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Comunicazione Filosofica n. 13 aprile 2004
TRA ANIMA, CORPO E PASSIONI OVVERO L’EVOLUZIONE DELLA TEORIA DELL’ANIMA DA OMERO A PLATONE
Progettazione di un percorso didattico
Di Isabella Nascimbene
Fulvio Papi, in un bellissimo libro dedicato a “ Capire la filosofia”[i], ricorda - evocando la scena platonica – che elemento centrale della educazione filosofica, destinataria di quell’orizzonte di discorso che è dominato dal fine e dal desiderio di verità, è l’anima.
Chi si dedica alla filosofia e al tentativo di capire la filosofia viene trasportato in un tipo di educazione che non è meramente pratica, ma mira a coinvolgere ciò che vi è di più profondo nell’uomo, l’anima.
Cercare di capire la filosofia, ripete l’autore più volte nel libro, trasfigura l’anima, cioè il complicato mondo del “se stessi”, conduce ad un altro mondo che è capace di trasformare da capo la nostra domanda di senso intorno ai luoghi del senso comune, richiede dedizione e pazienza, sacrificio per un’esperienza che si qualifica prima di tutto come un rischio che nasce dallo stupirsi, dall’interrogarsi, dal chiedersi (per esempio) sempre e di nuovo il significato di parole che tutti danno per conosciute.
Praticare la filosofia, a qualsiasi livello, significa allora impegnarsi in un cambiamento radicale che coinvolge il profondo di noi stessi; l’educazione alla filosofia non può prescindere dal confronto con l’anima dell’uomo, che da Platone in poi, diventa il luogo dell’unità razionale a cui tutto è gerarchicamente subordinato.
Il mio scopo è quello allora di proporre a dei giovani studenti di liceo, impegnati per la prima volta nello studio della filosofia, di approfondire l’evoluzione della teoria dell’anima da Omero a Platone, chiarendo così i legami che questo discorso intrattiene con la illustre tradizione filosofica precedente.
A mio avviso, ciò può risultare così utile in una doppia direzione, formativa e didattica nello stesso tempo.
Da una parte, seguendo l’esempio indicato da Papi, diventa possibile concentrare l’attenzione sull’importanza di un discorso sull’anima quale elemento di particolare rilievo che viene coinvolto e chiamato in causa quando ci si dedica allo studio del pensiero filosofico: nella quotidiana pratica lavorativa, ho incontrato studenti che si avvicinano con entusiasmo a questa nuova materia, in alcuni casi abbandonandosi – almeno per un certo periodo dell’anno- alla filosofia, con la fiducia di veder risolti piccoli e grandi drammi interiori, e con la speranza di trovar risposta a certe domande che già in partenza sono difficili nella formulazione.
Ho notato nei miei studenti che la pratica filosofica così come viene proposta dalla scuola media superiore, in alcuni casi si coniuga con un esercizio del senso che coinvolge alle radici la personalità: attraverso lo studio della storia della filosofia, la frequentazione del testo filosofico, la spiegazione di teorie filosofiche partendo da esperienze comuni, i ragazzi vengono abituati a recuperare lo stupore originario da cui nasce la filosofia e a collegarlo con il proprio interrogarsi e stupirsi intorno ad azioni che la maggior parte delle persone considerano ovvie.
Il discorso filosofico non può che avere luogo in uno spazio di mancanza e di incompletezza che conduce ad interrogarsi sul perché, sul come e sul senso dell’esistenza e del mondo; la dinamica – propria della filosofia- tra incompletezza e desiderio di completezza a mio avviso é particolarmente evidente negli adolescenti che in generale sono disponibili a una fatica e ad un sacrificio di sé che sono indispensabili per capire la filosofia.
Attraverso il domandare filosofico emerge così l’anima dell’adolescente, un’anima nella quale può anche esserci molta nostalgia, tristezza o addirittura inquietudine del cuore; e il linguaggio dell’anima – che in generale tende a nascondersi e a sottrarsi agli sguardi dell’apatia e dell’indifferenza - attraverso la filosofia si fa trovare, o almeno intravedere.
Tuttavia, come ammonisce Fulvio Papi, se è vero che la filosofia può dialogare con l’amore, con il desiderio, con il lutto è anche vero che bisogna insegnare ai ragazzi che essa non ha come scopo o effetto implicito la soluzione totale di tutti i problemi ( l’idea di una consolazione della filosofia è una proposizione filosofica, un esempio di filosofia): è importante quindi pensare alla filosofia come ad un lavoro faticoso ed impegnativo, che richiede, come ho già detto, molta dedizione dalla propria vita, ma non bisogna assegnare ad essa il compito di costruzione della vita, quasi che essa possa totalmente trasformare “ queste radici della vita in qualcos’altro che faccia dimenticare questo mondo delle passioni e delle emozioni”[ii].
Proporre un percorso sull’evoluzione dell’anima significa allora mostrare che, fin dalle origini della nostra storia di uomini, la parola anima è la protagonista di un certo tipo di pensiero ed è collegata ad un preciso tipo di razionalità, quella filosofica: contro l’inganno dei sensi e la mutevolezza del divenire i philosophoi sono coloro che hanno cura dell’anima proprio perché hanno cercato di dare risposta a certe urgenze della propria interiorità, perché hanno assecondato il desiderio di pensiero e non sono stati sedotti dai luoghi del senso comune.
Da un’altra parte, questa riflessione sull’anima nel pensiero antico e in particolare in quello platonico, serve a spiegare agli studenti non solo la rilevanza che questo tema ha per la storia della filosofia (da Omero a Pitagora, a Platone, da Aristotele, agli Stoici, al pensiero di Agostino e quello di Tommaso, alla riflessione di Cartesio, per indicare solo alcuni nomi, ma si potrebbe continuare l’elenco mostrandone anche i legami con la psicologia, per esempio e con gli odierni sviluppi della filosofia della mente), ma indica anche l’intreccio che il discorso sull’anima ha con il discorso intorno al corpo e alle passioni, mostrando, in definitiva, come ragione e follia nascano insieme e come solo l’esclusione (o comunque il dominio) della follia consenta alla ragione di guadagnare certezza di sé e di autocertificarsi nel suo stesso esercizio[iii].
A questo proposito, l’evoluzione della teoria dell’anima mostra proprio l’intrecciarsi di due diverse tradizioni: da un lato, emerge una tradizione in cui l’anima è in grado di astrarre dal sensibile del corpo, e, così purificata, si salva, esprimendosi come forma compiuta di razionalità; da un altro lato, si configura un’anima lacerata, dimidiata, ma che è in grado di ospitare quelle passioni prima espulse, e che perciò è sempre in bilico tra ragione e spaesamento.
Inoltre, questa tematica permette di chiarire che il sociale, lo psichico e il mentale – anche nella nostra civiltà scientifica - hanno a che fare continuamente con l’anima, la quale oscilla tra le nozioni di salvezza, inconscio e verità, mostrando così la propria filiazione dal linguaggio e dal pensiero religioso, poetico e filosofico.
Il punto di partenza di questa riflessione filosofica sulle “trame dell’anima” è la tradizione omerica dell’anima come ombra; successivamente, si mostrerà che l’assunzione dell’anima come figura centrale del pensiero religioso e morale affonda le proprie radici nella tradizione orfico-pitagorica.
La mia riflessione prende quindi in considerazione la teoria dell’anima in Platone e quindi la nascita dell’uomo occidentale così come noi lo conosciamo.
Vengono perciò analizzati alcuni testi platonici (Fedone, Repubblica libro IV, Timeo, Leggi) in cui il “soffio vitale” della vecchia tradizione omerica e poetica si confronta- con modalità spesso differenti tra loro- con il corpo e con passioni di diversi tipo.
Il percorso che propongo si completa in ogni suo punto attraverso il richiamo continuo con i testi filosofici( supportato in alcuni casi, quando possibile, da una riflessione etimologica sulle parole e dalla lettura-traduzione in lingua originale) a ricordare l’importanza agli studenti che la filosofia non è semplicemente il riportare il discorso di qualcun altro in modo meccanico, ma è anche abbandonarsi concretamente al pensiero di un autore espresso attraverso il testo, collocarsi al suo interno, comprendendone la sua produzione di senso.
I testi presi in esame non sono solo quelli platonici, ma anche quelli poetici, con particolare riferimento a quelli tragici che permettono agli studenti di immedesimarsi nell’argomento e di comprendere il più possibile lo spirito classico greco.
· Tempi
· Dispensa
Prerequisiti
· Conoscenza dei contenuti principali del pensiero dei filosofi presocratici (ionici, fisici pluralisti, pitagorici, eleatismo, eraclitismo, i sofisti)
· Conoscenza del personaggio di Socrate, della sua atipia, dei suoi rapporti con Platone, e dei tratti salienti del suo pensiero
· Conoscenza dei più importanti concetti del pensiero platonico: il mondo delle idee e i rapporti con le cose, la dottrina della reminiscenza, l’amore platonico, l’immortalità dell’anima, il ruolo della bellezza
· Conoscenza dell’ordine dei dialoghi platonici e del ruolo del dialogo nel pensiero platonico
· Conoscenza contenutistica della Repubblica e della teoria platonica della giustizia
· Conoscenza di alcuni termini chiave del linguaggio filosofico ( metafisica, gnoseologia, etica, ontologia…)
· Conoscenza generale delle tappe più importanti della storia di Atene
· Abitudine a frequentare il testo antico, riconoscendone le differenze rispetto ad uno moderno e contemporaneo
· Consapevolezza delle diverse fonti della filosofia greca
· Saper cogliere almeno minime relazioni, analogie e differenze tra i diversi pensatori
· Saper collegare quanto già appreso con quanto si sta spiegando, evidenziandone – per quanto possibile – nessi e diversità
· Saper problematizzare esigenze che apparentemente possono sembrare lontane perché distanti nel tempo
· Saper adeguatamente contestualizzare quanto appreso
· Saper compiere collegamenti anche con altre discipline
· Affinare la sensibilità alla differenza
· Orientarsi nella complessità
· Acquisire la consapevolezza della necessità di selezionare e valutare criticamente i testi e le testimonianze
· Favorire l’ampliamento dell’orizzonte culturale
· Saper cogliere analogie, differenze e relazioni tra passato e presente
· Conoscenza della posizione omerica intorno all’anima e al corpo
· Conoscenza del movimento religioso dell’orfismo e del pitagorismo e della loro posizione intorno all’anima e al corpo
· Conoscenza di una evoluzione interna al pensiero di Platone per quanto riguarda il tema dell’anima e del corpo ( dal Fedone, alla Repubblica, dal Timeo alle Leggi) e conoscenza della possibilità di una ricomposizione prevista da Platone intorno al dualismo in questione
· Conoscenza di un dualismo di modelli all’interno del pensiero antico fino a qui esaminato: l’anima pura contro il corpo impuro; l’anima internamente frammentata.
