Torna al sommario di Comunicazione Filosofica

Comunicazione Filosofica n. 9 - dicembre 2001

 

L'UOMO BICENTENARIO E LE EMOZIONI IN FILOSOFIA: UN PERCORSO DI STUDIO

A. Marabini

 

Premessa

Il percorso che segue rappresenta un modo possibile di affrontare con gli alunni il tema delle emozioni in filosofia. Si tratta per lo più di un percorso utilizzabile ai fini dell'approfondimento nello studio di filosofi già affrontati in classe, ma questa volta a proposito di un problema o tema, quello appunto delle emozioni. Tale approfondimento, data anche la struttura per capitoli del percorso, può essere affrontato singolarmente da ciascun alunno che abbia interesse per l'argomento, nell'ambito dunque di un'individualizzazione dell'insegnamento tesa a valorizzare le risorse degli studenti che, avendo già qualche solida conoscenza preliminare, possono fare i primi passi per un approccio problematico e analitico alle questioni filosofiche. Per questo si pensa sia opportuno proporre il lavoro ad allievi del secondo o del terzo anno di studio della filosofia.

Anche adottando l’approccio tematico, un obiettivo non trascurabile rimane quello di rendere consapevole lo studente del fatto che, pur partendo dal presente, spesso le questioni filosofiche attuali ci riportano al passato, allo studio dei filosofi della tradizione. In questo modo l'alunno potrà rendersi conto che i filosofi del passato possono essere "riattualizzati" e fatti dialogare col presente.

A tale proposito, data la natura dell'approccio tematico, i filosofi della tradizione, sebbene in qualche caso contestualizzati, potranno essere accostati senza tenere conto del salto temporale che li separa e che li vede distanti da noi.

La struttura del nostro percorso prevede la suddivisione in tre capitoli di cui il primo rappresenta un avvio al modulo e parte dal presente. Lo spunto iniziale è fornito dal film “L’uomo bicentenario”, da proporre - individualmente o in gruppo - agli studenti coinvolti nell’attività di approfondimento. Muovendo da un riflessione sul senso comune dunque, all'interno cioè di quella che è la nostra comprensione del fenomeno, vengono individuati alcuni tratti specifici che sembrano caratterizzare la natura delle emozioni.

In modo particolare ne viene posto in risalto il carattere motivante e l'impulso ad agire, mediante la lettura di brani di studiosi contemporanei. Tale riflessione costituisce la premessa per affrontare lo studio di alcuni filosofi del passato che per primi hanno individuato questi aspetti.

Il secondo capitolo rappresenta, infatti, un ritorno alla tradizione e prevede lo studio di testi di Hume e Aristotele La motivazione o impulso all'azione viene perciò studiata per quanto concerne il suo duplice legame con l'etica (Hume) e con l'estetica (Aristotele).

Il terzo capitolo riguarda il genere di riflessione sulle emozioni relativo ad un'altra tradizione filosofica, quella indiana. Si prenderà qui lo spunto da un articolo sui rapporti tra il poeta indiano Tagore ed Einstein per fornire infine agli studenti un "assaggio" di come scuole filosofiche lontane da noi non solo nel tempo, ma in questo caso anche nello spazio, affrontano lo stesso argomento.

Naturalmente, al di là di quella che è la nostra proposta e i nostri suggerimenti sulle modalità del percorso, ciascun insegnante è libero di utilizzare i testi qui proposti nel modo che crede e di dare il proprio taglio individuale alla traccia da noi presentata.

Proprio in virtù di un possibile utilizzo come approfondimento individuale da parte di singoli alunni, come dicevamo sopra, le pagine seguenti sono rivolte direttamente allo studente

 

CAP. 1: IL PRESENTE

1. Andrew, il robot umano.

Nel film "L'uomo bicentenario" Andrew, il robot tuttofare della famiglia Martin, presenta caratteristiche alquanto anomale. La famiglia Martin si accorge un po' alla volta che Andrew manifesta tratti di "umanità". Nel film l'androide farà di tutto per divenire un essere umano a pieno titolo Il percorso è graduale: oltre a divenire soggetto al trascorrere del tempo, impara anche a coltivare sempre più i propri sentimenti e le proprie emozioni.

Dopo la visione del film rifletti: perché il robot appare "umano" a Richard Martin, poco tempo dopo il suo acquisto?

Quali atteggiamenti e quali sequenze del film citeresti per rispondere a questa domanda?

La sua stranezza non potrebbe consistere nel fatto che diversamente da ciò che si presume sia l'atteggiamento di un robot, sembra provare dolore, gioia e tristezza?

Ma possiamo anche osservare che il robot fa di più: è in grado di intraprendere delle azioni di propria iniziativa, come mosso da desideri e interessi. È in grado, infatti, di creare un oggetto, di pensare a un progetto e dare origine a comportamenti come assemblare pezzi, ritagliare, incollare. Tutto questo per soddisfare il desiderio di rallegrare la sua piccola amica, o per il soddisfacimento estetico e la serenità che il creare una bella forma gli procura.

Esercizio:

Ad un certo punto, in una sequenza successiva del film, Andrew vuole anche avere una pelle vera.

Perché secondo te?

Quali differenze cogli tra ciò che Andrew sente, prima e dopo l'avere acquisito una pelle umana?

Le emozioni, in generale, ad esempio l'odio, l'amore, la paura, la rabbia, la solidarietà hanno un ruolo importante per gli esseri umani; sembra che abbiano il potere di spingerli verso la realizzazione di qualcosa.

Andrew agisce anche in modo morale, come mosso da un desiderio, in questo caso di benevolenza, verso gli uomini.

Le emozioni negli esseri umani non solo sono sensazioni legate ai sensi corporei ma hanno anche il potere di incidere sui comportamenti delle persone, sui loro pensieri e giudizi, e di fornire l'impulso per attività di vario genere. Certo, Andrew, vorrà avere anche una "pelle", che gli procuri sensazioni umane a pieno titolo. Se ci pensi bene, abbiamo, infatti, anche esperienze che sembrano ancora più istintive delle emozioni che abbiamo citato prima. Gli umori, come semplice effetto dei sensi e del corpo, e dunque della materia di cui esso è costituito come la pelle e i muscoli, si distinguono dalle emozioni per la caratteristica di non essere intenzionali ovvero di non essere dirette verso un'azione o un oggetto.

A questo punto possiamo cominciare a tracciare una prima distinzione:

Ci sono emozioni che si distinguono da altre sensazioni come gli umori per il fatto di non essere legate solo all'effetto che fa l'avere un corpo, ma di essere dirette verso un'azione o un oggetto. Ad esempio un'emozione come il desiderio di benevolenza o l'amicizia può incidere sul comportamento di Andrew nei confronti della bambina. Ciò lo induce a costruire per lei giocattoli, o a mettere a rischio la propria incolumità per difenderla. Oppure può trarre soddisfacimento nella produzione di oggetti dalle belle forme e dai bei colori.

