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Comunicazione Filosofica n. 13 aprile 2004

 NOVEMBRE 2003

Alcuni problemi attuali in didattica della filosofia

di Mario De Pasquale

1.Il problema filosofico dell’insegnamento della filosofia e il superamento dell’autoreferenzialità della filosofia

In didattica della filosofia è in gioco la responsabilità dei filosofi. In qualche modo si partecipa alla definizione del ruolo che la filosofia potrà avere nella costruzione del presente e del futuro, attraverso la formazione filosofica degli uomini e cittadini.  L’insegnamento della filosofia nei vari indirizzi liceali della scuola superiore (per ora pare che abbiamo perso per strada l’insegnamento nelle scuole professionali) può costituire uno dei presidi più forti per lo sviluppo del pensiero autonomo, critico e razionale delle nuove generazioni, in un momento storico in cui i giovani oggi sono in condizioni di fragilità e di debolezza sotto questo profilo.

L’insegnamento filosofico è un problema filosofico, che tuttavia non può essere risolto rispondendo ad esigenze che nascono solo all’interno della filosofia. Se presumessimo di insegnare pensando di dover rendere conto solo alla filosofia delle scelte operate, negheremmo di fatto che esista un mestiere L’insegnamento è rivolto a giovani del nostro tempo, con bisogni formativi specifici, storicamente caratterizzati, che non hanno  una specifica vocazione alla filosofia. Abbiamo bisogno di conoscerli, di sapere attraverso quali processi possono fare propri forme e contenuti del filosofare, mettendoli in comunicazione con i loro modi di essere, di sentire e di pensare. Vi è ancora una qualche persistente diffidenza verso la didattica della filosofia in alcuni ambiti dell’Università e della Scuola secondaria, a difesa della purezza della filosofia, aggredita da tecnicismi didattici estranei al suo spirito, capaci solo di impoverirne la tradizione o di snaturarne l’identità.  Preoccuparsi del problema di come rendere formativo l’insegnamento della filosofia per un gran numero di giovani non implica necessariamente una riduzione di qualità, una mera volgarizzazione della filosofia, né tanto meno una sua perdita di identità, una contaminazione pericolosa. Non ha nessun senso contrapporre la formazione filosofica alla “vera” filosofia, i contenuti ai mezzi per insegnare, la centralità della storia della filosofia alla centralità dello studente. In questo modo collocheremmo i problemi su di un piano del tutto sbagliato. Testimonieremmo soltanto la presenza di pregiudizi e scarsa consapevolezza della vera natura dei problemi da affrontare. L’insegnamento della filosofia è formativo solo perché è la filosofia che possiede potenzialità formative.

  

2. Primo problema: le finalità  dell’insegnamento della filosofia. Formazione del pensiero o formazione filosofica dello studente?

Cosa la comunità nazionale si aspetta dall’insegnamento della filosofia? Nei documenti elaborati da varie commissioni di vari governi degli ultimi venti anni noi ritroviamo una qualche convergenza a proposito delle finalità dell’insegnamento della filosofia nella scuola superiore. La comunità nazionale si aspetta che l’insegnamento della filosofia  promuova nei giovani la capacità di uso autonomo e critico del pensiero, capacità di comprensione e di valutazione  di idee, giudizi, opinioni, fatti, di svelare contenuti impliciti o caratteri retorici dei messaggi mediali, capacità di riflessione sui saperi sia dell’area umanistica sia dell’area scientifica. All’insegnamento della filosofia è richiesto di promuovere capacità di ragionamento, di progettazione razionale e responsabile del futuro, di esercitare un controllo razionale del discorso parlato e scritto.

 

2.1 Allora dobbiamo insegnare elementi di logica? Un equivoco: il filosofo non è un tecnico della ragione.

Si sta creando un equivoco a proposito. Occorre riconoscere che l’insegnamento della filosofia, non in modo esclusivo ma in concorrenza con altre discipline, promuove il controllo del discorso parlato e scritto, la conduzione razionale del pensiero attraverso l’utilizzazione di concetti e di  argomenti, formando la capacità di passare dall’immediato delle emozioni e dei sentimenti all’astrazione dei concetti e degli argomenti, di muoversi tra concreto e astratto, tra particolare e generale. La capacità di pensare e di condurre razionalmente il pensiero, è uno degli effetti formativi indiretti dell’insegnamento e dell’apprendimento della filosofia  e sicuramente ricade sulla formazione generale dell’allievo. Tuttavia questo effetto formativo scaturisce da una più completa formazione filosofica, in cui riveste un ruolo centrale il dialogo con gli autori attraverso i testi e la personale esperienza della rielaborazione delle ricerche già fatte dai filosofi, in stretta relazione con i problemi e le questioni filosofiche “che nascono dalle cose stesse” nell’orizzonte del presente degli allievi, sulle questioni decisive dell’esistenza e della coesistenza umana. Il dialogo con gli autori fonda la comunità di ricerca della classe e la comunicazione tra i suoi componenti. La formazione filosofica non è possibile attraverso scorciatoie meramente procedurali, al di fuori di un’autentica esperienza di ricerca filosofica, in cui l’allievo si mette alla prova in prima persona nella ricerca su questioni di senso e di valore, in cui che impara ad elaborare i contenuti su cui esercitare il ragionamento. L’esperienza didattica dell’ultimo decennio già ci ha reso avvertiti sul rischio di rendere vacua un’esperienza del pensare e del discutere, se è priva di un ancoraggio ad un confronto con esperienze già fatte, del confilosofare attraverso contenuti e forme proposte dai testi e dagli autori. Il filosofo non è tout-court un tecnico della ragione, né un esperto di logica e teorie dell’argomentazione. Non esiste una ragionare filosofico senza contenuti filosofici.

Il fatto è che “il filosofare” non coincide con il mero “ragionare”. Il ragionare, l’uso dei concetti e la conduzione razionale del pensiero nel porre, discutere e risolvere problemi, in filosofia non possono essere distinti e separati se non artificialmente da un’esperienza, sia pure “ripetuta” o meramente virtuale, di ricerca filosofica. Ogni sistema di concetti e ogni processo di convalida rimanda a presupposti interni alle stesse filosofie o a famiglie di filosofie; essi non possono essere generalizzati e astratti del tutto dai contesti teorici di riferimento. Tipico del filosofare non è il “ragionare bene” in quanto tale, ma il ricercare sui problemi filosofici ragionando bene.

 

2.2 Impariamo dall’esperienza Francese

I nostri amici e colleghi francesi c invitano a riflettere sull’assunto che se è vero che imparando a filosofare si impara a pensare non è necessariamente vero il contrario. (Cantiere n.7 ACIREPH),. I colleghi francesi paventano il rischio nelle loro scuole che l’insegnamento della filosofia si trasformi in manierismo della “retorica argomentativa” o del “mero dibattito di opinioni”, in una “Filosofia filosofante” tra allievi che non conoscono parti della tradizione, o non padroneggiano gli strumenti per leggere e capire un discorso filosofico, costruirlo oralmente o per iscritto. Il vero problema è nella concreta prassi didattica; è importante cosa accade in classe. Occorre porre al centro dell’attenzione i concreti processi attraverso cui gli allievi apprendono e producono contenuti e forme di una conoscenza filosofica, attraverso cui la filosofia vivente degli allievi nel presente si rapporta con la tradizione, da cui è possibile apprendere contenuti e forme della produzione di filosofia..