· Conoscenza del ruolo scomodo e difficile che le passioni hanno nel pensiero antico
· Conoscenza dei termini e del lessico specifici usati
· Comprensione dell’importanza filosofica del problema anima-corpo e dei suoi possibili sviluppi
· Saper dare definizioni del lessico filosofico usato
· Saper contestualizzare i brani filosofici proposti
· Utilizzare i termini specifici
· Utilizzare, leggere e soprattutto interpretare le fonti a disposizione
· Formulare giudizi intorno al valore delle soluzioni proposte
· Sviluppare un pensiero il più possibile critico
· Individuare, all’interno del pensiero dei filosofi, nessi logici
· Realizzare mappe concettuali
· Redigere testi di sintesi al fine di produrre una struttura organica e coerente
· Ricostruire connessioni sincroniche e sviluppi diacronici
Svolgimento del percorso e fasi di lavoro
· Fase di lavoro 1 (1h) Brain storming: presentazione del tema del percorso attraverso un dibattito iniziale che coinvolge tutta la classe e che permette di passare dall’esperienza personale alla teoria filosofica. Il dialogo iniziale serve anche a motivare la proposta didattica da svolgere in classe ed è finalizzato sia al lancio dell’argomento, sia alla semplice presa d’atto, da parte del docente, di cosa gli alunni sappiano già ( o non sappiano) su questa particolare tematica
· Fase di lavoro 2 (2h) Il punto di partenza del percorso è l’analisi della figura dell’uomo in Omero, alla ricerca del significato di psyche e soma nell’Iliade e nell’Odissea. Testo di appoggio: B. Snell, L’uomo nella concezione di Omero e U. Galimberti, La tradizione omerica: l’anima come ombra. Lettura ed analisi di passi scelti (dispensa)
· Fase di lavoro 3 (2h) Orfismo e pitagorismo: si affronta la nascita dell’anima demone e della sua contrapposizione al corpo impuro. Viene mostrata l’origine di questi movimenti settari e del loro rifiuto del corpo e della polis e dei vincoli sociali ad essa legati, in quanto origine di una terribile colpa. A sostegno di quanto affermato, viene narrato il mito dei Titani e di Dioniso bollito ed arrostito ed è spiegato in che cosa consista il miasma che marchia l’umanità intera. Lettura ed interpretazione di frammenti significativi; testo di appoggio: U. Galimberti, L’iniziazione orfica: l’anima come immagine di vita. (dispensa)
· Fase di lavoro 4 (2h) L’anima pura ed immortale contro il corpo impuro nel Fedone di Platone: presentazione della filosofia come melete thanatou e di una soluzione alla paura della morte e alla opposizione anima e corpo. Si mostra, inoltre, come in questo dialogo venga ripreso l’orfismo-pitagorismo. Lettura ed analisi di passi scelti (dispensa)
· Fase di lavoro 5 (1h) Prime conclusioni: nel Fedone il corpo è impuro e ricettacolo di passioni quindi le passioni sono avvertite come un terribile nosos; il pensiero medico del V secolo fornisce ai filosofi due modalità di spiegazione della passione intesa come malattia: il modello endogeno o della stasis ed il modello esogeno o del polemos. Viene osservato che le passioni rappresentano nel pensiero antico un materiale difficile da gestire
· Fase di lavoro 6 (1h) La crisi dell’anima pura: un esempio tratto dalla tragedia per dimostrare che è impraticabile per la filosofia la via di soppressione ascetica del corpo proposta da Socrate nel Fedone: l’anima è internamente frammentata perché non può essere separata dal complesso delle emozioni, della sensibilità e della corporeità. Nella Medea di Euripide, Medea la protagonista è presentata come l’apolis per eccellenza, sia donna, che barbara, che maga; la sua è un’anima irrequieta e tormentata che la spinge a vendicarsi dell’infedeltà di Giasone uccidendo non solo la sua futura sposa ed il padre di lei, ma i propri stessi figli generati dall’uomo odiato. Medea, oppressa da un’ira pesante che la ha colpito la mente, sa che non basta il sapere per compiere il bene, né l’errore dell’anima è da attribuire solo a costrizioni esterne: la passione che agisce dentro di essa è sufficiente da sola a travolgere la ragionevolezza. Lettura di passi scelti (dispensa)
· Fase di lavoro 7 (2h) Conflitto e ricomposizione: nella Repubblica l’anima non è più presentata come pura opposta ad un corpo impuro, ma è tripartita ed ospita in sé le passioni. Quest’anima viene inoltre dal filosofo “politicizzata”: il pensiero di Platone prevede a questo punto un parallelismo tra la vita politica della kallipolis e la vita dell’anima; giusta è quella città in cui tutte le parti che la compongono svolgono correttamente il proprio dovere, così come giusta è quell’anima in cui le parti che la compongono collaborano insieme armoniosamente. Lettura e commento di passi scelti (dispensa)
· Fase di lavoro 8 (1h) Il Timeo ovvero il dialogo che propone un’integrazione psico-fisica. Platone recupera quella corporeità che nella Repubblica collocava sullo sfondo e psicologizza il corpo, somattizando l’anima. Lettura di passi scelti (dispensa)
· Fase di lavoro 9( 1h) Le Leggi: Platone è alla ricerca, in quest’opera della vecchiaia, di un’equilibrio dell’anima e di un’armonia del corpo: viene così prodotto un programma dettagliato di educazione psico-fisica. Inoltre, a sostegno di quanto ha dimostrato l’evoluzione della teoria dell’anima in Platone, viene proposta una nuova concezione antropologica ( la metafora della marionetta) a sostegno della impossibilità di eliminare dall’uomo i rapporti con le emozioni e la corporeità. Lettura e commento di passi scelti (dispensa)
· Fase di lavoro 11 (1h) Tiriamo le conclusioni attraverso l’elaborazione in classe di una mappa concettuale riassuntiva degli spostamenti del pensiero antico, intorno ai diversi significati dell’anima, del corpo e delle passioni. Viene chiesto ai ragazzi che significato abbia oggi indagare il ruolo dell’anima nella riflessione filosofica antica. Ognuno viene invitato a dichiarare il proprio punto di vista, ora arricchito dalla teoria filosofica: che rapporto può esserci tra anima, corpo e passioni?
Ad inizio percorso, l’insegnante fornisce agli alunni una piccola dispensa contenente i testi antichi più rappresentativi dell’argomento trattato; inoltre, ogni studente può consultare – sempre in questa dispensa- le parti significative dei testi critici usati dal docente per approfondire le tematiche affrontate.
Questa dispensa è utile in quanto permette – in ogni fase del percorso – di proporre il testo originale delle teorie filosofiche spiegate, filtrate da una lettura guidata dall’insegnante e finalizzata, attraverso opportune domande, a far emergere in sintesi le diverse posizioni intorno ad un argomento comune. I testi filosofici vengono inoltre letti facendo particolare attenzione ad alcuni termini in lingua originale ed al loro significato filosofico.
Momento importante delle lezioni è la discussione, che può essere introduttiva e finalizzata a presentare il tema in questione, guidata, utile per far emergere sintesi delle posizioni filosofiche affrontate, o finale, per far emergere e motivare il proprio punto di vista (arricchito dalla pratica filosofica) intorno al rapporto anima-corpo.
La spiegazione vera e propria coincide lezioni frontali finalizzate ad esporre il contenuto del pensiero dei vari autori e a contestualizzarlo.
14 ore
Per questo percorso si possono prevedere, in sede di programmazione di Consiglio di classe, raccordi con materie come greco ( epica: passi scelti e tradotti da Omero, Iliade ed Odissea), religione ( il concetto di anima e corpo nel pensiero cristiano ed in quello ebraico) e storia dell’arte ( kouroi e korai, la statuaria di Policleto di Argo, di Fidia, di Prassitele e di Skopas ovvero il corpo rappresentato nell’arte greca).
Particolarmente interessante, può essere la riflessione che la cultura cristiana sviluppa intorno al corpo: attraverso l’esempio di Dio che nel corpo nasce e muore come Cristo, la religione cristiana prevede una rivalutazione totale del corpo, che viene consacrato ed addirittura santificato; a questo proposito, l’insegnante di religione può mostrare come nella liturgia cattolica vi siano molti momenti in cui il corpo è messo in rapporto con l’anima del fedele ( ad incominciare dal momento dell’eucarestia, in cui viene offerto “il corpo di Cristo”, realizzando così la transustanziazione).
Anche un’approfondimento del tema in questione svolto attraverso la storia dell’arte potrebbe risultare molto utile; in particolare, si potrebbe mostrare l’evoluzione della rappresentazione corporea nella statuaria greca, dall’età arcaica all’età classica, riflettendo come per gli antichi greci rappresentare il corpo voglia dire ora rappresentare la perfezione statica attraverso un uomo ideale che coincide con un corpo al culmine delle sue qualità fisiche ed intellettuali ( si pensi ai kouroi), ora tentare di rappresentare la mobilità del corpo, espressione dell’umano e del suo rapporto con l’ambiente che lo circonda.
Verifiche
Il docente può utilizzare sia verifiche formative, rivolte a tutti gli studenti della classe ed utili per individuare lacune, sia verifiche sommative alla fine del percorso, per accertare se le competenze sono state acquisite.
Esempi di verifiche
1) Perché in Omero manca una rappresentazione unitaria della vita psichica?( max 8 righe)
2) In base a quanto studiato, chiarisci il significato filosofico che i seguenti termini hanno per Omero, gli orfici-pitagorici e Platone: soma -sema – psyche - thymos - thanatos
3) Pitagora assegna alla filosofia una funzione ben precisa: aiutare l’anima a conquistare la sua progressiva purificazione, fino a liberarsi definitivamente dalla prigione del corpo. In forma scritta, illustra il rapporto tra tale funzione della filosofia ed il carattere religioso della scuola pitagorica ( max 10 righe)
4) Le passioni rappresentano un materiale difficile da gestire per il pensiero antico; spiega schematicamente le due modalità di spiegazione della passione intesa come malattia, il modello endogeno ed il modello esogeno.
5) Medea è l’eroina euripidea che, distrutta dalla passione, compie un atto vergognoso e crudele; Socrate nel Fedone è il filosofo “dall’anima pura”, non contaminata dal corpo. Rifletti su queste due posizioni antitetiche ed esprimi la tua personale opinione, motivandola ( 6 righe)
Belle donne abbigliate in seta,
il capo adorno di zaffiri.
Dalla porta fin nell’interno della casa
tutte governano le sale. Nella più grande-
di notte, quando brucia loro il sangue-
danzano e bevono, i capelli sciolti.
Fuori dalle sale, pallide e malvestite,
con abiti di un tempo fuori moda,
s’aggirano le Virtù ascoltando amareggiate
la festa che fanno le ubriache etere.
Coi visi incollati ai vetri delle finestre
Osservano in silenzio, pensierose,
le luci, i diamanti e i fiori della danza.
C. Kavafis, Poesie segrete, (1894)
Leggi attentamente questa poesia del poeta greco Costantino Kavafis; rifletti, quindi, sul diverso ruolo che le passioni ( e la corporeità in generale) hanno nei brani del Fedone esaminati. Esprimi le tue considerazioni a questo proposito; cerca inoltre di argomentare il tuo personale punto di vista: meglio una vita priva di slanci passionali, ma all’ombra della saggezza, o una vita dedicata alla corporeità?
Discuti con l’insegnante la lunghezza che deve avere il tuo scritto.
