-culturale che ci sforziamo di compiere in classe e la correttezza
filologica dei riferimenti vengono intese nell’accezione ridotta di una relativizzazione storica dei problemi e
delle risposte fornite dai diversi filosofi; si risolvono quindi in un depotenziamento dell’implicita carica
problematica e dell’attualità del messaggio filosofico. Vi è il concreto
rischio che il fare filosofia, al di là delle intenzioni esplicite, si tramuti
nella confortante e consueta visione progressiva del divenire storico per cui,
immaginandoci sulle gigantesche e robuste spalle del sapere presente, guardiamo
con compiacimento ai modesti e incompleti contributi delle generazioni passate.
Collocare un testo nel suo contesto è indispensabile per capirlo, cioè per ricostruirne il senso razionale rispetto ad una domanda che accomuna noi e chi, in passato, ha scritto e riflettuto sul medesimo problema.
La problematizzazione risulta fondamentale anche per un
terzo motivo: rappresenta la fase di emersione e di attivazione dei saperi spontanei, delle concezioni più
o meno ingenue.
Non si tratta di pretendere dagli studenti dei prerequisiti o delle condizioni
vincolanti (semmai il problema dei prerequisiti ha a che fare con la capacità
dell’insegnante di graduare opportunamente la sequenza degli apprendimenti); si
tratta di prendere atto delle strutture cognitive già esistenti e delle
spontanee elaborazioni di precise
visioni dell’uomo, della società e del mondo.
Nel momento stesso in cui si creano condizioni
didattiche per l’affioramento di queste masse sommerse, si provoca un’onda sismica sulle strutture portanti del
pensiero e si determina una prima interazione formativa: il conflitto delle
interpretazioni rappresenta di per sé il terreno più fertile per l’operazione
di problematizzazione.[41]
Un’ultima considerazione è, però, necessaria.
La problematizzazione, cioè, risulterà tanto più
efficace quanto più saremo in grado di precisare quali tipi di abilità la
compongono, in modo da farla divenire una padronanza autonoma (occorre quindi
un’analisi di tipo sistematico che ne scandisca le fasi e le modalità: qual è
il problema, quali gli aspetti in cui può essere suddiviso, quali le possibili
soluzioni inizialmente disponibili, eccetera).
2. Il
laboratorio dell’argomentazione.
L’importanza della consapevolezza argomentativa può essere difficilmente
sottovalutata da chi ritiene che la filosofia non sia semplicemente un sistema
chiuso da proporre ai ragazzi, né sia una vuota rassegna delle più remote e
singolari concezioni dell’uomo, della vita e del mondo.
Ritornare ai testi classici significa ridare voce ai
problemi autentici che spingono, in ogni epoca, alla ricerca di argomentazioni
ingegnose per tentare una risposta filosofica.
Non c’è, quindi, filosofia autentica senza esperienza
dell’argomentazione.[42]
Detto questo, si aprono due prospettive e due scenari possibili.
Una volta posta con chiarezza la domanda filosofica cui
un testo si riferisce, possiamo andare alla ricerca degli schemi argomentativi
presenti in esso. Cercheremo, cioè, di estrarre
dal testo la linea di ragionamento che conduce dall’enunciazione di ipotesi
e problemi, alla “prova” delle tesi. In questo modo sollecitiamo abilità di
comprensione e di analisi (testuale ed argomentativa).
L’altra possibilità è che l’analisi argomentativa si
arricchisca progressivamente di aspetti nuovi, senza ridursi allo schema
riduttivo della tripartizione tesi, argomenti, conclusioni. La sequenza dei
testi dovrebbe costruire, in filigrana, una panoramica di differenti strategie
argomentative, di complessità via via crescente.
Una volta individuato il tipo di risposta che l’autore
fornisce, rispetto alla domanda filosofica da cui si è partiti, uno spazio di riflessione metacognitiva dovrebbe
essere dedicato a queste strategie con un duplice obiettivo: acquisire
consapevolezza delle loro diverse peculiarità e familiarizzare con l’uso di
esse.
