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Comunicazione Filosofica n. 4 - dicembre 1998

 

Anna M. Bianchi

"I CONTENUTI ESSENZIALI PER LA FORMAZIONE DI BASE": UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE

 

Il Documento I contenuti essenziali per la formazione di base - elaborato da sei "esperti" (1) su incarico del Ministro della Pubblica Istruzione e reso pubblico nel marzo di quest’anno - costituisce un interessante sviluppo della prima sintesi dei lavori della Commissione dei "saggi", diffusa nel maggio del 1997 (2).

La complessità del Documento rende difficile intervenire "misurandosi" (3) con l’intero testo, secondo l’invito contenuto nella Presentazione: i sei "esperti", infatti, sviluppano una riflessione su diversi livelli - intrecciando considerazioni relative alla definizione dei saperi, alla pianificazione scolastica, alla didattica disciplinare - e forniscono molteplici spunti per un dibattito.

Tuttavia, poiché le singole proposte manifestano pienamente il proprio significato nella "visione d’assieme del tessuto culturale" (4) della nuova scuola di base, sembra opportuno affrontare la richiesta della Presentazione e suggerire alcune osservazioni complessive che - riflettendo l’impostazione del Documento - riguardano i diversi piani del discorso toccati dagli "esperti".

 

1. La legittimazione delle decisioni curricolari

Nella Premessa il Documento accenna a una questione fondamentale rispetto al compito assegnato sia alla Commissione dei quarantaquattro "saggi", chiamati a riflettere "sulle conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni" (5), sia al gruppo ristretto dei sei, chiamato a pronunciarsi sui contenuti essenziali per l’istruzione obbligatoria: la questione della giustificazione delle scelte culturali operate in vista della elaborazione dei curricoli scolastici.

Il problema è particolarmente rilevante perché, in entrambi i casi, le indicazioni dei "saggi" vanno lette in rapporto al progetto di riforma complessiva del sistema di istruzione delineato nella proposta di riordino dei cicli scolastici (6) e - sottolineatura forse ovvia - la riforma di un sistema scolastico è una questione di interesse nazionale.

Posto il problema, però, il Documento si limita ad affermare la necessità di "operare una scelta" dei contenuti da trasmettere e a esprimere la consapevolezza dei "contrasti legati alla concezione del valore [formativo] (7)" attribuito ai cosiddetti saperi minimi, contrasti destinati a emergere con l’apertura del dibattito.

Per di più, ponendo la questione, gli stessi estensori del Documento paiono affermare l’insufficienza di una legittimazione delle scelte culturali per l’elaborazione dei curricoli scolastici basata solo sulla decisione di appellarsi a "saggi". In effetti, non sembra essenziale conoscere gli sviluppi del dibattito epistemologico contemporaneo per affermare l’ambiguità della figura dell’"esperto al di sopra delle parti (8)": essere "esperti" non fornisce necessariamente la garanzia di oggettività e neutralità nell’"interpretazione delle esigenze del momento storico (9)", interpretazione indispensabile per scegliere i contenuti essenziali per la formazione di base.

Allo stesso modo, non appare nemmeno sufficiente la pur valida scelta di aprire un libero dibattito sulle proposte dei "saggi": tale procedura di legittimazione esige, infatti, che sia garantita la possibilità di un controllo, da parte dell’opinione pubblica, sui pareri espressi e sulla rappresentatività degli interlocutori, controllo ben difficile in un dibattito non organizzato.

Poiché - nonostante il pluralismo contemporaneo renda difficile definire e legittimare l’asse culturale dell’educazione scolastica - non è pensabile non proseguire nella ricerca di soluzioni, alle linee d’azione già adottate - il ricorso ai "saggi" e l’apertura del dibattito - potrebbero essere affiancate altre scelte capaci di promuovere l’ampio consenso necessario per una riforma del sistema di istruzione, rafforzando ulteriormente l’impegno a procedere secondo una "cultura" del pluralismo, attenta alle differenze ideologiche presenti nella società, non solo nei termini di reciproche concessioni.