7) Nei passi del Fedone esaminati, Platone espone la tesi della filosofia come “preparazione alla morte”; con tale espressione il filosofo vuole intendere che:
· con l’aiuto della filosofia saremo in grado di affrontare coraggiosamente il doloroso distacco dalla vita
· la filosofia, che ci permette di conoscere e praticare il Bene, ci prepara degnamente alla vita dell’aldilà
· la ricerca filosofica ci consente di liberarci gradatamente dai sensi e di conoscere sempre meglio le idee, che contempleremo del tutto solo dopo la morte del corpo
Motiva la tua risposta-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
8)Nei passi del Fedone presi in esame Socrate richiama l’affinità dell’anima alle idee; rintraccia nel testo le espressioni che Platone usa per descrivere questa somiglianza e paragonale schematicamente con le caratteristiche proprie dell’anima che emergono dalle parole di Socrate/Platone.
9) Elabora uno schema a tuo piacere per illustrare l’evoluzione della teoria dell’anima in Platone, evidenziandone i diversi rapporti che essa intrattiene con la corporeità.
10) Paragona la posizione di Platone intorno all’anima espressa nel Fedone e quella espressa nelle Leggi, evidenziandone e motivandone le diversità. ( max 10 righe )
· E venne poi la psyche del tebano Tiresia/ stringendo lo scettro d’oro. Mi riconobbe e mi disse:/ “ divino figlio di Laerte, Odisseo pieno di astuzie, / perché mai, infelice, lasciata la luce del sole, / sei venuto a vedere i defunti e questo tristissimo luogo?/ Orsù, dalla fossa allontatanti, togli l’aguzzo brando,/ Perché beva di questo sangue e ti dice parole veraci”( Omero, Od., XI, vv.90-99)
· (…) non può opporsi un uomo al noos di Zeus,/ nemmeno se è forte davvero, perché quello è molto al dis sopra( Omero, Il., VII,vv.143-144)
· Così dicendo la dea le ispirava nell’animo ( thymos) desiderio struggente/ del marito di prima, della sua città, dei suoi genitori( Omero, Il., vv.139-140)
· Ettore(…),/ sempre tagliente è il tuo cuore ( kradie), come scure che penetra/ dentro ad un tronco per mano dell’uomo, che con la sua arte/ taglia legno per navi, e la scure moltiplica la forza dell’uomo:/ così dentro al tuo petto non si smussa il pensiero ( noos) (Omero, Il., III, vv.59-64)
· Smettila e non sferzarlo perché è certamente l’anima (psyche ) di un mio amico: la riconobbi udendola parlare ( DK B 117 )
· Diceva che l’anima è immortale, poi che passa in altri esseri animati d’altra specie, poi che quello che è stato si ripete a intervalli regolari e che nulla c’è che sia veramente nuovo, infine che bisogna considerare come appartenenti allo stesso genere tutti gli esseri animati ( Vita Pit. 19= DK 14 A 8a)
· Testimoniano anche gli antichi teologi ed indovini che l’anima è aggiogata al corpo per qualche colpa ( timoria ) e che in esso è sepolta come in una tomba ( DK B14)
· Dicono alcuni che il corpo è tomba dell’anima, quasi che essa vi sia sepolta durante la vita presente (…) però mi sembra assai più probabile che questo nome lo abbiano posto i seguaci di Orfeo; come a dire che l’anima paghi la pena di ciò che deve scontare, e perciò abbia intorno a sé, affinché sia custodita ( sozetai) questa cintura corporea ad immagine di una prigione; e così il corpo, come il nome significa, è custodia dell’anima finché essa non abbia pagato i suoi debiti ( Platone, Cratilo, 400c)
· E’ vaticinio della Necessità, antico decreto degli dei
eterno, suggellato da vasti giuramenti:
se qualcuno criminalmente contamina le sue mani con l’uccisione,
se qualcuno per odio abbia commesso una colpa( amartema) giurando il falso,
fra i démoni che hanno avuto in sorte vita longeva,
tre volte diecimila stagioni vada errando lontano dai beati
nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo
mutando i penosi sentieri della vita (…)
Anch’io sono uno di questi, esule dal dio e vagante
Per aver dato fiducia all’Odio furente ( DK B 115 )
· Se chi possiede la ricchezza conosce l’avvenire,
sa che le menti violente dei morti quassù subito
pagarono la pena ( poinas eteisan) - mentre sotto terra qualcuno giudica
i misfatti in questo reame di Zeus, dichiarando
la sentenza con ostile necessità ( …).
E quanti ebbero il coraggio di rimanere per tre volte
Nell’uno e nell’altro mondo, e di ritrarre del tutto l’anima ( psychan)
Da atti ingiusti, percorsero fino in fondo la strada di Zeus
Verso la torre di Crono: là brezze oceanine
Soffiano intorno all’isola dei Beati ( …)
( Olimp. 2, vv. 5è sgg.)
· Il pensatoio ( phrontisterion) delle anime sagge ( psychon sophon) ( Aristofane, Le Nuvole, v. 94)
· (…) Se c’è qualcuno a cui ripugna di presenziare al sacrificio, è cosa che riguarda soltanto lui. La mano io farò che non tremi. Oh Dio, no, no ! Cuore mio, non lo fare! Sventurato cuore, lasciali vivere, risparmia i figli: vivi là, con noi, saranno la tua gioia. Ma no, giuro sui démoni vindici di sotterra, non sarà mai che io lasci i figli miei in mano di nemici che li oltraggino. E’ destino, del resto, e non c’è scampo(…). Figli, datemi la mano, diletta bocca e forma e viso nobile dei miei figli, vi sorrida la sorte, ma laggiù. Tutte le gioie di questo mondo, è stato vostro padre a strapparvele. Abbraccio dolce, tenera pelle, respiro dei bambini miei, soave! Andate, andate! Io non resisto a guardare i miei figli, la sventura mi vince. Il male che già sto per fare lo capisco, ma più di ogni pensiero può la passione, quella che per gli uomini è cagione dei mali più tremendi (Euripide, Medea)
“E non sono proprio i momenti in cui l’anima del filosofo più sconfessa la carne ed evade da lei, e trova modo di starsene in perfetta solitudine?”
“ E di questo altro problema, Simmia, l’esistenza di un assoluto giusto, l’ammettiamo o no?”
“L’ammettiamo, per dio!”
“ E un puro bello? E un puro bene?”
“ E come non ammetterli?”
“ In vita tua, hai scorto qualche volta un’entità simile, con i tuoi occhi?”
“No, assolutamente” fece lui.
“Sei riuscito ad afferarne una con qualche diversa percezione del tuo corpo? Parlo in generale, di entità come grandezza, salute, energia e, per farla corta, dell’essenza di tutte quante le altre cose, l’essere caratteristiche di ognuna. L’autenticità profonda di quelle cose l’osserviamo con l’occhio del corpo, o succede invece così: chi di noi più s’addestra, con l’astrattezza più pura, a lavorare con la mente sull’entità dell’oggetto sul quale, di volta in volta, riflette, non s’accosta a lui, più di ogni altro, alla distinta conoscenza delle cose?”
“ Nessun dubbio”
“ E non è vero che può ottenere i risultati più limpidi chi più di tutti sa via via accostarsi alle cose con puro sforzo mentale, senza abbinare al lavorio della mente l’azione visiva, senza il peso morto di altre percezioni nella scia del suo ragionare, ma con l’arma dell’intelletto- concentrato, immacolato, solo- si impegna a stanare l’entità- concentrata, immacolata, sola- delle singole cose, sovranamente allegeritosi d’occhi, d’orecchi, insomma della sua carne intera, perché sa che la carne è disordine, quando si intromette, e ostacolo all’anima, al suo acquisire l’autentica comprensione delle cose? Non sarà questo l’uomo, Simmia – e se no, chi altri?- capace di trovarsi all’appuntamento con l’essere?”
Platone, Fedone, 118a
Continuava a tastarlo, e disse che quando fosse al cuore, se ne sarebbe andato.
L’addome era già quasi freddo. Allora si scoprì la faccia- s’era già coperto- e parlò. Furono le ultime parole: “ Ah, Critone, abbiamo un debito con Asclepio; un gallo. Pagateglielo, non dimenticatevi”.
“Sarà fatto: vedi se devi dirci altro” replicò Critone.
A questa domanda di Critone non rispose più. Ci fu un momento, una sospensione. Si scosse. Allora l’uomo lo svelò. Immobile, occhi sbarrati.
Critone capì. Gli compose la bocca, gli occhi.
Platone, La Repubblica, 443c-d, 444a-e
(…)
“Per la verità la giustizia, a quanto sembra, era un qualcosa del genere; essa però non riguarda il comportamento esteriore dell’individuo, bensì quello interiore, che coinvolge veramente l’individuo stesso e la sua personalità. Grazie ad essa l’uomo giusto non permette a nessuno dei principi insiti nella sua anima di svolgere le funzioni degli altri confondendo i rispettivi ruoli, ma dà realmente una buona disposizione al proprio spirito, diventa governante, ordinatore e amico di se stesso e accorda le sue tre facoltà interiori proprio come le tre distinte note dell’armonia, la più acuta, la più grave e la mediana, comprese le eventuali note intermedie; e dopo aver legato insieme tutti questi elementi, diventa da molteplice assolutamente uno, fornito di temperanza e di armonia. Questo sarà, d’ora in poi, il suo modo di agire, si tratti dell’acquisto di ricchezze, della cura del corpo, della vita politica o degli accordi privati, poiché in tutto ciò egli ritiene e chiama giusto ed onorevole il comportamento che mantiene l’equilibrio interiore e contribuisce a realizzarlo, e sapienza la scienza che presiede questo comportamento, mentre ritiene e chiama ingiusto il comportamento che rovina tale equilibrio, e ignoranza l’opinione che suggerisce un comportamento simile”
(…)
“(l’ingiustizia) non deve consistere nella discordia di queste tre facoltà, nell’occuparsi di troppe faccende, in particolare di quelle altrui, nella sollevazione di una parte contro l’insieme dell’anima per avere in essa un comando che non le spetta, in quanto la sua natura le impone di servire, cosa che non si addice all’altra parte, nata per comandare? Una situazione del genere, provocata dal turbamento e dal disordine di queste parti, sarà appunto ciò che noi definiremo ingiustizia, intemperanza, viltà, ignoranza, in poche parole ogni vizio”
(…)
“ Quindi” dissi, “ il commettere ingiustizia e l’essere ingiusti, e al contrario l’operare secondo giustizia, non sono tutte cose ormai chiare e manifeste, se lo sono l’ingiustizia e la giustizia?”
(…)
“ Nel senso che non differiscono in nulla dalla salute e dalla malattia: queste riguardano il corpo, quelle l’anima”
(…)
“ Le cose sane generano salute, quelle malate malattia”
(…)
“ Quindi l’agire giustamente genera la giustizia, l’agire ingiustamente l’ingiustizia?”
(…)
“ E procurare la salute significa mettere gli elementi del copro nella condizione di dominare ed essere dominati gli uni dagli altri secondo natura, mentre procurare malattia significa creare delle condizioni analoghe contro natura”
(…)
“ Allora”, proseguii, “ generare la giustizia significa mettere le facoltà dell’anima nella condizione di dominare ed essere dominate le une dalle altre secondo natura, mentre generare l’ingiustizia significa creare delle condizioni analoghe contro natura?”
