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Comunicazione Filosofica n. 10 - maggio 2002

 

Perché ancora Deleuze?
Breve nota su filosofia, pedagogia e politica.

 

Francesco Matarrese
Liceo Classico Q. Orazio Flacco di Bari

  

L’Association pour la Création de l’Institut de Recherches pour l’Enseignement de la Philosophie (ACIREPH) ha recentemente pubblicato un Manifesto[1] in cui si denuncia la preoccupante crisi dell’insegnamento della filosofia nei licei francesi. Tra le diverse proposte di soluzione avanzate spicca quella che chiede una migliore riflessione dei docenti sul rapporto tra filosofia e pedagogia.

Un così esplicito riferimento alla pedagogia richiama alla mente un celebre testo di Deleuze del 1991 Qu’est-ce que la philosophie?

In questo libro il pensatore francese chiedeva ai filosofi di rinunciare a “un’enciclopedia universale del concetto” per impegnarsi in “un compito più modesto, una pedagogia del concetto”[2]. Citava a sostegno di questa tesi un teorico della didattica della filosofia Frédéric Cossutta e un suo libro Èlements pour la lecture des textes philosophiques del 1989[3] (presentato poi in Italia da Mario Trombino[4]).

Recentemente Enzo Ruffaldi in Alla ricerca di nuovi modelli nella didattica della filosofia[5] ha intelligentemente ripreso questo riferimento e Mario De Pasquale in La scrittura e la formazione filosofica ha giustamente richiamato l’attenzione sulla sempre minore efficacia del testo filosofico in classe e sulla necessità di una nuova creatività didattica[6], in un senso che noi abbiamo letto molto post-strutturalista.

Intanto, cosa trovava Deleuze di così filosofico nella visione didattica di Cossutta? E, viceversa, cosa può trovare oggi di così interessante un docente di scuola nella deleuziana filosofia come costruzione di concetti? Perché Silvio Gallo dell’Università metodista di Piracicaba ed Enzo Ruffaldi in Italia a distanza di oltre dieci anni sono ritornati a discutere la pedagogia di Deleuze?

Per poter rispondere a queste domande è necessario fare qualche breve precisazione e liberare il campo da qualche equivoco. La costruzione dei concetti in Deleuze non è riducibile ad una semplice operazione d’ordine epistemologico. Deleuze si dichiarava costruttivista, conosceva sicuramente Piaget e Bruner, ma la sua richiesta di pedagogia crediamo andasse in tutt’altra direzione: i suoi concetti erano spinozianamente nozioni comuni. Negli ultimi anni di vita subì fortemente l’influenza dei teorici dell’operaismo italiano che lo portarono ad associare la costruzione dei concetti all’intelligenza e all’azione (general intellect[7]) di un nuovo soggetto sociale e politico emergente, che proprio in quel periodo si iniziava a definire hobbesianamente “moltitudine”, in opposizione alla globalizzazione post-fordista in atto.

Con grande anticipo sui tempi Deleuze comprese quella che Negri oggi chiama “fame di conoscenza filosofica delle nuove moltitudini”[8] e notò che, proprio al loro interno, la singolarità dell’individuo non si attenua ma anzi tende a singolarizzarsi come gli suggeriva un autore da noi poco conosciuto ma a lui molto caro, Gilbert Simondon[9]. Ne concluse che oramai era tempo per rivolgersi al singolo, rispondendo a un suo naturale bisogno di filosofia, ciò significava pensare pedagogicamente, aver cura dell’individuo, esattamente come un maestro ha cura del proprio discepolo.

Riteniamo fondamentale quest’ultimo passaggio per evidenziare la specificità dell’interesse filosofico in Deleuze per la pedagogia e la didattica della filosofia.

Tutta dentro questa specificità deleuziana è la singolare posizione di Cossutta. Nei già citati Elements egli discute le caratteristiche del discorso filosofico, visto nella sua piena autonomia alla stregua delle idealità di un Desanti[10] o dei concetti di Deleuze. Ipotizza una teoria generale del discorso filosofico specifica dell’attività pedagogica di un’insegnante e “capace però di tenere aperta la via per il ritorno al mondo dell’esperienza comune [] di legare strettamente pedagogia e ontologia”[11]. Di rimando Deleuze scrive: “la relatività e l’assolutezza del concetto sono come la sua pedagogia e la sua ontologia, la sua creazione e la sua auto-posizione, la sua idealità e la sua realtà”[12].

Esisterebbero dunque, provenienti dall’esperienza comune (il senso comune di De Pasquale?) idealità filosofiche (ontologia) che abiterebbero la pratica discorsiva di un insegnante di filosofia (pedagogia). Dal punto di vista di Deleuze si potrebbe dire che qui il concetto è visto nel suo stato di sorvolo a velocità infinita[13]. È ciò che può accadere durante una lezione di filosofia (piano di immanenza) quando si produce discorsività dialettica, argomentativa, si è insomma in velocità. Cossutta ha per primo immaginato una teoria filosofica di questo status. I concetti deleuziani di sorvolo (intersezione metafisica) e di velocità sentiamo di poterli accostare ai concetti di baleno luminoso e baleno disegnante di Marino Gentile[14].