Così, per esempio, dato che un dialogo tra diversi punti di vista viene facilitato dall’esplicitazione delle differenti posizioni a confronto, potrebbe essere opportuno richiedere e consentire ai "saggi", coinvolti nella stesura dei documenti, di formulare con maggiore ampiezza i presupposti culturali e i motivi delle scelte operate, anche a scapito della sinteticità dei testi pubblicati.

Allo stesso modo potrebbe essere conveniente, per la stessa autorità scolastica, innanzi tutto, una chiara definizione dei rapporti tra le riflessioni dei "saggi", il dibattito culturale conseguente e la "presa di decisione" finale riguardo alla pianificazione del sistema scolastico, alla stesura dei programmi, alla formulazione degli standard di apprendimento; in secondo luogo, una chiara indicazione delle procedure di verifica e valutazione degli esiti delle decisioni adottate. Questo potrebbe, infatti, facilitare il cammino delle riforme, evitando le perplessità già sorte sia a seguito della limitata incidenza del dibattito riguardante la proposta di riordino dei cicli sul successivo Disegno di legge sia a seguito del progetto di un Servizio nazionale per la qualità dell’istruzione dipendente dalla stessa amministrazione scolastica.

Si può, infine, notare che un altro contributo per affrontare la questione della giustificazione delle scelte per la costruzione dei curricoli scolastici è fornito indirettamente dal Documento stesso: gli "esperti", infatti, affermano di ricercare un denominatore comune, per la definizione dei contenuti per la formazione di base, facendo riferimento non all’"immagine di un individuo ideale", ma a "saperi e valori che possano risultare comuni a tutti i cittadini (10)". Questa direzione di riflessione potrebbe rivelarsi utile grazie un approfondimento dei concetti di "cittadinanza" e di "civismo", assunti come punti di riferimento per costruire una scuola "di tutti", ma importanti anche per trovare un equilibrio tra identità nazionale e identità comunitaria in rapporto ai processi di integrazione europea.

Le indicazioni presenti nel Documento sembrano, invece, prospettare un’immagine riduttiva del "cittadino", considerato prevalentemente come soggetto capace di integrarsi nel sistema socio-economico. In tal modo, il testo si avvicina all’impostazione funzionalistica del Documento di lavoro sul riordino dei cicli che propone una visione della scuola come "strumento essenziale per le politiche di sviluppo" e "fattore indispensabile per garantire la crescita e la competitività del Paese (11)" e affida, quindi, al sistema di istruzione il compito di formare "risorse umane (12)" funzionali e adattabili alle dinamiche della società contemporanea.

Differenziandosi da questa impostazione, e riprendendo la finalità attribuita dallo stesso Documento dei sei "esperti" all’educazione civica, sembrerebbe, invece, opportuno riaffermare innanzi tutto - come possibile denominatore comune - il valore della "formazione di una cittadinanza critica e responsabile (13)" quale esito dell’impegno complessivo della scuola per la piena educazione della persona.

 

2. La definizione dei saperi tra contemporaneità e tradizione storica

Scegliendo tra i molti spunti interessanti presenti nella parte del testo dedicata alla definizione dei "contenuti irrinunciabili", si richiama l’attenzione su una delle due finalità assegnate dai "saggi" alla scuola: "assumere un impianto formativo che riconosca il valore imprescindibile della tradizione storica, e lo ponga in relazione con la contemporaneità e con il contesto culturale e sociale (14)".

Leggendo il Documento alla ricerca di indicazioni per la realizzazione di questo compito - certamente condivisibile - sembra invece mancare un’adeguata traduzione della finalità ricordata nella definizione dei saperi minimi. Nella presentazione dei contenuti da trasmettere alle nuove generazioni, infatti, sono presenti solo pochi cenni alla tradizione culturale e alla storicità delle conoscenze umane: è piuttosto l’abbandono del punto di vista storico ad apparire come tratto comune a tutto il Documento.