(…)
“ Perciò, a quanto pare, la virtù sarà una forma di salute, di bellezza e di benessere dell’anima, mentre il vizio sarà malattia, bruttezza e debolezza”
Timeo: “(…) E dei divini esseri viventi fu lui stesso l’artefice, mentre comandò ai suoi figli di plasmare la generazione dei mortali. E quelli imitandolo, avendo ricevuto il principio immortale dell’anima, posero quindi intorno ad essa un corpo mortale, e tutto questo corpo glielo diedero come un carro, ed aggiunsero in esso un’altra specie di anima che fosse mortale, che ha in sé passioni funeste ed irresistibili: prima di tutto il piacere, che è la più grande esca del male, in secondo luogo i dolori, che fanno fuggire i beni, ed ancora l’audacia e la paura, stolti consiglieri, e la collera, che è difficile da placare, e infine la speranza, che facilmente si lascia ingannare. Mescolando allora queste cose con la sensazione irrazionale e l’amore che mette mano a qualsiasi impresa, composero secondo la legge della necessità il genere mortale. Per queste ragioni, temendo di contaminare il principio divino più di quanto l’assoluta necessità richiedeva, separandolo da esso, stabilirono il principio mortale in un’altra sede del corpo, e fabbricarono come un istmo, o un confine, fra la testa ed il petto, ponendo in mezzo il collo, perché fossero separati. Nel petto, dunque, ed in quello che viene chiamato torace, legarono la specie mortale dell’anima. E poiché una parte di questa anima era stata generata migliore ed un’altra peggiore, divisero la cavità del torace, separandola come si fa per le stanze delle donne e degli uomini, e vi posero in mezzo come chiusura il diaframma. Quella parte dell’anima che partecipa del coraggio e dell’ira, essendo bellicosa, la collocarono più vicina alla testa, fra il diaframma ed il collo, perché ubbidisse alla ragione, e, in comune accordo con essa, frenasse con la forza gli appetiti, nel caso in cui questi non volesse affatto ubbidire di buon grado all’intimazione e alle parole dell’acropoli. E il cuore, nodo delle vene e fonte del sangue che circola impetuosamente attraverso tutte le membra, lo collocarono nel posto di guardia perché, quando la forza dell’anima irascibile ribollisse, avvertita dalla ragione che qualcosa di ingiusta viene compiuto nel corpo, all’esterno, oppure anche dagli appetiti interni, subito, attraverso tutti gli stretti canali, tutte le parti sensibili del corpo, capaci di ascoltare le intimazioni e le minacce, diventassero ubbidiente alla ragione e la seguissero, e così lasciassero che su tutte dominasse la parte migliore.”
Ateniese:” Riflettiamo allora in questo modo su tali cose. Dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una macchina prodigiosa realizzata dagli dei, vuoi per loro divertimento, vuoi per uno scopo serio; questo non lo sappiamo. Ciò che invece sappiamo è che queste passioni, che sono in noi come corde o funicelle, ci tirano, ed essendo opposte tra loro, ci tirano in senso contrario, trascinandoci verso azioni opposte, ed è così che si stabilisce la differenza tra il vizio e la virtù. La ragione ci consiglia di seguire sempre uno solo di questi stimoli, di non abbandonarlo affatto, e di resistere a tutti gli altri fili: questa è la regola d’oro della ragione, quella sacra condotta che viene chiamata la pubblica legge dello stato, e se le altre sono dure come se fossero di ferro e assumono le forme più svariate, questa è duttile perché è d’oro. Bisogna collaborare sempre con la splendida guida della legge: poiché la ragione è bella, mite e priva di violenza, la sua guida ha bisogno di collaboratori affinché in noi la stirpe d’oro vinca sulle altre stirpi.”
E’ certo che nei tempi precedenti Omero, regnavano magia ed incantesimi; certo è pure che la concezione omerica dell’anima e dello spirito è in relazione con questi tempi “magici”; poiché organi dell’anima quali noos e thymos, che non hanno la facoltà di pensare o di muoversi di per sé, debbono per forza essere in balia del potere magico, e uomini che hanno una tale concezione della loro vita interiore, debbono naturalmente sentirsi esposti al potere di forze arbitrarie e tenebrose. Da ciò possiamo arguire quale fosse, nel tempo precedente Omero, la concezione che l’uomo aveva di sé e del suo agire. Ma già gli eroi dell’Iliade non si sentono più in balia di forze selvagge, ma affidati ai loro déi olimpici, che costituiscono un mondo ben ordinato e significativo. Evolvendosi, i Greci completano la conoscenza di sé e per così dire assorbono nel loro spirito umano quest’azione divina. E’ certo che in ogni tempo la fede nella magia si mantenne viva presso di loro, ma essa non esisteva per quelli che hanno contribuito a questa evoluzione , come non esisteva per Omero; costoro, infatti, proseguono per la via segnata da Omero. La concezione che l’uomo ha di sé al tempo di Omero e che noi possiamo ricostruire attraverso la lingua omerica, non è puramente primitiva, ma guarda al futuro, e costituisce la prima tappa del pensiero europeo.
(…) Se ne deduce che psyche, thymos e noos, che in Platone diverranno “funzioni dell’anima”, in Omero non si distinguono sostanzialmente dalle funzioni del corpo, e questo per la semplice ragione che per l’uomo omerico il corpo non è sentito come strumento esecutore dei dispositivi dell’anima, ma come autore di quei sensi che e emergono dalla situazione in cui si trova ad operare. (…) Questa antropologia che concepisce l’uomo come individualità corporea, completamente immerso e circoscritto nella sua storicità, per cui se non si è felici in questa terra si è semplicemente infelici, non ospita alcuna trascendenza e quindi nessuna sovraistanza veritativa. La vita resta regolata dalla saggezza ( phronesis) intesa come harmonia, parola greca che sta per misura, ritmo, scansione della forza in condizione di mobile equilibrio. Platone ci informa che la nozione di harmonia era tratta dal contesto cosmologico e designava “ l’ordine ce tiene insieme cielo, terra, uomini e dei” ( Gorgia, 508a), “la giusta proporzione in cui si mescolano il limite e l’illimitato”( Filebo, 26b). da categoria cosmologica la harmonia divenne una categoria etica su cui misurare la saggezza della vita: infatti solo ciò che è armonico ed equilibrato è vitale, mentre ciò che è cattivo mescolamento degli elementi è alterazione e squilibrio, e quindi morte.
Esemplare è in proposito la figura di Ulisse di cui bisogna ricominciare a rileggere “l’astuzia” (phronesis) che non è la “furbizia”, ma la capacità di trovare di volta in volta il punto di equilibrio tra forze contrastanti; il suo tempo e il tempo opportuno (kairos), la sua funzione è il rinvenimento del punto di debolezza tra forze antagoniste, la sua forma è la prudenza necessaria per chi, trovandosi a decidere senza verità, anticipa l’evento senza certezza e produce operazioni che non si lasciano dedurre da principi immutabili.
Questo tipo di “astuzia”, che, lo ripetiamo, non è furbizia ma “saggezza”, è lo sfondo da cui Platone emanciperà l’anima per produrla come organo di verità. Allora la coppia anima-corpo da dispositivo antropologico diventerà un dispositivo epistemologico, servirà cioè a distinguere la verità (aletheia), di cui si occupano i filosofi che hanno cura dell’anima, della saggezza (phronesis) dei filodoxoi che, incuranti dell’anima, sanno solo districarsi tra le varie e mutevoli opinioni (doxa).
(…) Il nuovo schema di credenze inaugura una concezione dualistica dell’uomo che, oltre a contrapporre l’anima al corpo, identifica l’uomo nell’anima e interpreta il corpo come sua tomba o segno. Nel Cratilo Platone riassume la concezione orfica(…). Questa nuova religione era destinata e cambiare l’antica concezione della vita e della morte, e più in generale il senso dell’esistenza che nella visione omerica non attendeva né premio né castigo, ma solo quella “fine” a cui poteva sottrarla unicamente la memoria del poeta e il suo canto “efficace”. (…) L’anima infatti, per la religione dei misteri è tanto più viva, tanto meno smemorata, quanto più si è liberata dal corpo. (…) Nella religione orfica il corpo va mortificato perché, incatenando alla vita del momento, non consente quell’oltrepassamento senza di cui è impossibile recuperare le vite passate e quindi conoscere tutti gli aspetti dell’anima che quelle vite descrivono.
Fulvio Papi, Capire la filosofia
(…) La scena platonica è molto differente: non vi è un vero e proprio insegnamento inteso in forma diretta, ma vi è un dialogo; coloro che partecipano non paiono animati da un vero e proprio scopo pratico, ma dal seguire l’esito del discorso stesso e dalla disponibilità ad assumerne le conseguenze: la ragione di questo atteggiamento è un modello di educazione che va al di là degli scopi della educazione sofistica per coinvolgere la dotazione più profonda dell’uomo, l’anima che costituisce il suo vero essere e l’elemento fondamentale di governo della vita. Così l’oggetto, la psyche (o soffio vitale) della tradizione omerica e poetica, diventa un elemento centrale della educazione filosofica, proprio perché l’anima è in relazione con il mondo delle idee. (pag.28)
La filosofia (…) chiede per essere capita, che è poi il primo indispensabile gradino per essere praticata, e, in un certo senso è già un praticare filosofico- chiede, dunque, una propensione filosofica ad affidare la ricerca più profonda dello stesso senso di sé a una alterità, al mondo dei testi filosofici. (…) La pratica filosofica apre un senso di sé molto importante quale è quello conferito dalla frequentazione delle pagine e delle verità filosofiche. Ma la filosofia, per lo meno la buona filosofia, non presume di poter investire con la forza del suo senso la totalità delle manifestazioni umane: i sentimenti più semplici, i desideri fondamentali, l’amore e il lutto, ma non è la legge che struttura l’esistenza di questo complesso mondo del vivere. La filosofia può dialogare con il desiderio, l’amore, il lutto ma non è ciò che trasforma queste radici della vita in qualcos’altro che faccia dimenticare questo mondo delle passione e delle emozioni. L’idea di una consolazione della filosofia, o dell’educazione alla indifferenza sono a loro volta proposizioni filosofiche, esempi di filosofie, ma non sono né lo scopo né l’effetto implicito della pratica filosofica. Bisogna avere un’idea della filosofia come di un lavoro impegnativo e difficile che richiede e dedizione dalla propria vita, ma che non è la soluzione totale di tutti i problemi che possono crescere sul terreno accidentato ed imprevisto della vita. (pag.41-42)
BRAIN STORMING: IL DIBATTITO INIZIALE. IN BILICO TRA ANIMA E CORPO
Questo percorso didattico invita a riflettere intorno all’evoluzione della teoria dell’anima da Omero a Platone, recuperando ed approfondendo temi e problemi già affrontati durante le lezioni di filosofia, mostrandone legami e differenze, per tentare di comporre – a questo proposito - una visione il più possibile unitaria. Questo cammino filosofico ha come punto di partenza l’esperienza quotidiana dei ragazzi intorno alla corporeità ed alla dimensione spirituale; durante una lezione dialogata iniziale, sollecitata dall’insegnante, vengono recuperati e proposti gli atteggiamenti comuni intorno all’anima e al corpo. In particolare, si invitano gli studenti a riflettere sul rapporto conflittuale che si può instaurare ancora oggi tra la dimensione spirituale e quella materiale, dove un corpo esibito forzatamente nella sua nudità oppure maltrattato e trasformato per assecondare una moda può rappresentare il tentativo del corpo di appropiarsi dell’anima e di interpretarla come una parte di sé. Attraverso un dibattito iniziale, si cerca di mostrare come anche per il senso comune ci sia una dialettica, positiva o negativa, tra anima e corpo. A questo proposito, si possono mostrare ( in via generale ed intuitiva) alcune soluzioni che la filosofia ha elaborato per risolvere il rapporto anima-corpo: dualismo, materialismo e comportamentismo.