 

3. In classe si impara a comprendere e a costruire conoscenza filosofica

Le finalità descritte implicano l’attivazione di un insegnamento orientato a promuovere l’apprendimento non di nozioni storiche di una disciplina intesa come un sapere conchiuso e definitivo, ma l’apprendimento del filosofare, di “un saper pensare, domandare, ragionare in autonomia, insomma di una saper fare filosofico”, di una pratica di ricerca razionale sulle questioni di senso, di valore e di verità, nei limiti in cui questo è possibile in contesti formativi e con i giovani allievi. L’apprendimento consente al giovane di utilizzare contenuti e forme di questa pratica di ricerca come risorsa per la sua vita personale, di studio, di lavoro, di relazione, per la definizione e discussione dei problemi che hanno radice nelle cose stesse, per elaborare personali concezioni del mondo, per assumere posizioni ragionate nell’esercizio individuale e sociale della libertà di uomo e di cittadino, per dialogare e discutere con gli altri uomini alla ricerca di un consenso razionalmente e democraticamente costruito finalizzato alla soluzione dei problemi. Il presupposto di una tale concezione dell’apprendimento della filosofia è una concezione dell’apprendimento in generale come processo di costruzione di conoscenza, e l’insegnamento come creazione di occasioni e attivazione di azioni  didattiche idonee a consentire l’apprendimento di contenuti e di forme di costruzione di conoscenza. Si impara a ragionare filosoficamente attraverso esperienze di ricerca, in cui sperimentare modi di porre domande, di definire, di discutere e di risolvere un problema filosofico che ha radici nella realtà e nella tradizione. La formazione del pensiero avviene all’intermo di più globali esperienze di ricerca filosofica, in cui ci si mette alla prova in una ricerca di senso, di valore e di verità, attraverso il dialogo con gli autori attraverso i testi, opportunamente contestualizzati storicamente e culturalmente. Così , confilosofando, facendo proprio un pensiero altrui, in modo indiretto, si fanno propri anche  i contenuti e i modelli più importanti di razionalità, una pluralità di strategie euristiche, quindi anche abilità trasversali di uso e controllo del discorso parlato e scritto. I futuri uomini e cittadini potranno partecipare autonomamente alla democratica conversazione che costruisce il presente e il futuro della società avendo a disposizione sia una capacità di ragionamento efficace sia contenuti su cui esercitarlo, concetti e opzioni di senso con cui costruire posizioni nei vari contesti di vita, con cui confrontarsi o da cui partire per approfondimenti e rielaborazioni personali.

 

  1. Primo problema: le finalità nel curricolo generale della Secondaria Superiore. Imparare una pratica di ricerca razionale e quindi a ragionare in autonomia.

 

Cosa dobbiamo insegnare? Come può essere costruito un curricolo? Se affrontiamo la questione tenendo conto del fatto che non bisogna rispondere solo ad esigenze interne alla filosofia, né a partire da un’idea di filosofia, visto che nella tradizione ve ne sono molte e diverse, né da esigenze riguardanti la trasmissione di una tradizione,visto che questo non è un obiettivo direttamente e specificamente attribuibile all’insegnamento scolastico, allora la domanda va riformulata nei seguenti termini.

a)Cosa ci aspettiamo che i nostri giovani debbano apprendere dall’insegnamento della filosofia per perseguire le finalità formative dell’intero curricolo scolastico?

In seguito allora dobbiamo formulare una seconda e una terza domanda:

b) cosa dell’intera storia della tradizione filosofica deve essere insegnato e appreso al fine di promuovere gli apprendimenti che abbiamo ritenuto decisivi per la formazione attraverso l’insegnamento della filosofia?

c) Quali peculiari curvature dobbiamo imporre alla tradizione nei vari indirizzi della Scuola Secondaria dove si insegnerà filosofia, tali che possano contribuire da una parte alla valorizzazione della peculiarità culturale e formativo del are indirizzo, e, dall’altra, tenga conto del peculiare percorso scolastico degli allievi, del loro bagaglio culturale, del loro progetto professionale, del loro peculiare rapporto con il linguaggio?

 

Oggi la situazione dell’insegnamento della filosofia in Italia è paradossale. I programmi di filosofia ufficiali sono quelli vecchi che tutti sappiamo, che non hanno però nessuna legittimazione culturale, storica e didattica. Nella concreta prassi didattica quotidiana, vi è una grande pluralità di situazioni, di modi di insegnare e di approcciarsi alla tradizione, dal più tradizionale al più innovativo. Negli ultimi venti anni vi sono state proposte di nuovi curricoli di filosofia (dai Programmi Brocca alle proposte della Sfi del 2000) e molti docenti pongono a modello di riferimento alcune di queste proposte per l’insegnamento. Del vecchio modello rimane nelle scuole soltanto l’impalcatura e lo scheletro, a copertura però di una molteplicità di esperienze, in cui ciascuno si arrangia come sa e può. Il paradosso è che vi è una situazione di anarchia creativa. Creativa, perché in Italia vi è una grande ricchezza di ricerca teorica ed empirica, di esperienze innovative, vi è confronto tra i docenti ricercatori, un proliferare di riviste e di eventi editoriali scolastici, che dal basso contribuiscono a mutare il panorama complessivo dell’insegnamento e dell’apprendimento della filosofia. Oggi, tuttavia, questa convivenza tra vecchio e nuovo è assolutamente non più compatibile, per tante ragioni. Il nuovo non può più stare dentro al vecchio guscio dei vecchi curricoli, proprio perché ciò che è decisivo è quanto si fa in classe, i modi attraverso cui si realizzano i concreti processi attraverso cui gli allevi apprendono, fanno propri i contenuti e le forme delle filosofie e del filosofare, apprendano conoscenze e  competenze-capacità per filosofare in proprio.

 

5. Secondo problema: cosa insegniamo?. La prima scelta da fare è sulla selezione dei contenuti.

 

 5.1 Il cosa insegnare e il come sono strettamente connessi

Il filosofare, inteso come una pratica di ricerca razionale, è per lo studente uno strumento di intelligibilità di sé, del mondo e degli altri. Non si  può apprendere solo attraverso la ricezione passiva del mero risultato della ricerca dei filosofi, ma attraverso una formazione filosofica, centrata su esperienze di filosofia, in cui la tradizione, conosciuta attraverso il dialogo con i filosofi attraverso i testi, offre contenuti e forme, utili per orientare la comprensione dei problemi filosofici, sviluppare la capacità discuterli e di risolverli. Allora, cosa della tradizione deve essere conosciuto dagli allievi perché sia rappresentativo della pluralità e della varietà del far filosofia, non solo dei suoi contenuti tematici ma anche dei suoi metodi, dei sui  modi di produrre ricerca e conoscenza filosofica?

Una cosa è certa. I curricoli vanno assolutamente essenzializzati, resi più snelli. La qualità della formazione ormai è ormai nettamente incompatibile con la quantità dei contenuti. Il modo di fare filosofia è quello che i filosofi hanno prodotto nella tradizione e continuano a produrre oggi, da punti di vista diversi, con metodi diversi e plurali, ed è inseparabile dalle filosofie prodotte, sia quelle dei singoli filosofi sia quelle che si possono raggruppare intorno ad alcuni punti comuni classificabili come espressione di una condivisa peculiare tradizione filosofica.

 

a)      Dell’intera storia della filosofia occorre selezionare dei nuclei fondamentali (contenuti-conoscenze – autori, questioni e problemi da affrontare, competenze e capacità da conseguire ecc.) sulla base di alcuni criteri chiari e condivisi: il criterio della rappresentatività dell’identità storico-epistemologica della disciplina, della pluralità e della diversità degli ambiti di indagine, dei suoi snodi storici fondamentali (autori, tradizioni, movimenti), e, nello stesso tempo, del modo di costruire conoscenza filosofica, dei mezzi e dei metodi della ricerca, nella pluralità delle forme in cui questo si è dato e si dà nella tradizione filosofica. Il fine è che l’allievo, per ragioni scientifiche, etiche e pedagogiche, possa conoscere un ventaglio di questioni e di autori, di contenuti e modi di ricerca, che rappresenti una  parte significativa  della pluralità delle opzioni possibili. La scelta deve in ogni caso, tuttavia, tener presente le domande del presente che orientano l’attenzione verso il passato.

 

5.2 La falsa contrapposizione tra storia e problemi

Il dibattito di questi ultimi decenni in didattica della filosofia ha ormai chiarito che la contrapposizione tra approccio per problemi e approccio storico è una falsa contrapposizione. I problemi filosofici nascono nella dimensione storica; la riflessione dei filosofi nella tradizione si è sviluppata intorno a problemi. E vi p0ssono essere tanti modi per salvaguardare il “taglio storico” dell’insegnamento della filosofia.

