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Comunicazione Filosofica n. 14 gennaio 2005
IL SAGGIO BREVE NELLA DIDATTICA DELLA FILOSOFIA
DONATELLA PUZONE
2.
COME SI COSTRUISCE LA TRACCIA DI UN SAGGIO BREVE?
3. COME SI POSSONO PREPARARE
GLI ALUNNI ALLO SVOLGIMENTO DI
SAGGI BREVI?
4.
COME SI VALUTA UN SAGGIO BREVE?
5.
ALCUNI ESEMPI
-Hegel: Realtà e Razionalità 1
-Trattazione sintetica
sull’Illuminismo
-Trattazione sintetica da Waismann
-Trattazione sintetica su Aristotele ed Epicuro
-
Trattazione sintetica su Nietzsche
-Trattazione sintetica su Galileo
6.
GRIGLIE DI CORREZIONE
-Quesiti a trattazione sintetica
Scrivere è un’attività che procura molti vantaggi ed
evita molti danni.
Chiunque abbia familiarità col mondo della scuola si
può rendere conto che questo assunto (in sostanza valido per tutti) trova una
propria particolare verità e verificabilità per i giovani.
Essi appaiono oggi, per una serie di circostanze di
vario ordine, pericolosamente inclini a ciò che definirei tentazione
minimalistica: la tendenza -nella riflessione, nel linguaggio, nella concettualizzazione, nell’approccio ai problemi- alla semplificazione portata
all’eccesso, ad un “riduzionismo” che non rivela capacità di sintesi ma
approssimazione, banalizzazione, difficoltà a mettere a fuoco ed argomentare
punti di vista ragionati.
La nostra pratica didattica ci porta a constatare che
molto spesso gli alunni, anche i più capaci e volenterosi, soprattutto
all’inizio del triennio manifestano una singolare riluttanza ad esprimere in
forma compiuta le proprie riflessioni in ordine a problemi o tematiche generali
sollevati dalla lettura di uno o più testi
filosofici.
Per lo più essi tendono ad estrinsecare le proprie posizioni nella forma più essenziale,
magari senza andar oltre l’espressione di un generico assenso o dissenso e
senza precisare in modo analitico le ragioni del loro atteggiamento, che
pertanto viene letto e vissuto più come un dato epidermico, quasi di natura
emotiva, che non come il risultato di una elaborazione razionale e critica.
Lo studio della filosofia costituisce di per se stesso
un rimedio efficace per formare persone capaci di resistere alla tentazione e
magari di non più avvertirla, giacché
·
Sollecita la
riflessione
·
Induce ad una concettualizzazione
che si sottrae ad una visione parziale, limitata, contingente dei problemi
·
Rifugge
dall’ottica dell’immediato e dalle soluzioni semplicistiche, stimolando l’ampio
respiro di un interrogarsi che cresce su se stesso.
Il saggio breve come tipologia di scrittura, che la
riforma degli Esami di Stato del 1999 ha introdotto nelle scuole superiori,
costituisce una opportunità da non perdere per i docenti e gli studenti all’interno
dell’insegnamento della filosofia.
Questo tipo di esercizio riesce a rispondere ad
esigenze di diverso ordine, tutte, direttamente o in modo più mediato, legate alle finalità proprie dello studio
della disciplina.
Volendo schematizzare al massimo, si può affermare che
esso abitua gli alunni :
·
Ad una lettura
non superficiale
·
Ad una
riflessione sul testo dalla quale possa scaturire la capacità di cogliere la
pluralità degli stimoli che esso offre
·
Alla
concentrazione sulle peculiarità del linguaggio filosofico:
¨
Rigore terminologico
¨
Tenuta logica
¨
Ordine e coerenza
¨
Originalità della riflessione
¨
Apertura
¨
Organizzazione dei contenuti
¨
Coerenza argomentativa…
La pratica degli atteggiamenti sopra schematizzati
concorre a realizzare quello che
riterrei l’obiettivo più proprio del saggio breve, cioè la sollecitazione ad un
confronto del sé dello studente che legge con l’autore o gli autori, o
con un problema.
Sottoporre agli alunni un testo filosofico significa
comunque proporre uno stimolo; offrire alla loro riflessione passi di più
autori che hanno affrontato da ottiche diverse il medesimo argomento, o passi
diversi di un medesimo autore, che concorrano ad offrirne una panoramica ampia,
diviene una preziosa occasione di approfondimento e confronto critico.
La richiesta di
elaborare sull’argomento proposto un saggio breve che si avvalga dei passi
forniti in dossier e di ogni altra esperienza culturale richiede un impegno a
più livelli:
·
Comprensione del
senso generale
·
Comprensione di
sensi “ulteriori”
·
Confronto fra più
autori
·
Confronto fra gli
autori proposti in dossier ad altri conosciuti (ricerca di nessi aggreganti)
·
Riflessione
personale sul tema proposto
·
Precisazione -
messa a fuoco di una propria posizione,
maturata dalla riflessione
·
Esposizione
argomentata di tale posizione
Con ogni evidenza, un esercizio di tal
genere non può che giovare ai nostri studenti, non pochi dei quali, è bene
ricordarlo, giungono alle nostre cure adusi a considerare normale scrivere xkè
in luogo di perché e cmq in luogo di comunque.
COME SI COSTRUISCE LA TRACCIA DI UN SAGGIO BREVE?
Come si è
accennato, la traccia di un saggio breve
può concentrarsi su un autore o su un
problema.
Nel caso di saggio su un autore, si può operare una
selezione di passi di o sull’ autore in oggetto, che ne
offra una prospettiva sufficientemente ampia pur se non completa: così, ad
esempio, il saggio breve sull’attualità di Kant sottopone
all’attenzione degli alunni alcuni passi del filosofo (dalla Critica della
Ragion Pura, dalla Critica della Ragion Pratica, dal Progetto per
una Pace perpetua) ed uno sulla Critica del Giudizio condotto in
modo particolarmente suggestivo.
I brani sono stati scelti scientemente sulla base di
una loro rispondenza a temi di attualità o sempre attuali: il dovere, il bello,
la pace…, per cui l’interrogativo della traccia è in un certo senso ridondante,
e l’argomento proposto potrebbe tranquillamente essere sostituito con “Attualità
del pensiero di Kant” tout-court; tuttavia si è ritenuto che la forma
interrogativa conservasse maggiore apertura e mettesse in risalto anche la
possibilità di esprimersi in senso negativo, ovviamente motivando la propria
posizione “controcorrente”.
In entrambi i casi vengono comunque soddisfatte le
aspettative proprie dell’elaborazione di un saggio breve: comprensione, riflessione personale, confronto,
argomentazione ecc.: in questo caso, proporre l’argomento in forma interrogativa
o affermativa è equivalente; può al più ritenersi che la forma affermativa
induca a concentrarsi sull’argomentazione del perché di una tesi già
accettata, mentre quella interrogativa, sia pur espressa in un blando
interrogativo, richiede qualche considerazione in più sulla presentazione della
tesi stessa (il pensiero di Kant è attuale).
E’ importante che i passi selezionati siano, per così
dire, “avvincenti” che sollecitino cioè l’interesse (magari anche
attraverso provocazioni), e che siano
scelti fra quelli non troppo ostici o di particolare complessità dell’autore in
esame, altrimenti si rischia di distogliere l’attenzione dalla necessità di
evincere una tesi ed argomentarla e spostarla
tutta sul piano della sola comprensione del pensiero dell’autore o addirittura
della “decifrazione” del suo linguaggio. Un brano di difficile comprensione o
interpretazione può essere proposto solo se già studiato in precedenza a
lezione, con una lettura guidata che abbia già messo a fuoco, decodificato,
spiegato ecc., pur mantenendo quel tanto di apertura e perdurante problematicità
e pluralità che sono offerti dal testo filosofico per sua stessa natura.
Un altro esempio di saggio breve a partire da un
autore è quello su Hegel, nel quale a partire da un punto
-a dir poco- frequentato del pensiero hegeliano, l’identificazione realtà-razionalità,
si sollecita lo studente a confrontare diverse posizioni e a maturarne una propria.
In questo caso, gli studenti vengono posti dinanzi ad
un filosofo certamente, in sé, molto complesso, tuttavia il tema da trattare
risulta circoscritto e le posizioni dei diversi autori in dossier piuttosto
nette: inoltre, come si vede, contrariamente a quanto accade di solito ci si è
soffermati con una certa dovizia di dettagli sull’argomento che invece, di
norma, dovrebbe essere piuttosto generico, essendo affidato all’alunno il
compito di definire un titolo: ciò è quanto accade nell’altro e meno impegnativo
saggio su Hegel, con un dossier meno corposo e vario ed
un argomento più libero o nel saggio su Platone, in cui l’interesse è
incentrato sul tema della reminiscenza, che consente anche aperture ad altri
autori non propriamente filosofici ma di particolare suggestione (Gibran).
Vorrei insistere sulla necessità di selezionare i
brani da proporre in dossier in modo che siano suggestivi, interessanti,
ricchi di stimoli, di lettura piacevole,
anche a costo di dedicare un po’ più di tempo alla ricerca, fuori dal sentiero
tracciato dai manuali o all’interno di essi nei passi meno battuti; solo così
si potrà cogliere un’altra grande opportunità che proviene dallo svolgimento
del saggio breve: creare un interesse reale da parte degli alunni verso
tematiche filosofiche e verso gli autori che hanno saputo cimentarsi con esse.
Sottoporre invece all’attenzione degli alunni analogie
e legami fra brani filosofici ed altre riflessioni sorte in ambiti diversi
consente di apprezzare un altro “valore aggiunto” del saggio breve: la
possibilità che esso offre di sottrarre gli studenti alla pervicace convinzione
che esistano entità astratte dette “discipline”, ciascuna delle quali chiusa
nella turris eburnea non già di un proprio statuto epistemologico (e ci sarebbe già da discutere…)
ma dell’ora di lezione o addirittura del docente che la insegna.
Se è vero che una riaggregazione del sapere può e deve
realizzarsi a partire dalla filosofia, certo tocca a noi compiere ogni sforzo
per rendere evidente che “i problemi possono passare attraverso i confini di
qualunque disciplina”.
Quando uno studente, non già da astratte petizioni di
principio o affermazioni teoriche, ma nel vivo di un textus che svelando trama
e ordito rinvia e richiama, lega e ricorda, prende contezza che su uno stesso
tema ciascuno studioso offre il contributo della propria esperienza ed
arricchisce il dibattito con riflessioni maturate in un contextus che magari,
nell’ottica dello studente che legge, è lontano anni-luce da quello degli
altri, questo studente compie un salutare passo in avanti nella maturazione di
un “tutto tondo” culturale, di un ampio respiro del sapere.
Il saggio sull’assoluto è
stato proposto ad alunni di un quinto Liceo Classico Europeo, verso la fine di
un anno scolastico in cui era stata scelta come tematica omogenea, da
affrontare in modo pluridisciplinare, “Le metamorfosi dell’altro”.
Nel saggio si presenta agli alunni un dossier molto
vario, con brani diversi per provenienza e per caratteristiche sia formali che di contenuto.
E’ evidente che in questo lavoro dovevano entrare in
gioco le conoscenze già possedute sull’età romantica (la cui trattazione nel
Liceo Classico Europeo si arricchisce perché gli alunni studiano sia Letteratura
Inglese che Francese); si richiedeva inoltre che essi avessero cognizione degli
studi di Planck.
Nonostante la difficoltà e la vastità del tema
proposto, la preparazione preliminare, in sinergia e talora in compresenza con
gli altri docenti, ha consentito agli studenti di produrre lavori apprezzabili
e in qualche caso eccellenti.
In una prima Liceo Classico, invece, è stato svolto il
percorso pluridisciplinare “Oriente ed Occidente” (correva l’anno 2001…). Al
termine, è stato proposto il saggio breve che presentava
in dossier autori vari, scelti fra quelli più rappresentativi delle due
culture, i quali presentavano visibili, talora sorprendenti, analogie. Nel caso
dell’Upanishad, non era presentato a confronto sinottico il corrispondente
testo “occidentale”, ma era ovvio che si richiedesse agli alunni di riconoscere
immediatamente il mito della biga alata del Fedro.
In questo caso, l’impegno richiesto era certamente
minore dal punto di vista concettuale, come d’altronde era giusto che fosse
dato che si rivolgeva ad alunni del primo anno del triennio: non si trattava,
infatti, che di cogliere le analogie ed inserirle in una trattazione che
argomentasse una posizione personale sulla tematica proposta anche sulla base
delle letture svolte durante l’anno (molte e varie, fra le quali La rabbia e
l’orgoglio di Oriana Fallaci nella prima stesura, quella apparsa sul
Corriere della Sera, le Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani, le
varie teorie sull’origine greca o babilonese del Teorema di Pitagora…)
In questi ultimi casi, l’argomento proposto non
riguardava quindi conoscenze acquisite soltanto nell’ambito dello studio di
storia della Filosofia, ma sollecitava una più ampia riflessione, che riuscisse
a cogliere un problema nella sua complessità ed a valutare l’apporto dei
contributi di diversa scaturigine che che concorrevano ad affrontarlo: il che,
a mio avviso, è quanto rientra di diritto, ed in prima istanza, nelle finalità
dello studio e dell’insegnamento della nostra disciplina.