Per esemplificare tale impostazione, si può far riferimento alle indicazioni relative allo studio delle lingue, contenute sia nel paragrafo dedicato all’italiano e alle lingue straniere sia nel paragrafo dedicato alla tradizione classica. Pensando alla durata decennale della formazione di base, suscita infatti perplessità la scissione - posta dai "saggi" - tra l’apprendimento delle lingue e la comprensione di culture e civiltà.

L’approccio linguistico scelto - con il primato assegnato, innanzi tutto nell’apprendimento della lingua italiana, all’acquisizione di tecniche relative alle abilità fondamentali e alla pratica degli usi funzionali - potrebbe, infatti, risultare riduttivo, se esteso fino al quindicesimo anno di età degli studenti. Lo smarrimento della consapevolezza dello spessore storico e culturale delle lingue, infatti, va a svantaggio della comprensione delle tradizioni proprie e altrui e ostacola, quindi, la formazione di quella "identità culturale radicata nella storia del proprio popolo" e aperta alla "specificità (15)" delle culture europee ed extraeuropee, auspicata dagli stessi "saggi".

Come conferma si può notare che l’impostazione adottata sembra portare - nello studio della lingua italiana e, presumibilmente, nello studio delle lingue straniere - a sottovalutare l’importanza dell’accostamento alla dimensione letteraria e dell’acquisizione di una minima strumentazione storica e critica anche da parte degli alunni degli ultimi anni della scuola dell’obbligo.

Allo stesso modo, il "patrimonio (16)" della cultura greca e della cultura latina - separato dallo studio delle lingue nelle quali la civiltà classica ha trovato espressione - pare perdere distanza temporale e profondità, rischiando la trasformazione in un repertorio di messaggi ancora attuali da "spendere" nel presente.

Anche alla luce del solo esempio appena proposto, si può intuire che l’abbandono della prospettiva storica non può non riflettersi - più in generale - sul rapporto tra la storia e gli altri saperi. Infatti, il Documento sembra riproporre tra la storia e le altre discipline la frattura ancora esistente nella scuola italiana tra le materie "umanistiche" e le materie "scientifiche", studiate prescindendo dal punto di vista storico. Quindi, sembra attribuire solo all’insegnamento della storia il compito di formare nei giovani la consapevolezza della storicità di ogni aspetto delle civiltà: "idee, […] mentalità, […] saperi, […] vivere quotidiano, […] arti nell’accezione più ampia (17)", nonostante i "saggi" - come si è rilevato - abbiano assegnato alla scuola nel suo complesso tale impegno.

Le aspettative nei confronti dell’insegnamento della storia espresse nel Documento appaiono, dunque, elevate: e sembrano risultare ancor più alte se si considera che i "saggi" - indicando i due obiettivi dello sviluppo delle "competenze generali di inquadramento e di ricostruzione dei fatti storici" e della promozione della "capacità di lettura dei segni che variamente caratterizzano il paesaggio rurale ed urbano del nostro paese (18)" - richiedono ai docenti anche di progettare le attività di insegnamento e apprendimento affiancando, nel tempo assegnato alla disciplina, due diverse impostazioni didattiche.

Sulla base delle osservazioni presentate, sembra allora opportuno richiamare l’importanza di un’effettiva traduzione nei "contenuti essenziali" del riconoscimento del "valore imprescindibile della tradizione storica". Almeno per gli anni conclusivi della futura scuola dell’obbligo - come già attualmente avviene nel primo grado dell’istruzione secondaria - si potrebbe cioè proporre il recupero del punto di vista storico nello studio dei diversi campi di conoscenza, soprattutto per il suo valore formativo: come si è indirettamente osservato, infatti, l’approccio storico educa sia alla comprensione e al rispetto delle diverse tradizioni culturali - e della pluralità di apporti che le costituiscono - sia a un atteggiamento critico nei confronti del sapere.