Il laboratorio del
metodo è uno spazio di pratica e di esercizio da inserire – con delle
opportune “finestre” – all’interno degli usuali percorsi didattici, siano essi
storici, tematici o problematici.
3.
Esplorazioni filosofiche del testo.
Un testo compreso dopo un prolungato sforzo di
decifrazione viene amato come un oggetto personale (o come un amico che parla
difficile, ma che suggerisce pensieri profondi), ci lascia il gusto della
conquista e la soddisfazione del riconoscerci capaci di risolvere un rompicapo
interpretativo. Non scambiamo, però, il pensiero filosofico con la dorata
cesellatura che lo fa risplendere. L’apprezzamento del testo, la sofisticata
lettura della pluralità delle sue significazioni, rappresentano il livello
estetico-letterario o storico-filosofico della comprensione.
Dal punto di vista più strettamente filosofico occorre
andare oltre, in due distinte direzioni. Da un lato, ritornare alle domande
teoretiche di partenza, individuando, nei testi, gli schemi di risposta. Cioè ricomponendo e ricostruendo razionalmente
il ventaglio delle risposte possibili ad un dato problema. È la prospettiva
dell’analisi sistematica di una
questione filosofica, delle ipotesi di soluzione e delle argomentazioni ad esse
relative.
Dall’altro lato, si può riflettere sulle strutture argomentative e critiche,
sulle metodologie di valutazione delle prove e degli indizi. I testi forniscono
occasioni per arricchire le capacità di criticare una tesi o di sostenerla in
modo razionale (escludendo, naturalmente, uno scopo meramente persuasivo;
semmai la filosofia dovrebbe insegnare a non cadere vittime, contro la propria
volontà, di meccanismi retorici dell’argomentazione).
In conclusione, il testo è la fonte documentale
primaria, ma rispetto a vincoli ben precisi: allo studioso di filosofia
interessa prioritariamente circoscrivere i problemi di cui, nel testo, ci si
occupa, e le strategie argomentative o critiche che esso racchiude.
4.
Laboratorio teoretico. Nella lettura dei testi
filosofici sono possibili due atteggiamenti ermeneutici piuttosto diversi.
La conoscenza dei testi classici del pensiero filosofico
oggettiva ed esplicita questi
presupposti culturali, provocando una consonanza immediata e un confronto con
le idee spontanee del lettore (identità
filosofica per sé).
A questo punto, il lettore riorganizza il proprio
vissuto personale e le proprie riflessioni spontanee in modo più consapevole,
proprio grazie alle riflessioni sistematiche
contenute nei “classici” (conquista definitiva di una identità in sé e per sé).
Ciò che frequentemente si realizza, nella mente di un
lettore e di uno studente, è l’affioramento di problemi simili, ma non del
tutto eguali, a quelli affrontati dai filosofi del passato. Nella mente di
ciascuno studente prendono forma le domande o il frastuono assordante dei
grandi problemi irrisolti della nostra epoca e della nostra cultura (la
guerra/la pace, il potere della scienza, l’identità dell’uomo, eccetera).
Nei testi classici i ragazzi scoprono – se vi è
un’adeguata mediazione didattica - la ricorrenza di problemi analoghi a quelli
che li riguardano. Da ciò nasce la curiosità di esplorare le possibili
strategie di soluzione già sperimentate, nella speranza di coglierne qualcuna
che possa – con gli opportuni adattamenti – essere trasferita anche alle
situazioni culturali e sociali più vicine alla loro sensibilità.
L’autentico apprendimento filosofico non si verifica
semplicemente con l’adesione a questa o quella tradizione di pensiero (a meno che non si voglia identificare la
filosofia con qualche forma di
L’atteggiamento costruttivista, più che quello
imitativo-identificativo, ci pare più formativo e motivante rispetto
all’apprendimento scolastico.[43]
Ci pare che raramente gli studenti desiderino avvicinarsi alla tradizione
filosofica semplicemente per comprenderla e per reperire dei modelli di
identificazione; più spesso cercano di attingere alla tradizione per tentare
soluzioni che comportano uno sforzo ideativo personale (per quanto limitate e
manchevoli possano risultare le concettualizzazioni che ne risultano).
5.