Soprattutto nel terzo anno, è possibile ed auspicabile
svincolare i brani in dossier dagli autori studiati e richiedere riflessioni su
una tematica ampia: è peraltro evidente che, giacché comunque la formulazione
stessa della traccia del saggio breve nella sua impostazione ministeriale parla
espressamente di “esperienze di studio”, toccherà poi agli studenti – ed è bene
ricordarlo loro - avvalersi di quanto
hanno studiato nel costruire le loro
argomentazioni.
Un esempio di ciò è il saggio sulla
libertà, in cui gli autori del dossier sono quasi tutti estranei al
programma svolto, ma per il quale non si può prescindere dalle esperienze di
studio (Kant, Sartre, Kierkegaard…) o di lettura (Dostoevskij, Pirandello…).
Qui lo studente
è chiamato a riflettere su autori che per lo più non conosce ( è bene fornire,
in calce ai brani proposti, almeno le coordinate temporali di ciascun autore,
ma non è opportuno aggiungere troppe informazioni che distoglierebbero
l’attenzione dal tema); egli deve confrontare le diverse posizioni, arricchirle
del proprio sostrato culturale, formarsi un’opinione propria ed argomentarla.
COME SI POSSONO PREPARARE
GLI ALUNNI ALLO SVOLGIMENTO DI SAGGI BREVI?
La preparazione al saggio breve va “costruita” nel
triennio attraverso diverse strategie.
Anzitutto, com’è ovvio, gli studenti vanno abituati
alla scrittura, perciò è opportuno farli esercitare con lavori assegnati per
casa; molto utili sono le domande su testi filosofici letti in classe:
inizialmente potranno prevalere quesiti tesi ad accertare la comprensione (come
sono la maggior parte di quelli che i più usati manuali pongono in calce ai
brani antologici); in questa fase sarà bene avvalersi della collaborazione con
il docente di Italiano, che attraverso le esercitazioni di analisi del testo
all’interno della propria disciplina contribuirà all’affinamento delle capacità
di lettura in senso lato. Successivamente dovranno aggiungersi anche domande
che richiedano capacità di riflessione critica, elaborazione, confronto con
altri autori o con altri passi dello stesso autore.
In una fase ulteriore, quando gli alunni avranno preso
dimestichezza con le peculiarità del linguaggio filosofico e avranno sviluppato
la capacità di cogliere in un brano gli aspetti tipici del modo di argomentare
di un autore, si potranno sfruttare anche le opportunità offerte dalla
tipologia A di terza prova scritta agli Esami di Stato, la trattazione
sintetica di argomenti.
A questo riguardo, vorrei precisare che, secondo
l’esperienza svolta, la lunghezza preferibile è quella di venti – venticinque
righe. (Alcuni docenti preferiscono fissare la lunghezza per numero di parole
anziché per righe, ma, almeno per quello che ho potuto constatare, tale
indicazione distrae di più gli studenti senza peraltro introdurre variazioni
sostanziali o una maggiore precisione).
Rispetto al saggio breve, la prova di tipologia A
manca ovviamente del confronto fra più testi: tuttavia è esercizio prezioso
perché abitua, si può dire, a compiere su un passo ciò che poi sarà richiesto
di svolgere su più brani nel dossier di saggio breve. E’ bene quindi che in
questo tipo di esercitazione vengano
proposte tracce di vario genere, ma sempre a partire da un testo: una frase
particolarmente significativa di una autore che si sta studiando, una
riflessione su temi più generali, un testo di critica… alcuni esempi sono
forniti dalla prova su Kant (peraltro somministrata
all’interno di una verifica di Storia), da quella sulla frase di Waismann che in qualche modo richiedeva una trattazione “a
consuntivo” o da quelle su Epicuro, Nietzsche, Galileo…
Nelle esercitazioni di tipologia A gli studenti sono
dunque chiamati a cimentarsi in una esposizione che, senza pretese di
esaustività, richiede però di esprimere sul tema proposto riflessioni di una
certa ampiezza, con l’opportunità, anche, di collegamenti e rinvii, seppure
contenuti. L’esperienza svolta ha dimostrato che lo svolgimento di queste prove
può considerarsi decisamente propedeutico a quello del saggio breve, nel quale,
come si è detto, l’alunno dovrà allargare il proprio campo d’azione.
A sua volta, la prova a trattazione sintetica si giova
di alcuni specifici esercizi preliminari, ai quali si è in parte già accennato:
·
analisi
·
test di comprensione
·
riassunti
In particolare, l’analisi sollecita la capacità
di riconoscere (figure retoriche, stilemi, parole-chiave…); le domande
volte a verificare la comprensione, alle quali ovviamente gli studenti
sono già abituati a rispondere anche nell’ambito di altre discipline, servono
ad abituare lo studente a cogliere anche i sensi non immediatamente evidenti
del passo in esame, a distinguere i vari livelli di lettura; la sintesi,
esercizio che pone in gioco capacità più “raffinate” e meno “meccaniche”
dell’analisi, richiede ovviamente di saper distinguere nel testo ciò che è
sostanziale da ciò che è accidentale, affinché possano essere enucleati i
concetti più importanti ed evitata quella tendenza all’appiattimento dei
contenuti che tanto spesso si rivela nella preparazione dei nostri studenti;
per molti dei quali, almeno inizialmente, una pagina stampata va assorbita
tout-court, e alle più insignificanti note biografiche viene data la stessa
importanza di concetti fondanti, a dispetto del fatto che durante la
spiegazione il docente abbia messo a fuoco l’autore, il suo pensiero ed il suo
contesto secondo le giuste priorità.
COME SI
VALUTA UN SAGGIO BREVE?
La
valutazione del saggio breve, come quella di qualsiasi altro tipo di prova
scritta o di un colloquio, deve essere
·
analitica
·
trasparente
·
formativa
Vorrei dire
che le tre qualità sono legate da un legame sequenziale necessario: solo una
valutazione analitica potrà essere trasparente, e solo la trasparenza può
garantire che essa risulti anche formativa, riesca cioè ad incidere
positivamente sulla crescita culturale ed umana dello studente.
Valutare non
può significare soltanto attribuire un voto (pur se accompagnato da un giudizio
più o meno chiarificatore) ad una prestazione, altrimenti si corre il rischio
di trasformare la valutazione in un’operazione sanzionatoria, che se non è
arbitraria è vissuta però come tale dallo studente, in buona sostanza destinata
ad esaurirsi in se stessa ed in un mero adempimento burocratico.
Queste considerazioni, valide in senso generale per
qualunque prova, risultano particolarmente inverate per la tipologia del saggio
breve, nel quale l’alunno mette in gioco conoscenze e capacità “superiori”, e
rispetto al quale pertanto, specie quando è stato opportunamente preparato,
sente di aver investito molto, sia della
sua preparazione che del suo percorso formativo e culturale.
Nella nostra scuola, il Liceo Classico “B.Telesio” di
Cosenza, è stata adottata una griglia di valutazione
messa a punto dai Dipartimenti Disciplinari sulla base di ricerche
docimologiche svolte in merito da esperti, nonché delle indicazioni che
emergono dalla normativa sul nuovo Esame di Stato a proposito, appunto, della
tipologia specifica del saggio breve.
La griglia deve essere sempre allegata alle prove,
quali che siano (anche per la trattazione sintetica di argomenti esiste una griglia di correzione specifica): in tal modo gli studenti
possono rendersi conto, dagli indicatori e dai rispettivi pesi ad essi
attribuiti, delle aspettative che il
loro lavoro deve soddisfare nonché delle rispettive priorità.
A proposito del
“rispetto delle consegne” (in
particolare dei tempi previsti) vorrei sottolineare che far svolgere un
saggio breve di Filosofia significa sempre poter contare sulla disponibilità
dei nostri colleghi, giacché è evidente che questo tipo di prova non può essere
svolto in tempi brevi, e certo non nelle due ore consecutive che sono il
massimo di nostra spettanza. D’altronde, il valore formativo di questa prova e
l’importanza di cogliere ogni occasione per
allenare gli alunni ad una non semplice tipologia prevista dagli Esami
di Stato (circostanze che devono sempre essere ricordate in sede di
programmazione di classe) non possono non trovare tutti i docenti concordi e
disponibili ad amministrare i tempi con
flessibilità e buon senso.
Si può notare come nella griglia di valutazione del
saggio breve - che ovviamente resta la medesima nell’Istituto, che il saggio
sia di argomento filosofico oppure no – alcuni degli indicatori mettono a fuoco
competenze trasversali che, pur calibrate per la tipologia del saggio breve in
generale, risultano particolarmente aderenti agli obiettivi specifici
dell’insegnamento della Filosofia: capacità di rielaborazione personale e
valutazione critica, coerenza logica e argomentativa … ciò a riprova, ove mai
ce ne fosse ancora bisogno, della particolare congenialità che il saggio breve
come tipologia di scrittura rivela rispetto alla nostra disciplina.
DONATELLA
PUZONE doveltri@libero.it
Liceo Classico “Bernardino Telesio”
Cosenza
Liceo Classico "B.Telesio"
Cosenza
a.s. 2002/2003
Classe II
A
Tempo assegnato: quattro ore
Utilizzando i documenti che lo corredano,
sviluppa il seguente argomento in forma di “saggio breve”:
Può dirsi attuale il pensiero di Immanuel Kant ?
Interpreta
e confronta i documenti forniti e svolgi su questa base la tua trattazione,
anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ alla tua trattazione un titolo coerente ed
ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo
scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale,
altro).
Non superare le quattro o cinque colonne di
metà del foglio protocollo.
FONTI:
1.
Immanuel Kant:
1.a) Progetto per una pace perpetua, BUR,
1968, pagg. 36-40
1.b) Critica della Ragion Pura,
Introduzione alla seconda edizione (1787); Laterza, 1972, pag. 19.
1.c) Critica della Ragion Pratica,
Laterza 1955, pag.107
2.
Ernesto Guidorizzi:
Bello e sublime in Kant, in Nuova Secondaria n°3, 2000.
Per la correzione si farà riferimento
all'allegata griglia tratta dal POF.
1.a) Secondo articolo definitivo per la pace
perpetua: Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di stati liberi.
I popoli, quali stati, possono venir considerati come
singoli individui, che nelle loro condizioni di natura (cioè nell'indipendenza
da leggi esterne) si ledono già per la loro vicinanza e ognuno dei quali, per
la propria sicurezza, può e deve pretendere dall’altro di entrare con lui in una
costituzione simile alla civile, nella quale ad ognuno possa venire assicurato
il proprio diritto. Ciò sarebbe una lega di popoli, ma non dovrebbe essere uno
stato di popoli.
In questo vi sarebbe però una contraddizione, poiché
ogni stato comporta il rapporto di un superiore (che detta leggi) con un
inferiore (sudditi, popolo), ma molti popoli in un stato costituirebbero un sol
popolo, cosa che contraddice al presupposto (perché noi dobbiamo qui esaminare
il diritto dei popoli fra loro in quando essi costituiscono altrettanti stati e
non devono fondersi in un unico stato).
Ora, come noi consideriamo con profondo disprezzo
l'attaccamento dei barbari alla loro libertà senza legge, che li porta a
preferire di azzuffarsi continuamente piuttosto che sottoporsi ad una coazione
legale da loro stessi stabilita, a preferire cioè una libertà pazza ad una
ragionevole, e consideriamo questo come barbarie, rozzezza e brutale
degradazione dell’umanità, così sarebbe giusto pensare che popoli civili (che
formano ognuno uno stato a sé) si dovrebbero affrettare ad uscire al più
presto possibile da una situazione così degradante: ma ogni stato ripone
piuttosto la sua maestà (poiché la maestà del popolo è una espressione
assurda) nel non sottostare ad alcuna coazione esterna, e lo splendore del suo
sovrano consiste nel fatto che ha a sua disposizione, senza che egli stesso si
esponga al pericolo, molte migliaia di uomini pronti a sacrificarsi per cose
che non li riguardano affatto. La differenza tra i selvaggi europei e quelli
americani consiste soprattutto nel fatto che in America molte tribù sono state
divorate interamente dai toro nemici, mentre gli europei sanno meglio valersi
dei vinti e anziché divorarli preferiscono aumentare con loro il numero dei
sudditi, e con ciò anche la quantità di strumenti per guerre più vaste.