La consapevolezza della dimensione storica della cultura potrebbe, inoltre, aiutare gli studenti a porre correttamente il passato "in relazione con la contemporaneità", evitando attualizzazioni semplicistiche. Inquadrare nel contesto storico i problemi, i concetti, i valori, i modelli di pensiero maturati nel passato, infatti, ne consente una comprensione più approfondita e, non esclude, anzi può rendere più produttivo, il confronto con il presente. E, per di più, può contribuire a rafforzare l’identità dei giovani, fornendo loro la consapevolezza di appartenere a una tradizione nel loro modo di interrogarsi, nella costruzione delle risposte, nell’espressione della creatività attraverso la produzione di testi, di immagini e di suoni.

 

3. L’insegnamento della filosofia

Le considerazioni appena proposte si riferiscono, ovviamente, anche alla rinuncia, presente nel Documento, alla forma della "ricostruzione storica (19)" nell’insegnamento della filosofia.

Per precisione, occorre però notare che i sei "esperti" - riprendendo in tal modo, pur parzialmente riformulato, il parere espresso nella prima sintesi dei lavori dei quarantaquattro "saggi" - si riferiscono solo alla scuola dell’obbligo e introducono, quindi, apertamente un’ipotesi innovativa rispetto alla tradizionale collocazione della disciplina.

La prima sintesi dei lavori della Commissione prospettava il generale abbandono dell’impostazione storica nello studio della filosofia, proponendo l’insegnamento di "elementi di filosofia (20)" nel grado di istruzione successivo all’obbligo: sembrava così voler riaprire il dibattito sull’alternativa tra il metodo "storico" e il metodo "per problemi", rilanciando una contrapposizione superata grazie alle indicazioni del Progetto "Brocca". I Programmi "Brocca" di Filosofia, infatti, assegnando un ruolo centrale alla lettura dei testi come esperienza di ricerca e occasione di dialogo con gli autori e consentendo di organizzare i contenuti attorno a temi o pensatori rilevanti nella tradizione filosofica, permettono di unire alla prospettiva storica un approccio critico e problematico.

Riferendosi, invece, a un insegnamento della filosofia inserito nella formazione di base, il Documento dei sei "esperti" impone un approfondimento della riflessione. Infatti, per impegnare nello studio della filosofia alunni di età inferiore rispetto alla attuale, sembra opportuno, innanzi tutto, valutare la possibilità di un’azione didattica capace di realizzare una mediazione tra la disciplina e le strutture cognitive di studenti più giovani, anche progettando percorsi sperimentali e verificandone l’efficacia.

All’attenta considerazione della possibilità di apprendimento degli allievi dovrebbe, però, accompagnarsi anche il rispetto dell’identità della filosofia, almeno per il suo carattere dialogico e argomentativo e per la sua dimensione di riflessione critica, inserita nella dinamica storica. Solo il rispetto dell’identità della disciplina, infatti, può rendere "filosofica" anche l’esperienza vissuta dagli alunni a scuola attraverso i processi di insegnamento e apprendimento.

D’altronde, è interessante sottolineare che il Documento stesso non riduce l’incontro con la filosofia nella scuola dell’obbligo a una semplice occasione per rafforzare le abilità cognitive degli allievi, ma sottolinea la necessità di "dotare tutti i giovani di strumenti concettuali (21)" adeguati alla formazione di soggettività propositive e critiche. L’acquisizione dei concetti, in quanto "strumenti" essenziali per pensare la realtà e organizzare le conoscenze, dovrebbe infatti ricoprire un ruolo centrale in tutta la formazione di base decennale, e non solo in rapporto all’insegnamento della filosofia: ma, in particolare, non c’è riflessione filosofica senza concettualizzazione e, nello studio della filosofia, una piena comprensione dei concetti da parte del soggetto in apprendimento può essere favorita da una ricostruzione dei significati anche in prospettiva storica.