Nell’analisi complessa di un testo classico abbiamo solo
un caso paradigmatico di situazione complessa. Abilità ancora più articolate
sono necessarie per affrontare casi
reali che abbiano una valenza filosofica (ad esempio, il problema etico
della clonazione).
Le abilità testuali (cfr. il successivo punto 6), da
questo punto di vista, sono fondamentali in quanto propedeutiche ad operazioni
più elaborate.
6.
Filosofia e storia della filosofia. Ogni
testo è una realtà complessa che si presta ad una pluralità di possibili
interpretazioni; non possiamo riconoscere nel testo un significato universale,
semmai possiamo dire che esso provoca una universale e ricorrente curiosità
filosofica.
Insegnare a leggere
un testo, dal punto di vista critico-argomentativo, significa far
comprendere che qualsiasi testo, per potere essere inteso, dev’essere in parte
ricostruito.
Ogni testo viene innestato nel nuovo contesto delle nostre domande e
delle nostre riflessioni. Leggendo un’argomentazione o una confutazione, noi ne
interpretiamo il senso, le omissioni, le premesse nascoste. Nel momento in cui
ci affidiamo ad una autorità filosofica o ne contestiamo le ragioni, dobbiamo
essere preparati a giustificare la adeguatezza della nostra interpretazione del
testo, a non confondere ciò che noi asseriamo, da ciò che nel testo è
documentato.
Questo, d’altra parte, costituisce un ulteriore
esercizio di rigore critico: la capacità di distinguere i fatti dalle possibili
interpretazioni con essi compatibili.
La contestualizzazione del testo è un’attività che si
ispira ad un valore formativo fondamentale. Rappresenta un esercizio di precisione nella raccolta dei dati. È funzionale
all’esigenza di evitare banalizzazioni e fraintendimenti che, ammessi nello
studio storico, potrebbero divenire indesiderati modelli d’un atteggiamento
superficiale: una pratica di avvio al pensiero rigoroso, alla capacità di
distinguere meglio le somiglianze e le differenze, gli aspetti di permanenza e
quelli accidentali.
L’accuratezza storiografica è un esercizio di onestà
intellettuale; da questo punto di vista, ha un posto ed un ruolo importante nel
curriculum, ma rischia di perderlo
nel momento in cui diviene una pratica esclusiva di insegnamento.
Non possiamo pretendere che un adolescente ritenga
interessante lo studio della filosofia per pura passione dell’accuratezza
filologica e storiografica; a meno di non selezionare in partenza gli studenti
in base alla preparazione e agli interessi (come prevalentemente accade nel
caso della formazione “classica”).
Per tutti gli studenti possiamo invece pretendere che
l’accuratezza costituisca un habitus
da conquistare ed una capacità da apprezzare; ma, in questo caso, esistono
svariati modi per sollecitare tale senso della precisione.
Un surplus di
analisi storiografica si può, in genere, motivare solo con percorsi di approfondimento o di eccellenza, scelti dagli studenti ed
opzionali, che facciano leva sulla motivazione ad approfondire un autore,
un’opera o un metodo di lavoro. Vi sono, invece, due esigenze didattiche da
salvaguardare: fornire ai ragazzi
coordinate chiare, essenziali e rigorose della storia della filosofia e
garantire l’accesso diretto a testi filosofici originali sufficientemente ampi.
7.
Dialogo e lavoro di gruppo. La formazione filosofica
richiede necessariamente lo sviluppo di atteggiamenti di rispetto e la capacità
di confronto.
Gli obiettivi di
atteggiamento sono certamente tra i più difficili da raggiungere. Le mete
ambiziose che la filosofia si propone possono difficilmente essere conseguite
limitandosi a discutere delle differenti possibili interpretazioni di un testo.
La modificazione di atteggiamenti richiede tempi lunghi, momenti di emozione e
di passione riflessiva: ma nella scuola difficilmente si realizzano queste
condizioni.
Gli studenti si animano nella discussione solo quando portano alla luce
le loro convinzioni personali. Ma sono pochi coloro che, in questi casi, vanno
al di là del “balbettio” intellettuale: non per incapacità loro, ma per mancanza
di occasioni educative; nessuno ha mai chiesto loro di articolare un parere
argomentato, se non, occasionalmente, nelle composizioni di italiano.