[…]
Però
la ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna
assolutamente la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere
immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere creato o assicurato,
senza una convenzione del popoli tra loro: così diviene necessaria una lega di
particolare tipo, che si può chiamare lega della pace (foedus
pacificum) e che va distinta da patto di pace (pactum pacis),
per il fatto che questo cerca di mettere semplicemente fine ad una
guerra, mentre invece quello cerca di mettere fine a tutte le guerre, e
per sempre. Questa lega non ha lo scopo di far acquistare potenza ad un qualche
stato, ma mira solo alla conservazione e alla sicurezza della libertà di
uno stato, per sé, e al tempo stesso per gli altri stati confederati, senza che
questi debbano sottomettersi (come gli uomini nello stato di natura) a leggi
pubbliche e a una coazione tra di loro. Si può immaginare l'attuabilità (realtà
oggettiva) di questa idea dl federalismo che gradualmente si deve
estendere a tutti gli stati, e condurre così alla pace perpetua: poiché se la
fortuna portasse un popolo potente e illuminato a costituirsi in repubblica
(la quale per sua natura deve tendere alla pace perpetua), si avrebbe in ciò
un nucleo dell'unione federativa per gli altri stati, per unirsi ad essa e
garantire così lo stato di pace fra gli stati, conformemente all’idea del
diritto internazionale, estendendolo sempre più tramite altre unioni dello
stesso tipo. Si capisce che un popolo dica: «Tra noi non ci deve essere più
nessuna guerra; perché noi vogliamo costituirci in uno stato, cioè dare a noi
stessi un potere supremo legislativo, esecutivo e giuridico che risolva
pacificamente i nostri dissensi". Ma se questo stato dice: "Non ci
deve essere alcuna guerra fra me e gli altri stati, sebbene io non riconosca
nessun potere legislativo supremo che garantisca a me il mio diritto e agli
altri il loro", allora non si può capire su che cosa io voglia basare la
fiducia nel mio diritto, se non su di un surrogato della lega sociale civile,
cioè sul libero federalismo, che la ragione deve necessariamente associare
all'idea di diritto internazionale, se gli vuol dare un qualche significato.
Riguardo
al concetto di diritto internazionale quale diritto alla guerra, in sé esso non
significa propriamente nulla (poiché dovrebbe essere il diritto di determinare
ciò che è giusto, non secondo leggi esterne universalmente valide, che limitano
la libertà di ciascuno, ma secondo massime unilaterali, per mezzo della forza);
dovrebbe infatti venire inteso nel senso che uomini che la pensano così hanno
la sorte che si meritano se si distruggono tra loro e trovano quindi la pace
eterna nell'ampia fossa che ricopre tutti gli orrori della violenza insieme
con i loro autori.
1.b) Alla metafisica, conoscenza speculativa razionale,
affatto iso1ata, che si eleva
assolutamente al di sopra degli insegnamenti dell'esperienza, e mediante
semplici concetti (non, come la matematica, per l'applicazione di questi all'intuizione),
nella quale dunque la ragione deve essere scolara di se stessa, non è sinora
toccata la fortuna di potersi avviare per la via sicura della scienza; sebbene essa sia più antica di
tutte altre scienze, e sopravviverebbe
anche quando le altre dovessero tutte quante essere inghiottite nel baratro di
una barbarie che tutto devastasse. Giacché la ragione si trova in essa
continuamente in imbarazzo, anche quando vuole scoprire (come essa presume) a
priori quelle
leggi, che la più comune esperienza conferma. In essa
si deve innumerevoli volte rifar la via,
poiché si trova che quella già
seguita non conduce alla mèta; e, quanto all'accordo dei suoi
cultori nelle loro affermazioni, essa è così lontana dall'averlo raggiunto, che
è piuttosto un campo di lotta: il quale par proprio un campo destinato ad esercitar
le forze antagonistiche, in cui nemmeno un campione ha mai potuto impadronirsi
della più piccola parte di terreno e fondar sulla sua vittoria
un durevole possesso. Non v'è dunque alcun dubbio, che il suo procedimento
finora sia stato un semplice andar a tentoni e, quel che è peggio, tra semplici
concetti.
Da che deriva dunque che essa non abbia
ancora potuto trovare il cammino sicuro della scienza? Egli è forse impossibile?
Perché dunque la natura ha messo nella nostra ragione questa infaticabile
tendenza, che gliene fa cercare la traccia, come se fosse per lei l'interesse
più grave tra tutti? Ma v'ha di più: quanto poco motivo abbiamo noi di riporre
fede nella nostra ragione, se essa non solo ci abbandona
in uno dei più importanti oggetti della nostra curiosità, ma ci
attira con lusinghe, e alla fine c'inganna? Oppure, se fino ad oggi abbiamo
semplicemente sbagliato strada, di quali indizi possiamo profittare, per
sperare di essere più fortunati che gli altri finora non siano stati,
rinnovando la ricerca?
Io dovevo pensare che gli esempi della matematica e
della fisica, che sono ciò che ora sono per effetto di una rivoluzione attuata
tutta d'un colpo, fossero abbastanza degni di nota, per riflettere sul punto
essenziale del cambiamento di metodo, che è stato loro di tanto
vantaggio, e per imitarlo qui, almeno come tentativo, per quanto l'analogia
delle medesime, come conoscenze razionali, con la metafisica ce lo permette.
Sinora si è ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti;
ma tutti i tentativi di stabilire intorno ad essi qualche cosa a priori, per
mezzo di concetti, coi quali si sarebbe potuto allargare la nostra conoscenza,
assumendo un tal presupposto, non
riuscirono a nulla. Si faccia,
dunque, finalmente la prova di vedere se saremo più fortunati nei problemi
della metafisica, facendo l'ipotesi che gli oggetti debbano
regolarsi sulla nostra conoscenza: ciò che si accorda meglio colla desiderata
possibilità d'una conoscenza a priori, che stabilisca
qualcosa relativamente agli oggetti, prima che essi ci siano dati. Qui, è
proprio come per la prima idea di Copernico; il quale, vedendo che non poteva
spiegare i movimenti celesti ammettendo che tutto l'esercito degli astri
rotasse intorno allo spettatore, cercò se non potesse riuscir meglio facendo
girare l'osservatore, e lasciando invece in riposo gli
astri.
1.c) Dovere! nome sublime e grande, che non contieni
niente di piacevole che implichi lusinga, ma chiedi la sottomissione; che,
tuttavia, non minacci niente donde nasca nell'animo naturale ripugnanza e
spavento che muova la volontà, ma esponi soltanto una legge che da sé trova
adito nell'animo, e anche contro la volontà si acquista venerazione (se non
sempre osservanza); innanzi alla quale tutte le inclinazioni ammutoliscono,
benché di nascosto reagiscano ad essa;
‑ qual'è
l'origine degna di te, e dove si trova la radice del tuo nobile lignaggio, che
ricusa fieramente ogni parentela con le inclinazioni? radice da cui deve di
necessità derivare quel valore, che è il solo che gli uomini si possono dare da
se stessi.
Non può essere niente di meno di quel che
innalza l'uomo sopra se stesso (come parte del mondo sensibile), ciò che lo
lega a un ordine delle cose che soltanto l'intelletto può pensare, e che
contemporaneamente ha sotto di sé tutto il mondo sensibile e, con esso,
l'esistenza empiricamente determinabile dell'uomo nel tempo e l'insieme di
tutti i fini (il quale solo è conforme a leggi pratiche incondizionate, come la
legge morale). Non è altro che la personalità, cioè la libertà e l'indipendenza
dal meccanismo di tutta la natura, considerata però nello stesso tempo come
facoltà di un essere soggetto a leggi speciali, e cioè a leggi pure pratiche,
date dalla sua propria ragione; e quindi la persona, come appartenente al mondo
sensibile, è soggetta alla sua propria personalità, in quanto appartiene nello
stesso tempo al mondo intelligibile. Non è dunque da meravigliarsi se l'uomo,
come appartenente a due mondi, non debba considerare la sua propria essenza,
in relazione alla sua seconda e suprema determinazione,
altrimenti che con venerazione, e le leggi di questa determinazione col più
grande rispetto.
Su queste origini si fondano parecchie espressioni che
denotano il valore degli oggetti secondo le idee morali. La legge morale è
santa (inviolabile). L'uomo è bensì abbastanza profano, ma
l'umanità, nella sua persona, per lui, dev'essere santa. In tutta la creazione
tutto ciò che si vuole, e su cui si ha qualche potere, può esser adoperato
anche semplicemente come mezzo; soltanto l'uomo, e con esso ogni creatura
razionale, è fine a se stesso. Vale a dire esso è il soggetto della legge
morale, la quale è santa in virtù dell'autonomia della sua libertà. Appunto per
quest'autonomia ogni volontà, anche la volontà propria
di ciascuna persona, rivolta verso la persona stessa, è condizionata
dall'accordo con l'autonomia dell'essere razionale: è limitata cioè dalla
condizione di non assoggettare quest'essere a nessun proposito, che non sia possibile
secondo una legge la quale possa derivare dalla volontà dello stesso soggetto
passivo, perciò di non adoperar mai questo semplicemente come
mezzo, ma, nello stesso tempo, anche come fine. Questa condizione noi la
attribuiamo giustamente persino alla volontà divina rispetto
agli esseri razionali nel mondo come sue creature, perché essa si fonda sulla
loro personalità, per la quale soltanto essi sono fini in se stessi.
Quest'idea della personalità, la quale
fa nascere il rispetto, e che ci pone davanti agli occhi la sublimità
della nostra natura (secondo la sua determinazione), mentre nello stesso tempo
ci fa scorgere la mancanza di conformità del nostro modo
di agire riguardo ad essa, e così abbatte la nostra presunzione, è naturale e
facilmente percepibile anche alla ragione umana più ordinaria. Ogni
uomo, anche solo mediocremente onesto, non ha osservato talvolta
di essersi astenuto da una bugia, d'altronde inoffensiva,
con la quale egli poteva o trarre se stesso da una situazione spiacevole, o
persino recar giovamento a un amico caro e pieno di merito, soltanto per non
doversi disprezzare in segreto ai suoi propri occhi?
2.Non c’è legge per il Bello
E stato il sogno, accarezzato in epoche varie, quello
d'attribuire al bello misure, criteri, parametri, coordinate. S'è parlato già
nell'antichità di simmetria, d'armonia, ossia di regolarità oggettiva. Ma come
valutare bello allora l'irregolare frastagliarsi della costa mediterranea, giù
dal dirupo di ginestre, dove cespugli e erbe diverse anticipano la visione
della distesa azzurra? Come valutare bella allora la rovina di una villa,
intorno alla quale prospera la magnificenza delle erbe? Come valutare bella
Elena allora, la quale si lascia sedurre da Paride, frantumando l'ordine del
suo matrimonio? O come valutare bella Didone allora, la quale si dispera, senza
il limite che la sua dignità regale le imporrebbe, ma sfrenando invece la sua
femminilità nello smarrimento lacerante del congedo?
Il bello non ha legge alcuna, tanto meno quella della
simmetria.
Può
essere bella una frase sconnessa, detta da un bambino che esclama la sua
felicità d'essere nel mondo, perché qualcuno lo ha premiato con un piccolo
regalo insignificante. Può essere bello un paesaggio periferico, quando vi
s'accenda un lume pur superstite d'intimità domestica Può essere‑bella
un'autostrada, quando vi si rifletta la pioggia che purifica noi stessi. Non c'è
regola alcuna, capace di darne dunque misura, né criterio, né regole.
C'è
una corrispondenza
Alcune foglie di una pianta frondosa, la quale
fiorisce nella terrazza, s'aprono al sole della giornata tersa. Altre foglie ne
seguono i movimenti impercettibili e si protendono anch'esse alla luce calda
che le indora, diffondendosi per il muretto rosseggiante, il pavimento candido
che risplende, i tetti dalle tegole vermiglie nel cobalto diffuso del cielo,
l'ora magnifica di limpidità.
Gli occhi di chi guarda tutto ciò partecipano a
quanto si sta formando tra questi particolari della terra, la terrazza, le
foglie, i mattoni, le mattonelle, i tetti e il sereno più vasto. È evidente che
la vitalità profusa dal cielo in quest'ora fortunata chiama insieme il mondo
vegetale, quello minerale, quello aereo e quello umano.
Lo sguardo si posa sopra una delle foglie, il cui
verde assume sfumature auree e ne intuisce la sorta di dialogo, che essa
intrattiene con i raggi giunti alla sua superficie, così come fanno i fiori,
spalancate le corolle alla luminosità
Gli
occhi si socchiudono, il volto assapora quel calore, la fantasia vaga ad immagini
simili dell'infanzia, ascolta l'udito la voce femminile vicina, lieta
anche lei, dell'occasione luminosa nella giornata. Una corrispondenza ampia
fra la vicinanza fulgida e la lontananza nostalgica, sia nel tempo sia nello
spazio, porge le sue immagini all'uomo, il quale avverte che tale concordanza
gli regala felicità. Kant parlerà di questo rispondersi fra l'oggetto e il soggetto che lo ricrea conoscendolo, e di
questa comunanza, di questa intesa, la quale sorge dalle cose, dai fatti,
dall'interiorità, e si diffonde per ogni dove, come sembrano sapere la foglia,
il mattone, la mattonella, il tetto, il cielo, e noi stessi che viviamo tutto
ciò.
