1. Il mythos nel mondo greco.

Il mythos accompagna tutto l’arco della civiltà greca. Il mythos viene narrato, rappresentato e scritto, prima durante e dopo l’avvento del logos filosofico che nasce, si confronta, si differenzia e da esso prende congedo perché ormai quella verità che il mythos proponeva in veste allegorica, ora viene espressa dal discorso logico-razionale ovvero dalla filosofia (Aristotele) e dalla storia (Tucidide). La domanda intorno al senso del mythos è un interrogativo posto alla vicenda storica della filosofia greca e della civiltà greca in quanto tale. La risposta va delineata attraverso una indagine che interpelli la religione, la filosofia, la poesia, ma anche Erodoto, Tucidide, Teagene di Reggio, Ecateo di Mileto, Evemero di Messene… ovvero tutti coloro che si sono occupati del mythos e che si sono cimentati nel tentativo di comprendere il senso del mythos all’interno del mondo greco.

1. 1. Tra l’VIII e il IV secolo a. c. in Grecia avviene la separazione e l’opposizione del mythos al logos:  il primo è assurdo ed è finzione, mentre il secondo è razionale ed ha a che fare con la realtà. Il punto di partenza è una condizione indistinta, linguistica e non, dove il mythos convive col logos, si confonde con esso, ne è sinonimo. Ambedue i termini descrivono una parola viva e calda, una storia raccontata, narrazioni tradizionali, discorsi sacri, che hanno per oggetto gli déi, gli uomini, la città e il mondo. In questo senso il mythos è eziologia storica ovvero esso narra di un tempo primordiale fondante l’attuale ordine del mondo. Un tempo originario recepito, celebrato e custodito nel culto.

1. 2. Il mythos non appartiene ad un testo e ad un genere letterario preciso. Lo troviamo, infatti, nell’epica, nella lirica corale, nella tragedia e nella tradizione popolare di cui è “voce”. Il mythos sembra essere una sorta di tema fisso, atemporale, che viene trasmesso di generazione in generazione, con ridotte variazioni. La sua origine si perde nella notte dei tempi: esso è sempre esistito e viene semplicemente tramandato perché brilla di luce propria. Il poeta o il narratore non ne possono disporre come credono, ma può essere tradotto da una lingua all’altra: il mito di Atlantide, riportato nel Timeo da Platone, che lo presenta come un logos.  Il mythos, inoltre, è una narrazione orale che Omero, o chi per esso, ha messo per la prima volta per iscritto, salvandolo per sempre e, al contempo, rendendo inaccessibile la natura propria del mythos: l’oralità. La tradizione scritta di Omero è certamente la versione più antica del mythos, ma non è l’unica: la figura di Esiodo, di Epimenide e la tradizione orfica ce lo ricordano.

1. 3. Quando nel V secolo Erodoto e Tucidide vogliono fare storia si imbattono nel mythos e si chiedono che cosa dice, se è una narrazione attendibile e se è utilizzabile per scrivere di storia. Erodoto lo giudica assurdo, insulso e inconcepibile perché non resiste ad un confronto con la realtà nota (il ravvisare nel fiume Oceano la fonte del Nilo è assurdo perché il reale geografico, che funge da pietra di paragone, ne sconfessa l’attendibilità (Storie 2, 19 – 23) e perché frutto di ignoranza (Storie 2, 45). Per Erodoto, comunque, il mythos è ancora una fonte da interpellare e da vagliare, mentre per Tucidide è da dimenticare. Egli afferma che il lavoro dello storico deve procedere al vaglio delle notizie e dei racconti tradizionali per trattenere ciò che è verificabile ossia la storia recente. Il mythos, appartenendo ad un tempo remoto, non può essere verificato e, quindi, non ha valore storico: meglio lasciar perdere, meglio espungerlo completamente dal lavoro dello storico e lasciarlo ai poeti, ai logografi e ai “narratori di miti”, appunto.

1. 4. Con Teagene di Reggio (VI secolo) e Evemero di Messene (IV-III secolo) troviamo documentata la lettura allegorica del mythos: per il primo esso parla della natura, mentre per il secondo dietro il mythos si cela la storia.

1. 5.  La storia della filosofia ci documenta  dapprima una condizione indistinta del mythos e del logos (Parmenide), in seguito il sospetto nei confronti della capacità del mythos di asserire la verità (Senofane) e infine il  passaggio dal mythos come verità narrata  al logos come verità argomentata. Il passaggio in questione ha come momenti decisivi quello della sofistica (il mythos è discorso non vero, mentre il logos è discorso “vero”), di Platone (il mythos è comunque utile perché dice qualcosa laddove il logos tace e nella “città ideale” trova posto come strumento, opportunamente emendato in senso etico, di educazione e persuasione degli uomini), di Aristotele (la meraviglia è la comune origine del mythos e del logos, ma è ormai scoccata l’ora del logos, della verità argomentata, mentre il mythos è un abbozzo di discorso razionale, residuo di una umanità arcaica che ora non esiste più), dello stoicismo e del neoplatonismo che offrono una lettura allegorica in senso fisico o morale del mythos, portatore comunque di un logos.

1. 6. Il mondo greco ci ha consegnato la sopravvivenza del mythos nella mitografia, nella poesia, nella religione e nella interpretazione allegorica, il congedo dal mythos come luogo della verità perché esso è finzione, assurdità e sfugge ad ogni verifica, e la scelta del logos come deputato all’asserzione della verità, che è argomentata e universale. In questo modo il passaggio dal mythos al logos contiene in sé una dichiarata superiorità perché si guadagna in universalità, incontrovertibilità, eticità e verità, abbandonando le sponde della finzione, dell’assurdo, dell’immorale, dell’oscuro a favore della luce del logos. La comprensione del passaggio in questione come l’accedere ad un livello superiore offre il fianco alla pertinenza della lettura hegeliana e positivista del mythos: una tappa del cammino della verità che appare nella forma della rappresentazione della fede o il primo stadio evolutivo della storia dell’umanità. In ogni caso rimane posto l’interrogativo circa il linguaggio e il discorso del mythos: è in grado di dire la verità? La “filosofia prima” ovvero il sapere originario può solamente assumere il volto del logos oppure anche il mythos è un sapere originario e fondante, in una forma simbolica, per cui sono da ascoltare le suggestioni dell’ultimo Heidegger?