Occorre, invece, riportare il dialogo in classe, non come esplosione
episodica ed anarchica dei propri pensieri in libertà, ma come pratica metodica
del conflitto delle possibili interpretazioni a riguardo di problemi complessi
e significativi.
Il dialogo ed il confronto tra studenti possono fornire
una condizione ambientale favorevole all’interiorizzazione progressiva di atteggiamenti critici: la capacità di
considerare i vari aspetti di un problema, la ricerca di interpretazioni
alternative, il riconoscimento dell’illusorietà di soluzioni semplicistiche.
Il laboratorio di filosofia deve, inoltre, esibire e
giustificare le regole di accettabilità
condivise perché il dialogo abbia luogo e perché esso giunga “da qualche parte”
– a una conclusione o a una decisone –
piuttosto che risultare emotivo e inconcludente. L’esperienza del
dialogo non può essere, quindi, né occasionale, né spontaneistica, ma deve mirare alla codificazione progressiva di
precise regole razionali.
Andrebbero, inoltre, studiate e sperimentate diverse
modalità di confronto, senza limitarsi alla
discussione guidata o libera. Da questo punto di vista, ottime occasioni
di apprendimento dialogico possono essere realizzate utilizzando le diverse
modalità del lavoro di gruppo.
Accenniamo brevemente alle competenze generali (macro-competenze) in cui si articolano, in modo naturale, i nuclei
didattici sinora esemplificati. L’illustrazione vuole rendere conto della
complessità delle competenze messe in gioco nell’attività filosofica (adottando
il punto di vista critico-argomentativo), senza però la pretesa di
fornire definizioni rigorose ed esaustive, né di evitare parziali
sovrapposizioni tra l’una e l’altra area. Una formulazione più rigorosa e
sistematica richiede un lavoro di ulteriore analisi, che risulterebbe utile
soprattutto in funzione della possibilità di precisare con maggiore esattezza
le micro-competenze (abilità) per
ciascuna area e i percorsi graduali per la loro acquisizione.
Il tentativo di delineare una tavola delle competenze
corrisponde all’esigenza di individuare le aree di abilità specifiche e
caratteristiche dell’apprendistato filosofico, cogliendo sia le affinità con
altri campi del sapere (presenti perché, come si è detto, le competenze
critico-argomentative sono pervasive), sia le differenze specifiche.
1.
Problematizzare.
Il processo di
problematizzazione consiste nella progressiva messa a fuoco di un problema o di
una domanda che abbiano una specificità filosofica.[45]
Gli spunti per la
problematizzazione filosofica sono molteplici: un fatto, un’affermazione di
principio, una convinzione diffusa, un caso problematico
(che, cioè, solleva un problema filosofico).
Non si tratta solo di riconoscere un problema, ma, in alcuni casi, di
scoprirlo e di definirne meglio i contorni.
La competenza filosofica è, anzitutto, capacità di porre in discussione
ciò che solitamente non consideriamo problematico, oppure di mettere in dubbio
le soluzioni consuete per un dato problema.
In questo senso si afferma che la radice della filosofia è la
“meraviglia”: come capacità di individuare un problema dove solitamente non
vediamo che l’ordine o il caos.
Naturalmente questa capacità problematizzante ha delle analogie con la problematizzazione
scientifica: si tratta, dunque, di condurre i ragazzi a distinguere l’aspetto
tipico della problematizzazione filosofica (il livello filosofico dell’analisi
della realtà) e di far progressivamente interiorizzare le basilari strategie e
tecniche di problematizzazione.
2.
Argomentare. L’argomentazione rappresenta la procedura di controllo caratteristica
del discorso filosofico.
Lo sviluppo della competenza argomentativa è uno dei
vantaggi formativi che la filosofia può offrire, purché l’insegnante ne faccia
un contenuto esplicito e consapevole della sua attività.
È fondamentale, per questo, che si recuperi, nella
formazione dei docenti, l’aspetto della consapevolezza delle strutture
argomentative, attingendo al patrimonio storico della filosofia ed evitando di
utilizzare teorizzazioni estrinseche che non rendono conto dell’approccio
teoretico al dialogo e alla discussione.