In conclusione al percorso ed in base alle teorie filosofiche affrontate, gli studenti saranno chiamati a riflettere di nuovo sulle domande e suggestioni iniziali, nel tentativo di dare una o più risposte alle domande emerse sull’anima, sul corpo e sulle passioni.
Esempi di possibili domande da sottoporre agli studenti
· Che cosa è l’anima?
· Che cosa distingue gli uomini dagli animali?
· Che rapporto pensi ci sia tra ciò che chiami comunemente “anima” e il corpo?
· Il “mio” corpo riflette la “mia” anima? Il corpo può essere specchio dell’anima?
· L’uomo ha sempre immaginato e pensato il proprio essere fisico come “corpo”, oppure ha fatto questo solo a partire da un certo momento della propria storia?
· Riflettiamo sull’esibizione del corpo nella sua nudità nella cultura mediatica: il corpo – in questi casi- “sovrasta” l’anima?
· Da dove pensi che derivino passioni travolgenti come la paura ed il desiderio: da un’anima malata o dal corpo, ricettacolo di mali? Dove hanno origine le passioni: da un sentimento o da un semplice riflesso fisico?
· Che cosa è oggi l’anima? Una sostanza spirituale che si può imparare a conoscere attraverso la psicologia o l’insieme degli stati interni che ci rimangono, nella loro essenza, sconosciuti?
OMERO: IL NON ESSERE PIU’ DELL’IO
Nei poemi omerici psyche non appare investita di alcuna particolare valenza religiosa e non ha nemmeno una funzione privilegiata nella soggettivazione morale.
L’anima nell’Iliade e nell’Odissea è una semplice forza vitale che acquista autonomia solo quando abbandona il cadavere sfuggendone dalla bocca con “l’ultimo respiro” ( il latino anima deriva da anemos, vento) oppure insieme con il sangue della ferita.
In seguito, essa sopravvive nell’Ade nella forma di un doppio fantasmatico, quasi-corporeo dell’uomo vivo cui apparteneva e di cui conserva la memoria, senza incorrere in alcuna nuova vicenda, tanto meno in un sistema di premi e punizioni (cfr. Odissea, XI, 488-492, XI, 218-222, Iliade, XXIII, 103-107).
La psyche rappresenta il non essere più dell’io, cioè la sua negazione, un suo permanere nella dimensione di ciò che “non è più vivo”.
A questo proposito sono necessarie due osservazioni; la psyche, che si separa dal corpo dell’uomo con la morte, è presente nell’uomo anche quando esso è in vita, ma non si identifica con la vita stessa, perché essa è descritta utilizzando specialmente il termine thymos; inoltre, poiché la psyche è cessazione di vita, l’idea di una vita immortale, che continua anche dopo la morte, è totalmente estranea al pensiero omerico: l’unica forma di immortalità ammessa è quella del ricordo dell’eroe – delle sue azioni e della sua fama – che permane nella mente dei posteri.
Omero quindi ignora l’anima e non conosce il corpo come mero segno fisico di trascendenti significati psichici: è interessante notare che i termini greci di riferimento, soma e psyche sono presenti nei poemi omerici, ma con significati ben diversi da quelli della filosofia platonica.
Soma indica il cadavere, il corpo esanime, la salma; psyche, come ho già detto, indica invece l’ultimo respiro che riguarda un corpo che è cadavere o che sta per diventare cadavere.
L’uomo omerico non conosce quindi l’anima in senso unitario: nei poemi omerici manca una rappresentazione sinottica delle forze e dei fenomeni psichici: i termini che riguardano la vita spirituale dell’uomo si riferiscono a determinati gruppi di dati di esperienze della vita interiore, come sentimenti, esperienze volitive, aspirazioni, tendenze passionali...
Nei poemi omerici esistono diversi termini per comprendere la vita spirituale dell’uomo; accanto a psyche ( che significa l’immagine del morto priva di coscienza e di intelligenza) , compare il termine “cuore” (kradie, ker, etor) che indica sia l’organo fisico sia una funzione con cui l’io può intrattenere un complesso rapporto ( Iliade, X, vv. 93-95, III, vv. 59-64, Odissea, XX, vv. 9-30).
Thymos viene invece utilizzato per esprimere l’intera vita emotiva dell’uomo (questo termine ha il significato generale di animo ) tanto che il tipo di conoscenza connesso ad esso è sempre collegato con il sentimento e con la passione ( cfr. per esempio, Iliade, III, 139-140, VI, 447-449). Accanto a queste due espressioni, la vita spirituale è descritta anche attraverso altre due espressioni: phrenes (phren) che esprime sia un organo fisico, sia sentimenti, sia ciò che è connesso con la mente, e voos ( Iliade, VIII, 71-81, oppure XVI, 688-690) che è l’intelligenza da cui derivano pensieri chiari.
L’anima in Omero gode così di ben poca autonomia rispetto all’elemento corporeo, anche nell’Ade deve per esempio bere il sangue per riacquistare memoria degli eventi terreni( cfr. Odissea, XI, 98-99): la sua funzione è talmente connessa alla corporeità che la stessa etimologia presente nella parola psyche la richiama.
Psyche deriva da psychein e significa respirare, spirare, e questo respiro è qualcosa di fisico, che finché l’uomo è in vita, vive con lui, ma senza identificarlo .
In Omero inoltre non si parla di un dissidio dell’anima, come non si può parlare di un dissidio dell’occhio o della mano, e non esistono nemmeno sentimenti opposti in sé ( solo Saffo parlerà del “dolce-amaro” Eros).
Funzioni del corpo e funzioni dell’anima non si distinguono sostanzialmente dalle funzioni del corpo, e ciò perché per l’uomo omerico il corpo non è l’esecutore delle decisioni dell’anima, ma è autore di quei sensi che emergono dalla situazione in cui si trova ad operare.
La natura dell’uomo omerico non è quindi caratterizzata dall’unità di anima e corpo: l’uomo omerico è un tutto che si identifica con la sua azione.
In generale, quindi, in Omero psyche mantiene la funzione di principio animatore del corpo vivente, ed è connessa ai suoi fluidi vitali come l’aria inspirata, il sangue, lo sperma; si perde, in questo contesto, qualsiasi interesse per un eventuale destino dell’anima dopo la morte.
Bisogna indagare quando fa la comparsa sulla scena culturale greca l’anima così come verrà intesa da Platone e rielaborata nei suoi dialoghi.
A partire dal VI secolo a. C. gruppi legati ad esperienze mistiche come l’orfismo e il pitagorismo avevano assunto l’anima a protagonista della moralità religiosa, distanziandosi così dall’immagine fisiologica tradizionale che rappresentava la psyche come mero principio di vita del corpo , strettamente connesso ai suoi fluidi organici .
Per quanto riguarda l’origine delle principali credenze orfico-pitagoriche, Erodoto ricorda che esse hanno una matrice egizia(2.123).
Le credenze orfico- pitagoriche - fortemente legate ad esperienze concrete di trance estatica che permetterebbero una temporanea fuoriuscita dal corpo dell’elemento psichico- elaborano un “pensiero forte” dell’anima, in quanto essa viene assunta a protagonista della moralità religiosa: l’anima é concepita come un essere incorporeo ed immateriale, in origine simile al divino, un demone che a causa di una colpa (amartema) morale - commessa in qualche episodio della sua esistenza immortale- può rischiare l’allontanamento dalla dimensione divina e l’immissione penosa nella sfera dell’esistenza corporea.
L’anima demone allora attraversa una serie di reincarnazioni in corpi di diversa dignità; il corpo é la punizione che la psyche deve scontare a causa della sua colpa, ma é anche il più grande impedimento al ritorno ad una condizione divina.
Da questo punto di vista, é possibile interrompere il ciclo delle reincarnazioni, ritornando presso la divinità, attraverso un progressivo e radicale allontanamento da tutto ciò che ha a che fare col corpo e con le sue esigenze: un’assidua pratica di purificazione permette all’anima di interrompere i legami col corporeo e l’esercizio dell’astensione ascetica (minuziosamente e rigidamente regolamentata dai pitagorici) garantisce una superiorità rispetto alla contaminazione propria dell’esistenza.
Questo nuovo sistema di credenze inaugura una concezione dualistica dell’uomo ( poi ripresa e corretta da Platone) che identifica l’uomo nella sua anima ed oppone l’anima al corpo, tomba dell’anima.
Queste esperienze religiose sono caratterizzate da una natura molto forte, che ha come scopo quella di trasformare radicalmente l’esistenza individuale e collettiva: esse producono infatti comunità (gli orfici sono sacerdoti itineranti accumunati dal riferimento ai libri sacri mentre i pitagorici formano una setta coesa che a Crotone si concretizza in una influente oligarchia politico-religiosa), aggregazioni, forme di vita che sono liberamente scelte e che si pongono come autonome rispetto all’ordine sociale, ordine che rifiutano totalmente.
Il rifiuto è opposto in primo luogo alla polis e alla religione ufficiale da essa veicolata; più ancora, il rifiuto è indirizzato contro il violento mondo della politica, contro la violenza che la città ha ereditato dal mondo degli eroi, contro la temporalità che lo definisce ed organizza, contro, soprattutto, il sistema della corporeità segnato dalla morte e generato da una colpa originaria.
Questa colpa originaria è simboleggiata secondo l’antropogonia orfica dall’uccisione di Dioniso da parte dei Titani.
Esiste un proto-assassinio che marchia l’umanità intera, quello che i Titani compiono su Dioniso fanciullo, per poi sbranarlo, bollito ed arrostito, in un atroce proto-sacrificio.
Dalle ceneri dei Titani, colpiti per vendetta dal fulmine di Zeus, sarebbero nati gli uomini, una razza erede del primo phonos e al tempo stesso della sua punizione.
Il rifiuto di ogni forma di uccisione sta alla base del settarismo orfico-pitagorico: in esso è visto il passo decisivo per la liberazione dalla contaminazione che, a partire dal gesto dei Titani, ha coinvolto l’intera umanità.
Quindi, l’uscita da questa esistenza disperata si può trovare solo fuori dal tempo, dalla città, e fuori dalla corporeità, attraverso progressive amputazioni: il soggetto finale, salvo e felice, sarà così impolitico, immortale, incorporeo.
L’anima orfico-pitagorica nasce quindi dal bisogno di oltrepassare la situazione presente avvertita come limite, e quindi la condizione corporea che è inscritta irrimediabilmente in questo limite.
Nel dialogo platonico Fedone parlare dell’anima significa misurarsi sia con una netta opposizione che tra anima e corpo, sia con la concezione della filosofia come melete thanatou, “cura della morte” (80c-81a).