Gli umori sono quello che percepiamo e sentiamo in quanto robot costruiti di metallo e silicio, o in quanto esseri umani fatti di carne e ossa e strutturati in un certo modo.

Il nostro percorso tuttavia verte sulle emozioni.

Forse avrai cominciato ad intuire dove il nostro discorso vuole arrivare

2. Emozioni e azione

Le emozioni cosa hanno a che vedere con gli atteggiamenti assunti dalle persone ?

Perché agiamo in un certo modo "morale"?

S. Hampshire, un filosofo contemporaneo, afferma:

Esistono molti mali - per esempio il male dell'ingiustizia nella distribuzione dei beni - che occorre svelare e dimostrare tali prima che possano essere avvertiti come mali. D'altro canto i mali rappresentati dalla grande povertà, dalla malattia, dalla sofferenza fisica e dallo strazio della perdita sono avvertiti immediatamente come tali da qualsiasi persona dotata di una sensibilità normale (….).

Gradualmente, e in una serie di libri. ho imparato a riconoscere e apprezzare la forza piena dell'affermazione di Hume: " La Ragione è e dovrebbe essere schiava delle passioni ". Tradotta nel linguaggio della filosofia contemporanea, quest'affermazione diventa: "Nella filosofia morale e politica si ricercano le premesse idonee da cui dedurre conclusioni già accettate esclusivamente in virtù dei propri sentimenti e delle proprie simpatie" E' difficile ammettere la pura contingenza del sentimento personale come punto d'arrivo del ragionamento, tra sé e sé o con altri, sui requisiti fondamentali della giustizia sociali. Ma ormai sono abbastanza sicuro che questo sia il vero punto d'arrivo.

(Stuart Hampshire, Non c'è giustizia senza conflitto. Democrazia come confronto di idee, Prima edizione in "Elementi", Feltrinelli editore, Milano 2001, pag.9)

Hampshire parla poco dopo di "giustizia procedurale" come dell'uguale opportunità da parte di due contendenti di essere ascoltati, indipendentemente da quello che può essere per ognuno di loro la concezione di "bene". Egli introduce questo concetto per definire il tipo di razionalità che ritiene essere alla base delle nostre considerazioni morali. Questa forma di razionalità si distingue, secondo il nostro autore dall'idea tradizionale di ragione nella storia del pensiero e della teologia quale come capacità di distinguere le relazioni "giuste" da quelle che non lo sono. In questo caso, infatti, essa identifica la giustizia con qualche principio particolare come ad esempio" la difesa della proprietà" in modo tale da individuare una connessione necessaria tra la giustizia e la proprietà così come tra una figura piana con tre lati e una figura piana con tre angoli. Poco dopo, inoltre, a proposito di giustizia procedurale afferma:

 

…dal fatto che la giustizia procedurale sia definita in base a un principio universale, un principio di razionalità, non discende che essa debba trascurare tutte le diverse considerazioni morali che occupano la mente degli individui. Generalmente, uomini e donne riconoscono che in circostanze eccezionali potrebbero pensare che si dovrebbe passar sopra alle considerazioni di giustizia procedurale allo scopo di proteggere qualche altro valore essenziale, dominante nella loro morale: per esempio l'impegno contro il dilagare della povertà o la difesa della vita. Di norma, in ogni società moderna c'è un caos di opinioni e di atteggiamenti morali. Una persona ragionevole sa che c'è questo caos, e tutti coloro che credono fermamente nelle proprie idee o che nutrono sentimenti integralisti deplorano il caos e sperano nel consenso: di solito un consenso in cui prevalgano le loro opinioni e i loro atteggiamenti. Come socialista convinto, io considero la povertà affiancata alla grande ricchezza un male grave e non necessario nonché un'ingiustizia sostanziale, e mi aspetto una lotta politica incessante contro coloro la cui concezione del bene e la cui idea di equità sono incompatibili. E' questa la vera sfera della politica.Vi sarà, da un lato, la retorica ben allenata del pensiero conservatore e, dall'altro, la retorica della riforma radicale e della ridistribuzione. Sotto molti aspetti, la teoria metaetica che ho delineato è vicina a quella di Hume: le opinioni sulla giustizia sostanziale e le altre virtù derivano, e sono spiegate, da sentimenti umani naturali e ampiamente diffusi, modificati in profondità da costumi e storie sociali estremamente variabili.

(Stuart Hampshire, Non c'è giustizia senza conflitto. Democrazia come confronto di idee, Prima edizione in "Elementi", Feltrinelli editore, Milano 2001, p. 36- 37)

 

Esercizio:

dopo aver letto il brano rifletti sulle considerazioni del nostro filosofo e cerca di rispondere alle seguenti domande:

a) come possiamo considerare la tesi che la ragione dovrebbe essere schiava del sentimento personale, delle emozioni?

b) cosa c'entra secondo te la giustizia procedurale con le passioni di persone che la pensano in modo diverso?

c) A proposito di razionalità, pensa anche a come collochiamo il risentimento o il senso di colpa. Questi non ci inducono talvolta a ripensare al nostro modo di agire, anche dopo aver valutato attentamente e in modo razionale quale fosse la migliore condotta da tenere in quella situazione?

Considera ora invece le riflessioni di un altro filosofo, Eugenio Lecaldano, a proposito della bioetica:

….Accettiamo una parte di questo modello della razionalità pratica: quella che suggerisce di considerare relativamente alle diverse alternative prospettate, in primo luogo le conseguenze in termini di soddisfazioni delle preferenze delle persone coinvolte, ma altri aspetti non ne sono accettabili: da una parte la pretesa di poter realmente costruire un punto di vista (talvolta caratterizzato da chi lo presenta come quello di un Arcangelo, Hare, 1989, pp.77-100) unico e ideale da cui un Agente Razionale possa confrontare con esiti rigorosi i diversi assetti prevedibili ; dall'altra il non tenere conto in questi calcoli di quanto i contesti della bioetica comportino sentimenti e relazioni personali difficilmente indicizzabili con una scala costi-benefici. (…) Vi è una larga convergenza non solo nel rifiuto dei modelli astratti e deduttivistici di razionalità ma anche nel ritenere che il modello di razionalità adeguata per la bioetica mette in primo piano la trattazione di casi concreti e così facendo ribalta l'ordine rispetto alla razionalità tradizionale che metteva in primo piano i principi…(…) Mettere al centro i casi e ritenere che si debba arrivare a principi o norme solo per via induttiva, e inoltre non considerare tale principi come definitivi o assoluti non equivale ad abbracciare una forma di razionalità pratica a spizzichi, ovvero una concezione relativistica e rinunciataria della vita morale che suggerisce che ogni situazione va risolta con la norma che più le si conviene e le si adatta.