La necessità e la libertà
si incontrano
Come la foglia vicina e il cielo alto sembrano
incontrarsi nell'evidenza della luminosità, la quale si diffonde per l'ora
lucente, così la sensibilità umana sente d'appartenere sia alle cose e ai fatti
necessari sulla terra, sia alla libertà che li sorpassa e vi s'eleva,
alla stregua del cielo sopra il volto, che vi manda sguardi.
In virtù del bello, Kant è riuscito a riunire i campi
delle cose e dei fatti con il regno che vi veleggia per così dire sopra: da un
canto il bello è concreto come la cosa e come il fatto, da un altro canto il‑
bello n'è superiore, perché sciolto dai contorni loro.
La
natura e la libertà s'uniscono grazie a quanto l'uomo sente dentro, conosce
dapprima e scioglie poi di là d'ogni materialità. Chiama bella questa tangibilità,
e insieme questa libertà da essa.
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ö
LICEO
CLASSICO"B.TELESIO"
Maxisperimentazione di Liceo
Europeo
VERIFICA DI FILOSOFIA
TIPOLOGIA:
SAGGIO BREVE
Alunno________________________
Classe V L
Data:
10 Aprile 2000
Docente:
Donatella Puzone Veltri
Educatore:
Eugenio Sciarrotta
Tempo assegnato: quattro ore
Utilizzando i documenti che lo corredano,
sviluppa il seguente argomento in forma di “saggio breve”:
Interpreta
e confronta i documenti forniti e svolgi su questa base la tua trattazione,
anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ alla tua
trattazione un titolo coerente ed ipotizzane una destinazione editoriale (rivista
specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di
argomento culturale, altro).
Non superare le quattro o cinque colonne di metà del foglio protocollo.
G.F.W.
Hegel: da Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio, UTET, 1981, pagg. 129 e seg.
R.Haym: Hegel und seine Zeit (Hegel e il
suo tempo), Suhrkamp, 1975, pagg. 372 e seg.
F.Engels:
Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca,
Editori Riuniti, 1972, pagg.17 e seg.
Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è
razionale.
In questa
convinzione sta ogni coscienza non prevenuta, e cosi pure la filosofia, e
questa procede di qui nella considerazione così dell'universo spirituale,
come di quello naturale. [...] Se [...] l'idea passa per ciò ch'è
soltanto un'idea, una rappresentazione in un'opinione, la filosofia al
contrario procura l'intellezione che nulla è reale all'infuori dell'idea. Quel
che importa allora è conoscere, nella parvenza di ciò ch'e temporale e
transeunte, la sostanza che è immanente e l'eterno che è presente. Poiché il
razionale, che è sinonimo dell'idea, allorché esso nella sua realtà entra in
pari tempo nell'esistenza esterna, vien fuori in un'infinita ricchezza di
forme, fenomeni e configurazioni, e circonda il suo nucleo con la scorza
variopinta nella quale la coscienza dapprima dimora, che soltanto il concetto
trapassa, per trovare il polso interno e pur nelle configurazioni esterne
sentirlo ancora battere. Ma i rapporti infinitamente molteplici che si formano
in questa esteriorità, grazie al parer dell'essenza in essa, questo materiale
infinito e la sua regolazione non è oggetto della filosofia. [...] Così dunque
questo trattato, in quanto contiene la scienza dello stato, dev'essere
nient'altro che il tentativo di comprendere e di esporre lo stato
come un qualcosa entro di sé razionale. Come scritto filosofico esso non può
far altro che esser lontanissimo dal dover costruire uno stato come
dev'essere; l'insegnamento che in tale scritto può risiedere, non può
tendere ad insegnare allo stato com'esso dev'essere, bensì piuttosto com'esso,
l'universo etico, deve venir conosciuto. [...]
Comprendere ciò che
è, e il compito della filosofia, poiché ciò che è, e la ragione. Per
quel che concerne l'individuo, del resto, ciascuno è un figlio del suo tempo;
così anche la filosofia, è il tempo di essa appreso in pensieri. E’
altrettanto insensato figurarsi che una qualsiasi filosofia vada al di 1à del
suo mondo presente, quanto che un individuo salti il suo tempo, salti al di 1à
di Rodi. Se la sua teoria nel fatto va al di 1à di quello, se egli si
costruisce un mondo come dev'essere, esso esiste sì, ma soltanto nelle
sue opinioni, - in un elemento duttile, nel quale si lascia imprimer l'immagine
di tutto quel che si vuole.
HEGEL: «NON TUTTO CIÒ CHE ESISTE È REALE»
[6, annotazione ] Nella Prefazione alla mia Filosofia del diritto si trovano le
proposizioni: quello che è razionale, è reale, e quello che è reale, è
razionale.Queste semplici proposizioni a molti sono sembrate sconcertanti e
sono state osteggiate [...]. (Ora,) nella vita comune accade che si chiami
accidentalmente realtà ogni cosa che viene in mente, l'errore, il male e cose
simili, come pure qualsiasi esistenza per quanto avvizzita e transeunte. Ma, già
per il sentimento comune, un'esistenza contingente non merita il nome enfatico
di realtà. [...] Se l'intelletto con il dover essere si rivolge a oggetti,
istituzioni, condizioni banali, esterne e transeunti, che possono magari aver
avuto una grande importanza relativa per un certo tempo e per cerchie
particolari, può ben aver ragione [...]; chi non sarebbe così perspicace da
vedere nel proprio ambiente quello che in effetti non è come dovrebbe essere?
Ma questa perspicacia ha torto, se immagina di trovarsi, con tali oggetti e con
il loro dover essere, nel campo degli interessi della scienza filosofica.
Questa scienza ha a che fare soltanto con l'idea che non è così impotente da
dover soltanto essere e non aver realtà, e, quindi, con una realtà nella quale
quegli oggetti, quelle istituzioni, quelle condizioni ecc. sono soltanto il
lato esterno superficiale.
R. HAYM: HEGEL DIFENSORE DELLA GERMANIA DELLA
RESTAURAZIONE
“Ciò che è razionale”,
così scrive Hegel nel suo zelo antidemagogico e antisoggettivistico; così
stampa a lettere cubitali come epigrafe della sua dottrina dello stato e del
suo sistema, - “ciò che e razionale è reale, e ciò che è reale è razionale”. La
filosofia, così continua, e la ricerca di ciò che è razionale, e dunque la
comprensione di ciò che è presente e reale, non l'enunciazione di qualcosa di
al di là e di inesistente, qualcosa che risiede soltanto nell'”errore di un
raziocinare unilaterale e vuoto”. Lo scopo della filosofia del diritto non può
consistere nel costruire uno stato così come dovrebbe essere, ma di comprendere
lo stato così com'è. Ciò significa, chiaramente e senza possibilità d'errore:
quella tensione verso la realtà [...] che vent'anni prima aveva fatto insorgere
lo Hegel pubblicista contro la realtà inconsistente dell'Impero tedesco, [...]
questa stessa tensione disillusa si muta ora in soddisfazione e in accordo con
ciò che nel linguaggio abituale degli uomini è chiamato realtà.
Hegel
assegna all’etica la comprensione della concreta realtà statale, così com’essa
si presenta nella Prussia del 1821 analogamente a come Bacone aveva assegnato
alla filosofia della natura la comprensione della natura come cade sotto i
nostri sensi. Così come per quest’ultimo si trattava di sostituire
un'interpretazione
ragionevole e veritiera della natura al vagare tra concetti mal dedotti, per
quello - invece dell'enunciazione di ideali e postulati etici - si tratta
dell'esposizione rassegnata e fedele dell'ordinamento statale in vigore. Questo
stato esistente, i costumi e le leggi vigenti, «nei confronti dei quali
anticamente si nutriva ancora rispetto e timore», questi costituiscono per Hegel l'oggetto supremo dell'etica filosofica. Un tempo Kant aveva fatto volare
più alto questa scienza; ora, tornando dal cielo sulla terra, essa reca il
marchio di un'epoca più angusta e paurosa. Davanti alla realtà, alla realtà
temporale-umana, l'idealismo depone le armi, e crede di poter conservare il
proprio onore e il proprio nome solo nella sottomissione ad essa. [...] In tal
modo i poli dell'idealismo precedente si invertono. Dai tempi di Kant si aveva
di nuovo una metafisica etica, ma non più una metafisica speculativa: adesso c'è
di nuovo una metafisica speculativa, ma non più un'etica. Per mezzo della
superba parola "comprendere", - superba perche ha dietro di sé tutta
la profondità di pensiero e la ricchezza della nuova logica - questo
intellettualismo nasconde la propria arrendevolezza nei confronti delle realtà
concretamente esistenti.
F. ENGELS: HEGEL OVVERO LA RAZIONALITÀ DEL MUTAMENTO
Nessuna
proposizione filosofica si è mai tanto attirata la riconoscenza di governi
gretti e la collera di altrettanto gretti liberali, quanto la tesi famosa di
Hegel: “Tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è
reale”. Questa era manifestamente, infatti, l'approvazione di tutto ciò che
esiste, la consacrazione filosofica del despotismo, dello stato poliziesco,
della giustizia di gabinetto, della censura. E così l'interpretò Federico Guglielmo
III, così i suoi sudditi. Ma per Hegel non tutto ciò che esiste è, senz'altro,
anche reale. L'attributo della realtà viene da lui applicato solo a ciò che è,
al tempo stesso, necessario, “la realtà si manifesta nel suo sviluppo come
necessità»; una qualsivoglia misura di governo, - Hegel stesso dà l'esempio di
“una determinata istituzione fiscale”, - non è affatto per lui senz'altro una
cosa reale. Ciò però che è necessario si rivela in ultima istanza anche come
razionale, e applicata allo Stato prussiano di allora la tesi di Hegel
significa soltanto: questo stato è razionale, questo stato corrisponde alla
ragione, nella misura in cui è necessario; e se esso ci appare cattivo e ciò
nonostante continua ad esistere, benché sia cattivo, la cattiva qualità del
governo trova la sua giustificazione e la sua spiegazione nella corrispondente
cattiva qualità dei sudditi. I prussiani d'allora avevano il governo che si
meritavano.
Orbene, la realtà, secondo Hegel, non è
per niente un attributo che si applichi in tutte le circostanze e in tutti i
tempi a un determinato stato di cose sociale o politico. Al contrario. La
Repubblica romana era reale, ma 1'Impero romano che la soppiantò lo era
ugualmente. La monarchia francese era diventata nel 1789 così irreale, cioè così
priva di ogni necessità, cosi irrazionale, che dovette essere distrutta dalla
Grande rivoluzione, della quale Hegel parla sempre col più grande entusiasmo.
In questo caso dunque la monarchia era l'irreale, la rivoluzione il reale. E
così nel corso dell'evoluzione tutto ciò che prima era reale diventa irreale,
perde la propria necessità, il proprio diritto all'esistenza, la propria
razionalità; al posto del reale che muore subentra una nuova realtà vitale, -
in modo pacifico, se ciò che è vecchio è abbastanza intelligente da andarsene
senza opporre resistenza alla morte; in modo violento, se esso si oppone a
questa necessità. E così la tesi di Hegel si trasforma, secondo la stessa
dialettica hegeliana, nel suo contrario: tutto ciò che è reale nell'ambito
della storia umana diventa col tempo irrazionale, è dunque già irrazionale per
proprio destino, è sin dall'inizio affetto da irrazionalità; e tutto ciò che vi
è di razionale nelle teste degli uomini è destinato a diventare reale, per
quanto possa contraddire alla apparente realtà del giorno. La tesi della
razionalità di tutto il reale si risolve quindi secondo tutte le regole del
ragionamento hegeliano nell'altra: - tutto ciò che esiste è degno di perire(1).
(1)
L'ultima frase è una citazione dal Faust di Goethe:
parte I, v. 15.
Liceo Classico "B.Telesio"
Cosenza
a.s. 2003/2004
Classe III A
Tempo
assegnato: tre ore
Utilizzando
i documenti che lo corredano, sviluppa il seguente argomento in forma di
“saggio breve”:
Interpreta
e confronta i documenti forniti e svolgi su questa base la tua trattazione, con
opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’
alla tua trattazione un titolo coerente ed ipotizzane una destinazione
editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e
documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Non
superare le quattro colonne di metà del foglio protocollo.
Per
la correzione si farà riferimento all’allegata griglia tratta dal POF.
1.
Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia,
perché ciò che è, è la ragione. Per quel che concerne l’individuo, del resto,
ciascuno è figlio del suo tempo; così anche la filosofia, è il tempo di essa,
appreso in pensieri.E’ altrettanto insensato figurarsi che una qualsiasi
filosofia vada al di là del suo mondo presente, quanto che un individuo salti
il suo tempo, salti al di là di Rodi. Se la sua teoria nel fatto va al di là di
quello, se egli si costruisce un mondo come dev’essere, esso esiste sì, ma
soltanto nelle sue opinioni, - in un elemento duttile, nel quale si lascia
imprimer l’immagine di tutto quel che si vuole.