Nel Fedone compare una radicale polarità tra anima e corpo, dichiarata apertamente da Socrate sin dall’inizio: da una parte l’anima, che deve impegnarsi in vita a purificarsi da ogni passione legata al soma per poter finalmente raggiungere , dopo la morte, ciò che le assomiglia (cioè ciò che é invisibile, divino, immortale ed intelligente); dall’altra il corpo, un vero e proprio carcere-phroura (62b) -nel quale l’anima é imprigionata-, un impedimento che non permette all’anima di ragionare nel modo migliore (65c) e di acquistare così la verità e l’intendimento (aletheian te kai phronesin 66a).
Tutti i veri filosofi sono facilmente disposti a morire in quanto riconoscono che l’anima In questo dialogo, inoltre, si afferma che il vero filosofo desidera solo morire perché la filosofia deve essere intesa come una completa preparazione alla morte (60c-62c): dice Socrate che il vero filosofo ha un atteggiamento coraggioso di fronte alla morte, in quanto in vita il suo costante esercizio é “un esercizio a morire”.
legata al corpo é come incatenata: essa può attingere all’essere, al vero, solo”cercando di rimanere sola con se stessa” (65d) cioè solo tentando di purificare e di rimuovere le incrostazione negative causate dai vincoli corporei (69d-82b-c).
Allora colui che ama la conoscenza ed il sapere (cioè il filosofo) deve vivere la sua esistenza come una completa preparazione alla morte, deve staccarsi dal coinvolgimento col mondo empirico, dalla dimensione del divenire, per potersi così aprire al mondo della verità e del bene (66d-e).
E’ dunque assurdo temere la morte, anzi bisogna incamminarsi molto serenamente verso di essa: il vero filosofo non si addolora di abbandonare questo mondo fatto di banalità e di falso sapere, perché sa che solo nell’aldilà potrà incontrare”la saggezza nella sua purezza” (68b).
In attesa della morte, la filosofia diventa un esercizio di liberazione da tutto ciò che é corporeo.
Il filosofo é in questo testo colui che in questa vita tende ad identificarsi con la propria anima, il principio dell’intendimento, e di conseguenza é colui che sa che i valori etico-spirituali ( che appunto riguardano l’anima) sono superiori a quelli materiali e corporei: l’anima é il luogo della razionalità e dell’intelligenza, l’organo grazie al quale l’uomo può giungere a comprendere la realtà intelligibile e immateriale.
Nel corso del dialogo, dunque, Socrate mostra la necessità della morte per la conquista della verità e la realizzazione della perfetta virtù: tali obiettivi sono realmente raggiungibili dopo la morte in quanto l’anima é immortale, ed inoltre é eterna ed incorporea, proprio come l’oggetto più importante della sua conoscenza, le idee.
Nel Fedone proprio l’immortalità dell’anima, più volte affermata e spiegata agli increduli astanti da Socrate(70a-81a, 100b-108c), é un’ottima terapia che riesce a vanificare la paura della morte: infatti, riconoscere la centralità dell’anima nella vita di ogni individuo significa eliminare il timore che la propria anima svanisca e sia dispersa dai venti al momento della morte( 83e-84b)e significa ricordare la necessità di mantenere(già a partire da questa vita) le distanze da tutto ciò che é corporeo, radice ultima di ogni male: “e poi esso (il corpo) ci riempie di amori e di passioni e di paure e di immaginazioni di ogni tipo e di un mucchio di futilità, dimodochè proprio davvero, per colpa sua mai, ci é possibile nemmeno, come si dice, pensare alcuna cosa” (66c).
Platone nel Fedone rielabora la riflessione orfico-pitagorica sull’anima, individualizzando e moralizzando la vicenda della psyche e collegandola alla posizione del Socrate storico (l’anima é prima di tutto la sede dell’intelletto e della coscienza e soggetto delle azioni e dei valori morali): il carattere di demone sovraindividuale dell’anima viene trasformandosi nel fondamento della soggettività morale proprio quando Platone sposta l’attenzione sul momento in cui l’anima commette una colpa, o si salva durante una singola vita corporea.
L’anima é ormai individualizzata nel rapporto univoco con un corpo e con una vita.
Nel Fedone, l’insistenza socratica nella descrizione della lotta senza sosta tra anima e corpo testimonia proprio l’accoglimento di questa vecchia ed illustre tradizione: l’unione dell’anima divina e immortale con ciò che é mortale e terrestre -il corpo- produce una netta contrapposizione tra ciò che é puro e ciò che é impuro. Si impone allora come assolutamente necessario azzerare e censurare le terribili spinte passionali provenienti dal corpo: salvezza e purificazione sono possibili solo con “lo scioglimento e la separazione dell’anima dal corpo” (67d), cioè con la morte.
Solo chi é amante del sapere (82b-c) cioè solo chi ha coltivato la vera filosofia e se ne é andato dal corpo puro, può giungere al suo simile , cioè al “genere degli dei “ .
L’anima non purificata rimane legata al corporeo, anche dopo la morte:per questi motivi i filosofi si tengono lontani da tutte le passioni del corpo, dominandosi e non abbandonandosi ad esse; la loro virtù non viene dalla paura di perdite materiali (come chi é interessato agli averi), nè dal timore del disonore (come gli ambiziosi) (82c).
Dunque, nel Fedone il discorso sull’anima si collega alla caratterizzazione del filosofo ed all’essenza del filosofare.
Il filosofo é sempre in questa vita prigioniero di un carcere, di una tomba (sema), il proprio corpo.[iv]
La filosofia in quest’ottica cerca (e trova) la liberazione dell’anima mentre mostra l’inganno dei sensi ed invita l’anima ad isolarsi in se stessa, ricordandole che niente di ciò che é sensibile e visibile é vero; l’anima del filosofo deve così allontanarsi dai piaceri e dai dolori, passioni che sono come chiodi che inchiodano l’anima al corpo e ve la conficcano e la rendono corporea, inducendola a credere che “ siano vere quelle cose appunto che anche il corpo dice vere “ (83d).
In questo dialogo , inoltre, si può affermare che il filosofo sconfigga la paura della morte (cfr. per esempio 64a, 67e, 68b), in quanto solo nella morte la sua anima si libera di ogni male umano, raggiungendo finalmente ciò che le è simile.
Significative, a questo proposito, sono le ultime parole pronunciate da Socrate nel Fedone: ”mio caro Critone, siamo in debito di un gallo ad Asclepio;dateglielo e non ve ne dimenticate” (118a). Chi era guarito da una malattia offriva un gallo ad Asclepio: solo in punto di morte, Socrate si sente guarito da un terribile nosos (la malattia della vita e degli istinti del corpo mortale) poiché sa che la vera salute e la vera forza sono associate a quella realtà intelligibile che il filosofo può raggiungere solo grazie alla morte.
Nel mondo greco la dinamica passionale era rappresentata generalmente da un sistema di pulsioni che conteneva, per esempio, il desiderio d’amore, la cupidigia di ricchezza e di potere, la paura paralizzante , ed aveva trovato una valida espressione tanto nella poesia lirica quanto nella tragedia del V secolo a.C.
Anche il sapere medico del V secolo offriva modi di pensabilità molto interessanti della malattia, sistematizzati e sfruttati in seguito dai filosofi per descrivere il difficile rapporto tra la passione ed il suo soggetto.
Ciò aveva permesso innanzitutto il compiersi di uno spostamento linguistico.
Il termine pathos ricorre abbastanza spesso in testi come Male sacro, Arie, acque, luoghi e Prognostico: é qui sempre in questione l’eventuale origine divina della malattia studiata da ogni singola opera.
In tutti questi casi pathos riflette una concezione arcaica della malattia, come aggressione divina o demoniaca.
Proprio il linguaggio medico “medicalizza” tale concezione tramite una spiegazione razionalistica del fenomeno in questione: l’effetto di tutto ciò é quello di tradurre un presunto pathos di origine divina in una nosos descrivibile e controllabile dal medico.
Il riflesso di questa trasformazione produce la sostituzione della coppia pathos/pathema con nosos/nosema.
La riduzione di pathos porta a concepire il pathos come una malattia a base naturale, e ciò significa deresponsabilizzare il malato: infatti, sparisce la dinamica colpa-espiazione e rimane solo il problema di una adeguata strategia medica per la prevenzione e la cura.
Inoltre, la passione può essere ora letta dai filosofi come una malattia; ciò produce la costruzione di due serie parallele(che possono essere o meno interagenti, come lo sono in Platone) di malattie somatiche e malattie psichiche: secondo Galeno, sarebbe stato Erasistrato (fr. 247 Garofalo) a formulare tale parallelismo, ma la compiuta riduzione della passione a malattia psichica é di matrice stoica ed é prodotta seguendo precisi modelli medici.
Proprio i medici fornivano precisi modelli eziologici degli stati morbosi, atti a comprendere e a descrivere l’insorgere della malattia.
Da una parte, la malattia (modello esogeno o del polemos) sorgeva quando il corpo cedeva ad elementi patogeni esterni (cibi, elementi atmosferici ...): questo modello bellico- agonistico permetteva ai pensatori di rappresentare la passione- al pari della malattia del corpo- come un cedimento, dovuto a debolezza, dell’anima alla pressione esterna , al suo irriducibile altro (corpo o ambiente sociale): Platone nel Fedone accetta questa concezione passivizzata del pathos , come affezione dell’anima ad opera del corpo. Dall’altra parte, il secondo modello dell’eziologia medica (modello endogeno o della stasis) non descriveva più una guerra tra interno ed esterno, ma un conflitto patogeno fra organi e fluidi corporei diversi, interno al corpo stesso.
In base a questo modello, per la riflessione filosofica la passione in questo caso sorgeva a causa di un dissidio interno all’anima stessa .
Dunque, poiché il soggetto in preda alla passione andava sempre più definendosi come frammentato, perturbato, privo di controllo e di equilibrio, era necessario il ricorso a strategie di governo delle passioni.
Accanto ad un tentativo di autocontrollo del materiale emozionale imposto dalla polis (lo slancio di passione, dal punto di vista delle poleis risultava pericoloso e destabilizzante per gli equilibri interni faticosamente raggiunti) che si estrinsecava nel praticare una disciplina di equilibrio interiore, la sophrosyne, esisteva anche la risposta del puritanesimo religioso di matrice orfico- pitagorica che proponeva una soppressione ascetica della corporeità e delle sue passioni.
Platone nella Repubblica elabora una nuova teoria dell’anima per far spazio in essa ad istanze che nel Fedone venivano addossate alla negativa corporeità: il discorso sull’anima si intreccia così con il discorso platonico sulle passioni.
Già l’esperienza tragica del V secolo aveva decretato il fallimento della concezione dell’anima come fondamento puro di una soggettività morale autonoma: i personaggi della tragedia ben rappresentavano il disagio di aver scoperto che la passione agisce dentro l’anima stessa e ne travolge prepotentemente la ragionevolezza. Eroine euripidee come Medea e Fedra hanno infatti un’anima inquieta e tormentata: Medea per esempio - che dichiara apertamente (v.1078 sgg.) di saper di star per compiere azioni malvagie, progettando di uccidere , per vendetta, addirittura i propri stessi figli- sa che dentro di lei la passione sconvolge la sua volontà e ogni divieto morale, trascinandola verso una colpa insieme aborrita e voluta.
Euripide, come nota Dodds, ci mostra uomini e donne che affrontano inermi il mistero del male, non più cosa estranea che aggredisce dall’esterno la loro ragione, ma parte dell’essere loro.