(Eugenio Lecaldano Bioetica. Le scelte morali, 1°ed., Editori Laterza, Bari 1999, p. 20-21.)

Ciò che emerge dai due brani precedenti scelti, è che il nostro modo di agire o di valutare dal punto di vista morale scelte e situazioni nei riguardi del presente, del passato e del futuro (come il caso della bioetica), può essere visto anche come l'effetto di emozioni. La spiegazione, cioè, deve utilizzare un concetto di razionalità che tenga conto di questo aspetto.

Ma forse a questo punto potremmo chiederci più precisamente: cosa sono le emozioni?

3. Cosa sono le emozioni?

Vediamo cosa ne dicono alcuni teorici:

Una studiosa contemporanea afferma in un suo saggio:

Le emozioni sono esperienze complesse, caratterizzate da un particolare aspetto qualitativo, e nelle quali sussistono componenti cognitive, edoniche (una particolare esperienza di piacere o di dolore), di tendenza all'azione e di eccitazione fisiologica (per esempio, un aumento del battito cardiaco, della sudorazione ecc.). (…). La componente di maggior rilievo in questo contesto di discussione è la componente cognitiva e questa può essere una percezione, un ricordo, un giudizio, un atto di immaginazione, una supposizione. Per individuare la sua funzione è utile fare riferimento a una distinzione molto usata dal senso comune e cioè alla distinzione tra emozioni vere e proprie e umori. Generalmente si considerano le emozioni come stati mentali legati a una condizione di eccitazione fisiologica, strettamente dipendenti da una base cognitiva (tipicamente, una credenza) e dotati di un oggetto intenzionale, cioè rivolti a un oggetto o stato di cose specifico (concreto o astratto, esistente, immaginario o illusorio). Invece gli umori si distinguono per il fatto di essere privi di oggetto intenzionale, e per avere un legame più debole con la base cognitiva. . L'essere privi di un oggetto intenzionale li renderebbe, infatti, più diffusi e, al tempo stesso, meno dipendenti dalla mente di quanto non lo siano le emozioni e più vicini a stati corporei.

(Clotilde Calabi, Che cosa hanno in comune l'amore, il disprezzo e l'assassinio premeditato?, in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, 1° ed, Feltrinelli Editore, Milano 1999, p.52-53)

e più avanti aggiunge:

(…) le emozioni sono eventi morali. In che cosa risiede questa loro caratteristica? Ebbene queste esperienze istituiscono un rapporto particolare con determinate proprietà assiologiche, che ineriscono all'oggetto o allo stato di cose cui sono rivolte e che gode di queste proprietà in virtù del contesto cui appartiene. In altre parole, le emozioni sono esperienze di oggetti in quanto portatori di valori, ci rivelano l'esistenza di un mondo composto da individui e stati di cose, che "recano su di sé" particolari proprietà assiologiche. Per esempio anche se la paura non presuppone necessariamente il possesso del concetto di pericolosità, essa ci consente tuttavia di avere una relazione cognitiva con oggetti che sono vissuti come pericolosi. (Clotilde Calabi, Che cosa hanno in comune l'amore, il disprezzo e l'assassinio premeditato?, in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, 1° ed, Feltrinelli Editore, Milano 1999, pag. 66)

Secondo un altro studioso

Chi vive un'emozione si trova spinto in diversi modi ad agire. Paura, rabbia, gelosia inducono a compiere particolari azioni, a formare nuovi piani di condotta, e questa è la base dell'idea (controversa) che le emozioni, nonostante la loro eterogeneità, costituiscano un genere naturale di stati mentali. (…) sostengo che il concetto di motivazione emozionale è necessario per formulare (e risolvere o dissolvere) alcuni problemi riguardanti i fondamenti della scelta razionale (…)

Teorie psicologiche e senso comune concepiscono le emozioni come complessi di proprietà causali, cognitive e fenomenologiche …

(Tito Magri, Azione e passione, in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, 1° ed, Feltrinelli Editore, Milano 1999, p. 95-96)

 

Generalizzando possiamo enucleare alcuni caratteri delle emozioni, che, a seconda della dominanza dell'uno o dell'altro all'interno dei vari modelli di spiegazione, danno origine a differenti approcci teorici:

Aspetto causale : all'origine delle emozioni sono le credenze nella mente di un essere umano. Cioè ad esempio un pensiero, una mia particolare credenza relativa a qualcosa o qualcuno è all'origine della mia emozione di paura. (Tale pensiero sarebbe alla base delle mie sensazioni corporee, come ad esempio l'intensificarsi del ritmo cardiaco, che generano successivamente delle emozioni)

Esercizio:

ora soffermati un momento e rifletti sulle considerazioni che seguono.

Pensa a questa situazione: di fronte ad uno stesso fatto, diverse persone provano sempre tutte la stessa emozione, ad esempio la gioia o il dolore?

Se l'emozione è spiegabile in questo modo, un problema che si presenta è: cosa permette di passare da un contenuto come un pensiero o una credenza, o un'immagine, all'emozione corrispondente ?

Come si fa a sapere che quella, ad esempio la gioia, è l'emozione appropriata per quella credenza, pensiero o immagine mentale?

Una delle obiezioni che possono essere sollevate alla considerazione del solo approccio causale è proprio il fatto che esso non spiega come mai gli stessi contenuti possano dare origine a emozioni diverse. Nella nostra esperienza, lo stesso fatto può infatti essere all'origine per qualcuno di un'emozione di tristezza o rabbia, per qualcun altro di eccitazione.

Tuttavia l'approccio causale spiegherebbe perché le emozioni, pur avendo proprietà fenomenologiche si distinguono tuttavia da proprietà come quella di "rosso" .

Aspetto fenomenologico: le emozioni sono paragonabili alla mia esperienza di "rosso" .Sono associabili cioè alla particolare configurazione dell'essere umano e del suo corpo.

Ma, generalmente, all'interno della comune nozione di emozione possiamo ritrovare, accanto ad aspetti di tipo causale e fenomenologico come quelli descritti sopra e relativi rispettivamente ai corrispondenti approcci, anche il fatto importante che esse :

comprendono un impulso ad agire. Le emozioni, o passioni hanno il carattere di dare origine a delle azioni e di poter modificare il pensiero.

Inoltre esse vantano, anche un

4) aspetto cognitivo Esse comprendono cioè anche contenuti quali credenze, pensieri o rappresentazioni, percezioni. Sarebbero ad esempio le credenze e i pensieri l'origine dell'emozione, per l'approccio causale che abbiamo menzionato sopra.