E’ ovvio che lo studio della filosofia non possa fare a meno di una qualche conoscenza storica , anche in funzione della discussione e della risoluzione dei nostri problemi del presente. E vero che non si può imparare la storia enciclopedica della filosofie e studiarle solo come dottrine storiche, è purtuttavia vero che anche i problemi filosofici non possono essere seriamente né affrontati né discussi dagli allievi se non attraverso le principali filosofie che nella tradizione li hanno discussi e senza acquisire strumenti concettuali e teorici che consentano di dare loro un senso e di distinguerne le componenti (Lo diconoormai anche  i nostri amici francesi-Cantiere n.6). Il problema è trovare delle formule che consentano un giusto equilibrio, che può mutare a seconda dei diversi indirizzi di studio.

 

6. Il problema della interdisciplinarietà e dell’unità della cultura 

E’ pacifico che la filosofia si sia sempre nutrita in passato di ”altro dalla filosofia”(arte, scienza, religione,ecc.).. Vi sono questioni e problemi dalla natura multidimensionale, la cui comprensione e valutazione è difficile o fuorviante, se non vi è l’apporto di altre discipline e di diversi approcci cognitivi. (dal tempo, alla spazio, alla vita, al cosmo, alla mente, allo stesso soggetto, alla coscienza, la conoscenza scientifica, ambiti dell’etica applicata e della politica, ecc.). Difficile in alcuni casi prescindere da un incontro e da un dialogo armonico, non casuale ed episodico, ma strutturale e costante, tra differenti prospettive di indagine e di valutazione, approcci euristici, derivanti da ambiti disciplinari e orizzonti di esperienza diversi? L’attraversamento dei confini disciplinari non è solo necessario per comprendere e valutare i problemi, ma per potenziare a volte la stessa capacità di indagine di produzione di conoscenza dell’attività filosofica, la sua capacità problematizzante, di comprensione e di proposta creative di soluzione dei problemi, in forme e modi rispondenti ai bisogni del tempo.

Il curricolo di filosofia dovrebbe quindi delineare i nuclei fondamentali per apprendere a filosofare in proprio e nello stesso tempo non può non avere caratteri di flessibilità, in relazione sia alla peculiarità degli indirizzi di studio sia in relazione alla contingente realtà delle singole comunità scolastiche e delle singole classi. In generale un nuovo curricolo nazionale dovrebbe:

 

a)       fissare le finalità generali, delineare i confini entro cui collocare i contenuti vincolanti, i criteri per la scelta dei contenuti opzionali,  per costruire una programmazione di scuola o di classe,  lasciando margini di flessibilità entro quei confini definiti, in relazione ai bisogni individualizzati degli studenti e delle scelte educative della singola scuola , nonché della creatività libera di docenti;

b)      offrire suggerimenti o principi generali che rendano compatibili la libertà di insegnamento dei docenti e il perseguimento in generale delle finalità formative della disciplina.

 

  1. Terzo problema: Come insegnarla. Comunicabilità della filosofia e problemi. Vincoli didattici e suggerimenti

 

7.1 Esperienza come occasione di trasformazione

Il concetto di esperienza di filosofia costituisce il nucleo centrale di un percorso di formazione filosofica dell’allievo. In didattica della filosofia si intende per esperienza di filosofia non un modello o un metodo peculiare di insegnamento-apprendimento della filosofia, bensì una forma generale di apprendimento del filosofare, in cui si apprende “facendo prova di ricerca filosofica”, “saggiando se stessi” nell’affrontare problemi reali, valorizzando i contenuti concettuali e le forme di ricerca mediante le quali nella tradizione si sono definiti e risolti i problemi (centralità della conoscenza della tradizione, dei concetti, dei metodi di ricerca e di conduzione del ragionamento,) , in un “viaggio guidato” all’interno dei testi filosofici (centralità dei testi filosofici), attraverso una continua transazione tra soggetti, tra soggetti e ambiente formativo ( centralità della comunicazione).

Nella parola esperienza vi è una radice che allude al viaggio [1], grande metafora per definire un tragitto più o meno lungo di ricerca, di formazione. La natura generale del concetto di esperienza implica che essa si debba ritenere valida fino a che non venga contraddetta da un una nuova esperienza[2], non in senso assoluto e in modo cieco, ma in vista di un senso nuovo, di un progetto nuovo, di un’apertura nuova di senso rispetto a qualche aspetto importante della vita,.. come un cambiamento di qualche aspetto della nostra personalità.

L’esperienza è in sé un evento irriducibile autentico in cui non troviamo solo conferme, ma in cui ci accorgiamo che le cose non stanno come noi credevamo.

……Di fatto, come abbiamo visto, l’esperienza è sempre anzitutto esperienza della nullità: in essa ci si accorge che le cose non sono come credevamo. Nell’esperienza che si fa di un altro oggetto mutano sia il nostro sapere che il suo oggetto[3]

In questo senso l’esperienza è, come afferma Gadamer, intimamente storica, è esperienza della finitezza umana (Gadamer ricorda a proposito la formula di Eschilo:si impara attraverso la sofferenza-pathei-mathos), esperienza di presa di contatto con quello che si è e sperimentazione di un cambiamento[4], consapevolezza della tradizione e del “mondo della vita” in cui si è inseriti, all’interno di un’appartenenza al passato, e di un’apertura progettuale verso il futuro.

 ...Colui che ha fatto esperienza ……,.. un uomo che ha esperienza: ciò vuol dire che ha acquistato un nuovo orizzonte, all’interno del quale ora si collocheranno le cose che diverranno oggetto di esperienza per lui (p.730).[5]

Colui che fa esperienza fa un tragitto di trasformazione in cui almeno una parte delle cose che possedeva possono collocarsi in un nuovo orizzonte e per questo può definirsi parzialmente più “esperto”, “giudizioso”. Nella ricerca filosofica non si acquisisce mai in modo definitivo un sapere sistematico, ma siriane sempre aperti al cambiamento, alla interrogazione radicale, alla messa in discussione delle certezze, all’ascolto del nuovo. Il termine esperienza allude anche, utilizzando una terminologia  husserliana, alla valorizzazione del rapporto di continuità e di discontinuità tra mondo della vita, il senso comune, da cui originano le richieste di senso e le domande radicali sulle questioni, e la filosofia.

Si apprende a filosofare attraverso la partecipazione ad esperienze di filosofia in una classe trasformata in una comunità di ricerca filosofica comunità di ricerca filosofica[1],[6], che si interroga, problematizza, analizza e discute questioni filosofiche, a partire da contesti complessi, tratti dalla realtà del mondo della vita e dai testi . L’obiettivo è diventare un po’ più esperti e giudiziosi. La giudiziosità è più che la conoscenza di questa o di quella situazione. Essa implica sempre un ritornare a sé, un liberarsi da qualcosa di cui si era prigionieri per una specie di accecamento. In questo senso la giudiziosità comporta sempre un momento di conoscenza di sé e rappresenta un aspetto essenziale di ciò che abbiamo chiamato esperienza in senso proprio.[7]

 

7.2 Prendere sul serio il senso comune e il modo di pensare degli studenti

Vi è un rapporto di continuità e di discontinuità tra senso comune e conoscenza  filosofica disciplinare. Il senso comune costituisce una sorta di comunità di sapere originario caratterizzato da un orizzonte di senso e di valore condiviso, spesso acquisito e gestito attraverso processi di carattere qualitativo, prevalentemente di natura pre-concettuale e pre-teoretica[8]. Il senso comune è “in prima istanza è una concordanza della percezione complessiva del mondo, radicato nei processi stessi della costituzione intenzionale”[9], che costituisce poi una intersoggettività, in cui vi è una implicazione dei flussi di vita e di esperienza intuitiva dei singoli soggetti, un terreno comune di formazione della natura umana storicamente caratterizzata. Quando lo studente viene a contatto con la filosofia, ha già acquisito un suo patrimonio di senso comune, si è formato idee e atteggiamenti, ha scelto valori, fuori del contesto dell’insegnamento filosofico. I contesti di vita, di lavoro e di relazione dei giovani sono in questa prospettiva assunti come luoghi di esperienza e di formazione di un “sapere non strutturato”, che è rielaborato, trasformato, attraverso le esperienze di filosofia, in nuova conoscenza, in cui i soggetti vengono gradualmente ricostruendo e rielaborando il loro peculiare rapporto con la realtà[10].