Inoltre,anche nella tragedia greca si può analizzare il tema delle passioni[v]:nelle tragedie una passione in particolare, la paura, permea tanto il comportamento dei personaggi[vi] quanto l’attenzione degli spettatori ed é dovuta generalmente ad episodi di violenza che richiamano una morte innaturale o la rottura di un equilibrio.
In particolare, ponendosi al di fuori di quanto é quotidianamente lecito, la tragedia produce un’attesa di trasgressione che rende lo spettatore timoroso; l’accumulo di ansietà, di tensione e di paura si protrae sulla scena fino ad un momento culminante: lo spettatore diventa così instabile e meglio atto a partecipare emotivamente alle vicende che si rappresentano.
Egli infatti si rende conto che i personaggi sulla scena stanno vivendo il culmine risolutivo (krisis) di tutta la loro vicenda e ciò accresce evidentemente la tensione, esercitando un prepotente coinvolgimento proprio sul pubblico.
Questa concentrazione emotiva produce un disagio cui segue un sollievo.
All’esaltazione dell’emozione segue infatti il momento della ricomposizione dedicato al temperamento delle emozioni: l’ultimo segmento dell’azione drammatica conduce lo spettatore aldilà delle paure e delle ansie provate verso una situazione che si può definire di sollievo.
La paura dello spettatore viene stemperandosi grazie al recupero delle norme che regolano la vita sociale e dei giusti rapporti con la divinità.
Ciò può avvenire per esempio mimando sulla scena pratiche religiose tradizionali (per esempio l’esposizione di un cadavere) che rappresentano un elemento di rassicurante reidentificazione o attraverso l’uso del deus ex machina: l’apparizione del dio che segue ad un avvenimento traumatico garantisce l’inevitabilità della violenza accaduta (sottraendola ad un inquietante sospetto di casualità) e aiuta lo spettatore a riequilibrare e a ricontrollare le proprie emozioni.
Platone nella Repubblica elabora una nuova teoria dell’anima per far spazio in essa ad istanze che nel Fedone venivano addossate alla negativa corporeità: il discorso sull’anima si intreccia così con il discorso platonico sulle passioni.
Infatti, il filosofo nella Repubblica libro IV esprime la necessità di dare sempre maggiore importanza all’elemento affettivo: riconoscendo un fattore irrazionale nell’anima stessa, pensa ora il male morale in termini di conflitto psicologico (modello endogeno o della stasis).
La natura dell’anima viene ora ripensata come una pluralità ternaria di parti, analoga alla tripartizione dello stato.[vii]
In essa si riscontrano un elemento razionale (logistikon) che porta l’uomo a compiere dei ragionamenti, un impulso psichico (epithymetikon) che viene ora visto come la fonte dei desideri fisico corporei e una parte animosa (thymoeides) , cioè un impulso interiore che si pone nel punto medio fra i due e che ci spinge con forza verso una cosa o verso un’altra, privo di carattere razionale, ma nemmeno riducibile ai desideri materiali con cui può anche entrare in conflitto.[viii]
Passioni e desideri non sono più infezioni di origine estranea che é fondamentale recidere, ma sono rappresentati da specifiche istanze interne all’anima stessa: l’anima descritta nella Repubblica é infatti intrinsecamente passionale .
La teoria di scissione dello psichico proposta da Platone nella Repubblica rappresenta una grande novità rispetto a quanto affermato nel Fedone tanto che strategie di controllo delle passioni basate su una soppressione ascetica delle pulsioni corporee perdono visibilmente di significato; il conflitto non coinvolge più anima e corpo , ma si svolge interamente tra le diverse istanze in cui é articolata l’anima,come affermato da Platone nel Filebo : “l’argomento ha mostrato che é la memoria che ci fa tendere verso gli oggetti del desiderio, e ha con ciò rivelato che appartiene all’anima ogni pulsione e desiderio (...) Quindi il ragionamento porta a escludere senz’altro che sia il nostro corpo a provar fame o sete o qualsiasi altra passione siffatta” (35d).
Le dinamiche psichiche della memoria e del desiderio sono qui concepite come la guida delle condotte passionali: fame e sete non provengono più dal corpo ma dalla memoria che l’anima conserva del passato soddisfacimento di questi bisogni e dal desiderio che essa prova di ripetere questa esperienza di piacere.
La svolta platonica sulla teoria dell’anima mostra anche come sia inadeguata, troppo semplificata ed ottimistica la concezione della realtà psichica proposta dall’intellettualismo socratico, che afferma la natura esclusivamente intellettuale dell’errore morale (se tutti desiderano il bene, l’errore deriva da una valutazione sbagliata sulla sua natura); secondo il Socrate del Protagora (352a-c sgg.), la maggior parte della gente pensa che piaceri e dolori siano gli unici moventi delle azioni: é invece possibile teorizzare una “arte metretica”, una sorta di saggezza (phronesis) che consenta di scegliere equilibratamente fra piaceri e dolori, evitando così sia la tirannia di thymos sia quella della paura (phobos).
Nella Repubblica, quindi, il conflitto intrapsichico diventa ricomponibile poiché le passioni rappresentano un materiale psichico, situate in uno spazio omogeneo alla ragione.
Questo conflitto viene trasformato in una politica dell’anima che permette di raggiungere equilibri soddisfacenti (anche se sempre precari): la parte razionale deve ottenere, grazie all’alleanza dell’elemento animoso, il primato sulla sfera irrazionale e bramosa , che se ben educata può interiorizzare la repressione e accettare le censure imposte dalla ragione.
L’anima tripartita possiede dunque un grande potenziale energetico che deve essere sublimato, cioè convertito al servizio di finalità superiori, la realizzazione di giustizia proprio nell’anima stessa. Giusta é quell’anima che risulta dall’armonica sinergia delle tre facoltà: tale equilibrio si attua quando alla ragione sono razionalmente subordinati lo thymos e la sfera dei desideri.[ix]
Ma se la giustizia nell’anima é garantita dal fatto che ogni parte svolge interiormente il proprio compito, l’ingiustizia si ha quando si realizza il disaccordo tra queste tre parti.
Proprio come l’ingiustizia nella polis é una forza disgregante la società , l’ingiustizia nell’anima-che procura “la confusione ed il disorientamento delle nostre facoltà”- genera tutti i vizi (444a-b).
Politicizzando l’anima , Platone compie anche un’ulteriore innovazione:le funzioni dei gruppi sociali vengono lette ora attraverso la nuova struttura della psyche, e corrispondono alla sua articolazione tripartita.
Come nell’anima, anche nella città una corretta strategia educativa permette di approdare all’interiorizzazione del consenso nei confronti della gerarchia giusta delle funzioni e dei poteri .
Nel Timeo, Platone prende in considerazione quella corporeità che in Repubblica era stata esclusa o comunque collocata sullo sfondo; la connessione anima-città sviluppata nella Repubblica permette a Platone di ripensare il rapporto anima- corpo, la cui relazione può essere ora spiegata attraverso la metafora politica..
Sulla base della tripartizione della Repubblica, il Timeo prospetta una ben precisa collocazione somatica delle facoltà in cui l’io umano risulta scisso, producendo così un modello di integrazione di tutto il complesso psicofisico.
Ma se l’anima é ora somatizzata, il corpo non rappresenta più una materia ostile ma viene a sua volta psicologizzato.
Il soma é infatti concepito come una struttura dinamica e conflittuale, la cui educazione e buon governo sono indispensabili per raggiungere determinati equilibri all’interno dell’anima.
Nel Timeo Platone afferma che solo la parte razionale dell’anima é davvero immortale, perché é quella che gli dei creati e subalterni hanno ricevuto direttamente dal demiurgo (69c) con il compito di formare intorno ad essa il corpo mortale: ma dentro al corpo é possibile osservare un’altra specie di anima, quella mortale, che ha in sé terribili ed inevitabili passioni.
Avendo paura di contaminare il divino, gli dei creati- spiega Timeo- collocarono il mortale in un’altra dimora del corpo: mentre l’anima immortale e razionale é contenuta nella scatola cranica, “nel petto e in quello che si chiama torace essi collocarono la specie mortale dell’anima” (69e), separata dalla testa grazie ad una specie di istmo costituito dal collo.
Tuttavia Timeo prosegue osservando che la specie mortale é a sua volta suddivisa in due, in quanto una parte di essa ha natura migliore e un’altra parte ha natura peggiore; perciò gli dei creati “barricarono la cavità del torace” (69e), ponendovi nel mezzo il diaframma.
Quella parte di anima che partecipa del coraggio e dell’ira, ossia l’anima irascibile di Repubblica, viene collocata tra il collo ed il diaframma, più vicina alla testa: essa é la migliore delle due parti irrazionali della psyche e viene dunque installata nel torace, cioè nella regione del cuore e del sangue che ne scaturisce.
Al fine di mantenere l’ordine nel complesso psicosomatico, lo thymos e il suo strumento corporeo, il cuore, devono obbedire ai comandi provenienti dal cervello, cioè dalla ragione, ed esercitare così una giusta repressione sulle parti dell’anima inferiori ed estremamente deteriori.
Lo thymos/cuore, vero e proprio strumento repressivo, é collocato nel posto di guardia dell’organismo: grazie a questa distribuzione somatica, questo principio reattivo e competitivo può aiutare la ragione a reprimere con forza “la razza delle passioni “ (70a) , ”qualora esse non acconsentissero ad ubbidire in nessun modo alla ragione e al comando dell’acropoli”.
Infine, la terza parte dell’anima, l’anima appetitiva, costituita dal mondo dei desideri insaziabili, legati alla corporeità (desideri di cibo, bevande, sesso, 70d-71a) é collocata nei visceri e negli organi del sesso: “e la legarono qui come una bestia selvaggia, che , però, era necessario nutrire, essendo con noi congiunta se pure la stirpe mortale deve esistere”: inoltre, proprio grazie ad una tale dislocazione, questa parte dell’anima reca minimo turbamento e permette alla parte migliore dell’anima di deliberare con tranquillità intorno a ciò che giova a tutto il corpo nel suo insieme e nelle sue singole parti.
E’ bene osservare che la suddivisione della psyche proposta dal Timeo presenta una netta contrapposizione tra il principio dell’immortalità - che viene riservata solo all’elemento razionale dell’anima (determinato dall’unione con il corpo al momento della “prima nascita”), ed il principio mortale, con cui coincide peraltro il mondo tumultuoso delle passioni.
Il discorso platonico svolto nel Timeo produce una accentuata integrazione psicofisica che permette di rileggere il problema dei rapporti tra anima e corpo secondo un’impostazione ben lontana dalla fuga mistico -ascetica.
Il corpo é ora pensato come uno strumento finalizzato allo svolgimento delle funzioni dell’anima, ed é interpretabile secondo la potente metafora politica, già dominante in Repubblica: esso risulta - proprio come l’anima - suddiviso in una serie di parti capaci di collaborazione ma anche di conflitto ed é addirittura possibile una terapia incrociata degli elementi patogeni dell’anima e del corpo.
Infatti radice ultima del male psichico, delle passioni, non é il corpo, ma é l’anima che si trova nel corpo.
Tuttavia, se il corpo ha natura troppo eccitabile può recare grossi disturbi all’anima: quando umori acri e dannosi, dopo aver vagato nel corpo e non essere riusciti a trovare una via d’uscita, si mescolano con il movimento dell’anima, producono malattie per l’anima stessa, più o meno gravi, e più o meno numerose.