Lineamenti di Filosofia del Diritto.
2.
A mio parere, la filosofia non deve mai essere, anche
nell’insegnamento che se ne dà ai giovani, edificante. La filosofia deve
però soddisfare a un bisogno affine cui voglio fare un breve accenno. Infatti,
se l’età recente ha nuovamente suscitato l’aspirazione verso una materia
purificata, verso idee elevate, verso la religione, meno che mai la forma del
sentimento, la fantasia, i concetti confusi possono soddisfare a tali esigenze.
Giustificare ciò che per la conoscenza ha un valore sostanziale, coglierlo e
concepirlo in pensieri determinati e preservarlo quindi da cammini oscuri e
aberranti: questo dev’essere il compito della filosofia.
Lettera a F.von Raumer del 2 agosto 1816, cit. da Domenico Massaro, La comunicazione
filosofica, vol. II, pag.661.
3.
Si può dire della storia universale che essa è la
raffigurazione del modo in cui lo spirito si sforza di giungere alla cognizione
di ciò che esso è in sé (…) Si può chiamare astuzia della ragione il
fatto che quest’ultima faccia agire per sé le passioni e che quanto le serve di
strumento per tradursi in esistenza abbia da ciò scapito e danno (…) Il particolare
è per lo più troppo poco importante a paragone dell’universale: gl’individui
vengono sacrificati e abbandonati al loro destino. L’idea paga il tributo
dell’esistenza e della caducità non di sua tasca, ma con le passioni degli
individui. Cesare doveva compiere ciò che era necessario per rovesciare la
decrepita libertà, la sua persona perì nella lotta, ma quel che era necessario
restò: la libertà secondo l’idea giaceva più profonda dell’accadere esteriore.
Lezioni sulla filosofia della storia.
Liceo Classico "B.Telesio"
Cosenza
a.s. 2001/2002
Classe I A
Tempo assegnato: tre ore
Utilizzando i documenti che
lo corredano, sviluppa il seguente argomento in forma di “saggio breve”:
Interpreta
e confronta i documenti forniti e svolgi su questa base la tua trattazione, anche
con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Da’ alla
tua trattazione un titolo coerente ed ipotizzane una destinazione editoriale
(rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione,
rassegna di argomento culturale, altro).
Non superare le quattro o
cinque colonne di metà del foglio protocollo.
FONTI:
D. Ross:
Platone e la
teoria delle idee
Platone:
Menone
Platone:
Fedone
K. Gibran:
Il Profeta
I primi tre brani sono contenuti nei seguenti
Manuali di Storia della Filosofia:
Trombino, La
filosofia occidentale e i suoi problemi, ed.Poseidonia
Giacchè, Tognini, La
Filosofia: storia e testi, ed. La Nuova Italia
Ciancio, Ferretti,
Perone, Pastore, Filosofia: i testi, la storia, ed. SEI
Per la correzione si farà riferimento
all'allegata griglia tratta dal POF.
"Nel
Fedone le idee hanno un ruolo molto più importante rispetto a tutti i
dialoghi precedenti. Esse sono veramente quasi onnipresenti nel dialogo; la
loro introduzione è però sempre subordinata alla prova dell'immortalità, e in
generale ciò che Platone asserisce su di esse non apporta elementi nuovi che ci
aiutino a comprendere ciò che egli pensava riguardo alla loro natura. Nei primo
brano in cui esse vengono menzionate si dice soltanto che non è per mezzo
dell'uso di uno dei sensi che si giunge alla loro conoscenza bensì attraverso
il pensiero puro. Più avanti, tuttavia, Platone descrive in maniera più precisa
di quanto avesse fino ad ora fatto il processo attraverso cui si giunge a conoscere
le Idee (...). Platone fa dapprima notare che la reminiscenza «può derivare
da cose simili o dissimili», che, cioè, vi possono essere associazioni per
rassomiglianza (come quando, vedendo un'immagine di Simmia, siamo portati a
ricordare Simmia), oppure per contiguità (come quando, vedendo una lira, siamo
portati a ricordare il suo proprietario); e nel primo caso notiamo anche se la
cosa percepita è manchevole, sotto qualche aspetto, rispetto a ciò che essa ci
ricorda. Ora, noi sosteniamo (egli prosegue) che esiste l'eguaglianza in sé, e
sappiamo cosa essa sia. E a questa conoscenza siamo giunti vedendo uguali pezzi
di legno, uguali sassi e cose simili. Queste cose sono molto differenti
dall'eguaglianza in sé, come dimostra il fatto che i bastoni o le pietre, che
pure rimangono immutati, a volte appaiono uguali ad una persona e non ad
un'altra, mentre «gli eguali in sé» non appaiono mai ineguali, né l'eguaglianza
diviene ineguaglianza. I perfetti esemplari particolari di un'Idea sono qui distinti
sia dagli imperfetti particolari sensibili sia dall'idea stessa (...).
Da D. Ross, Platone
e la teoria delle
idee
Immortalità e reminiscenza
Menone: E come farai, Socrate, a
ricercare quello di cui addirittura ignori che cosa sia? Da quale tra
presupposti che non conosci, muoverai per procedere ad una tale ricerca? O
ammesso pure che tu, per un caso fortunato, colga nel segno, come farai a
sapere che ciò che non conoscevi è proprio ciò che cercavi?
Socrate:
Intendo ciò che vuoi dire, Menone. E non t'accorgi d'introdurre qui quel
principio eristico per cui non è possibile all'uomo di indagare né ciò che sa
né ciò che non sa? Giacché nessuno indagherebbe ciò che sa ‑ perché lo sa
e non gli occorre nessuna indagine ‑ né ciò che non sa, perché non sa che
cosa indagare.
Me. E non pare a te, Socrate, che questo
discorso sia giusto?
So. A me no.
Me.
E sai dirmene il perché?
So. lo sì, perché ho udito uomini e
donne sapienti nelle cose divine.
Me. E che dicevano?
So. Un discorso vero, secondo me, e bello.
Me. E quale? E chi erano costoro?
So. Sacerdoti e sacerdotesse a cui sta a
cuore di potere rendere ragione delle cose di cui si occupano. E lo dice anche
Pindaro, e molti altri poeti, quanti sono divini. E quel che dicono è
questo... Ma tu guarda se ti pare che dicano la verità. Essi affermano che
l'anima umana è immortale, e che a volte finisce ‑ e questo lo chiamiamo
morire ‑a volte rinasce, ma non s'estingue mai; e che perciò convien
vivere il più santamente possibile, perché
di quelli che a Persefone
della pristina colpa il
fio pagaro,
nel nono anno l'anime
rende la diva alla superna luce;
e da costor gli augusti
germogliano regi e gli uomini possenti
e i sapienti sommi. A br dal mondo
col volgere del tempo
di santissimi eroi il nome è dato.
Per
essere dunque l'anima immortale e molte volte nata, e per aver visto ogni cosa
e qui e nell'Ade, non c'è nulla che non abbia appreso; sicché non è punto
meraviglia che possa ricordare, così intorno alla virtù come intorno ad altre
cose, ciò che prima sapeva. Essendo infatti tutta la natura congenita ed avendo
l'anima appreso tutto, nulla impedisce che chi si ricordi d'una sola cosa ‑
che è poi quel che si dice imparare ‑ trovi da sé tutto il resto,
ov'abbia coraggio e non si stanchi nella ricerca, perché il ricercare e
l'apprendere non è che ricordanza.
Conoscenza e reminiscenza
‑
Se dunque è vero che noi, acquistata codesta conoscenza prima di nascere, la
portammo con noi nascendo, vorrà dire che prima di nascere e subito nati
conoscevamo già, non solo l'eguale e quindi il maggiore e il minore, ma anche
tutte insieme le altre idee; perché non tanto dell'eguale stiamo ora ragionando
quanto anche del bello in sé e del buono in sé e del giusto e del santo, e
insomma, come dicevo, di tutto ciò a cui, nel nostro disputare, sia
interrogando sia rispondendo, poniamo questo sigillo, che è in sé. Onde
risulta necessariamente che di tutte codeste idee noi dobbiamo aver avuta
conoscenza prima di nascere. ‑ E così. ‑ E anche risulta ‑
salvo che, una volta in possesso di codeste conoscenze, non ci troviamo poi, a
ogni nostro successivo rinascere, nella condizione di averle dimenticate ‑
che appunto nel nostro perenne rinascere non cessiamo mai di sapere, e
conserviamo questo sapere per tutta la vita. Perché il sapere è questo,
acquistata una conoscenza, conservarla, e non già averla dimenticata. Non è
questo, o Simmia, che diciamo dimenticanza, perdita di conoscenza? ‑
Proprio questo, egli disse, o Socrate. – Sta bene: ma se invece, io penso,
acquistate delle conoscenze prima di nascere, noi le perdiamo nascendo, e poi,
valendoci dei sensi relativi a certi dati oggetti, veniamo ricuperando di ciascuno
di essi quelle conoscenze che avevamo già anche prima: ebbene, questo che noi
diciamo apprendere, non sarà un recuperare conoscenze che già ci appartenevano?
e, se adoperiamo per questo la parola ricordarsi, non l'adoperiamo nel suo
giusto significato? ‑ Certamente. ‑ Questo infatti fu già
dimostrato possibile, che uno, avuta sensazione di qualche cosa, perché l'abbia
veduta o udita o in altro modo percepita, ecco che costui, per via di questa
cosa, si fa a pensarne un'altra della quale s'era dimenticato e a cui quella si
avvicinava o per somiglianza o anche per dissomiglianza. Cosicché, come
dicevo, delle due l'una; o noi siamo nati già conoscendo quelle idee e ne
conserviamo la conoscenza durante la vita tutti quanti, oppure, in séguito,
quelli i quali diciamo che apprendono, non fanfl) altro costoro che
ricordarsi, e questo apprendimento sarà appunto reminiscenza.
(Platone,Fedone 73b-76a)
Nessuno può insegnarvi nulla, se non ciò che in dormiveglia
giace nell'alba della vostra conoscenza.
Il maestro che cammina
all'ombra del tempio, fra i discepoli, non dà la sua scienza, ma il suo amore e
la sua fede.
E se egli è saggio non
vi offrirà di entrarei nella casa della sua scienza, ma vi condurrà fino alle
soglie della vostra mente.
(K.Gibran, Il Profeta -
l’Insegnamento)
Liceo Classico "B.Telesio"
Maxisperimentazione di Liceo Classico Europeo
Cosenza
a.s. 2002/2003
Classe V L
Ed. Eugenio Sciarrotta
Tempo assegnato: quattro ore
Utilizzando i documenti che
lo corredano, sviluppa il seguente argomento in forma di “saggio breve”:
Interpreta
e confronta i documenti forniti e svolgi su questa base la tua trattazione,
anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’
alla tua trattazione un titolo coerente ed ipotizzane una destinazione
editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e
documentazione, rassegna di argomento culturale, altro).
Non superare le quattro o
cinque colonne di metà del foglio protocollo.
FONTI:
Per la correzione si farà
riferimento all'allegata griglia tratta dal POF.
1.LA SPERANZA IN DIO
Fin che il mio povero cuore,
ancor colmo di gioventù,
Non
avrà detto addio alle proprie illusioni,
Vorrei
attenermi alla saggezza antica,
Che
del sobrio Epicuro fece un semidio.
Vorrei
vivere, amare, assuefarmi agli uomini,
Cercare
un po' di gioia e non darvi importanza,
Far
ciò che è stato fatto, essere ciò che siamo,
E
guardare spensieratamente il cielo.
Non
posso; mio malgrado l'infinito mi tormenta.
Non
saprei riflettervi senza tema e senza speranza;
E,
checché se ne dica, la mia ragione si spaura
Di
non comprenderlo e tuttavia di vederlo.
Che
è dunque questo mondo, e a che veniamo in esso
Se,
per vivere in pace, occorre velare il cielo?
Passare
come un gregge, con gli occhi fissi a terra,
E
rinnegare il resto: è questa la felicita?
No,
è cessare d'esser uomini e degradare la propria anima.
Nella
creazione mi ha gettato il caso;
Felice
o infelice, sono nato da donna,
E
non posso fuggire fuor dell'umanità.
2. L’INTUIZIONE DEL MONDO DEI
ROMANTICI
Il romanticismo è un atteggiamento della vita di
natura particolare. Per questo motivo è impossibile
riuscire a chiarire la sua essenza. Esso però è ben lontano dal risolversi
nell'atteggiamento sentimentale. Conosce certamente l'ebbrezza della coscienza
dinanzi all'incomprensibile, ma si tratta soltanto di un fenomeno di debolezza
del singolo, dell'impotenza della coscienza di fronte alla grandezza di ciò che
le balena dinanzi. Al di là di ogni valore sentimentale trasmessoci dalla
poesia romantica traspare un qualcosa di oggettivo, un nuovo significato e
un nuovo contenuto della vita, anzi una vita stessa in nuovo significato.