I giovani gestiscono questa negoziazione quotidiana attraverso una varietà di linguaggi e di codici, tra i quali la scrittura e la forma concettuale logico argomentativa non occupano spontaneamente un posto rilevante. Nell’orizzonte dell’originario essere al mondo dei giovani, vi è un atteggiamento intellettuale ed affettivo in cui la conoscenza spontanea e immediata, si connette con un livello intelligibile attraverso un intreccio di ordine prevalentemente estetico e morale, la cui trama è intessuta di linguaggi prevalentemente analogici, iconici, metaforici, estetico-ludici[11].

Esiste una resistenza di fondo verso la scrittura e la sua logica di funzionamento (la decontestualizzazione dalle situazioni emotive, l’astrazione, la concettualizzazione, la linearità e logica sequenziale, argomentativa, ecc.), verso la lentezza della riflessione, della ricerca razionale.

 

7.3 A proposito della pluralità degli stili, della lingua e dei linguaggi

Questo è uno dei maggiori problemi per l’insegnamento della filosofia oggi. La democratizzazione della filosofia richiede la diversificazione dell’insegnamento della filosofia. Tutti i docenti, di tutti gli indirizzi, non possono non tener conto della pluralità degli stili degli studenti e soprattutto dei mutati modi di pensare e di comunicare.

E’ pacifico che oggi vi sia in atto una radicale trasformazione del modo di usare il pensiero e la parola, di conoscere e di comunicare nelle nuove generazioni. Non è solo una questione di comunicazione. E’ molto più radicale. Lo stesso pensare e parlare, lo instaurare un rapporto tra cosa e segno, tra cosa e parola,  è inseparabilmente un fatto linguistico; è in gioco il modo di trattare le informazioni nei processi di comprensione e di valutazione, di associarle e di connetterle in modo sensato, di sottoporle a convalida, a valutazione, al fine di formare idee, opinioni, atteggiamenti complessi, che orientino i comportamenti e costruiscano l’identità, il modo di produrre un senso comune come una comunità di sapere condiviso. Sono plurali non solo gli stili comunicativi espressivi, ma anche gli stili cognitivi. Esiste un problema di frattura possibile tra la logica della scrittura, su cui è incentrata l’organizzazione e la comunicazione dei nostri curricoli, e le forme di pensiero e di comunicazione che governano spesso la formazione delle idee nei giovani, immersi come sono in un mondo in cui il linguaggio per immagini, per associazione, il ludico, l’estetico plasmano sin dagli anni dell’infanzia la struttura della loro identità psicologica, cognitiva, affettiva,comunicativa. Non sono parole avventurose. Vi assicuro che è già realtà. Dobbiamo tenerne conto per comunicare con i giovani, sia per colmare alcune lacune del loro modo di usare il pensiero sia, nello stesso tempo, valorizzarne altre, tradizionalmente poco valorizzate nella scuola.

Ancora una volta: questo non significa che noi dobbiamo preparare una filosofia a prezzi di saldo. Significa soltanto ripensare le forme dell’insegnamento. Le capacità filosofiche negli studenti vi sono ma si esprimono in forme diverse né possono essere coltivate tutte allo stesso modo, almeno inizialmente (ACIREPH). Ciò non vuol dire rinunciare ai tradizionali modelli di costruzione della conoscenza filosofica e inventarne di altri per i nostri studenti. 1) Significa che vi è la necessità di una graduale mediazione  tra forme e strategie differenti, di valorizzazione di una pluralità di percorsi di ricerca e di strategie di pensiero, pur presenti all’interno della tradizione filosofica, ma da valorizzare ulteriormente.

Non siamo di fronte ad un degrado ma ad una trasformazione molto profonda, che può offrire anche delle opportunità di arricchimento delle potenzialità cognitive e formative del filosofare. Cari colleghi, per favore, non facciamo l’errore madornale di ritenere di poter affrontare questi fenomeni con categorie tipo degrado, impoverimento, caduta, perdita, e così via….non ha senso, ed è naturalmente inutile. Soprattutto non è così. Nel mestiere di insegnante non ci si può scegliere gli studenti, magari selezionando quelli che posseggono le formae mentis che si ritengono più adeguate allo studio della filosofia. Nella scuola di tutti tutti hanno diritto all’apprendimento e devono essere accettati così come sono. Eppoi  se Platone avesse usato gli stessi criteri, quelli di Socrate, per giudicare della legittime pretese della scrittura nei confronti dell’oralità, noi non avremmo oggi la tradizione filosofica postplatonica. Invece quanto impegnoha produso Platone per mediare tra l’una e l’altra, valorizzando il nuovo e il diverso nel modo di pensare, di ragionare, di ricercare, di  comunicare!

 

8. Mediazione tra la pluralità dei giochi che si occupano delle cose importanti della vita e il bellissimo gioco della filosofia.

 

8.1 A proposito di problematicità della conoscenza filosofica e della competenza filosofica della problematizzazione

La domanda che mi faccio più frequentemente in questi ultimi anni, tenendo conto delle formae mentis[12] degli studenti delle nuove generazioni è la seguente: se l’esperienza di filosofia in classe si realizza come esperienza che avviene nel registro della comprensione, della chiarificazione razionale, della problematizzazione, della attribuzione di senso e del valore, perché l’esperienza di filosofia non potrebbe aprirsi a quegli ambiti disciplinari e di esperienza scolastica che sono anch’essi orientati alla promozione di comprensione, di problematizzazione, di ricerca di senso e di valutazione, sia pure attraverso prospettive di interrogazione, approcci cognitivi, di indagine e di ricerca, peculiarmente diversi da quelli della filosofia?

Se noi docenti di filosofia ponessimo maggiore attenzione ad altri campi di esperienza e di sapere, mantenendo sempre la centralità della filosofia e del filosofare, potremmo così conseguire due risultati:

·        garantire una efficace comunicazione della filosofia con gli approcci e con gli stili dei giovani

·         ampliare le potenzialità cognitive e formative dell’esperienza di filosofia (comprendere, ricercare, interrogare, discutere,ecc. a proposito dei problemi filosofici) esplorando rapporti più dialoganti e produttivi con altri ambiti di esperienza, per esempio con “l’esperienza estetica” (ma anche scientifica)? Cosa che del resto una parte della filosofia del ‘900 ha già ampiamente fatto (Heid.,Mereau-Ponty,Ricoeur,Dewey,…..)

 

Non si tratta di annullare la specificità, la peculiare ricchezza e la profondità della filosofia confondendola con la letteratura e con l’arte, sovrapponendo forme di ricerca, di costruzione di conoscenza e forme di espressione affatto differenti, o vicariando altre discipline e occupando impropriamente lo spazio peculiare di altri campi di esperienza. Né si tratta di confondere la formazione filosofica con la formazione estetica. La peculiarità delle intenzionalità, dei contenuti, dei metodi e dei mezzi del filosofare deve rimanere fuori discussione; le forme della ricerca filosofica devono rimanere ancorate saldamente, in modo dominante, all’uso del pensiero e alla conduzione razionale della ricerca stessa, e non alla forza dell’immaginazione, delle emozioni, delle percezioni, e così via, se non in termini complementari. Lo stile filosofico è uno stile secondo ragione. La questione si pone invece in altri termini.

 

8.2 La ricerca filosofica va intesa nella globalità e unità delle sue componenti

La ricerca è fatta di tanti momenti, che vanno visti nella loro globalità e unità: la posizione di un problema, la rappresentazione dell’ambito del compito e dello spazio del problema, la sua definizione, la formulazione di ipotesi di soluzione, la ricerca di risposte, il confronto tra risposte diverse,  i processi di costruzione strutturata e di convalida delle tesi prescelte, la valutazione e la rielaborazione personale. Il senso e il valore non si creano o non si individuano soltanto attraverso i ragionamenti logici e argomentati, che rimangono strumenti al sevizio delle strategie euristiche del pensiero. Non si può scambiare il fine con il mezzo.

