Torna al sommario di Comunicazione Filosofica Comunicazione Filosofica n. 8 - febbraio 2001 Conoscenza del primitivo come scoperta dell’altro (Testo C)Il giudizio di illogicità che attribuiamo alla mentalità primitiva è inficiato, a giudizio di uno dei fondatori della moderna antropologia culturale, dalla nostra refrattarietà a concepire un modo di pensare diverso dal nostro. Tra questo mondo e l’altro, tra la realtà sensibile e l’aldilà, il primitivo non distingue. Vive veramente con gli spiriti invisibili e con le forze impalpabili. Queste realtà sono, per lui, le più reali. La sua fede si esprime nei più insignificanti come nei più importanti dei suoi atti. Tutta la sua vita, tutta la sua condotta ne sono impregnate. Se dunque la mentalità primitiva evita e ignora le operazioni logiche, se essa si astiene dal ragionare e dal riflettere, non è per incapacità di oltrepassare ciò che le offrono i sensi, e non è nemmeno per un attaccamento esclusivo a un piccolo numero di oggetti tutti materiali. Le stesse testimonianze che insistono su questa caratteristica della mentalità primitiva ci autorizzano anche e anzi ci obbligano a rifiutare queste spiegazioni. Bisogna cercare altrove. E per cercare con qualche probabilità di successo, occorre anzitutto porre il problema in termini che ne rendano possibile una soluzione metodica. Invece di sostituirci in immaginazione ai primitivi che studiamo, e di farli pensare come noi penseremmo se fossimo al loro posto, il che non può condurre se non a ipotesi tutt’al più verosimili e quasi sempre false, sforziamoci invece di metterci in guardia contro le nostre stesse abitudini mentali e cerchiamo di scoprire quelle dei primitivi attraverso l’analisi delle loro rappresentazioni collettive e delle connessioni tra queste rappresentazioni. Finché si ammette che la loro mente è orientata come la nostra, che reagisce come la nostra alle impressioni che riceve, si ammette anche, implicitamente, che dovrebbe riflettere e ragionare come la nostra sui fenomeni e gli esseri del mondo dato. Ma si constata che di fatto essa non riflette e non ragiona così. Per spiegare questa anomalia apparente, si ricorre allora a un certo numero di ipotesi: pigrizia e debolezza di mente dei primitivi, confusione, ignoranza puerile, stupidità, ecc. che non rendono sufficientemente conto dei fatti. Abbandoniamo questo postulato, e dedichiamoci senza idee preconcette allo studio oggettivo delle mentalità primitiva, quale si manifesta nelle istituzioni delle società inferiori o nelle rappresentazioni collettive da cui tali istituzioni derivano. Procedendo in questo modo, l’attività mentale dei primitivi non sarà più interpretata in partenza come una forma rudimentale della nostra, come infantile e quasi patologica. Apparirà anzi come normale nelle condizioni in cui essa si esercita, come complessa e, a suo modo, sviluppata. Cessando di riferirla a un tipo che non è il suo, cercando di determinarne il meccanismo soltanto a partire dalle sue stesse manifestazioni, possiamo sperare di non snaturarla nella descrizione e nella analisi. Lucien Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva [1922], Einaudi, Torino 1975, pp. 18-19 (Ia ed. 1966) |