Questa complessità di elaborazione argomentativa è già
presente nell’Organon di Aristotele o, ancor prima, nelle esemplificazioni
dialettiche dei dialoghi di Platone o nei testi dei
In queste opere è enucleata una metodologia razionale
che non si esaurisce né nelle formalizzazioni della logica deduttiva (sebbene
esse possano contribuire grandemente a chiarirne alcuni significativi aspetti),
né nelle codificazioni dei metodi induttivi e sperimentali (sebbene la
discussione dell’esperimento sia un caso particolarmente stimolante di
procedura argomentativa).
3.
Nel caso della filosofia, si
tratta di acquisire competenza nel determinare quali basi di informazioni
abbiano una rilevanza per le questioni filosofiche; di saperle riconoscere, se
già date, o di saperle cercare e individuare se non disponibili.
Occorre, poi, saper valutare l’attendibilità delle
informazioni, secondo criteri oggettivi (ma non deterministici) di riferimento.[47]
La macrocompetenza cui ci riferiamo è connessa alla
capacità, tipica dei filosofi, di padroneggiare la complessità, cioè di prendere in esame informazioni complesse –
appartenenti a molteplici campi del sapere –
per estrarre da esse dati rilevanti e pertinenti, relativi a un dato
problema (di tipo filosofico).
4.
Concettualizzare. Intendiamo indicare con
questo termine la competenza nella costruzione o nella manipolazione di
strumenti concettuali adatti per la discussione filosofica.
Dal punto di vista didattico si tratta di strutturare le
categorie fondamentali del pensiero filosofico – rispetto ad un’area specifica
di interesse – e di articolarle progressivamente.
Parallelamente, l’obiettivo da raggiungere è la
crescente familiarizzazione nell’uso di questi strumenti, in modo che divengano
delle forme intrinseche alla riflessione.
La concettualizzazione è collegata ad abilità induttive,
deduttive e applicative; a capacità di comprensione dei linguaggi e di
definizione dei termini; ad abilità nella codificazione di procedure e di
strategie.
Il campo della concettualizzazione comprende, in un
certo senso, l’intera tradizione filosofica. In essa, infatti, è depositato un
ricco patrimonio di strumenti concettuali, di categorie e di metodi; alcuni
apparentemente più desueti, altri ancora efficienti e in buono stato.
5.
Interpretare. Una competenza particolarmente
significativa, per la filosofia, è la capacità di interpretare in modi
alternativi sistemi complessi di dati.
In questo caso vengono messe in azione abilità come la
flessibilità e la fluidità ideative, l’abilità nel passare dal piano astratto a
quello concreto e nel passare da situazioni note a situazioni problematiche
nuove (parzialmente o totalmente).
In queste trasformazioni sono sollecitate abilità
fondamentali: valutare opzioni alternative per organizzare i dati, per
analizzarli o per risolvere difficoltà interpretative.
Come si è detto, è nello “studio di casi” che si evidenzia maggiormente questa capacità ideativa e costruttiva del pensiero.
L’approccio a casi concreti (solitamente indicato come “filosofia applicata”) sollecita le abilità consistenti nell’applicare, trasferire e adattare modelli esplicativi noti a situazioni (parzialmente) nuove.
Per mezzo di tali operazioni:
a)
il problema viene analizzato
in maniera più specifica ed articolata;
b)
le conseguenze operative e
concrete di ciascuna impostazione filosofica possono essere esplorate con
maggiore precisione;
c)
le ipotesi e le soluzioni
alternative possono essere apprezzate e valutate nelle loro conclusioni e nelle
conseguenti decisioni.
6.
Queste circostanze risultano rilevanti, dal punto di
vista formativo. L’attività filosofica tende a sollecitare una specifica macrocompetenza, stimolata proprio
dall’incessante andirivieni che lo studioso (o lo studente) è costretto a compiere nelle sue esplorazioni
tra arte, scienza, letteratura e sapere comune (tra i contemporanei o nei testi
del passato).
7.