Imparare a filosofare in proprio significa sviluppare e maturare capacità di provare meraviglia, di interrogare e di domandare, capacità di comprensione profonda delle opzioni di senso,  di ricercare, di valutare e di scegliere sulla base di criteri. Queste sono tutte operazioni che richiedono necessariamente il coinvolgimento della intera persona. Lo stesso punto di partenza della ricerca filosofica, “l’essere pieni meraviglia”, secondo Platone è qualcosa che si prova e per sottolineare questo aspetto usa il termine pathos (Teeteto, 155c-e). Gadamer non a caso nel sottolineare l’esperienza della conoscenza come un evento,  in cui si prende contato con se stessi e  ci si rende disponibili al cambiamento, ad un certo punto fa riferimento all’esperienza “tragica” del sapere intesa da Eschilo come pathos, come qualcosa che si acquisisce attraverso il dolore e la sofferenza, e chiede con decisione l’ampliamento del concetto stesso di esperienza di verità,  in cui occorre far rientrare anche l’esperienza artistica.

Il processo di ricerca è fatto anche di pathos e si sviluppa lungo un tragitto in cui si possono sperimentare una pluralità di intenzionalità, di prospettive di indagine e di linguaggi, plurali strategie di uso del pensiero; soltanto nei momenti conclusivi il processo di ricerca filosofica si affida a forme razionali di riduzione della complessità del pensiero, di convalida, intersoggettivamente controllabili e criticabili, che rendano il pensiero aperto alla comunicazione e alla critica.

Utilizzando il linguaggio del sensibile, del sentire, del vedere e dell’immaginare, l’arte ha una forza euristica rilevante, aiuta a  comprendere, a problematizzare, ad approfondire e ad ampliare le rappresentazioni e i mondi di senso, produce un tipo di “esperienza di verità”, un tipo di conoscenza che non solo “accenna al pensiero”, interroga il cuore e lo spirito, come direbbe Hegel,, ma, senza perdere la propria peculiarità, alimenta il pensiero stesso e in qualche modo contribuisce a costruirlo, a formarlo.

Nel processo di soluzione dei problemi filosofici operano in modo circolare due meccanismi complementari di comprensione e di ricerca. La comprensione dà luogo ad una rappresentazione del problema da cui in qualche modo dipende la definizione di un suo spazio e del compito cui si è attesi nell’attivare i processi di ricerca [13]. Il risultato dei processi di ricerca, grazie alle nuove informazioni acquisite, può modificare e ristrutturare a sua volta la stessa rappresentazione del problema. Gli stessi tentativi già dispiegati per risolvere il problema possono ampliare la comprensione del problema e quindi contribuire a modificare la cornice dello spazio del problema, innescare un processo aperto, a spirale, che mai si può considerare conchiuso.[14]

Ai fini della problematizzazione, del provare meraviglia, un’opera d’arte, una poesia, un film,, una narrazione, le immagini, la musica, possono aprire “radure”, che consentono di strutturare domande radicali, interrogazioni sulle questioni da indagare, offrire nuovi scenari di senso, che mettono in discussione l’opinione comune, i cui argomenti spesso sono composti di generalizzazioni operate su percezioni,  su affezioni[15], su credenze. “Chi si pone  problemi e si meraviglia crede di non sapere; perciò anche colui che ama i miti è in una certa misura filosofo, perché il mito è costituito da cose che destano meraviglia”[16]. Originariamente nel mondo della vita non prevale l’atteggiamento teoretico, non ci si trova di fronte ad insieme di significati dispiegati. In prima istanza il soggetto sente e narra sé e il mondo[17]. Il tempo diviene tempo umano nella misura in cui viene espresso secondo un modulo narrativo, attraverso testi o immagini. Nell’esperienza d’arte si esplora la complessità e la varietà del tempo umano dell’agire e del patire, che sono alquanto refrattarie alla spiegazione teoretica, e invece docili alle esplorazioni narrative[18]. Le trame narrative hanno la capacità di entrare dentro le contraddizioni che abitano il reale stesso[19], lasciano intatta la plurivocità dell’esperienza e la complessità del mondo e nello stesso tempo allarga i confini dell’ambito razionale, anche attraverso il paradosso dell’irrazionalità[20].

L’arte può essere mezzo di risalimento all’origine dell’opinione, di un suo approfondimento critico, in un movimento che porta al concetto; può esserlo a maggior ragione, se teniamo conto che nei giovani delle nostre scuole prevalgono formae mentis,  modi di usare il pensiero e la parola, forme di esercizio di comprensione e di attribuzione di senso, in cui assumono un ruolo centrale la sensibilità, l’immaginazione, l’affettività, la paticità, la dimensione ludica, la logica associativa. L’esperienza estetica può favorire lo sviluppo di quella che Nietzsche definiva nella Genealogia della morale una grande ragione, ), che amplia una concezione più complessa e multiforme del pensare, insieme rigoroso e poetante (Heidegger), logopatico (Cabreras), che unisce intelletto e corpo, cognitivo ed emotivo. Il soggetto di una grande ragione, vive il pensare  come un’esperienza in corso che si affida ad una “mente a più dimensioni” (Gardner) che usa molteplici intelligenze, che si avvale di risorse, di codici e di linguaggi plurali per comprendere, per attribuire senso, per ordinare il mondo.p.152,  La specificità del filosofare a scuola è salvaguardata dall’insegnamento-apprendimento dei “nuclei fondanti” della disciplina, cioè dalla peculiarità delle intenzionalità e degli atteggiamenti,  degli usi dei metodi di indagine e di ricerca caratterizzati da razionalità, dal riferimento alla tradizione che alimenta le domande e nutre le risposte.

 

9. Confilosofare e prassi didattica

 

L’esperienza di filosofia ha al suo centro un’esperienza del confilosofare, di ricerca filosofica (comprensione, analisi e discussione, soluzione di problemi filosofici. I problemi nascono “dalle cose stesse” e sono formulati filosoficamente nella tradizione; gli studenti imparano a riconoscerli, a discuterli e a risolverli in classe, partendo dalla realtà e facendo propri i contenuti e le forme del filosofare presenti in ricerche filosofiche già fatte dai filosofi (centralità delle tradizioni filosofiche), conosciute attraverso i testi (centralità del testo filosofico). Il fine è che gli studenti  possano imparare a filosofare in proprio, utilizzando e rielaborando liberamente e creativamente forme di ricerca e contenuti appresi per costruire una personale posizione filosofica. Il con del  con-filosofare  sottolinea il fatto che l’esperienza del filosofare gli studenti la fanno insieme con i filosofi attraverso i testi, con i compagni di classe, con i docenti, all’interno di un processo dinamico di confronto, di scambio, di dialogo, di costruzione negoziata di conoscenza  che si realizza nella comunità di ricerca della classe(centralità della comunicazione filosofica), in cui il pensiero degli autori e il pensiero vivo degli studenti circola e si distribuisce tra gli interlocutori, in modo tale da produrre un pensare insieme come risorsa per i singoli. Il filosofare a scuola, in un contesto formativo, non può che costituire un’esperienza che nasce dalla comunicazione, in cui si sviluppa una disponibilità ad ascoltare e si valorizzano gli incontri, il dialogo, la solidarietà nel vivere insieme un’avventura umana della ricerca coinvolgente, in cui ne va qualcosa di sé e della propria storia. La solidarietà che nasce dal comunicare con i filosofi, con i compagni e con i docenti, come dice Jaspers stesso, costituisce l’unica certezza nel momento in cui si procede nella profondità del domandare, del pensare, del valutare, in un viaggio in cui non si è certi né del punto di partenza né del punto di arrivo.

L’autentica discussione filosofica è un confilosofare in cui, attraverso i contenuti positivi, le esistenze entrano in contatto tra loro e reciprocamente si dischiudono.

