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Comunicazione Filosofica n. 8 - febbraio 2001

Centralità della politica e sua negazione nel totalitarismo  (Testo I)

“Proprio perché, in genere, i singoli sono costretti ad un’intima solitudine, senza essere in grado di concepire piani di vita sensati, i regimi totalitari esercitano su di loro un’attrazione che li induce a sottomettersi senza riserve” (Bodei 1997, p.161). Persa la facoltà di distinguere l’agire (action) e il lavorare (work e labour), il rapporto con gli uomini e il rapporto con e mediato attraverso le cose, si creano per H. Arendt i presupposti del totalitarismo. Al termine del processo si ottunderà la facoltà di giudizio tra bene e male, bello e brutto,fino all’esito estremo della banalità del male, la possibilità per un Eichman di vivere lo sterminio come normale amministrazione.

L’azione, la sola attività che metta in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione umana della pluralità, al fatto che gli uomini, e non l’uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo. Anche se tutti gli aspetti della nostra esistenza sono in qualche modo connessi alla politica, questa pluralità è specificamente la condizione – non solo la conditio sine qua non, ma la conditio per quam – di ogni vita politica. Così il linguaggio dei romani, forse il popolo più dedito all’attività politica che sia mai apparso, impiegava le parole “vivere” ed “essere tra gli uomini” (inter homines esse), e rispettivamente “morire” e “cessare di essere tra gli uomini” (inter homines esse desinere) come sinonimi. Ma nella sua forma più elementare, la condizione umana dell’azione è implicita anche nella Genesi (“Egli li creò maschio e femmina”), se accettiamo questa versione della creazione del genere umano e non quella secondo cui Dio originariamente creò solo l’Uomo (Adam, “lo” e non “li”), così che la moltitudine degli esseri umani è il risultato di una moltiplicazione. L’azione sarebbe un lusso superfluo, una capricciosa interferenza con le leggi del comportamento, se gli uomini fossero semplicemente illimitate ripetizioni riproducibili dello stesso modello, la cui natura o essenza fosse la stessa per tutti e prevedibile come quelle di qualsiasi altra cosa. La pluralità è il presupposto dell’azione umana perché noi siamo tutti uguali, cioè umani, ma in modo tale che nessuno è mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà.

Hanna Harendt, Vita activa. La condizione umana, [1958], Bompiani, Milano 1994, pp. 7-8.

 

Il termine «massa» si riferisce soltanto a gruppi che, per l’entità numerica o per indifferenza verso gli affari pubblici o per entrambe le ragioni, non possono inserirsi in un’organizzazione basata sulla comunanza di interessi, in un partito politico, in un’amministrazione locale, in un’associazione professionale o in un sindacato. Potenzialmente, essa esiste in ogni paese e forma la maggioranza della folta schiera di persone politicamente neutrali che non aderiscono mai a un partito e fanno fatica a recarsi alle urne. Fatto caratteristico, i movimenti totalitari europei, quelli fascisti come quelli comunisti dopo il 1930, reclutarono i loro membri da questa massa di gente manifestamente indifferente, che tutti gli altri partiti avevano lasciato da parte perché troppo apatica o troppo stupida.

Hanna Harendt, Le origini del totalitarismo, Comunità, Milano 1967, p. 431.

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