Ricostruire e valutare argomentazioni.
L’ultima e fondamentale area di competenza si riferisce alla capacità di
riconoscere o costruire strategie argomentative/critiche complesse, in modo
consapevole e controllato.
Questa capacità
presuppone anzitutto la consapevolezza della differenza tra schemi logici e
strutture argomentative (in particolare, la ricorrenza continua di entimemi nelle argomentazioni).
In terzo luogo, comporta la padronanza di criteri
razionali per esprimere una valutazione sul grado di forza razionale di una
struttura argomentativa rispetto alle interpretazioni alternative.
QUALE CLA
L’immagine
didattica che emerge da quanto siamo venuti dicendo è quella di una classe
“aperta”, in cui si collabora per porre domande, per chiarire le proprie idee,
per avanzare piste di ricerca, prospettare ipotesi di soluzione, dare una prima
valutazione, fino a raggiungere quelle che, per ognuno, sono verità (o valori)
irrinunciabili; ma che immediatamente dopo si scatena nel cercare di demolire
criticamente le proprie e le altrui tesi e prese di posizione, nel rispetto di
quelle regole che abbiamo più volte richiamato.
La
classe di filosofia diviene, in questo contesto, sia una “comunità di ricerca”,
sia un agone dialettico. La classe di filosofia diventa lo spazio in cui si
affrontano problemi filosofici, si dialoga, confrontandosi con i grandi del
passato (e del presente); ma diventa anche il luogo dove si pensa il pensiero, si
portano alla luce le strutture logico-argomentative dei nostri ragionamenti, ci
si esercita per impadronirsi in modo graduale a mettere in situazione quelle
conoscenze e abilità che fanno la competenza logico-argomentativa.
Pratica
argomentativa e teoria dell’argomentazione (insieme alla logica elementare)
devono andare a braccetto. Parafrasando Kant possiamo dire che la pratica argomentativa senza teoria è cieca, e la teoria
dell’argomentazione senza la pratica di pensiero è vuota.
Il filosofare in classe rischia di scadere o in una seduta di autocoscienza, o nel raggiungimento di verità ovvie e banali, oppure di scadere nella vuota chiacchiera, a meno che non lo si veda come un utile apprendistato in cui gli studenti (oltre che fermarsi a riflettere su alcune questioni filosofiche fondamentali) imparano e si impegnano a rispettare le regole del gioco filosofico, riflettono su cosa fanno quando ragionano per risolvere un problema, sui possibili errori, sulle modalità per controllare la tenuta logico-argomentativa delle proprie e delle altrui argomentazioni, assimilano, utilizzandole, strategie metodologiche di tipo euristico e tecniche di analisi e di valutazione dei ragionamenti (logici o argomentativi) che potranno essere usate in modo autonomo e trasferite da un contesto problematico a un altro.
[1] Cfr. E. Bencivenga, Platone, amico mio, Mondadori, Milano 1997.
[2]
“Il cittadino tipico precipita a un più basso livello di resa mentale non appena entra nel campo
politico. Ragiona e conduce le sue analisi in un modo che egli riconoscerebbe
subito come infantile se usate nella sua propria sfera di interessi. Egli
ridiventa un primitivo. Il suo pensiero torna ad essere associativo e
affettivo…”
[3] “Pensare bene non è un automatismo della mente umana, ma un’arte, qualcosa che si acquisisce e che può essere potenziato […]” (A. Oliverio, L’arte di pensare, Rizzoli, Milano 1997, p.8).
[4] Vedi D. Massaro (a cura di), Metodologia e didattica del testo filosofico, Paravia, Torino 1998. Massaro si limita, però, a consigliare “una metodologia filosofica congruente con l’obiettivo del pensare in proprio attraverso la ruminazione del pensiero altrui (i classici)”.
[5] E. Ruffaldi, Insegnare
filosofia, La Nuova Italia, Firenze 1999, p.179.
[6] cit. p. 140.
[7] Ci permettiamo di rimandare per una più approfondita analisi al nostro saggio Centralità del testo e ‘rapsodicità’ formativa. Insegnamento e apprendimento delle discipline filosofiche, in C.Tugnoli (a c. di), La filosofia nella scuola, Annali 2001, Iprase del Trentino, Franco Angeli, Milano 2001.