E’infatti la verità con cui vivo e non solo quella con cui penso; è la verità con cui vivo e non solo quella con cui penso……Il primo grado della comunità del filosofare è la disponibilità ad ascoltare e ad afferrare quanto d’essenziale è stato concepito;si giunge così ad una felice familiarità anche se non ad una solidarietà sostanziale. Il secondo grado è la solidarietà che si raggiunge nel legame reciproco attraverso la solidarietà che si raggiunge nel legame reciproco attraverso la continuità del pensiero comune;…Se la filosofia non sussiste come prodotto oggettivo, se è verità solo se, a sua volta, si fa origine in una comunicazione, allora la comunicazione della filosofia ha bisogno non solo della comprensione oggettiva dei suoi contenuti, ma anche di incontri e rispondenze, quindi di appropriazione e interiori trasformazioni…(.K.Jaspers, Filosofia 2. Chiarificazione dell’esistenza, Mursia, Milano 1978,pp.113-115).

L’esperienza di filosofia è partecipare ad un evento e quindi ad un qualche cambiamento. La ricerca si può fondare su intuizioni illuminanti ma anche su di un lungo e faticoso lavoro, condotto nel dialogo e nella discussione,  alimentato dal pensiero altrui, e dall’intreccio di diversi modi di conoscenza (“sfregando insieme, non senza fatica, queste realtà –ossia nomi, definizioni, visioni e sensazioni,- le une con le altre, e venendo messe a prova in confronti sereni e saggiate in discussioni fatte senza invidia”,VII lett.,344°1-d1).

 

9.1 Confilosofare, arte, filosofia e prassi didattica

Il concetto del confilosofare ha una natura sia filosofica sia pedagogica e didattica.  Dal punto di vista pedagogico il concetto del confilosofare è coerente e pertinente con l’idea costruttivistica dell’apprendimento, inteso come una costruzione negoziata di conoscenza, socialmente situata, che si realizza attraverso la partecipazione alla comprensione, discussione e soluzione di problemi in una classe trasformata in una comunità di ricerca, attraverso una molteplicità di approcci cognitivi e di linguaggi e codici, superando obsolete barriere tra campi di esperienza e disciplinari differenti.

La traduzione in concreta prassi didattica di presupposti teorici di questa natura richiede una revisione delle pratiche tradizionali, un superamento di rigide barriere tra campi di esperienza e di sapere differenti, una tendenza a promuovere esperienze di filosofia significative in cui la ricerca avvenga attraverso molteplici prospettive di indagine e una molteplicità di universi di discorso, di linguaggi, ciascuno con ala sua potenza peculiare di conoscenza. Le forme di ricerca della filosofia si arricchiscono del contributo provenienti dalle altre discipline e consentono inoltre di rendere le ipotesi di soluzione dei problemi razionalmente controllabili, criticabili, discutibili, convalidabili nella comunicazione intersoggettiva argomentata, attraverso un pensare che  è un’invenzione a partire da tracce[21], da qualunque parte vengano, e che poi si sviluppa in modo complesso attraverso una pluralità di risorse.

In Italia vi sono molte esperienze didattiche che tentano di valorizzare l’area estetica ai fini della realizzazione di esperienze di filosofia e sono positive e promettenti[22]. Gli approcci narrativi, poetici, metaforici, ludici, risultano più vicini alle originarie rappresentazioni che i giovani elaborano sul proprio essere al mondo[23] più efficaci per narrare la complessità del divenire [24].

Tra i giovani il cinema, la musica e la danza, la televisione, hanno un ruolo enorme nella formazione del senso comune, nel promuovere idee sul mondo e sugli altri, nella scelta di forme di vita. E sarebbe superficiale affermare che questo processo provocherebbe soltanto omologazione e standardizzazione, manipolazione autoritaria delle coscienze e dei corpi. Questo è uno dei possibili esiti dell’estetizzazione della vita quotidiana. Spesso la pluralizzazione e la disseminazione delle forme e delle fruizione dell’arte provoca personalizzazioni dei modelli, individuali o di gruppo. Se è vero che i giovani sono immediatamente restii ad indagare in modo teoretico sugli aspetti problematici dell’esperienza, è anche vero che sono invece più disponibili ad indagare attraverso la mimesis creata dalle forme d’arte da loro privilegiate. Non c’è da meravigliarsi se anche gli stili di comportamento e i modelli di vita vengono spesso attinti dai giovani alla dimensione estetica quotidiana (generi di film e di musica, modi di rivestire il corpo). Anche questo è un fenomeno associabile alla forma nuova di presenza della dimensione estetica nella quotidianità. L’arte crea mondi possibili, modelli di ridescrizione del mondo, mondi di senso, “coniuga il mondo al congiuntivo”[25].

La mimesis è sì rottura, sospensione con il mondo reale, in quanto poiesis, tuttavia in quanto appartiene al mondo dell’azione e del patire, configura, attività poieutica che ricompone le discordanze nel racconto, rifigurazione, in quanto torna al mondo dell’agire e del patire riordinando l’esperienza pratica nel quale trova effettivo compimento l’intero processo rappresentativo[26]

 La proposta di cercare forme di sinergia tra arte e filosofia a scuola, quindi, non si inserisce in una dimensione retorica, quella di una ricerca di mezzi meramente persuasivi. L’esperienza d’arte invece  promuove un valore aggiunto alla costruzione di conoscenza , in giovani che sono ormai disponibili a farlo anche attraverso la dimensione estetica, per via delle trasformazioni provocate da una parte dagli sviluppi della tecnica e dei media, delle relazioni e dei modi di vita, dall’altra dall’evoluzione delle forme di produzione e di fruizione dell’arte nell’età della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte.

Lo studente comprende un problema filosofico cogliendone il senso attraverso un’esperienza cognitiva ed affettiva, pensando, patendo, facendosi coinvolgere. Non si tratta di dare un contenuto patico ad una ragione separata, ma di corredare la stessa attività razionale di una componente patica[27]. L’elemento patico agisce offrendo una stratificazione di senso di cui occorre valutare ulteriormente, con strumenti e metodi razionali, la validità, la sostenibilità, la verità o la falsità[28].

 Non si tratta di dare un contenuto emotivo ad un’articolazione razionale, ma un altro tipo di articolazione razionale, che appunto include una componente emotiva.

 Nell’epoca della “grande indifferenza”e della difficoltà a comprendere, l’emotività non scaccia la razionalità, ma la ridefinisce.[29]

 Nel confilosofare il regime della comprensione in fondo consente un rapporto biunivoco e dinamico di rimando e di referenza tra mondo reale, soggettività e  del mondo di senso offerto dal testo filosofico.  Anche l’esperienza estetica, a suo modo, consente un’esperienza di comprensione e di valutazione, di verità, attraverso un gioco di rimando e di referenza tra mondo di senso prodotto dalla  mimesi e dalla creatività poetica e mondo della prassi reale. [30](Triplice processo della mimesis in Ricoeur?)

Se l’esperienza estetica può essere ritenuta costitutiva di un’esperienza di verità, o, meglio, di un’esperienza di conoscenza, di desiderio di verità, si può ritenere sensato porre l’ipotesi di ampliare le potenzialità formative dell’esperienza di filosofia a scuola, e fare in modo che diversi ambiti di sapere, di cultura  e di esperienza (in modo privilegiato quello dell’arte) concorrano a creare un orizzonte significativo di comprensione e di valutazione di sé, del mondo e degli altri. Vengono accresciute così le possibilità di costruire motivate posizioni personali riguardo alle questioni di senso, di valore e di verità.

E’ necessario pensare il concetto di esperienza  in maniera più ampia di quanto abbia fatto Kant, in maniera che anche l’esperienza d’opera d’arte possa venir intesa come esperienza. (…) Quel che ci preme è vedere l’esperienza dell’arte in modo da intenderla come esperienza. L’esperienza d’arte non deve venir falsata riducendola ad un semplice momento della cultura estetica, in modo da neutralizzarla in ciò che autenticamente vuole essere (,,,,)In ciò è contenuta un’importante conseguenza ermeneutica, in quanto ogni incontro con il linguaggio dell’arte è un incontro con un evento non conchiuso ed è esso stesso parte di questo evento. E’ questo che si deve opporre alla coscienza estetica e alla sua neutralizzazione del problema della verità[31]

Come si è già affermato prima, è necessario promuovere nei nostri giovani attraverso l’insegnamento della filosofia una concezione più complessa e multiforme del pensare,  un’esperienza che richiede una mente a più dimensioni [32], che usa molteplici intelligenze [33], che si avvale di molte risorse, di codici e di linguaggi plurali per comprendere, per attribuire senso e valore, per fondare razionalmente i discorsi costruiti per dare ordine a sé e al mondo.