 

 

CAP 2. RITORNO AI FILOSOFI DELLA TRADIZIONE:EMOZIONI E "IMPULSO AD AGIRE"

1. Emozioni ed etica: la motivazione e Hume

Questo penultimo carattere, ossia l'aspetto 3, l'impulso ad agire, è molto importante per l'etica. Un problema dell'etica infatti riguarda la motivazione. Il filosofo Lecaldano afferma che nella filosofia morale del Novecento <<è divenuta sempre più esplicita la priorità dell'obiettivo di rendere conto del modo in cui il vocabolario morale riesce a guidare l'azione >>(Eugenio Lecaldano, Le emozioni morali e l'argomentazione in etica, in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, 1° ed., Feltrinelli Editore, Milano 1999, pag.142)

Non si tratta quindi di spiegare solo come avviene l'adesione a qualche principio, ma anche del modo in cui ciò che approviamo ci motiva ad agire.

Nel Novecento, all'interno di una tradizione di pensiero come quella che viene chiamata "analitica" vediamo all'opera fondamentalmente due posizioni. Semplificando la questione, possiamo estrapolarne alcuni concetti particolarmente significativi per il nostro argomento.

Gli Esternalisti ritengono che la spinta ad agire sia riconducibile a credenze e ragioni, relativamente cioè a come le cose, le loro relazioni, i fatti stanno nel mondo, come dall'esterno dell'individuo. In questo contesto è importante dunque l'analisi razionale di fatti che, dopo attente considerazioni, portano alla "migliore" scelta morale.

Mentre

gli Internalisti ritengono che si debba far riferimento a qualche emozione o atteggiamento non conoscitivo, che dall'interno della persona sia connesso alla sua scelta morale.

Al problema che in sintesi è quello dell'eterna disputa tra ragione o passioni, viene dato particolare risalto già nel Settecento, con Hume.

Hume

Il secolo XVIII è il secolo dei lumi, della scienza di Newton ma anche del Sentimentalismo. Il Sentimentalismo presenta il vantaggio di rendere conto di questo aspetto "motivante" delle emozioni nelle azioni morali.

Hume si rende conto che il metodo scientifico avrebbe potuto essere rapportato anche ad una trattazione più rigorosa della natura umana, una trattazione che cioè non facesse riferimento solo a quelle costruzioni metafisiche tipiche dei filosofi del Seicento. La sfida che Hume si trova ad affrontare è perciò quella del tentativo di ricondurre delle proprietà umane come quelle morali ad un metodo scientifico. Queste proprietà non possono più essere spiegate come entità corrispondenti a "valori oggettivi". Nel moderno contesto scientifico del Settecento, diversamente dalla riflessione filosofica dei secoli precedenti, questa forma di spiegazione nei termini dell'oggettività dei valori etici non è più comprensibile, né accettabile.

Per il Sentimentalismo, possiamo dire che l'assunto fondamentale è che, anche per quanto riguarda l'etica, non si può fare a meno di tenere conto dei sentimenti e delle inclinazioni umane e questa posizione, che Hume condivide, appare nel Trattato sulla natura umana. Il filosofo, in questo contesto, osserva innanzitutto che il carattere fondamentale dell'etica è tale da condizionare le azioni umane e le passioni, ed ha la capacità di muovere la volontà.

Hume fa appunto riferimento alle emozioni come ciò che permette di risolvere il problema della motivazione ad agire .

Ma cosa sono le emozioni e le passioni per Hume?

Nella sezione prima del libro II del Trattato sulla natura umana (1740), quello cioè intitolato <<Sulle passioni>> Hume osserva:

Come si possono dividere tutte le percezioni della mente in impressioni e idee, così è possibile suddividere le impressioni in originarie e secondarie . Questa suddivisione delle impressioni è identica a quella di cui mi son già servito quando distinsi tra impressioni di sensazione e impressioni di riflessione . Le impressioni originarie o impressioni di sensazione sono quelle che sorgono nell'anima, senza che alcuna percezione le preceda, dalla costituzione del corpo, dagli spiriti animali, o dal contatto di oggetti con gli organi esterni. Le impressioni secondarie, o di riflessione, sono quelle che provengono da alcune di quelle originarie, o direttamente o per il frapporsi delle loro idee. Al primo tipo appartengono tutte le impressioni dei sensi e tutti i dolori e i piaceri corporei; al secondo tipo appartengono le passioni e le altre emozioni che a esse rassomigliano. Non c'è dubbio che la mente, nel suo percepire, debba iniziare da qualcosa, e che, dal momento che le impressioni precedono le idee corrispondenti, ci debbono essere delle impressioni che facciano la loro comparsa nell'anima senza essere introdotte da nulla. Ma dal momento che queste ultime dipendono da cause naturali e fisiche, il loro esame mi spingerebbe troppo lontano dal mio tema attuale, e cioè nelle scienze dell'anatomia e della filosofia naturale. Mi limiterò qui pertanto a quelle altre impressioni, che ho chiamato secondarie e di riflessione, in quanto sorgono o dalle impressioni originarie o dalle loro idee. I dolori e i piaceri corporei sono fonte di molte passioni, sia quando vengono provati che quando vengono considerati dalla mente; ma originariamente sorgono nell'anima, o nel corpo, comunque vi piaccia chiamarlo, senza essere preceduti da alcun pensiero o percezione. Un attacco di gotta produce una lunga catena di passioni, quali la tristezza, la speranza, la paura; ma non deriva da nessuna affezione o idea.

Le impressioni di riflessione possono suddividersi in due tipi, e cioè quelle calme e quelle violente. Al primo tipo appartengono il senso del bello e del brutto in un'azione, in una composizione e negli oggetti esterni; al secondo tipo appartengono le passioni di amore e odio, tristezza e gioia, orgoglio e umiltà. (…) dal momento che le passioni sono, in genere, più violente delle emozioni che sorgono dal bello e dal brutto, queste impressioni sono state comunemente distinte le une dalle altre. (..) Avendo ormai detto tutto ciò che ritenevo necessario sulle nostre idee, inizierò ora a spiegare queste violente emozioni o passioni, la loro natura, origine, cause ed effetti.

(David Hume, Trattato sulla natura umana, a cura di E.Lecaldano E.Mistretta, in D.Hume Opere, Editore Laterza, Bari 1971, vol. I, pag.290 )

 

Esercizio

Dopo la lettura del brano cerca di mettere un po' in "ordine" le tue idee: costruisci una mappa concettuale che individui quelle che, secondo Hume, sono

le percezioni della mente

Successivamente cerca di individuare cosa sono

le impressioni

e come possono essere suddivise al loro interno.

All'interno di questa mappa, a partire da quanto abbiamo detto finora dove sono collocate, secondo te, le emozioni?