Nascosta in certo modo nella profondità del proprio essere ed immediatamente
rivelabile in esso, appare al romantico la soluzione
dell'eterno enigma del mondo. Qui è il punto attorno cui tutto per lui si
muove, qui è la radice dell'essere, ma anche la radice di ogni valore. La
natura eterna non rimane estranea di fronte al mondo interiore del cuore umano.
Un senso nuovo della verità si fa luce nel riconoscimento della propria
essenza, presentito nei prodotti della molteplicità cosmica. Un senso nuovo
della bellezza e un compito nuovo per l'arte balena in questo farsi trasparente
di ciò ch'è naturale. La finitezza delle cose è un'ironia e un gioco
ingannatore, e l'incantarsi dello sguardo umano in questa finitezza
è oblio di sé e misconoscimento della propria natura. L'infinito non sta al di
là del finito ma in mezzo ad esso, dovunque in vicinanza immediata, e tuttavia
rimane eternamente inafferrabile. Compito dell'artista è quello di farlo
apparire con pienezza di luce nel finito. Sua è la bacchetta magica che
suscita lo spirito nascosto. […]
E non all'ultimo posto è la vita
religiosa, che si ridesta nuovamente nei romantici. Per quanto possa essere
familiare al loro circolo lo spinto della critica, anzi dello scherno,
non costituisce la verità del loro atteggiamento di fondo. Un sentimento del
mondo e della vita autentico, veramente vissuto, è già in sé religioso, in
qualunque forma possa rendersi consapevole. Il romanticismo è affine nel
modo più profondo al misticismo, è il naturale avversario dell'illuminismo.
Esso muove, portando in sé l'entusiasmo e propagandolo,
contro il vuoto d'idee del piatto razionalismo, contro la despiritualizzazione
del mondo da parte del
'sano buon senso"; la sua vita è totalmente quella dell’idea. E questo è
il punto in cui si riconnette nel modo più stretto al movimento filosofico
dell'idealismo tedesco. Ciò che l'idealismo persegue nella speculazione e nel
sistema concettuale il romanticismo lo cerca direttamente nella vita. Il
ragionevole, il comprensibile, l'utile, il
pratico è per esso l'irreale, ciò che non sussiste. Solo nella vita dell'idea
esiste la vera realtà, misconosciuta e negata dall'utilitarismo dominante. Lo
scherno trova un altro oggetto, il mondo rimpicciolito del "sano buon
senso": entra al servizio dell'idea. L'ironia dello spirito che
riflette su di sé non si rivolge più contro Dio, ma contro il ridicolo di un
mondo desacralizzato e despiritualizzato. Quanto più a fondo il romanticismo apprende ad intendere la propria essenza,
tanto più sublime essa le appare e tanto più chiaramente ha la consapevolezza
di essere una
religione.
4.
IL SENSO DELL’INFINITO
Contrariamente a Kant, che aveva
costruito una filosofia del finito e aveva fatto valere in ogni campo il
principio del limite, i Romantici cercano ovunque, dall'arte all'amore, l'oltre‑limite,
ovvero ciò che rifugge dai contorni definiti e si sottrae alle leggi
dell'ordine e della misura. Pertanto l'anti‑classicismo dei Romantici,
prima di essere un fatto letterario e un criterio estetico, è una tendenza
generale della loro sensibilità e del loro spirito. Infatti «l'ebbrezza
dell'infinito» colora di sé tutte le esperienze dei Romantici che sono, in
genere, anime assetate di Assoluto, bramose di trascendere le barriere del
finito, e di andare oltre lo spazio, il tempo, il dolore, la caducità, la morte,
ecc. Tutto questo fa sì che i Romantici tendano, da un lato, ad infinitizzare
determinate esperienze umane: ad esempio la poesia o l'amore, e, dall'altro, siano portati ad
avvertire fortemente la presenza dell'Infinito nel finito.
In ogni caso, l’Infinito si qualifica come il protagonista principale
dell'universo culturale romantico. Tutti d'accordo nell' assegnare all' Infinito questo ruolo
primario, i Romantici si differenziano invece per il diverso modo di intendere
l'Infinito stesso e di concepirne i rapporti con il finito (l'uomo, la natura,
la Storia, ecc.). Il modello più caratteristico e maggiormente seguito dai
poeti e dai filosofi tedeschi è quello panteistico (che si trova ad esempio nel
primo Fichte come nei Frammenti del primo Schlegel, in
Schleiermacher come nel primo Schelling, in Holderlin come in Hegel, ecc.).
Infatti, il sentimento della Einfuhlung (immedesimazione) fra
Infinito e finito è così forte da far sì che i Romantici, almeno all'inizio,
tendano a concepire il finito come la realizzazione vivente dell'Infinito,
sia esso inteso, quest'ultimo, alla maniera di un panteismo naturalistico di
stampo spinoziano‑goethiano, che identifica l'Infinito con il ciclo
eterno della Natura, oppure di un panteismo idealistico che
identifica l'Infinito con lo Spirito, ossia con l'Umanità stessa e fa della
natura un momento della sua realizzazione.
Sebbene prevalente, il modello
panteistico non è, tuttavia, l'unico, poiché accanto ad esso, nei Romantici,
troviamo anche un'altra concezione dei rapporti fra finito e Infinito:
una concezione per la quale l'Infinito viene in qualche modo a distinguersi
dal finito, pur manifestandosi o rivelandosi in esso. In questo caso il
finito (l'uomo e il mondo) non appare più la realtà stessa dell'Infinito, ma
la sua manifestazione più o meno adeguata. Quindi, se il primo
modello, sostenendo l'identità tra finito e Infinito, è una forma di
immanentismo e di panteismo, il secondo modello,
affermando la distinzione tra finito e Infinito, è una forma di trascendentis;no
e di teismo, che ammette la trascendenza dell'infinito rispetto al
finito e considera l'infinito stesso come un Dio che è al di là
delle sue manifestazioni mondane.
Ovviamente, mentre
il panteismo si accompagna ad una religiosità cosmica, diversa dalle fedi
positive, il trascendentismo suole accompagnarsi, per lo più, all'accettazione
di qualche religione storica, come succede nel secondo Schlegel, in cui
teismo e cristianesimo vanno di pan passo e si concretizzano in una conversione
alla chiesa cattolica. Come vedremo. nel Romanticismo tedesco i vari autori
esprimono la tendenza a passare dal modello panteistico a quello
trascendentistico.
4. L'ASSOLUTO, UNA META IRRAGGIUNGIBILE
La scoperta di Einstein che i nostri
concetti di spazio e tempo, che Newton e Kant ponevano a base del loro pensiero
come forme assolute e date della nostra intuizione fenomenica, hanno invece un
significato relativo per l'arbitrio che è implicito nella scelta del sistema di
riferimento e del metodo di misurazione, è forse fra quelle che più intaccano
le radici del nostro pensiero fisico. Ma negando il carattere assoluto dello
spazio e del tempo non si elimina l'assoluto dall'universo, lo si sposta semplicemente
più indietro nella metrica della molteplicità quadridimensionale, che consiste
nel fondere insieme spazio e tempo in un continuo unitario per mezzo della
velocità della luce. Questa metrica è una cosa a sé, distaccata da qualunque
arbitrio, e quindi è un assoluto.
Cosi. anche la teoria della
relatività, troppe volte male interpretata, non solo non sopprime l'assoluto,
ma al contrario mette in evidenza in modo ancor più netto che la fisica si
fonda sempre su di un assoluto posto nel mondo esterno. Poiché se l'assoluto,
come pretendono molti teorici della conoscenza, esistesse solo nell'esperienza
vissuta di ognuno, dovrebbero esserci tante fisiche quanti sono i fisici, e non
potremmo affatto comprendere come mai sia stato possibile, almeno fino a oggi,
costruire una scienza fisica che è la stessa per le intelligenze di tutti gli
scienziati, nonostante le differenze delle loro esperienze vissute. Non siamo
noi che creiamo il mondo esterno perché ci fa comodo, ma è il mondo esterno
che ci si impone con violenza elementare: ecco un punto su cui è necessario
insistere, nel nostro tempo impregnato di positivismo. Quando, nello studio di
ogni fenomeno naturale, procuriamo di passare da ciò che è, in particolare,
convenzionale e casuale a ciò che è generale, obiettivo e necessario, non
facciamo altro che cercare dietro il dipendente l'indipendente, dietro il
relativo l'assoluto, dietro il transitorio il perenne. E, per quanto mi
consta, questa tendenza non è rilevabile soltanto nella fisica, ma in ogni
scienza, e non solo nel campo del sapere, ma anche in quello del buono e del
bello [...]
Concluderò
con una domanda assai ovvia, ma imbarazzante. Chi ci garantisce che un
concetto, a cui oggi ascriviamo un carattere assoluto, non si rivelerà relativo
domani, e non dovrà cedere il posto a un concetto assoluto più alto? La
risposta non può essere che una sola: nessuno al mondo può assumersi una
garanzia di tal genere. Anzi, possiamo esser sicuri che l'assoluto vero e
proprio non sarà mai afferrato. L'assoluto è una meta ideale, che abbiamo
sempre dinanzi a noi, senza poterla mai raggiungere. Sarà questo forse un
pensiero che ci turba, ma a cui ci dobbiamo adattare. La nostra condizione è
paragonabile a quella di un alpinista, che non conosce le montagne per cui
cammina e non sa mai se dietro la cima che vede dinanzi a sé e che vuole
raggiungere, non ne scorga per caso un'altra più alta. A lui come a noi potrà
servire di consolazione il sapere che si procede comunque sempre più avanti e
sempre più in alto, e che non c’è nessun limite che ci impedisca di continuare
ad avvicinarci alla meta.
Liceo Classico "B.Telesio"
Cosenza
a.s. 2001/2002
Classe I A
Tempo assegnato: Tre ore
Utilizzando i documenti che lo corredano,
sviluppa il seguente argomento in forma di “saggio breve”:
Interpreta e confronta i documenti forniti e svolgi su
questa base la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue
conoscenze ed esperienze di studio. Da’ alla tua trattazione un titolo coerente
ed ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica,
fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento
culturale, altro).
Non superare le quattro o
cinque colonne di metà del foglio protocollo.
FONTI:
1. Averroè, Il
trattato decisivo sull’accordo della religione con la filosofia, pp. 85-86.
2. Dante Alighieri,
Convivio, lib.II
3. Saffo,
Frammenti, 168b
4.
Dai 19 Vecchi Poemetti, VII, dinastia Han, 206 a.C. – 220 d.C., in Liriche
Cinesi, Torino, Einaudi 1963
5.
Upanishad, probabilmente 700 – 300 a.C.
Per la correzione si farà riferimento
all'allegata griglia tratta dal POF.
1.
Ci sono pagine della Scrittura che non si possono interpretare
allegoricamente e pagine il cui senso letterale deve essere letto
allegoricamente. Ma gli uomini che non posseggono capacità dimostrative non
possono fornire interpretazioni allegoriche perché perverrebbero a tesi
miscredenti. Chi ha difficoltà a riconoscere l’ esistenza di qualcosa che non
sia immaginabile rimane legato a un concetto di corporeità divina.
È evidente che ci sono testi delle Scritture di cui non è lecita
l'interpretazione allegorica, perché interpretare allegoricamente i princìpi
fondamentali della fede sarebbe miscredenza. D'altra parte, ci sono testi del
cui senso letterale la classe dimostrativa è obbligata ad avanzare
un’interpretazione allegorica, perché, se si arrestasse al senso apparente,
compirebbe a sua volta un atto di miscredenza. È chiaro che un'interpretazione
allegorica di quest'ultimo tipo di testi avanzata da uomini che non
appartengono alla classe dimostrativa risulterebbe miscredenza, o innovazione
biasimevole.
Dei passi o delle tradizioni che esigono l'interpretazione
allegorica sono un esempio quelli che parlano della ascesa o della discesa
di Dio. È indicativo che il Profeta - su di lui sia la pace! -, quando una
negra gli disse che Dio abita in cielo, ordinò di non punirla, considerandola
anzi una credente. La negra, infatti, non faceva parte della classe
dimostrativa, e la ragione della decisione del Profeta è che quel tipo di
gente, che non presta l'assenso se non grazie al soccorso della facoltà
immaginativa, ha difficoltà a riconoscere l'esistenza di esseri che non siano
in qualche modo collegati con qualche cosa di immaginabile.
Rientra in questa categoria anche chi non riesce a concepire Dio
senza metterlo in relazione con il luogo; si tratta cioè di coloro che hanno
superato di poco il grado più infimo di conoscenza, rimanendo legati a un
concetto di corporeità divina.