 

9.2 L’arte favorisce lo sviluppo del pensiero e la problematizzazione filosofica

L’arte dà da pensare secondo la più ampia estensione del “dare” e del “pensare”: dallo stupore originario in cui il pensiero si sospende presso il suo “altro radicale” (urto con l’essere e solo con quell’urto si riconosce) all’incremento della prestazione concettuale, occasionata da un’immagine sensibile (o da un mythos) che non se ne lascia saturare, dal profilarsi di un principio  di ordinamento del caos delle forme all’offerta di norme dell’agire e di valori etico-pratici altri da riconoscere nell’esistente o da contrapporre all’esistente; dalla ricomprensione delle parole essenziali alla nuova figurazione del tempo finito…[34]

L’esperienza estetica in un contesto scolastico è un’esperienza formativa perché ha anche una valenza cognitiva, contribuisce al processo di comprensione, di chiarificazione di sé, del mondo e degli altri, di attribuzione di senso e di valore. L’arte induce a pensare, dona pensiero, è in grado di rimettere il pensiero nella condizione di incontrare se stesso nel suo “altro” (il mondo reale) e di immergerlo in una condizione di stupore originario (Thaumazein), che non a caso è riconosciuta come luogo originario anche del filosofare. Nel contesto della ricerca attivata da un’esperienza di filosofia anche le percezioni, i sentimenti, le emozioni possono avere una funzione cognitiva, in combinazione con gli altri mezzi concettuali  e logici della conoscenza. L’arte crea mondi possibili, modelli di ridescrizione del mondo, mondi di senso, coniugando tutto “al congiuntivo”, ovvero su di un piano in cui le azioni  e uno stato di cose non vengono pensati come fatti certi, ma come artefatti, interpretazioni, ecc., con cui il fruitore è chiamato a confrontarsi, al fine di rivedere, ed eventualmente ridescrivere, una parte delle proprie concezioni delle vicende umane e personali.[35] Anche nel confronto con il testo nel confilosofare in classe la comprensione e la valutazione passa pur sempre attraverso un processo parziale di identificazione proiettiva, in cui parti di sé sono coinvolte in tragitti di ricerca in cui si sospendono le certezze e si entra in un mondo virtuale, in cui tutto è sottoposto al principio del “come se”, ovvero nella forma del congiuntivo. Dopo l’esperienza di ricerca si torna poi presso di sé trasformati dalle nuove esperienze diconoscenza. 

Per Gadamer va recuperato il senso veritativo dell’opera d’arte e dell’esperienza estetica intesa come esperienza originaria di verità, anche se in una dimensione di gioco di comprensione-interpretazione, in cui le regole sono poste dall’orizzonte di appartenenza sia dell’autore dell’opera sia del fruitore e in cui si gioca insieme nel medium del linguaggio [36]. Secondo Gadamer l’arte ha a che fare con la conoscenza e con l’esperienza di verità, in cui si può apprendere la verità sulle cose come stanno, nei limiti dell’orizzonte esistenziale, contingente e progettuale in cui si è destinati e vivere. 

Il Pantheon dell’arte non è il regno di una presenzialità atemporale che si offre alla pura coscienza estetica, ma il risultato dell’attività di uno spirito che si distende e si raccoglie storicamente. Anche l’esperienza estetica è un modo dell’autocomprensione. Ogni autocomprensione si compie però in rapporto a qualcosa d’altro. Nella misura in cui incontriamo nel mondo l’opera d’arte e nell’opera un mondo, essa non resta per noi un universo estraneo, entro il quale siamo attirati magicamente e per istanti. Invece in essa impariamo a comprendere noi stessi, il che significa che superiamo la discontinuità e puntualità dell’erlebnis nella continuità della nostra esistenza…..[37]..Si tratta dunque di trovare, nei confronti del bello e dell’arte, una posizione che non pretenda all’immediatezza, ma che corrisponda alla realtà storica dell’uomoPositivamente ciò significa che l’arte è conoscenza e che l’esperienza dell’opera d’arte fa partecipi di tale conoscenza.[38] 

Occorre attivare percorsi didattici entro cui l’esperienza di filosofia e l’esperienza estetica, ciascuna con la propria peculiarità, possano incontrarsi a scuola all’interno di esperienze composite di comprensione e d valutazione, di interpretazione e di interrogazione. A scuola occorre inventare  forme in cui possano interagire modi in cui sperimentare il rapporto con il senso, con il vero, con il valore fondati sui concetti e sull’argomentazione, e modi fondati  sull’esperienza estetica.[39]

 

9.3 Il bellissimo gioco della filosofia e i bei giochi che si occupano delle cose importanti della vita. 

Nell’esperienza di filosofia a scuola possono cooperare i giochi seri che si occupano delle cose importanti della vita col gioco serissimo e bellissimo della filosofia. Il fine è quello di promuovere ricerca filosofica intorno a questioni di senso, di valore e di verità, a partire dalla centralità del testo filosofico e dall’orizzonte del mondo della vita degli allievi, con mezzi e metodi che in modo prevalente sono caratterizzati da razionalità nella ricerca e nell’attivazione di processi di convalida dei discorsi filosofici[40], valorizzando la pluralità delle forme di produzione di conoscenza filosofica, la complessità delle componenti affettive e cognitive del pensiero.

In classe per realizzare un’esperienza di filosofia  si possono utilizzare diversi giochi e ciascun gioco può essere “giocato” con diversi approcci, con diverse pratiche e con diversi codici comunicativi, ciascuno con proprie peculiarità nell’approccio cognitivo, nell’uso del pensiero e delle parole, nel produrre efficaci apprendimenti, tenendo conto della pluralità degli stili e delle intelligenze degli allievi[41].

La classe per questo nelle ore di filosofia dovrà sempre meno somigliare ad una grigia aula dove si ascolta passivamente lezioni ex cathedra e sempre più ad un laboratorio di ricerca e di comunicazione filosofica, ad un “giardino dei pensieri”.


[1] Cfr. G.Marramao, Kairòs. Apologia del tempo debito, Laterza, Bari 1993, pp.47 sgg.

·   [2] H. G. Gadamer, Verità e metodo, a cura di G.Vattimo, Bompiani, Milano 2000, p.723.

·   [3] Ivi, p.730.

·    Ivi, p.737.

·   [5]Ivi, p.731.

·   [6] Il concetto di “comunità di ricerca” in didattica della filosofia è stato originariamente elaborato da M.Lipman, creatore del curricolo di filosofia per ragazzi denominato Philosophy for children, in Thinking in Education, Cambridge University Press 1991, p.14 ssgg. Cfr M.Lipman   Il Prisma dei perché,( a cura di A.Cosentino),Armando ,Roma 1992;Id., Pratica filosofica e riforma dell’educazione. La filosofia con i bambini, in Bollettino Sfi,n.35,1998,pp.27-44; Id. Intervista con M.Santi, Filosofare con i bambini Conversazione con Lipman, in “Educazione permanente”,a.XIV,n.6/1991, pp. 57-72. Per un’informazione essenziale sul modello cfr. M.Santi, Ragionare con il discorso, La nuova Italia, Firenze 1995;A.Cosentino, La Philosophy for children come progetto educativo, in M.De Rose, (a cura),Filosofia e ricerca didattica, Quaderno IRRSAE Puglia n.25, Bari 1995,pp.29-56.; Id. Tra oralità e scrittura: il modello della Philosophy for children in M.De Pasquale (a cura), Filosofia per tutti, FrancoAngeli,Milano 1998,pp. 134-155; Id., M.Lipman e la filosofia per bambini, in “Bollettino Sfi”, n.142/1991,pp.52-62. Recentemente l’intero curricolo di M.Lipman è stato pubblicato presso la casa editrice M.Liguori di Napoli. Sono stati anche raccolti in un unico volume collettaneo tutti gi scritti di M. Lipman in italiano insieme con vari saggi di alcuni dei protagonisti del movimento legato al curricolo .Vedi A.Cosentino ( acura), Filosofia e formazione. 10 anni di Philosophy for children in Italia (1991-2001).