[8] Vedi M.Piattelli Palmarini, L’arte di persuadere, Mondadori, Milano 1995.
[9] Vedi anche N. Bobbio Prefazione al Trattato dell’argomentrazione, di C. Perelman e L.Olbrechts-Tyteca, Einaudi, Torino 1982, p. XIX.
[10]
Vedi anche M. Dummett, Il pensiero fa
progressi, Il
[11] Vedi il bel libro di M. Baldini , Contro il filosofese, Laterza, Bari 1991.
[12]J.
[13] ibidem., p.45.
[14] ibidem, p.63.
[15] Vedi il suo bel libro Giochiamo con la filosofia, Mondadori, Milano, 1990
[16] Vedi il saggio di M. Messeri, Temi della filosofia contro storia della filosofia, reperibile in Internet all’indirizzo http://www.swif.uniba.it/lei/scuola/messeri.htm.
[17]
[18] In questo la filosofia è un’impresa intellettuale che
presenta i medesimi caratteri della
[19] Per una critica di questa impostazione vedi M. Billig, Pensare e discutere, R.Cortina, Milano 1999
[20] Op.cit., p. 72.
[21]
Cfr. A.
[22]
Da cosa dipende questa difficile coesistenza tra gli insegnanti della scuola superiore? Non è che il corrispettivo di un’analoga convivenza sofferta tra studiosi e filosofi più decisamente orientati ad un approccio teoretico ed altri più legati ad un approccio storico. L’inevitabile presenza di questa natura androgina appartiene profondamente alla filosofia. Il sapere filosofico aspira alla certezza, ma si scontra con la relatività storica; avvicinarsi alla filosofia significa, quindi, conoscerne la storia. Mentre nelle scienze la porzione della storia della disciplina che serve al ricercatore (lo “stato dell’arte”) è circoscritta al passato prossimo, in filosofia capita di raccogliere idee e suggerimenti risalendo alla lontana antichità. Le scienze si spostano con movimenti nervosi, mentre la filosofia ha il movimento invisibile delle piante millenarie. Ma c’è chi, nella pianta guarda il tronco solido e ben inciso, chi invece preferisce sperimentare gli innesti, gli incroci ed i nuovi frutti.
[23] Non a caso in
tutte le esperienze laboratoriali viene citato lo strumento della mappa
concettuale, che è l’intelaiatura ferrosa nella ricostruzione attiva dei testi
filosofici.
[24] P. Alotto, R.Trolli, cit., in: C.Tugnoli (a c. di), La filosofia nella scuola. Tradizione e prospettive di riforma, F.Angeli, Milano, 2001, pp. 210-241.
[25] Cfr. M.H.Bornstein, M.E.Lamb (a c. di), Lo sviluppo, percettivo, cognitivo, linguistico, R.Cortina, Milano, 1992, pp. 145-147.
[26] Preferiamo chiamare così la cosiddetta “scuola di massa”, per sottolineare meno l’aspetto anonimo – da vagone di metropolitana troppo affollato – della scuola pubblica e evidenziare di più la funzione civile di un sistema scolastico che spesso non riesce, nei fatti, ad abbandonare la propria tentazione élitaria, pur riempiendosi la bocca di un vacuo pedagogismo. La scuola di massa è realizzata, la scuola di tutti è ancora incompiuta.
[27] È proprio per questo, tra l’altro, che questa metodica viene frequentemente preferita: perché permette, in tempi rapidi e relativamente certi, di trasmettere un corpus di sapere organico, efficacemente connesso, con un notevole risparmio di tempo. Ed il tempo, si sa, è l’ossessione della scuola odierna e della nostra epoca.
[28] Molto spesso lo stesso insegnante – in quanto prodotto “eccellente” del sistema scolastico – condivide con questi studenti il medesimo stile di apprendimento. La scuola assomiglia ad un sistema che riproduce se stesso.