In un altro punto, Hume introduce una considerazione importante sul ruolo delle passioni o emozioni nell'etica:

Non c'è nulla di più comune in filosofia, e anche nella vita quotidiana, che parlare del conflitto tra passione e ragione per dare la palma alla ragione, e per affermare che gli uomini sono virtuosi solo nella misura in cui obbediscono ai suoi comandi . (…) Per dimostrare come tutta questa filosofia sia erronea, cercherò di dimostrare in primo luogo che la ragione, da sola, non può mai essere motivo di una qualsiasi azione della volontà; e in secondo luogo che la ragione non può mai contrapporsi alla passione nella guida della volontà. (…) Nulla può ostacolare o rallentare l'impulso di una passione se non un impulso contrario; se questo impulso contrario sorgesse dalla ragione ciò significherebbe che quest'ultima facoltà dovrebbe avere un'influenza originaria sulla volontà, e dovrebbe essere in grado non solo di impedire, ma anche di causare qualunque grado di volizione .(..) La ragione è e può solo essere schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse. (...) Una passione è una esistenza originaria, e non contiene nessuna qualità rappresentativa che ne faccia una copia di una qualunque altra esistenza o modificazione. Quando sono in collera, sono effettivamente in preda a questa passione, e in tale emozione non vi è maggior riferimento a qualche altro oggetto che quando ho sete o sono ammalato o alto più di cinque piedi. Perciò è impossibile che questa passione possa essere ostacolata dalla verità e dalla ragione o possa contraddirle, poiché la contraddizione consiste nel disaccordo tra le idee, considerate come delle copie, e gli oggetti che esse rappresentano.

(David Hume, Trattato sulla natura umana, a cura di E.Lecaldano E.Mistretta, in D.Hume Opere, Editore Laterza, Bari 1971, vol. I, p. 433-436)

Esercizio

Dopo aver letto il brano riportato qui sopra, cerca di rispondere alle seguenti domande:

perché la ragione, da sola, non può mai essere motivo di una qualsiasi azione della volontà?

perché la ragione non può mai contrapporsi alla passione nella guida della volontà?

Le passioni non possono essere condizionate dalle ragioni, afferma Hume, e la ragione deve essere schiava delle passioni. Perché?

La ragione ha il carattere della rappresentazione e ci guida nello stabilire la verità o falsità di quest'ultima stabilendo se c'è accordo o disaccordo tra le idee che esprime, o tra i fatti reali che rappresenta. Le passioni, ovvero l'altro genere di operazioni della nostra mente, appaiono di carattere diverso. La passione infatti è un fenomeno mentale che ha la caratteristica, per Hume, di non essere una rappresentazione. Non è dunque possibile verificare, per quanto la riguarda, se c'è accordo o disaccordo tra idee, rappresentazioni o fatti. Per questo motivo essa risulta essere, diversamente dalla ragione, né vera, né falsa. Ne deriva che la ragione non può influenzare le passioni. Ad esempio, non può contraddirle, poiché il disaccordo può esistere solo tra idee o rappresentazioni. La passione può essere condizionata solo da altre passioni. La morale allora, poiché induce all'azione e produce delle passioni, non può essere il frutto della ragione, quanto dell'operato delle inclinazioni umane.. E' qui, osserva Donatelli (P.Donatelli, La filosofia morale, 1°ed., Editori Laterza, Bari 2001, p.116-117) che Hume si appella al carattere motivante dell'etica per arrivare a giustificarne il fondamento nelle passioni.

E' proprio perché nell'etica è necessario spiegare che cosa spinge all'azione morale, perché ci si comporta in un modo anziché in un altro, il motivo per cui Hume vede un legame tra le passioni e l'etica.

Le emozioni, infatti, e qui sta l'altro nocciolo della questione, per il filosofo si caratterizzano per avere un rapporto rovesciato con il reale rispetto alla ragione. La ragione rappresenta uno stato psicologico di adeguamento alla realtà mentre la passione è tale che è il mondo a doversi adeguare alla mente e al desiderio, è il mondo che le si deve adattare. Non può essere allora la ragione a fornire la motivazione ad agire, ma la passione poiché essa sola fornisce la giusta direzione di adeguamento con il mondo (Donatelli). Inoltre il giudizio della ragione è vero se la connessione di idee nella mente corrisponde a come stanno le cose nel mondo reale, ai fatti. Ma la morale per Hume non è solo questione di rappresentazione e descrizione delle cose come una qualunque forma di credenza proprio perché comporta anche un aspetto motivante(Donatelli ).La ragione tuttavia può ancora avere un ruolo: può intervenire al fine di individuare i mezzi più adatti al soddisfacimento di una passione. I criteri con cui opera la ragione divengono, per Hume, criteri interni, basati su inclinazioni umane interessi e motivazioni. Tali criteri non sono forniti dall'esterno, come da un punto di vista estraneo, ma nascono all'interno della stessa persona che è mossa da impulsi.

La passione, nella filosofia di Hume si estende fino a comprendere "il senso di giustizia". Questo accade quando la passione di un altro viene da noi intesa a partire dagli effetti che essa produce, e che noi siamo in grado di riconoscere come causati da quella emozione. In questo modo la passione viene individuata. La passione dell'altro, che appare nella nostra mente sottoforma di rappresentazione o idea, diversamente dalle proprie emozioni, richiama in noi l'idea di quella stessa emozione provata da noi in passato. Ad esempio, l'idea del dolore provato dall'altro richiama il ricordo del dolore che io un tempo ho provato personalmente Questa passione dell'altro, dunque, prima in noi come idea, produce ora un'emozione, uguale a quella

da noi provata originariamente.

Riassumendo, possiamo dire che per quanto concerne l'etica, molti teorici hanno insistito sulla descrizione di ciò in cui consistono gli enunciati morali nei termini di credenze che ne stanno alla base. Abbiamo però osservato come questa posizione sia suscettibile di obiezioni che hanno qualcosa a che vedere con l'argomento del nostro percorso. Se si segue questo approccio infatti, secondo alcuni studiosi rimane da considerare come tali credenze costituiscano un motivo per agire in un determinato modo. Questo aspetto, come abbiamo detto più volte, è un fatto per niente trascurabile per quanto concerne il carattere dell'etica.

Hume risolve il problema della motivazione ad agire, attribuendo un ruolo centrale alle emozioni. Esse rappresentano la base fondamentale su cui si costruisce la razionalità pratica propria dell'etica, che non esclude comunque alcune forme di argomentazione.

Secondo Hume, nell'etica non vale la ragione dei razionalisti, ma un tipo speciale di ragione che ritaglia i propri argomenti all'interno dei sentimenti e delle emozioni.

