Brano 9
NESSUNA COSA E' LA' DOVE LA PAROLA MANCA
Le tre conferenze che seguono portano il titolo: l'essenza del linguaggio. Esse vorrebbero portarci alla possibilità di fare esperienza del linguaggio. Fare esperienza di qualcosa - si tratti di una cosa, di un uomo, di un Dio - significa che quel qualche cosa per noi accade, che ci incontra, che ci sopraggiunge, ci sconvolge e trasforma. Parlandosi di "fare", non si intende affatto qui che siamo noi, per iniziativa e opera nostra, a mettere in atto l'esperienza: "fare" significa qui provare, soffrire, accogliere ciò che ci tocca adeguandoci ad esso. Qualcosa che "si fa", avviene, accade.
Fare esperienza del linguaggio significa quindi: lasciarsi prendere dall'appello del linguaggio, assentendo ad esso, conformandosi ad esso. Se è vero che l'uomo ha l'autentica dimora della sua esistenza nel linguaggio, indipendentemente dal fatto che ne sia consapevole o no, allora un'esperienza che facciamo del linguaggio ci tocca nell'intima struttura del nostro esistere. In quanto parliamo il linguaggio, possiamo allora, in virtù di siffatte esperienze, essere trasformati sul momento oppure col tempo. Ora, per noi uomini di oggi, un'esperienza che facciamo del linguaggio è già fin troppo grande, forse, quando ci tocchi anche solo quanto basta a richiamare la nostra attenzione sul nostro rapporto col linguaggio e a serbarci poi memori di tale rapporto.
Posto dunque che ci venga posta a bruciapelo la domanda: in quale rapporto vivete con il linguaggio che parlate?, non ci troveremmo imbarazzati a rispondere: troveremmo subito un filo e una base per portare il problema su una strada sicura.
Noi parliamo il linguaggio. In quale altro modo possiamo essere vicini al linguaggio se non col parlare? Eppure il nostro rapporto con il linguaggio è indeterminato, oscuro, quasi incapace di parola. Dato questo strano stato di cose, non è facile evitare che ogni osservazione che si venga facendo al riguardo riesca sulle prime sconcertante e incomprensibile [...]
Fare esperienza del linguaggio è altra cosa dal procurarsi nozioni sul linguaggio. Scienza del linguaggio, linguistica e filologia delle diverse lingue, psicologia e filosofia del linguaggio sono le discipline che ci forniscono tali nozioni, ampliandone di continuo il campo, al punto che ne resta impossibile il dominio. La ricerca linguistica scientifica e filosofica mira, da qualche tempo, in modo sempre più deciso, a costruire ciò che viene chiamato "metalinguaggio". Giustamente, pertanto, la filosofia scientifica che si prefigge di costruire tale superlinguaggio intende se stessa come metalinguistica. Metalinguistica suona come metafisica; non soltanto suona come, ma è. La metalinguistica è infatti la metafisica della totale trasformazione tecnica di ogni lingua in semplice strumento interplanetario d'informazione. Metalinguaggio e Sputnik, metalinguistica e tecnica missilistica sono la stessa cosa.
Sarebbe del tutto infondato credere che s'intenda qui svalutare la ricerca scientifica e filosofica delle lingue e del linguaggio. Tale ricerca ha la sua legittimità e serba intatta la sua importanza. Essa fornisce sempre, a suo modo, cose utili a sapere. Senonchè altro sono le nozioni scientifiche e filosofiche sul linguaggio e altro un'esperienza che noi facciamo del linguaggio. Se il tentativo di portarci alla possibilità di una simile esperienza riesca, fin dove possa giungere l'eventuale riuscita per ciascuno di noi, nessuno di noi può saperlo o deciderlo.