[29] Il concetto di cittadinanza deve ormai essere inteso nel senso della molteplicità delle identità e delle appartenenze, piuttosto che nel senso tradizionale della doppia cittadinanza umana e nazionale. Ciò accentua ancor di più il significato della filosofia come capacità di argomentare e, soprattutto, di aprire uno spazio di dialogo razionale, in cui le opposte ragioni possano essere valutate e le decisioni essere assunte in una forma pacifica e accettabile per i contendenti.
[30] Cfr. J.Bruner, Il processo educativo, Armando, Roma, 1997, pp.41-56.
[31]
[32]
Cfr. Pellerey, Progettazione didattica,
[33]
Cfr. A.Girotti, L’insegnamento della
filosofia. Dalla crisi alle nuove proposte, Unipress, Padova, 19962,
pp. 40-54; cfr. inoltre Proviamoci
insieme, la programmazione modulare, Insegnare Filosofia 1 (2001), pp. 17-23 e C.Laneve, Il campo della didattica, La
[34] Nell’elaborazione del modello abbiamo preso in considerazione, come punto di riferimento, il progetto dei Gruppi di Ricerca Metodologico-disciplinare dell’IRRE Emilia Romagna; una lettura comparativa può chiarire maggiormente le caratteristiche comuni e le differenze tra la proposta che formuliamo ed il progetto sperimentato dai colleghi in Emilia Romagna: cfr. C.Bonelli, M.Cogliati, E.Rosso, Per avviare l’analisi disciplinare: dai nuclei alle competenze, Insegnare Filosofia 1 (2001), pp. 32-36.
[35] In questo senso la nostra proposta si distingue dal tradizionale metodo zetetico e si avvicina al metodo storico-critico-argomentativo. Cfr. A. Girotti, cit., pp. 24-25.
[36]
Cfr. D.Massaro, La comunicazione
filosofica. La grammatica della mente, Paravia, Torino, 2002, C.Perelamn,
L.Olbrechts-Tyteca, cit. e
[37] Cfr. E. Morin, La
testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, R.
Cortina, Milano 2000, pp. 15-29.
[38] per la distinzione tra contesti caldi e freddi di apprendimento cfr. F. Frabboni, Manuale di didattica generale, Laterza, Roma-Bari 1992, pagg. 131-148; si tratta, comunque, di una impostazione che risale alla pedagogia di Dewey, cfr. ad esempio J. Dewey, Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1992, pp.173-188.
[39] Cfr. A.Girotti, cit., pp. 55-69.
[40]
Cfr. R.M.Gagné, L.J.Briggs, Fondamenti di
progettazione didattica,
[41] Cfr. L.Vygotskij, Il processo cognitivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1987, pp. 81-89.
[42]Cfr.
M.DePasquale, Didattica della
filosofia. La funzione egoica del
filosofare, cap.1, reperibile sul sito www.ilgiardinoideipensieri.com;
cfr. inoltre M.Tozzi,
[43] Fermo
restando che: a) si impara a costruire una concezione personale imitando
inizialmente modalità di ragionamento osservate; b) i prodotti costruttivi di
un principiante di filosofia difficilmente potranno risultare molto originali
rispetto ai traguardi della ricerca filosofica più recente.
[44] Un esempio di questo felice incontro di testi di provenienza diversa gravitanti attorno alla medesima questione filosofica è fornito dal recente volume: C.Tugnoli (a c. di), La bioetica nella scuola, F.Angeli, Milano 2002.
[45]
Cfr.. M.Tozzi e altri, Apprendere a
filosofare nelle scuole superiori oggi, cap. 3, reperibile sul sito www.ilgiardinodeipensieri.com
[46] Resta vero il fatto che ciascun insegnante, a seconda della formazione più orientata alla analisi teoretica o a quella storiografica, propenderà maggiormente per l’esemplificazione storica delle argomentazioni o per la ricostruzione sistematica. Cfr. il paragrafo precedente Centralità del metodo e approccio metacognitivo.
[47] Questa competenza si collega alla capacità, indicata di seguito, di saper apprezzare la qualità delle fonti informative.
[i] Per eventuali osservazioni indichiamo i nostri indirizzi di posta elettronica: pietro.alotto@vivoscuola.it e robotrol@vivoscuola.it