2. Emozioni ed estetica: Aristotele e la funzione catartica dell'arte

Ma l'idea che le emozioni siano legate alla motivazione e all'azione pare molto più antica. Già Aristotele introduce questa grande novità nella sua Poetica e nella Politica. Si tratta infatti di quella che Aristotele definisce

1) la funzione catartica delle emozioni nella tragedia

Dell'arte imitativa in esametri e della commedia parleremo in seguito, parliamo ora della tragedia., ricavano da ciò che si è detto quella che risulta la sua definizione d'essenza. Tragedia è dunque imitazione di un'azione seria e compiuta, avente una propria grandezza, con parola ornata, distintamente per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una narrazione, la quale per mezzo di pietà e paura porta a compimento la depurazione di siffatte emozioni.

(Aristotele, Poetica, a cura di Diego Lanza, 7°ed., Rizzoli Libri, Milano 1995, 49b 25-28)

Anche nella Politica, parlando della musica e dei suoi vari generi Aristotele osserva i canti producono depurazione e sollievo

 

Esercizio

Dopo aver letto il brano sopra riportato cerca di rispondere alle seguenti domande:

1) Che proprietà hanno, qui, le emozioni, per Aristotele?

2) A che cosa conducono le emozioni?

Secondo alcuni teorici la grande novità che Aristotele introduce è proprio l'idea che le emozioni si caratterizzano rispetto alle semplici sensazioni per la capacità di incidere sui giudizi delle persone, sulle passioni e gli impulsi negativi, e la capacità di modificarli. In questo modo la paura, in genere le emozioni provate dallo spettatore durante lo spettacolo della tragedia, sono in grado di purificarlo (katharsis) e di indurlo a comportamenti morali.

Abbiamo dunque mostrato, in questo secondo capitolo, due modi di intendere quel carattere delle emozioni che nel capitolo 1, par.3, avevamo chiamato "l'impulso ad agire". In un caso esso ha a che fare con l'etica, ed abbiamo visto come la questione faccia la sua comparsa già con Hume, nell'altro caso esso ha a che vedere anche con l'estetica e il tema della fruizione dell'opera d'arte. A questo proposito abbiamo citato Aristotele. Eravamo partiti dal presente, ma il nostro argomento ci ha riportato ai filosofi della tradizione. Ora probabilmente ti sarai reso conto di come certe questioni filosofiche che ci riguardano abbiano le loro radici nel passato e viceversa come il pensiero dei filosofi della tradizione non sia affatto privo di spunti di riflessione per tante questioni che ci riguardano da molto vicino.

Abbandoniamo ora i nostri filosofi e "lanciamo qualche sasso" nello "stagno". Pensiamo in quali altre occasioni ci capita di usare il termine "emozione":

Nel nostro uso quotidiano del linguaggio attribuiamo emozioni solo agli esseri umani?

Non diciamo infatti a volte che un quadro è triste, o che esprime malinconia, gioia, turbamento e via dicendo?

In che senso parliamo di emozioni in questi casi?

Come vedi il nostro percorso ora potrebbe anche prendere un'altra direzione . Ma lasciamo in sospeso queste questioni, e riserviamo questo itinerario ad una prossima volta…

Ancora però non vogliamo finire. Abbiamo parlato di tradizione, e siamo rimasti comunque sempre "vicino a casa". Ma ci sono altre tradizioni? Come hanno riflettuto sulle emozioni? Il nostro percorso questa volta ci porta molto lontano…

 

CAP 3. UN PUNTO DI VISTA ORIENTALE

1. Einstein e Tagore

Riportiamo qui alcuni stralci di un articolo che ci pare significativo per lo sviluppo del nostro percorso. Il tema è rappresentato dagli incontri avvenuti tra il 1930 e il 1931 tra il poeta indiano Tagore e lo scienziato tedesco Albert Einstein:

…I due erano diversi sotto ogni rispetto: nazionalità, bagaglio culturale, occupazioni e preoccupazioni, eppure erano accomunati dalla curiosità per i reciproci apporti, il perseguimento della verità e l'amore per la musica.

(…) scaturisce una discussione sulle differenze tra musica classica indiana e occidentale. Tagore osserva che nelle questioni umane esiste " un elemento di elasticità ; qualche libertà all'interno di un ambito ristretto, che è per l'espressione della nostra personalità". (…) Entrambi concordano che la bellezza di un brano di musica va oltre qualsiasi analisi. " E' assai difficile analizzare l'effetto della musica orientale od occidentale sulla nostra mente " dice Tagore. (…) E Einstein; " Vorremmo sapere se la nostra musica è un sentimento umano convenzionale oppure fondamentale, se cogliere l'armonia o la dissonanza sia naturale o sia una convenzione che accettiamo" . E continua " La stessa incertezza esisterà sempre per ciò che di fondamentale vi è nella nostra esperienza, nella nostra reazione all'arte, sia in Europa, sia in Asia. Persino il fiore rosso che vedo davanti a me sulla Sua tavola, può non essere lo stesso per lei e per me". Tagore non esprime accordo né disaccordo, ma ricerca una posizione di compromesso tra Est e Ovest. (…) Singer evidenzia, come Tagore e Einstein, inoltre, "operassero in un mondo di studiosi che si cercavano l'un l'altro al di là dei confini nazionali e delle discipline per condividere i pensieri sul mondo contemporaneo"….

(Mel Gussow, <<E Einstein disse a Tagore: parliamone…>>Il Venerdì di Repubblica anno, n. 702 (31 agosto 2001).

 

L'articolo ci colloca in un altro orizzonte di pensiero, di cultura, di stili di vita. Ci fa capire come la curiosità genuina per il genere umano e il suo pensiero vadano oltre le differenze di razza e di cultura.

Tagore nel suo libro dal titolo La casa della pace così si esprime nel capitolo sulle emozioni intitolato "Passione e smarrimento"

La passione che, ignorando continenza e misura, non è in grado di diffondersi armoniosamente dappertutto, finisce per concentrare allo stesso modo un fuoco distruttore su un unico punto .D'altronde, in fondo essa lascia che regni dappertutto una crudele indifferenza, su cui non è proiettato alcun calore né alcuna luce . Nella nostra cittadella interiore, il sorgere di un puro affetto non può provocare alcun danno: la mente resta lucida la ragione conserva la propria integrità. Ma un sentimento così puro non potrebbe mai fiorire presso chi, rinserrato nei propri pregiudizi, non è in grado di avere un giudizio equanime sulla realtà: e non potrebbe ugualmente sbocciare in chiunque si lasci, come un animale accecare dai propri istinti . Il vero amore implica apertura e mente limpida (..) Nella preghiera di Maitreyi l'amore si esprime in questi tre aspetti . dono consapevole di sé, lucidità, trasparenza interiore. La sua aspirazione all'immortalità non deriva da uno slancio emotivo, sprezzante della ragione e dell'impegno ebbro di sé…

(Rabindranath Tagore, Passione e smarrimento in La casa della pace, 1°ed., Bollati Boringhieri editore, Torino 1999, p.50-51)

 

Prendiamo allora lo spunto da questo articolo e da questo brano per interrogarci su quale possa essere stata nella ricca storia del pensiero indiano, la riflessione sulle emozioni.

