Brano 7
LETTERA SULL'UMANISMO
Noi non pensiamo ancora in modo abbastanza decisivo l'essenza dell'agire. Non si conosce l'agire se non come il produrre un effetto la cui realtà è valutata in base alla sua utilità. L'essenza dell'agire è invece il portare a compimento. Portare a compimento significa: dispiegare qualcosa nella pienezza della sua essenza, condurre-fuori a questa pienezza, producere. Dunque può essere portato a compimento in senso proprio soltanto ciò che già è. Ma ciò che prima di tutto "è", è l'essere. Il pensiero porta a compimento il riferimento dell'essere all'essenza dell'uomo. Non che esso produca o provochi questo riferimento. Il pensiero lo offre all'essere soltanto come ciò che gli è stato consegnato dall'essere. Questa offerta consiste nel fatto che nel pensiero l'essere viene al linguaggio. Il linguaggio è la casa dell'essere. Nella sua dimora abita l'uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il portare a compimento la manifestatività dell'essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono. [...]
La determinazione del conoscere come atteggiamento "teoretico" avviene già all'interno dell'interpretazione "tecnica" del pensiero [...] La filosofia è perseguitata dal terrore di perdere in considerazione e in valore se non è una scienza. Questo fatto è considerato una deficienza ed è assimilato alla non scientificità. Nell'interpretazione tecnica del pensiero, l'essere, come elemento del pensiero, è abbandonato. La "logica" è la sanzione di questa interpretazione che prende l'avvio dalla sofistica e da Platone. Si giudica il pensiero con una misura ad esso inadeguata [...] Nella scrittura il pensiero perde facilmente la sua mobilità ma soprattutto riesce difficilmente a tenere quella specifica pluralità di dimensioni che è propria del suo ambito. A differenza di quanto accade nelle scienze, il rigore del pensiero non consiste semplicemente nell'esattezza artificiale, cioè tecnico-teoretica, dei concetti. Esso riposa nel fatto che il dire rimane puramente nell'elemento della verità dell'essere, e lascia dominare ciò che, nelle sue molteplici dimensioni, è il semplice.
Il pensiero, detto semplicemente, è il pensiero dell'essere. Il genitivo vuol dire due cose. Il pensiero è dell'essere in quanto, fatto avvenire dall'essere, all'essere appartiene. Il pensiero è nello stesso tempo pensiero dell'essere in quanto, appartenendo all'essere, è all'ascolto dell'essere. Appartenendo all'essere in quanto ne è all'ascolto, il pensiero è ciò che è in base alla sua provenienza essenziale. Dire che il pensiero è, significa dire che l'essere si è ognora preso a cuore destinalmente la sua essenza. Prendersi a cuore una "cosa" o una "persona" nella sua essenza vuol dire amarla, volerle bene. Pensato in modo più originario, questo voler bene significa donare l'essenza. [...]
Quanto si è detto [in Sein und Zeit] contiene il rinvio all'iniziale appartenenza della parola all'essere, rinvio pensato a partire dalla questione della verità dell'essere. [...] Sein und Zeit contiene un rinvio alla dimensione essenziale del linguaggio, toccando questa semplice domanda: in quale modo dell'essere il linguaggio è di volta in volta in quanto linguaggio? [...] La decadenza del linguaggio, di cui da qualche tempo si parla molto, anche se tardivamente, non è però il fondamento, ma già una conseguenza di quel processo per cui il linguaggio, sotto il dominio della moderna metafisica della soggettività, cade in modo quasi inarrestabile fuori dal suo elemento. Il linguaggio ci rifiuta ancora la sua essenza, che consiste nell'essere la casa della verità dell'essere. Il linguaggio si concede piuttosto al nostro semplice volere e alla nostra attività come uno strumento del dominio sull'ente.
La metafisica si chiude di fronte al semplice fatto essenziale che l'uomo si dispiega solo nella sua essenza in quanto è chiamato dall'essere. Solo a partire da questo reclamo, l'uomo "ha" trovato dove la sua essenza abita. Solo a partire da questo abitare, egli "ha" il "linguaggio" come dimora che conserva alla sua essenza il carattere estatico. Lo stare nella radura (Lichtung) dell'essere, lo chiamo e-sistenza dell'uomo. Solo all'uomo appartiene un tal modo d'essere. L'esistenza così intesa non è solo il fondamento della possibilità della ragione, ratio, ma è ciò in cui l'essenza dell'uomo conserva la provenienza della sua determinazione. [275] [...]
Ai vegetali ed agli animali manca il linguaggio perché essi sono ognora imbrigliati nel proprio ambiente, senza ma essere liberamente posti nella radura dell'essere che, sola, è il "mondo". Ma essi non sono legati al loro ambiente, privi di mondo, perché è negato loro il linguaggio. In questa parola "ambiente" urge tutta l'enigmaticità dell'essere vivente. Nella sua essenza il linguaggio non è l'espressione di un organismo, così come non è l'espressione di un essere vivente. Perciò esso non può mai essere pensato in modo adeguato alla sua essenza nemmeno in base al suo carattere di segno e forse neppure in base al suo carattere di significato. Il linguaggio è avvento diradante-velante dell'essere stesso. [279] [...]
Esperire in modo sufficiente e partecipare a questo pensiero diverso, che abbandona la soggettività, è reso peraltro più difficile dal fatto che con la pubblicazione di Sein und Zeit,la terza sezione della prima parte, Zeit und Sein, non fu pubblicata. Qui il tutto si capovolge. La sezione in questione non fu pubblicata perché il pensiero non riusciva a dire in modo adeguato questa svolta (Kehre) e non ne veniva a capo con l'aiuto del linguaggio della metafisica [...]
[passi tratti da M.Heidegger, Lettera sull'umanismo, in Segnavia, a cura di F.Volpi, Adelphi, Milano 1994, pp.267-315]