Quel che resta da fare è indicare le vie che conducono alla possibilità di fare un'esperienza del linguaggio. Tali vie esistono da lungo tempo. Ma solo di rado vengono percorse in maniera che una possibile esperienza del linguaggio possa a sua volta giungere a dirsi. Nelle esperienze che facciamo del linguaggio è il linguaggio stesso che si fa parola. Si potrebbe pensare che ciò avvenga sempre in ogni parlare. In realtà, però, sempre che parliamo una lingua e comunque la parliamo, mai in ciò si fa parola il linguaggio per se stesso. Nel parlare le cose più svariate "vengono dette"; innanzitutto ciò che costituisce l'oggetto del discorso: una situazione, un avvenimento, un problema, un interesse. Solo per il fatto che nel parlare quotidiano il linguaggio non si fa parola, ma si trattiene piuttosto in se stesso, proprio solo per questo noi siamo in grado di parlare una lingua e, parlando, di trattare e di discutere di e su qualcosa.
Ma dove il linguaggio, come linguaggio, si fa parola? Pare strano, ma là dove noi non troviamo la giusta parola per qualche cosa che ci tocca, ci trascina, ci tormenta e ci entusiasma. Quello che intendiamo lo lasciamo allora nell'inespresso e, senza che ce ne rendiamo pienamente conto, viviamo attimi in cui il linguaggio, proprio il linguaggio, ci sfiora da lontano e fuggevolmente con la sua essenza.
Ma, quando si tratta di portare alla parola qualcosa di cui mai ancora si è parlato, tutto sta nel vedere se il linguaggio farà dono della parola appropriata o se, invece, la negherà. Uno di questi casi è quello del poeta. Un poeta può così giungere proprio a questo: a dover portare a parola, in modo autentico, che è quanto dire poetico, l'esperienza che fa del linguaggio [...]
[La poesia di Stefan George, Das Wort (La parola, 1919), dice:]
Meraviglia di lontano o sogno
Io portai al lembo estremo della mia terra
E attesi fino a che la grigia norna
Il nome trovò nella sua fonte
Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte
Ed ora fiorisce e splende per tutta la marca...
Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice
Con un gioiello ricco e fine
Ella cercò a lungo e [alfine] mi annunciò:
"Qui nulla d'uguale dorme sul fondo"
Al che esso sfuggì alla mia mano
E mai più la mia terra ebbe il tesoro...
Così io appresi la triste rinuncia:
Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca
Dopo le osservazioni che abbiamo premesso, saremmo tentati di soffermarci sul verso finale "Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca. Il verso porta infatti a parola la parola del linguaggio, il linguaggio stesso e dice qualcosa sul rapporto tra parola e cosa. Il contenuto del verso finale si può convertire in un'asserzione "Nessuna cosa è dove la parola manca". Là dove la parola manca si è insinuata una frattura, una demolizione [...] Non esiste cosa là dove manca la parola, la parola cioè che di volta in volta nomina le cose. Che significa 'nominare'? Possiamo rispondere: nominare significa dotare qualcosa di un nome. E che cos'è un nome? Una designazione che munisce qualcosa di un segno fonico o grafico, di una cifra. E che cos'è un segno? Un segnale? O un signum? Un contrassegno? O un cenno? O tutto questo e altro ancora? Ci siamo fatti molto pigri e molto "matematici" nell'intendimento e nell'uso dei segni [...]
E' il nome, è la parola un segno? Tutto dipende da che cosa intendiamo per "segno" e "nome" [...] La scopritrice del nome come il luogo del suo ritrovamento - norna e fonte - fanno qui sorgere qualche perplessità a intendere "nome" nel senso di semplice designazione [...] "Nome" e "parola" sono pensati nella poesia di Stefan George in senso diverso, più profondo, che non come semplici segni [...] Dobbiamo perciò sottolineare: nessuna cosa è dove la parola, cioè il nome, manca. E' la parola che procura l'essere alla cosa.
[da M.Heidegger, L'essenza del linguaggio, in In cammino verso il linguaggio, a cura di A.Caracciolo, Mursia, Milano 1990, pp. 127-131]