Come vengono viste le emozioni?

Ne presentiamo qui un "assaggio", a partire dalla riflessione sviluppatasi all'interno di una delle scuole principali della tradizione filosofica indiana, la Scuola bramanica Nyaya.

Per la difficoltà dei testi, poiché si tratta principalmente di aforismi di difficile comprensione, ci rifaremo all'interpretazione e alle riflessioni di un grande studioso della filosofia indiana, il Prof. Radhakhrishnan (S.Radhakrishnan, Indian Philosophy, 4°ed., Oxford University Press, New Delhi 1999, p.29-175, vol. II) .

2. La Scuola Nyaya e le emozioni

La filosofia Nyaya rappresenta una delle sei scuole bramaniche. Scopo di queste scuole è quello di dimostrare, attraverso un metodo critico di analisi, l'attendibilità di testi sacri della tradizione indiana antica, o vedica, come l'Upanishad. I Veda erano stati tra i primi conquistatori dell'India e sui loro testi si erano basati la religione e il pensiero indiani prima del Buddismo, del Jainismo e delle altre scuole non ortodosse.

Questa tradizione, infatti, era stata messa in crisi dalla nascita delle scuole appena menzionate, nei secoli V -VI a. C. Esse, pur rifacendosi come base di partenza alla tradizione comune, avevano introdotto uno stile di pensiero ed un metodo di analisi critica. Dove prima esistevano la religione e il mito erano sorte così nuove idee e revisioni del pensiero ortodosso.

La risposta a queste "eresie" fu la nascita di alcune scuole bramaniche indiane, come quella Nyaya. La novità stava nel fatto che esse utilizzavano lo stesso metodo critico dei loro antagonisti al fine di ribadire, tuttavia, la tradizione che era stata messa in discussione. La filosofia Nyaya si basa essenzialmente su un'opera i Nyaya Sutra, dove "sutra" sta per "aforismi". La si fa risalire, al III sec.a. C., con sviluppi nei secoli seguenti.

Per quanto riguarda il nostro tema possiamo dire che la filosofia Nyaya, come le altre scuole bramaniche, idealizza lo stato di esistenza senza passioni, l'essere libero da sensazioni, sentimenti, interessi, e dalle condizioni di spazio e tempo. Si tratta dello stato in cui l'Anima raggiunge la sua purezza o Brahma. Le passioni, le emozioni, e i desideri sono possibili solo per l'individuo soggetto a nascita e morte. L'Anima, secondo la filosofia Nyaya, prima di raggiungere il Brahma deve passare attraverso varie vite nel cammino verso la purificazione. In queste vite, l'Anima, unendosi ad un corpo diviene anima dell'individuo così creato. Essa sconta in questo modo le imperfezioni iscritte nella mente o Manas, una sua qualità che rappresenta il pensiero, la coscienza e la memoria delle esperienze di vite precedenti. L'Anima utilizza così come strumento il corpo e le sue azioni per espiare le colpe commesse. In questa unione con la materia corporea, inoltre, hanno origine i fenomeni della coscienza e della mente rappresentati da Manas. Quest'ultima, infatti, pur essendo una proprietà eterna dell'anima, diviene attiva solo in occasione dell'unione dell'Anima con un corpo. In occasione di ogni successiva unione, quest'ultima si arricchisce di nuovi ricordi e di "colpe" che espierà in seguito, in altre vite.

Ma sebbene per la filosofia Nyaya lo scopo di ogni Anima sia il raggiungimento di Brahma, essa pone tuttavia grande attenzione a quelle che abbiamo definito le qualità apparentemente meno rilevanti dell'anima. Il pensiero Nyaya è consapevole dell'importanza fondamentale dell'esperienza, della coscienza e del ruolo di mente e intelletto, dunque di tutto ciò che rientra nel concetto di Manas e che dovrebbe essere oggetto di espiazione nel corso delle reincarnazioni . E' in occasione anche della percezione di emozioni, gioie e dolori, o dell'incontro tra i sensi e un oggetto esterno attraverso la mediazione della mente, che diveniamo coscienti dell'individuo che siamo, del Sé più autentico, il Soggetto che è alla base della nostra esperienza

La filosofia Nyaya distingue tra due forme di percezione a seconda che l'oggetto sia percepito in concomitanza con il nome che lo designa:

la percezione indeterminata

la percezione determinata

La prima è una specie di apprensione diretta, è la percezione dell'oggetto senza il nome, mentre la seconda è una specie di giudizio percettivo e l'oggetto è appreso simultaneamente alla sua identificazione ad esempio quale genere, qualità, nome ecc. Gli oggetti con i quali i sensi entrano in contatto sono infatti per questa filosofia di diverso genere, e si tratta di oggetti veri e propri, ma anche di qualità e relazioni che vengono considerate reali.

La percezione indeterminata nella filosofia Nyaya è, secondo Radakrishnan, paragonabile a quella che per William James - filosofo statunitense della seconda metà dell'Ottocento - è la semplice esperienza immediata che il flusso della mente comporta e per la quale non si pone alcuna questione di verità o falsità. Si tratta cioè dello stato che precede immediatamente la conoscenza, ma che non è ancora conoscenza intellettuale. Tuttavia essa rappresenta invece quell'aspetto della percezione che il pensiero buddista predilige: la forma di conoscenza dell'oggetto che non richiede alcuna nozione di genere, qualità nome, ma semplicemente afferra l'individualità dell'oggetto. Essa è, infatti, per il buddista la realtà più profonda e inesprimibile. Mentre la conoscenza, per la filosofia Nyaya, si ha solo attraverso percezione determinata, mediante un giudizio sulla cosa percepita (vengono cioè individuati il genere di appartenenza e il soggetto che percepisce) e presupponendo in questo modo la mediazione della conoscenza, per il buddismo l'idea che la conoscenza determinata possa dipendere solo da un'analisi del nome che denota l'oggetto, senza un contatto diretto tra quest'ultimo e gli organi di senso, viene criticata in nome dell'idea che reale è semplicemente la qualità momentanea. Per la scuola Nyaya infatti, reale è solo l'individuo con le sue specificazioni interne e le sue relazioni. Le relazioni, le qualità, sono qui qualcosa di esistente mentre per il buddista non sono che una rete immaginaria che noi anteponiamo alla realtà più genuina.

La filosofia Nyaya rifiuta il solipsismo e ribadisce che le impressioni sensoriali non sono conoscenza.