Per quanto riguarda invece il concetto di esperienza comune di partenza di Cossutta (nella discorsività filosofico dialettica, argomentativa, rappresentano la premessa endossale) riteniamo di poterlo oggi leggere nei termini della deleuziana nozione di molteplicità. “Dappertutto – scrive Deleuze – ritroviamo lo stesso statuto pedagogico del concetto: una molteplicità [] composta da un certo numero di variazioni intensive [] percorse da un punto in stato di sorvolo”[15]. Una molteplicità che sembra a noi potersi interpretare attraverso l’idea di moltitudine. La moltitudine come soggetto sociale, intelletto comune (general intellect), molteplicità.

Questo intelletto comune è forse l’esperienza comune di Cossutta, interpretata socialmente.

È l’esperienza della moltitudine, delle nuove generazioni che desiderano costruire i concetti (Deleuze), come costruiscono le loro immagini, come costruiscono i loro fumetti, gli esseri cyber, i fantascientifici set cinematografici (mutazioni, metamorfosi, visioni). Da queste generazioni di giovani può venire oggi forse un’idea pedagogica nuova di costruzione con una forte presenza immaginativa e ontologica. Le loro costruzioni hanno l’aspetto di nuovi esseri discorsivi (Cossutta).

Inoltre questa pratica della differenza (Deleuze) appare sempre più come una vera e propria “confutazione dell’univocità dell’essere”[16], come dice Berti, poiché è accompagnata da una tenace persistenza delle immagini come garanzia di mantenimento della separazione metafisica (“differenza” garantita dall’immagine come paradigma della mediazione tra visibile e invisibile).

Nel 1976 Michel Serres intervenne nel dibattito, allora in corso in Francia sul rinnovamento dell’insegnamento della filosofia con un saggio, Stima della rotta, in cui si chiedeva se la pratica filosofica non fosse “caduta oramai nelle mani insanguinate di Marte”[17].

Cercare un rinnovamento dell’insegnamento della filosofia come chiede il Manifesto dell’ACIREPH significa pedagogicamente interrogarsi sulle nuove generazioni a cui affidare i valori della nostra disciplina.

Crediamo di aver intercettato in una nuova generazione che avanza una singolare richiesta metafisica di cui forse si è fatto interprete Gilles Deleuze.

Nel tempo del tramonto della politica (Tronti) bisogna strappare a Marte una verità filosofica sempre più difficile e rara.

 

Note


[1] Una traduzione italiana del Manifesto è apparsa in Comunicazione filosofica, N. 9, 1991.

[2] G. Deleuze - F. Guattari, Che cos’è la filosofia? (trad. it. A. De Lorenzis), Torino 1996, p. XXI.

[3] F. Cossutta, Èlements pour la lecture des textes philosophiques, Paris 1989.

[4] F. Cossutta, Elementi per la lettura dei testi filosofici (trad. it. F. Longo, G. Parisi, M. Trombino), Bologna 1999; v. anche M. De Pasquale, Introduzione all’articolo di F. Cossutta, in Comunicazione filosofica N. 2, 1997.

[5] E. Ruffaldi, Alla ricerca di nuovi modelli nella didattica della filosofia in Numero monografico “Didattica della filosofia” rivista EP - francesco.solitario@libero.it.

[6] Mario De Pasquale, La scrittura e la formazione filosofica in Forme di scritture filosofica, Milano 2001, pp. 126 e segg..

[7] Come nel celebre Frammento sulle macchine di Marx, v. K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica trad. it. Enzo Grillo), Firenze 1968-70, II, 389-411 (General Intellect anche in rapporto alla sempre maggiore smaterializzazione della produzione).

[8] T. Negri, Spinoza di S. Nadler (recensione) in Alias, supplemento settimanale de “il Manifesto” del 16 marzo 2002, p. 19.

[9] G. Deleuze, Più di uno: l’ontologia preindividuale di Gilbert Simondon (trad. it. A. Toscano), in Derive e approdi, N. 21, 2002, pp. 86 e segg..

[10] J. T. Desanti, Les idéalités mathematiques, Paris 1968 (citato in Cossutta, ivi, p. 6).

[11] F. Cossutta, Elementi per la lettura dei testi filosofici, op. cit., pp. 72-73.

[12] G. Deleuze - F. Guattari, Che cos’è la filosofia? op. cit., p. 12.

[13] G. Deleuze - F. Guattari, ivi, p. 11.

[14] M. Gentile, Trattato di filosofia, Napoli 1987, pp. 32-33.

[15] G. Deleuze - F. Guattari, ivi, p. 22.

[16] E. Berti, Il “Dio dei filosofi” in Berti-Vigna, Il “Dio dei filosofi”, Dio e il silenzio, Parma 1992, p. 68.

[17] M. Serres, Stima della rotta in Politiche della filosofia (trad. it. A. Jeronimidis) Palermo 1979, p. 86.