Queste malattie provocano nelle tre sedi dell’anima forme di scontentezza e di afflizione(87a); inoltre, nessuno- come dice il principio socratico- commette il male volontariamente, poiché la causa della malvagità consiste in una cattiva disposizione del corpo e in una scorretta educazione.
La stretta interazione tra malattia somatica ed affezione psichica é dunque evidente in questo passo: le passioni sono dette malattie dell’anima, ma si ricorda che sono causate, simultaneamente, da una cattiva costituzione del corpo.
Nel quadro di un progressivo riavvicinamento tra corpo ed anima, già evidente nel Timeo, il benessere psichico e morale non deriva soltanto da una corretta educazione dell’anima, ma anche da un misurato equilibrio nel rapporto tra anima e corpo.
Il discorso platonico produce a questo proposito un programma integrato che coinvolge allevamento, terapeutica ed educazione filosofica, il cui documento principale é proposto dalle Leggi libro VII.
L’educazione che deve coinvolgere tutti i cittadini delle Leggi riguarda tanto il corpo quanto l’anima poiché le parti inferiori dell’anima possono agire sul corpo che a sua volta può danneggiare le funzioni psichiche: l’educazione filosofico- politica unita ad un rigido controllo di ogni fase della vita dell’individuo, a partire addirittura dal suo concepimento (Platone suggerisce che le donne incinte si sottopongano al movimento, finalizzato a favorire il miglior sviluppo corporeo del nascituro, e delinea le modalità migliori per allevare un neonato) assicurano una perfetta collaborazione tra anima e corpo.
Come si può notare, il tipo di paideia cui deve essere sottoposto, secondo Platone, l’intero corpo sociale induce a ritenere che nessuno possa sottrarsi agli importantissimi momenti formativi e coesivi che la città predispone e deriva dal pessimismo antropologico espresso dal filosofo sin dai primi passi delle Leggi.
Infatti, tutta la riflessione politica svolta in questo testo richiama una concezione ben precisa della vita umana .
Come nota Dodds[x], nelle opere tarde Platone, dopo aver accantonato il sogno praticamente irrealizzabile di una polis dominata da re- filosofi, appare più attento alla psicologia dell’uomo medio, in quanto ha riconosciuto l’influenza -persino sui filosofi- dell’elemento affettivo sulla condotta umana normale.
L’uomo medio descritto da Platone nelle Leggi é dunque ben lontano dagli uomini eccezionali dotati di eccezionali possibilità che comparivano in Repubblica: ora, infatti, l’individuo é paragonato (644d sgg.) ad una marionetta, ad un burattino “costruito dagli dei, non si sa se per gioco o per qualche serio motivo”, che si muove convulsamente, comandato da un burattinaio che tira i fili legati al suo corpo.
L’equilibrio morale dell’uomo é così rappresentato dall’agire disordinato del fantoccio; inoltre, nell’anima dell’uomo si fronteggiano due antagonisti, la ragione e le passioni, paragonati rispettivamente ad un filo d’oro, prezioso e duttile, e ad un filo di ferro, duro e rigido, che trascinano di qua e di là l’inerme pupazzo.
Anche la dinamica passionale , a sua volta, viene rappresentata come scontro fatale tra due principi psichici basilari, piacere e dolore, “due consiglieri di carattere opposto, ma ambedue privi di ragione”.
A questi due sentimenti vanno poi aggiunti i giudizi opinabili su ciò che sarà; questi ultimi possono chiamarsi in senso lato “aspettativa” e in senso specifico sono detti “paura”quando l’aspettativa é rivolta ad un male e “speranza” (elpis) quando si rivolge al suo contrario.
Platone qui enuncia chiaramente la matrice di quella tassonomia nosografica delle passioni che sarà successivamente sviluppata dalla complessa analisi stoica sul materiale emozionale.
Dunque, all’origine si trova la coppia piacere/dolore: “con l’aggiunta della dimensione temporale del futuro, essa produce la seconda coppia desiderio/paura, che sono rispettivamente attesa di piacere e di dolore”.
Le Leggi conducono, quindi, ad una bipartizione dell’anima; la parte razionale si oppone, infatti, ad una polarità irrazionale e passionale priva di quelle differenze interne accolte tanto da Repubblica quanto dal Timeo.
Il lungo cammino che ha portato ad esaminare alcuni tra i più importanti passi delle opere platoniche, nel tentativo di mostrare come, nel pensiero del filosofo convivano posizioni differenti riguardo l’anima e i suoi rapporti con il corpo, ha condotto ad osservare anche che le passioni sono un impulso irrazionale che proviene da dentro di noi, genera malattia, provoca ingiustizia e sovverte l’ordine della nostra anima.
Ma queste passioni non possono essere estirpate fino in fondo, sembra suggerirci il filosofo nell’opera della vecchiaia, ma solo controllate, poiché non possono essere estirpati né il dolore né il piacere, componenti ineliminabili della vita di ogni uomo: l’evoluzione della teoria dell’anima in Platone mostra chiaramente come la linda e lucente razionalità propria del filosofo che agiva nel Fedone non sia concretamente possibile; bisogna convivere con la passione, questo nosos, cercando di attenuarne -per quanto umanamente possibile- i terribili effetti, ricordando comunque che l’origine delle passioni alberga sempre in noi, nella nostra anima: il dolore e il piacere ci accompagnano sempre e sono come un silenzioso monito che ci rammenta, infine, la nostra dolorosa condizione di uomini.
Lo studio dell’evoluzione della teoria dell’anima nel pensiero antico mostra la necessità di concepire corpo e anima non più divisi ed irrimediabilmente contrapposti; l’ultimo testo platonico analizzato, Le Leggi, risolve il difficile rapporto tra soma e psyche affermando che l’essere umano è composto tanto di un organismo fisico complesso, quanto di un’anima mentale, spiegando e giustificando in termini filosofici la tendenza comune ad identificare le emozioni provate in base a sensazioni fisiche ( “ho il cuore in gola”).
Il percorso affrontato porta cioè gli studenti a comprendere che il corpo è sfondo ineliminabile degli eventi psichici; inoltre, lascia intravedere ( anche grazie ai raccordi interdisciplinari) come, nel discorso filosofico, erede dell’anima sia la mente e la ragione e come il rapporto anima-corpo si evolva nel rapporto tra la ragione ed il mondo naturale e materiale.
[i] Fulvio Papi,Capire la filosofia, Como-Pavia, 1993
[ii] Fulvio Papi, op.cit., pag. 41
[iii] A questo proposito si veda U. Galimberti, Gli equivoci dell’anima, Milano 1987
[iv] Noto che il tema del carcere e delle catene si trova in tutta la prima parte del Fedone:in un carcere é imprigionato Socrate mentre attende di morire(57a, 58c, 59 d);da una catena(desmos, 60c)fisica viene liberato la mattina del suo ultimo giorno di vita; ma il vero carcere e le vere catene per il filosofo sono i vincoli corporei che imprigionano l’anima( 67d, 81e, 82e, 92a).
[v] Per un’analisi della tragedia greca, si veda: H. C. Baldry, I greci a teatro, Roma-Bari, 1998 e D. Lanza, La disciplina dell’emozione, Milano, 1997.
[vi] D.Lanza , La paura di Edipo, in Id., op. cit.(n. 18), pp. 200-210:emblematica , a questo proposito, la paura dell’Edipo sofocleo.”Ma io sono sempre
sottomesso alla paura”(Edipo re ,974):nella tragedia possiamo rintracciare diversi tipi di paure, che contribuiscono -insieme all’omogeneità del tessuto drammatico che non prevede strappi musicali, movimenti concitati o bruschi mutamenti di registro scenico-a creare un potente effetto terrifico.La prima paura che si manifesta é quella del coro(151-153 , 483-485) e rappresenta la paura davanti al rivelarsi della divinità:l’oracolo é minaccioso, non il suo vaticinio.
Ben diversa é la paura che prova Tiresia.Tiresia non ha timore dell’aggressivo Edipo, ma la sua paura (che é provata anche da Giocasta e dal pastore che aveva portato Edipo bambino sul Citerone)é la paura della verità,la paura che Edipo giunga a sapere chi egli veramente é.
Riconosciamo poi anche la paura di Laio che é paura di una specifica parola del dio Apollo, ossia l’annuncio della sua discendenza parricida.Anche Edipo (temuto già prima di nascere) ebbe da Apollo il medesimo annuncio, e anche Edipo ne teme la realizzazione: ma la paura di Edipo é vana poichè l’oracolo si é già compiuto.Edipo tuttavia commette un grosso errore:le sue azioni non sono infatti mai indirizzate a capire, ma a sfuggire alla paura-che é come un perpetuo terrore-suscitata dall’annuncio del dio.Di fronte all’oracolo, Edipo non si pone mai conoscitivamente ma é solo preoccupato di accettarlo come minaccioso precetto per vanificarlo.Egli vive di queste paure ed anche il suo farsi tiranno é visto come effetto della paura;Edipo si muove sul sottile crinale tra paura e conoscenza, tra il riconoscimento rassicurante di una realtà che é possibile descrivere ed indagare ed attesa del compiersi di un futuro che si cerca di scongiurare.Edipo é prossimo e temibile, provoca al tempo stesso tanto la comunanza della pietà quanto lo straniamento della paura.
[vii] M.Vegetti, ( a cura di ), La Repubblica - Traduzione e commento, Napoli, 1999, vol. III, pag.29.E’ bene ricordare che mentre la tripartizione politica é un modello teorico normativo, cioè é il risultato di un un’operazione condotta nel discorso, la scissione dell’io é una realtà psichica data che coincide con il conflitto tra un’istanza razionale ed una irrazionale(suscettibile, quest’ultima, di un’ulteriore divisione in base a livelli diversi di desiderio):l’esperienza quotidiana dello scontro tra desideri ed istanze censorie(437b sgg.,439e sgg.), l’uso linguistico corrente(430e sgg.),la conoscenza psicologica sedimentata nella letteratura(441b-c) confermano che la scissione dell’io é un dato di fatto centrale della realtà psichica.
[viii]F.Trabattoni, Platone, Roma-Bari, 2000,pag.195:in particolare,il trasferimento del mondo dei desideri dall’esterno(cioè dal corpo) all’interno dell’anima avrebbe potuto riproporre dentro l’anima stessa il medesimo dualismo rappresentato nel Fedone dal conflitto tra anima e corpo;con l’inserimento della parte animosa si aggiunge invece un importante fattore di mediazione che permette di descrivere in modo più adeguato la complessa natura della psyche umana che perciò non può più essere definita in base ad una lotta tra appetiti e virtù.
[ix] Platone osserva che tale giustizia(444d sgg.)costituisce per l’anima una sorta di salute:essa si ottiene,analogamente a quanto accade per produrre sanità nel corpo, disponendo gli elementi dell’anima in un sistema di dominanti e di dominati conforme alla natura.L’ingiustizia é invece una disarmonia che lacera queste condizioni di sanità e rappresenta per l’anima una malattia vera e propria : così accade anche nel corpo dove una confusione innaturale nei rapporti di subordinazione tra i suoi elementi produce lo stato morboso.
[x] E. Dodds, I greci e l’irrazionale, pag.252 e sgg.