Un aspetto importante per il nostro tema delle emozioni, e derivante da questo ragionamento, è che la nozione di Sé nella filosofia Nyaya si dà solo come aspetto secondario e derivato rispetto alla percezione determinata di qualcosa, mentre per il buddismo ogni percezione mentale è della stessa natura di quella sensoriale. Si percepisce il Sé, secondo il buddismo, attraverso la percezione dei suoi stati di dolore e gioia, ma senza l'interferenza della conoscenza intellettiva e dunque della possibilità dell'errore, del vero e del falso. Questa consapevolezza e conoscenza di Sé vengono dunque identificate dal buddismo con la sensazione di intimità e di calore emozionale che accompagna ogni forma di percezione.

Riportiamo qui sotto alcuni stralci del Capitolo primo, Libro terzo del Nyaya sutra del filosofo Gautama. Si tratta di aforismi tradotti e seguiti dal commento del curatore dell'edizione italiana, al fine di facilitarne la lettura e la comprensione (omettiamo qui il testo in lingua originale presente invece nell'edizione cui facciamo riferimento).

3.1.18. (…) [L'anima deve essere ammessa, ] sulla base della comprensione emotiva, del dolore, della paura e della gioia, del (neo)nato, per il fatto del legame della memoria con le [cose] fornite in un'esperienza precedente.

Si apre la topica dedicata all'eternità dell'anima (atman). Si consideri il caso del neonato, che pur essendo venuto al mondo, prova già molte sensazioni emotive (dolore, gioia, paura, ecc.). Ciò sarebbe inspiegabile a prescindere dall'eternità dell'anima se non si tenesse conto di un substrato che ricorda le esperienze precedenti: è quest'ultimo a riattivare certe sensazioni, già provate in passato nei confronti di determinati oggetti.

(…)

3.1.22. (…) [L'obiettore sostiene che] l'approccio di quello (=del neonato al seno materno) è come l'avvicinarsi del ferro alla calamita.

Il fatto che il neonato si accosti al seno materno è naturale e necessario; si tratta di una situazione analoga a quella in cui il ferro viene attratto dalla calamita. Per spiegare questo fatto, non è necessario invocare l'eternità dell'anima (è la posizione dell'obiettore).

3.1.23. (…) [A ciò noi rispondiamo che] non è [così], per il fatto dell'inesistenza di attività in altro luogo

(…)

3.1.24. (…) Sulla base della non osservazione della nascita libera dal desiderio.

In ogni neonato, sussistono certe inclinazioni (ad esempio, per il seno materno); nessuna nascita è priva di desideri: ciò depone ulteriormente a favore del ricordo di vite precedenti, laddove si tende a ripetere un piacere già provato in passato. Tale ricordo è possibile solo ammettendo l'eternità dell'anima (che spiega la continuità del desiderio nel corso delle varie esistenze).

3.1.25 (…) [Alcuni dicono che l'anima non è eterna, in quanto] la sua origine è come l'origine delle sostanze che posseggono le qualità

Le qualità esistono nel momento in cui vengono prodotte, allo stesso modo della sostanza cui ineriscono. Poiché l'anima possiede la qualità del desiderio (raga), ciò ne attesta la non eternità (l'anima è prodotta, nel momento della determinazione della sua qualità, che è il desiderio). E' la posizione dell'avversario.

3.1.26. (…) [Noi rispondiamo che ] non è [così], nel caso del desiderio, ecc., per il fatto dell'essere provocato dalla volizione finalizzata [ricollegabile alle esperienze delle vite precedenti].

Gautama replica che, nel neonato, il desiderio (al pari delle altre qualità dell'anima )è provocato da un'intenzione finalizzata: il neonato sa infatti che ricaverà piacere dalla suzione, benché non abbiano avuto luogo esperienze, nella vita presente, da cui poter ricavare tale cognizione. Ciò vuol dire che questa cognizione (relativa al piacere della suzione e il desiderio corrispondente) può derivare soltanto da una vita precedente, di cui l'anima, poiché è eterna, serba il ricordo. Il desiderio si ricollega dunque ad un substrato eterno, che è l'anima, e la posizione dell'avversario è controbattuta.

(L.V.Arena, Il Nyaya sutra di Gautama, Edizioni Asram Vidya, Roma 1994, Libro terzo, Capitolo primo, p.193-197)

Esercizio:

dopo letto la parte introduttiva e, in seguito, gli aforismi riportati qui sopra cerca di rispondere alle seguenti domande:

Il desiderio, ad esempio quello del neonato, e le emozioni (gioia, dolore) come si spiegano, secondo Gautama?

In che modo viene dimostrata l'immortalità dell'Anima che rappresenta, secondo la fìlosofia Nyaya, il nostro essere più autentico?

 

Bibliografia

L.V.Arena, Il Nyaya sutra di Gautama, Edizioni Asram Vidya, Roma 1994

Aristotele, Poetica, a cura di Diego Lanza, 7°ed., Rizzoli Libri, Milano 1995

M.Budd, 1992 Emotion, in A companion to Aesthetics, a cura di D.Cooper, Blackwell, Oxford.

C.Calabi, Che cosa hanno in comune l'amore, il disprezzo e l'assassinio premeditato?, in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, 1°ed, Feltrinelli Editore, Milano 1999

P.Donatelli, La filosofia morale, 1°ed., Editori Laterza, Bari 2001S.Radhakrishnan, Indian Philosophy, 4°ed., Oxford University Press, New Delhi 1999, p.29-175, vol. II

M. Gussow, <<E Einstein disse a Tagore: parliamone…>>Il Venerdì di Repubblica anno, n. 702 (31 agosto 2001).

S. Hampshire, Non c'è giustizia senza conflitto. Democrazia come confronto di idee, Feltrinelli editore, Milano 2001

D.Hume, Trattato sulla natura umana, a cura di E.Lecaldano E.Mistretta, in D.Hume Opere, Editore Laterza, Bari 1971, vol. I

E. Lecaldano, Le emozioni morali e l'argomentazione in etica, in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, 1° ed., Feltrinelli Editore, Milano 1999

E.Lecaldano Bioetica. Le scelte morali, 1°ed., Editori Laterza, Bari 1999

T. Magri, Azione e passione, in Filosofia ed emozioni, a cura di Tito Magri, 1° ed, Feltrinelli Editore, Milano 1999

S.Radhakrishnan, Indian Philosophy, 4°ed., Oxford University Press, New Delhi 1999, vol. II

R.Tagore, Passione e smarrimento in La casa della pace, 1°ed., Bollati Boringhieri editore, Torino 1999

Strumenti

Film L'uomo bicentenario (titolo originale "Bicentennial man"). Usa 1999, regia: Chris Columbus.