Nota: Per Averroè gli uomini che appartengono alla
categoria “dimostrativa” sono quelli che hanno facoltà razionali filosofiche.
2.
Dico che, sì come nel primo capitolo è narrato, questa sposizione
conviene essere litterale e allegorica. E a ciò dare a intendere, si vuol
sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per
quattro sensi. L'uno si chiama litterale e questo è quello che non va oltre a
ciò che suona la parola fittizia, sì come ne le favole dei poeti. L'altro si
chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto ‘l manto di queste
favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice
Ovidio che Orfeo facea con la cetra mansuete le fiere, e li arbori e le pietre
a sé muovere; che vuol dire come lo savio uomo con lo strumento de la sua voce
faria mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e faria muovere a la sua
volontade coloro che non hanno vita di scienza e d'arte: e coloro che non hanno
vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre. E perché questo nascondimento
fosse trovato per li savi, nel penultimo trattato si mostrerrà. Veramente li
teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia
intenzione è qui lo modo de li poeti seguitare, prendo lo senso allegorico
secondo che per li poeti è usato.
Lo terzo senso si chiama morale, e questo è quello che li lettori
deono intentamente andare appostando per le scritture, ad utilitade di loro e
di loro discenti: si come appostare si può ne lo Evangelio, quando Cristo salìo
lo monte per trasfigurarsi, che de li dodici Apostoli menò seco li tre, in che
moralmente si può intendere che a le secretissime cose noi dovemo avere poca
compagnia.
Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è
quando spiritualmente ti si spone una scrittura, la quale ancora sia vera
eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne
cose de l'etterna gloria, si come vedere si può in quello canto del Profeta che
dice che, ne 1'uscita del popolo d'lsrael d'Egitto, Giudea è fatta santa e
libera. Ché avvegna essere vero secondo la lettera sia manifesto, non meno è
vero quello che spiritualmente s'intende, cioè che ne l'uscita de l'anima dal
peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate. E in dimostrar questo,
sempre lo litterale dee andare innanzi, si come quello ne la cui sentenza li
altri sono inchiusi, e sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionale
intendere a li altri, e massimamente a lo allegorico.
3.
E’ tramontata la luna e le Pleiadi
È a mezzo la notte,
trascorre via il tempo
ed io giaccio sola.
4.
La chiara luna come bianca splende
Sulle tende che velano il
mio letto!
In preda al dolore mi volto
e non posso dormire,
Raccolgo le vesti e vado errando su e giú.
L'amore mio mi dice che è
felice;
Oh! dicesse che sta per ritornare!
Fuori in cortile esito; solitaria;
A chi mai potrò dire i miei
tristi pensieri?
Cogli occhi fissi nel vuoto
rientro in camera
Lacrime fitte mi bagnano il manto e la veste.
5.
Sappi che l'Atman è il padrone del carro e il corpo è il carro,
sappi che la ragione poi è l'auriga e la mente le redini.
I saggi chiamano i sensi cavalli, gli oggetti dei sensi sono
l'arena, la [personalità empirica] munita di anima, di sensi e di mente la
chiamano il fruitore.
Colui che non possiede la ragione e non ha mai la mente raccolta,
costui ha i sensi indocili, come un auriga che abbia cavalli cattivi.
Ma colui che possiede la ragione e ha la mente sempre concentrata,
costui ha i sensi docili, come un auriga che abbia cavalli buoni.
Colui che è privo di ragione, senza criterio, sempre impuro,
costui non giunge alla sede [suprema], ma ricade nel ciclo delle esistenze.
Ma colui che è dotato di ragione e di criterio ed è sempre puro,
giunge a quella sede donde non più si ritorna alla vita.
Liceo Classico
"B.Telesio"
Cosenza
a.s. 2002/2003
Classe III G
Alunno___________________
Insegnante: Donatella Puzone
Veltri
Data: 17 maggio 2002
Tempo assegnato: quattro ore
Utilizzando i documenti che lo
corredano, sviluppa il seguente argomento in forma di saggio breve:
La riflessione sulla libertà in diversi contesti storico
-
culturali
Interpreta e confronta i documenti
forniti e svolgi su questa base la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti
alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ alla tua trattazione un titolo
coerente ed ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica,
fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento
culturale, altro).
Non superare le quattro o cinque
colonne di metà del foglio protocollo.
FONTI:
J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse
J. Stuart Mill, Sulla libertà
M. Merleau - Ponty, Fenomenologia della percezione
J.P. Sartre, L’essere e il nulla
I brani, ad eccezione di quello di
Ortega Y Gasset, sono contenuti nei seguenti Manuali di Storia della Filosofia:
Cioffi, Gallo, Luppi, Vigorelli,
Zanette, Il testo filosofico, vol. 3/1,ed. Bruno Mondadori;
Giacché , Tognini: La filosofia
- storia e testi , vol III, ed. La Nuova Italia
Ciancio, Ferretti, Perone,
Pastore: Filosofia: i testi, la storia, vol III, ed. SEI
Per la correzione si farà
riferimento all'allegata griglia tratta dal POF.
La vita
umana, per sua stessa natura, deve essere rivolta a qualcosa. Si tratta díuna
condizione strana, però inesorabile, prescritta dalla nostra esistenza.
Se questa mia vita, che soltanto a me importa,
non è indirizzata da me verso una meta,
procederà malferma, senza tensione e senza forma. In questi anni stiamo
assistendo al gigantesco spettacolo di innumerevoli vite umane che camminano
smarrite nel labirinto di se stesse per non avere nulla verso cui rivolgersi.
Sembrerebbe
che la situazione dovesse essere ideale, una volta che ciascuna vita rimane
nell’assoluta libertà di fare ciò che più le aggrada, di attendere a se stessa.
Però il risultato è l’inverso. Abbandonata a se stessa, ciascuna vita rimane
priva di se stessa, vuota, inattiva. E dato che pur deve riempirsi di qualcosa,
síinventa frivolamente una propria esperienza, si dedica a false occupazioni
che nulla di intimo e sincero può giustificare.
Josè Ortega y Gasset (1883 - 1955)
Oggi la
società ha generalmente prevalso sull’individualità. Il pericolo che minaccia
la natura umana non è l’eccesso, ma la
carenza di impulsi e preferenze personali.
Non solo
nelle questioni che riguardano gli altri, ma anche in quelle che riguardano
loro soltanto, l’individuo o la famiglia non si chiedono: Che cosa
preferisco? o Che cosa si addice al mio carattere e alle mie
inclinazioni? ma Che cosa si addice alla mia posizione? Come si
comportano abitualmente le persone della mia condizione economica e sociale? o, peggio ancora, Come si comportano
abitualmente le persone di condizioni economiche e sociali superiori alle mie?
Non voglio dire che scelgano la consuetudine invece di ciò che si addice alle
loro inclinazioni: non hanno inclinazioni che non siano per consuetudine. Così la stessa mente si piega sotto il giogo
persino in ciò che gli uomini fanno per il piacere, il conformismo è il loro
primo pensiero; amano stare tra la folla; esercitano la scelta solo tra cose
comunemente fatte; l’originalità del gusto, l’eccentricità della condotta, sono
rifuggiti al pari di crimini, finché a furia di non seguire la propria natura,
non hanno più natura propria.
John Stuart Mill (1806 - 1873)
Cos'è dunque la libertà? Nascere, è nascere
dal mondo e al tempo stesso nascere al mondo. Il mondo è già costituito, ma non
è mai completamente costituito. Sotto il primo rapporto noi siamo sollecitati,
sotto il secondo siamo aperti a una infinità di possibilità. Ma questa analisi è
ancora astratta, giacché noi esistiamo sotto i due rapporti contemporaneamente.
Pertanto, non c'è mai determinismo e non c'è mai scelta assoluta, io non sono
mai cosa e non sono mai coscienza nuda. In particolare, anche le nostre
iniziative, anche le situazioni che abbiamo scelto ci sostengono, una volta
assunte, come per una Grazia dello stato. La generalità del “ruolo” e della
situazione viene in aiuto alla decisione e, in questo scambio fra la situazione
e colui che l'assume, è impossibile delimitare “l'apporto della
situazione" e “l'apporto della libertà". […]
La scelta
che noi facciamo della nostra vita si effettua sempre sulla base di un certo
dato. La mia libertà può distogliere la mia vita dal suo senso spontaneo, ma
solo in virtù di una serie di slittamenti, anzitutto sposandolo, e non in virtù
di qualche creazione assoluta. Tutte le spiegazioni della mia condotta basate
sul mio passato, il mio temperamento, il mio ambiente sono quindi vere, a
condizione che le si consideri non come apporti separabili, ma come momenti del
mio essere totale di cui mi è consentito esplicitare il senso in diverse
direzioni, senza che si possa mai dire se sono io a dare a esse il loro senso o
se lo ricevo da esse. Io sono una struttura psicologica e storica. Con
l'esistenza ho ricevuto un modo di esistere, uno stile. Tutte le mie azioni e i
miei pensieri, sono in rapporto con questa struttura, e anche il pensiero di un
filosofo è solo una maniera di esplicitare la sua presa sul mondo, ciò che egli
è. Eppure io sono libero, non malgrado o al di qua di queste motivazioni, ma
per mezzo loro. Infatti, questa vita significante, questa certa significazione
della natura e della storia che io sono, non limita il mio accesso al mondo, ma
viceversa è il mio mezzo per comunicare con esso. Essendo senza restrizioni o
riserve ciò che sono ora, io ho la possibilità di progredire; vivendo il mio
tempo, io posso comprendere gli altri tempi; immergendomi nel presente e nel
mondo, assumendo risolutamente ciò che sono per caso, volendo ciò che voglio,
facendo ciò che faccio, io posso andar oltre.
Posso
mancare la libertà solo se cerco di superare la mia situazione naturale e
sociale senza prima assumerla, anzichè unirmi, attraverso di essa, al mondo
naturale e umano. Nulla mi determina dall'esterno, non perchè nulla mi
solleciti, ma viceversa perchè da subito io sono fuori di me e aperto al mondo.
Noi siamo da capo a fondo veri, abbiamo con noi ‑ per il solo fatto che ineriamo al mondo e non siamo semplicemente
in esso, come cose ‑ tutto ciò
che occorre per superarci. Non dobbiamo temere che le nostre scelte o le nostre
azioni limitino la nostra libertà, poichè solamente la scelta e l'azione ci
sciolgono dalle nostre ancore. Come la riflessione deriva il suo voto di
adeguazione assoluta dalla percezione che fa apparire una cosa – ciò che permette all'idealismo di utilizzare tacitamente l’
“opinione originariaª che vorrebbe distruggere come opinione ‑, così la libertà si impiglia nelle contraddizioni dell'impegno e
non si accorge che essa non sarebbe libertà senza le radici che affonda nel
mondo. Farò questa promessa? Rischierò la vita per cosÏ poco? Darò la mia
libertà per salvare la libertà? Non c'è risposta teorica a tali domande. Ma ci
sono queste cose che si presentano, irrecusabili, c'è questa persona amata di
fronte a te, ci sono questi uomini che esistono schiavi attorno a te, e la tua
libertà non può volersi senza uscire dalla sua singolarità e senza volere la
libertà. Sia che si tratti delle cose o delle situazioni storiche, la filosofia
non ha altra funzione che quella di reinsegnarci a vederle bene, ed è giusto
dire che essa si realizza distruggendosi come filosofia separata. Ma qui si
deve tacere: infatti, solo l'eroe vive sino in fondo la sua relazione con gli
uomini e con il mondo, ed è sconveniente che un altro parli in suo nome. […]
“L'uomo non è che un nodo di relazioni, solamente le relazioni contano per
l'uomo”.
M. Merleau- Ponty (1908 -1961)
L'uomo è
dapprima, un progetto che vive per se stesso soggettivamente,
invece di essere muschio, putridume o cavolfiore;
niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel cielo intelligibile;
l'uomo sarà anzitutto quello che avrà progettato
di essere. Non quello che vorrà essere. Poiché quello che intendiamo di solito
con il verbo “volere”, è una decisione cosciente, posteriore, per la maggior
parte di noi, al fatto d'esserci
fatti da noi. Io posso voler aderire a un partito, scrivere un libro, sposarmi:
tutto ciò non è che la manifestazione di una scelta più originaria, più
spontanea di ciò che si chiama volontà. Ma, se veramente l'esistenza precede
l'essenza, l'uomo è
responsabile di quello che è. Così il primo passo dell'esistenzialismo Ë di
mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la
responsabilità totale della sua esistenza. [..]
È molto
scomodo che Dio non esista, poichè con Dio svanisce
ogni possibilità di ritrovare dei valori in un cielo intelligibile; non può più esserci un bene a priori poichè non c'è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo; non sta scritto da
nessuna parte che il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve
mentire, e per questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono
solamente degli uomini.
Dostoevskij
ha scritto: “Se Dio non esiste tutto è permesso”.