·   [7]H.G.Gadamer, Verità e metodo, cit., p.735.

·   [8] Sul tema cfr. E.Franzini, Filosofia dei sentimenti, Bruno Mondatori, Milano 1997, in particolare pp.. 133-248.

·   9 “E.Husserl,  La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il saggiatore-NET, Milano 200, p.190-191. a proposito vedi le pagine di E.Franzini, Filosofia dei sentimenti, cit., pp.270 ssgg.

·  [10] S.Meghnaggi, Conoscenza e competenza,cit., p.74.

·   [11] Su questo tema cfr., tra gli altri,  M.Ferraris, L’immaginazione, Il Mulino, Bologna 1996; Id. Teorema e mnemoneuma, in G. Vattimo ( a cura), Filosofia ’95, cit., pp.179-204. Cfr. anche E.Franzini, Filosofia dei sentimenti, cit.. Cfr. anche M.Perniola, L’estetica del ‘900, Il Mulino, Bologna,1997.

[12] Cfr. H.Gardner, Formae maentis, Saggio sulla pluralità dell’intelligenza,Feltrinelli, Milano 1987. In questa opera Gardner sostiene la tesi dell’esistenza nell’uomo di una pluralità di “intelligenze” negli approcci cognitivi e comunicativi. Si veda anche Id., Aprire le menti, Feltrineli, Milano 1991;Id., Educare al Comprendere. Stereotipi infantili e apprendimento scolastico, Feltrinelli,Milano 1993;Id., Intelligenze creative, Feltrinelli, Milano 1994.

[13]S.Menhaghi, Conoscenza e competenza, cit., pp.55 sgg.

[14]Ibidem

[15] G.Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia cit., cit.146.

[16] Aristotele, La Metafisica, trad. di C.Viano, UTET, Torino 1974,pp.187.

[17] J.Bruner, La costruzione narrativa della realtà, in M.Ammaniti,, D.N.Stern,(a cura) Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Roma-Bari, 1991, pp.27 ssgg.; cfr. anche Id., La mente a più dimensioni, cit.; Id., Cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997.  

[18] P.Ricoeur, Tempo e racconto, Jaca Book, Milano 1986, pp.20-21

[19] F.Rella, Tragicità e conoscenza: filosofare e/o narrare?, Conversazione a cura di Renzo Principe, in “Parol.Quaderni d’arte e di epistemologia”, n.16/2002, Meltemi, Roma, p.61

[20] Ivi, p.62.

·   [21] G.Vattimo, Introduzione a Filosofia ’95, Bari, 1996, p.VI.

·   [22] Sono molte e varie. E’ difficile elencarle tutte o selezionarle. Cfr.le  riflessioni ed esperienze su filosofia e cinema, su filosofia e musica, su filosofia e arte visiva, di M.Trombino, M. Chatel, C. Studer, C.Bonacchi, C.Poncina, S.Martini,in “Comunicazione filosofica”,Rivista telematica della Società Filosofica Italiana e nel sito all’URRL www.sfi.it; www.ilgiardinodei pensieri.com.

·   [23] J.Bruner, La mente a più dimensioni, cit. ;Id., La costruzione narrativa della realtà, in M.Ammaniti, D.N.Stern, Rappresentazioni e narrazioni, cit., pp.17-42.

·   [24]J.Bruner, da posizioni simili a quelle di Ricoeur, sostiene che l’arte in genere, il pensiero narrativo in particolare, in quanto riguarda la coscienza e l’azione dei personaggi, consente di recuperare prima empaticamente e poi concettualmente le dimensioni concrete dell’esistenza nella problematizzazione filosofica .

·   [25] Ivi, p.66.

·   [26]P.Montani, Arte e verità dall’antichità alla filosofia contemporanea, cit., p..377

·   [27]J. Cabreras, Da Aristotele a Spielberg, Bruno Mondatori, Milano1999, pp.1-32.

·   [28]E.Franzini, Filosofia dei sentimenti, cit., pp.133-248.

·   [29] J.Cabreras, Da Aristotele a Spielberg, cit., p.7.

[30] Secondo Gadamer nell’esperienza estetica diventa un’esperienza di comune partecipazione del fruitore e dell’autore ad un comune mondo di senso, in cui si riconoscono, connettendo l’opera d’arte con l’esistenza. Per Ricoeur la mimesis estetica promuove nello spettatore un’esperienza chiarificante (catarsi) e costruttiva: da una parte promuove una sospensione con il mondo reale dall’altra in quanto rappresenta l’azione umana e ritorna all’uomo stesso, costruisce un nuovo legame tra l’opera d’arte e il mondo. La caratteristica mediana tra realtà e finzione, tra discontinuità e continuità tra mondo e arte, attribuisce all’esperienza estetica una valenza cognitiva ed etica insieme, in quanto modifica il soggetto e il suo mondo esistenziale, dell’agire e del patire. A riguardo .Cfr. P.Ricoeur, Tempo e racconto,Jaca Book, Mialno 1986;Id., La configurazione nel racconto di finzione, Jaka Book,Milano 198; Il Tempo raccontato, Jaka Book, Milano 1988.Cfr sul tema  P. Montani, Arte e verità dall’antichità alla filosofia contemporanea, cit.,p.379.

[31] Ivi, pp.219-223.

[32] E’ il titolo di un famoso volume di J.Bruner, La mente a più dimensioni,Laterza, Roma-Bari, 1997.

[33] Ci si riferisce alla teoria delle intelligenze multiple di H.W. Gardner,, Op.Cit..

[34] P.Montani, Arte e verità dall’antichità alla filosofia contemporanea, cit., p. 389.

[35] J.Bruner, La mente a più dimensioni, cit.,,p.43

[36] H.G.Gadamer, L’attualità del bello. Studi di estetica ermeneutica, Marietti, Genova 1986, pp.25 sgg.. Sul tema cfr. C.Esposito, G.Maddalena, P.Ponzio,M.Savini ( a cura)  Bellezza e realtà,ed.Pagina, Bari 2003, pp.18-31.

[37]H.G.Gadamer, Verità e metodo, cit.,pp.218-219.

[38] Ivi, pp.218-219.

[39] “Pensare, in poesia come in prosa, è inventare, e questa invenzione non è una vana escogitazione di cose inesistenti, ma anzitutto il reperimento di topoi, ritenuti dalla memoria e dalla immaginazione .

[40] F.Cossutta definisce il processo di convalida “Non solo ciò che permette di legittimare per un interlocutore un’asserzione con il ragionamento, di provarlo, ma anche tutto ciò che da vicino o da lontano concorre a dargli lo statuto di vero o di falso in sé” F.Cossutta,  Elementi per la lettura dei testi filosofici, Calderini, Bologna 1999, pp.141 sgg.

[41] W.Gaardner sostiene che vi sono molteplici intelligenze nella mente dei ragazzi e che ogni problema può essere affrontato attraverso almeno cinque approcci diversi, che ricalcano i campi di applicazione dei diversi tipi di intelligenza: approccio narrativo (il tema in questione viene affrontato attraverso una storia o un racconto concernenti i concetti fondamentali della questione), logico quantitativo (si affronta il concetto sulla base di considerazioni numeriche o di argomentazioni favorevoli e contrari ad una tesi), filosofico-concettuale (gli aspetti filosofici deli termini e dei concetti), estetico (l’accento cade su quelle caratteristiche sensoriali che apaiono affascinanti), esperienziale (affrontando direttamente le cose che incarnano o rappresentano i concetti). La stessa comprensione di un problema per Gaardner non può scaturire da una sola modalità di rappresentazione e di approccio cognitivo, applicabili ad una sola situazione.  J Bruner invece sostiene che vi sono due tipi di pensiero e di approccio cognitivo: il pensiero narativo e logico-paradigmatico, di cui si è già detto in precedenza.