Ecco il punto di partenza dell'esistenzialismo. Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste, e di conseguenza l'uomo è “abbandonato”, perchè non trova né in sé né fuori di sé
possibilità d'ancorarsi. E non trova anzitutto neppure delle scuse. Se davvero
l'esistenza precede l'essenza non si potrà mai giungere ad una spiegazione
riferendosi ad una natura umana data e
determinata; ovverossia non vi è determinismo: l'uomo è libero, l'uomo è libertà.
Se,
d'altro canto, Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei valori o degli
ordini che diano il segno della legittimità della nostra condotta. Così non
abbiamo né davanti a noi né dietro di noi, nel luminoso regno dei valori,
giustificazioni o scuse. Siamo soli, senza scuse. Situazione che mi pare di poter caratterizzare dicendo che l'uomo è condannato a essere libero.
Condannato perchè non si è creato da solo, e ciò non di meno libero perchè, una
volta gettato nel mondo, è responsabile
di tutto quanto fa.
L'esistenzialista
non crede alla forza della passione. Mai penserà che una bella passione è un
torrente impetuoso che conduce fatalmente l'uomo a certe azioni e che quindi
vale da scusa. Ritiene l'uomo responsabile della passione. L'esistenzialista non penserà neppure che l'uomo può trovare aiuto in un
segno dato sulla terra, per orientano: pensa invece che l'individuo interpreta da solo il segno a suo piacimento. Pensa dunque
che l'uomo, senza appoggio nè aiuto, Ë condannato in ogni momento a inventare
l'uomo.
J.P. Sartre (1905- 1980)
LICEO
CLASSICO “B.TELESIO”
COSENZA
Prova
di Storia
Insegnante: Donatella Puzone Veltri
Classe: II A
Data: 29 Novembre 2002
Tipologia: Quesiti
a trattazione sintetica (Tip. A, D.M. 20 Novembre 2000, art.2 comma
1)
Tempo assegnato: 75
minuti
Ampiezza della
risposta: Max 15 righe (quesiti 1 e 2); 20 righe (quesito 3)
N.B.: Per la valutazione si farà riferimento
alla relativa griglia del POF d'Istituto, che viene allegata.
1.
Chi
fu il teorico dell’assolutismo, e su quali argomentazioni era fondata la sua
teoria?
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2.
Cosa significa fisiocrazia?
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3.
Riassumi nello spazio dato il brano di Kant Che
cos’è l’Illuminismo, mettendo a fuoco quelli che ritieni gli elementi più
significativi.
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Insegnante: Donatella
Puzone Veltri
Classe: III A
Alunno
_______________________
Data: 1 giugno 2004
Tipologia: Quesito a trattazione sintetica
(Tip. A, D.M. 20 Novembre 2000, art.2 comma 1)
Tempo assegnato: 60 minuti
Ampiezza della risposta:
Max 25 righe
Per la correzione si farà riferimento
all’allegata griglia del POF.
F.
Waismann (1896 – 1959)
Sulla scorta delle tue esperienze di studio, a
conclusione del triennio, esprimi le tue riflessioni sul brano proposto.
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Prova
strutturata di filosofia
Insegnante:
Donatella Puzone Veltri
Classe: I A
Alunno
_______________________
Data: 17
aprile 2001
Tipologia: Quesiti
a trattazione sintetica (Tip. A, D.M. 20 Novembre 2000, art.2 comma
1)
Tempo assegnato: 60
minuti
Ampiezza della
risposta: Max 20 righe
N.B.: Per la valutazione si farà riferimento
alla relativa griglia del POF d'Istituto, che viene allegata.
* * *
1.
Sulla scorta della tua conoscenza della
filosofia di Aristotele in generale,
esponi, fra quelle
sotto indicate, quale parte del suo sistema ti ha maggiormente colpito, e perché.
(Possibilmente, correda le tue esposizioni con riferimenti ai testi).
§
Logica
§
Metafisica
§
Fisica
§
Psicologia
§
Etica
§
Politica
§
Poetica
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2.
“Non
dunque le libagioni e le feste ininterrotte, né il godersi fanciulli e donne, né
il mangiare pesci e tutto il resto che una ricca mensa può offrire è fonte di
vita felice; ma quel sobrio ragionare che scruta a fondo le cause di ogni atto
di scelta e di rifiuto, e che scaccia le false opinioni, per via delle quali
grande turbamento si impadronisce
dell’anima. Principio di tutto ciò e
massimo bene è la prudenza …”
Illustra,
dopo averle opportunamente contestualizzate, quale tensione è sottesa a queste
parole, e quale ideale filosofico.
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Alunno _______________________
Data: 4 MARZO 2004
Tipologia:
Quesiti a trattazione sintetica (Tip. A, D.M. 20 Novembre 2000,
art.2 comma 1)
Tempo
assegnato: 120 minuti
Ampiezza
della risposta: max 20 righe
Discipline
coinvolte: Filosofia, Latino, Fisica,
Scienze, Storia dell'Arte.
N.B.: Per la valutazione si
farà riferimento alla relativa griglia del POF d'Istituto, che viene allegata.
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Liceo classico “BERNARDINO TELESIO”
Cosenza
ALUNNO
______________________ INSEGNANTE Donatella Puzone Veltri CLASSE
II A
DATA 5 dicembre 2002
TEMPO ASSEGNATO: 40 minuti.
TIPOLOGIA: Quesito a trattazione sintetica (tip. A)
Sulla base delle tue
conoscenze sul pensiero di Galileo e di un’attenta lettura del passo proposto,
illustra il rapporto fra matematica, studio della realtà naturale e possibilità
umane di conoscenza.
La
filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto
innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non
si impara a intendere la lingua, e
conoscer i caratteri, ne’ quali è
scritto Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangli,
cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile
intenderne umanameente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un
oscuro labirinto.
Il Saggiatore, pag.38
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Griglia di correzione Prove di tipologia B /C/D
INDICATORI
E
DESCRITTORI |
LIVELLI DI PRESTAZIONE |
P
In /10 |
P
In /15
|
P
Ass. |
Aderenza alla
traccia
-
Completezza della trattazione
-
Possesso di conoscenze relative
all’argomento e al quadro di riferimento in cui si inserisce
per il Saggio breve e l’articolo di giornale
-
utilizzo delle fonti
-
rispetto delle consegne |
Puntuale l’aderenza alla traccia,
ricca e approfondita l’informazione;
per la tipologia B Pieno e personale utilizzo delle fonti Puntuale il rispetto delle consegne |
9/10 |
4 |
|
Abbastanza corretta e puntuale; informazione
pertinente e approfondita Tipologia B
Le fonti sono utilizzate in modo articolato
e coerente; puntuale il rispetto delle consegne |
8 |
3.5 |
||
Nell’insieme corretta e puntuale, informazione abbastanza
approfondita
Tipologia B
Le fonti sono utilizzate in modo articolato
e coerente; le consegne nel complesso rispettate |
7 |
3 |
||
Complessiva aderenza alla traccia;
informazione essenziale Tipologia B
Le fonti sono utilizzate in modo semplice ma
coerente; sufficiente il rispetto delle consegne |
6 |
2.5 |
||
Approssimativa; trattazione superficiale,
informazione imprecisa Tipologia B
Parziale utilizzo delle fonti e poco
coerente la loro articolazione; inadeguato il rispetto delle consegne |
4 / 5 |
2 |
||
Organizzazione delle idee poco chiara e
significativa in relazione alla traccia Tipologia B
Modesto utilizzo delle fonti; mancato il
rispetto delle consegne |
3 / 4 |
1,5 |
||
Coerenza logica e argomentativa
-
sviluppo critico delle questioni
proposte
-
costruzione di un discorso
organico e coerente |
Contenuti strutturati in modo organico,
tesi centrale e argomentazioni chiare e significative |
9/10 |
4 |
|
Contenuti sviluppati in modo coerente,
tesi centrale chiara, argomentazione ben articolata |
8 |
3.5 |
||
Contenuti strutturati in modo semplice ma
ordinato; argomentazione motivata |
7 |
3 |
||
Contenuti essenziali e nel complesso strutturati in modo
ordinato
|
6 |
2,5 |
||
Contenuti sviluppati in modo poco coerente; tesi centrale
poco chiara, frequenti luoghi comuni
|
4 / 5 |
2 |
||
Contenuti strutturati in modo incoerente, irrilevante
l’argomentazione
|
3 / 4 |
1,5 |
||
Rielaborazione personale e valutazione critica
-
capacità di approfondimento
critico
-
originalità delle opinioni
espresse |
Sicuro impianto critico e presenza di
note personali |
9 /10 |
4 |
|
Giudizi e opinioni personali
opportunamente motivati |
8 |
3.5 |
||
Presenza di alcuni spunti critici non
sempre adeguatamente sviluppati |
7 |
3 |
||
Svolgimento alquanto compilativo con
pochi seppure validi spunti di
riflessione |
6 |
2,5 |
||
Insufficiente rielaborazione personale;
inadeguato impegno critico |
4 / 5 |
2 |
||
Assenza di note personali e di
valutazioni critiche |
3 / 4 |
1,5 |
Liceo
Classico “B.Telesio”
Cosenza
Uso della Lingua
-
conoscenza e padronanza della lingua italiana (ortografia,lessico, morfologia,
sintassi)
-
capacità espressive (creatività, originalità, fluidità)
-
capacità logico-linguistiche (cura dei passaggi logici, chiarezza, coerenza e
coesione del discorso)
-
pertinenza del registro linguistico |
Corretto e appropriato a tutti i livelli;
originale e creativo |
9/10 |
3 |
|
Appropriato nel lessico e senza gravi
errori; discorso scorrevole e coerente |
7 / 8 |
2.75 |
||
Nel complesso corretto; abbastanza
ordinato e coerente |
6 |
2.5 |
||
Disorganico e spesso scorretto |
4 / 5 |
2 |
||
Molto disorganico ed incoerente |
3 / 4 |
1 |
||
Voto in /10 |
|
|||
Voto in /15 |
|
N.B. Per giungere ad un voto in /10 basta
sommare i 4 punteggi e dividere per 4
Per giungere ad un voto in /15 basta
sommare i punteggi ottenuti, il totale darà il voto
Liceo Classico “B.Telesio”
Cosenza
Alunno Classe Data |
||||||||
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Indicatori |
Livelli di
prestazione |
Quesiti |
Punti |
Punteggio. assegnato |
||||
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
||||
1.
Conoscenza
q
Pertinenza e completezza della
risposta |
A. risposta completa, approfondita, corretta |
|
|
|
|
|
6 |
|
B. risposta
adeguata e corretta |
|
|
|
|
|
5 |
||
C . nel complesso
adeguata e corretta |
|
|
|
|
|
4 |
||
D . risposta
essenziale |
|
|
|
|
|
3 |
||
E . risposta
approssimativa e frammentaria |
|
|
|
|
|
2 |
||
F . risposta
inadeguata e incerta |
|
|
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|
|
1 |
||
2.
Capacità e Competenza
q
coerenza
q
organicità
q
argomentazione |
A. sviluppo
coerente, organico, ricco di spunti; sicura capacità di analisi e di sintesi. |
|
|
|
|
|
6 |
|
B. sviluppo
coerente e organico, analisi e sintesi corretta |
|
|
|
|
|
5 |
||
C. elaborazione
abbastanza coerente e organica; analisi e sintesi corrette |
|
|
|
|
|
4 |
||
D. sviluppo
logico lineare con collegamenti semplici; analisi e sintesi essenziali |
|
|
|
|
|
3 |
||
E. sviluppo
elementare e poco organico; incerta l’analisi e la sintesi |
|
|
|
|
|
2 |
||
F. elaborazione
incoerente e disorganica |
|
|
|
|
|
1 |
||
3.
Uso dei mezzi espressivi
correttezza ortografica
q
proprietà lessicale e sintattica
q
adeguatezza del registro |
A. preciso,
appropriato, corretto e personale su tutti i livelli |
|
|
|
|
|
3 |
|
B. nel complesso
corretto e appropriato |
|
|
|
|
|
2 |
||
C. lessicalmente
improprio e spesso sconnesso sul piano sintattico |
|
|
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1 |
||
Punteggio totale |
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|||||||
Voto in /10 |
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|||||||
Voto in /15 |
|
Il punteggio ottenuto sarà trasferito in voti in /10 o in /15 con la seguente proporzione
Dove P sta per il punteggio ottenuto dal singolo studente come somma dei punteggi parziali, M sta per il punteggio massimo ottenibile (numero dei quesiti moltiplicato 15) e V sta per 10 o 15 a seconda che la valutazione sia espressa in /10 o in /15. Quindi x sarà il voto finale assegnato al compito in questione.
Ad esempio, se i quesiti sono 5 e l’alunno ha riportato un punteggio di 45, la proporzione sarà:
45 : 75 = x : 15 (voto in quindicesimi)
45 : 75 = x : 10 (voto in decimi)
Liceo Classico “B.Telesio”
Cosenza