Pertanto - al fine di valorizzare quella "positiva specificità della scuola italiana (22)" costituita dall’insegnamento della filosofia come educazione alla riflessione critica - sembrerebbe opportuno proporre un recupero del punto di vista storico anche per lo studio del pensiero filosofico negli ultimi anni della scuola dell’obbligo.

L’acquisizione degli "strumenti concettuali" della filosofia potrebbe, infatti, avvenire attraverso percorsi di approfondimento tematico scanditi dalla lettura di testi, adeguatamente inquadrati nel contesto storico. L’inquadramento nel contesto storico - favorendo un’adeguata comprensione dei temi trattati nei testi - potrebbe consentire di procedere, secondo una prospettiva sincronica, mostrando il nesso tra il pensiero filosofico e la realtà del tempo e, secondo una prospettiva diacronica, confrontando problemi e risposte delle epoche passate con la contemporaneità, per stimolare il dialogo tra presente e passato e promuovere la riflessione sugli interrogativi attuali, senza la ricerca di soluzioni "pronte per l’uso" nella tradizione filosofica.

 

4. La didattica: modelli, metodi, strumenti

Diversamente da quanto il lettore potrebbe aspettarsi - considerato il compito assegnato alla Commissione dei "saggi" e al gruppo ristretto dei sei "esperti" - il Documento contiene anche precise indicazioni didattiche.

Gli "esperti", infatti, non solo sollecitano a "ridisegnare" e "ripensare" gli insegnamenti disciplinari, ma forniscono anche orientamenti sui metodi e gli strumenti: per esempio, invitano a sostituire il tema con altre forme di scrittura per l’apprendimento della lingua italiana, prevedono l’utilizzo dei sistemi multimediali nello studio delle scienze naturali, suggeriscono "l’impiego di repertori di dati, immagini, ricostruzioni visuali" nell’insegnamento della storia.

Nel Documento, inoltre, in rapporto ai diversi campi del sapere considerati per costruire il quadro della formazione di base, si incontrano riferimenti a diversi modelli didattici, tanto che, accanto a una visione dell’apprendimento come acquisizione di tecniche, si trovano richiami alla didattica "della ricerca" e a proposte ispirate al cognitivismo.

La forma sintetica del Documento, però, non lascia un adeguato spazio all’esplicitazione dei motivi delle indicazioni formulate. Illustrare tali motivazioni, infatti, richiederebbe la considerazione della pluralità di dimensioni confluenti nella riflessione didattica: l’indagine epistemologica sulle discipline, gli apporti delle scienze dell’educazione e i relativi presupposti filosofici, l’analisi del contesto istituzionale e la definizione delle condizioni operative per lo svolgersi dei processi di insegnamento e apprendimento.

Eppure, se con la diffusione del Documento si intende conseguire l’obiettivo di "promuovere in tutte le sedi possibili […] un confronto iniziale e un impegno continuo di elaborazione, sul piano culturale e su quello didattico (23)", l’indicazione dei motivi a sostegno delle proposte di modelli o metodi e strumenti per l’insegnamento e l’apprendimento sembra proprio necessaria e resta, quindi, una direzione di ricerca da approfondire.

D’altra parte, è auspicabile che un eventuale approfondimento della riflessione non porti a vincolare rigidamente l’insegnamento di ogni area disciplinare a un modello didattico e all’uso di particolari strategie operative, ma contribuisca piuttosto a mettere in luce la "visione d’assieme del tessuto culturale" ideato per costruire la nuova scuola, nonché le condizioni d’uso e l’efficacia dei metodi e degli strumenti indicati nel Documento, metodi e strumenti da proporre comunque agli insegnanti come possibilità.

Sembrerebbe, infatti, opportuno limitarsi a richiedere ai docenti scelte didattiche rispettose sia dei processi cognitivi dei soggetti impegnati nell’apprendimento sia della struttura delle discipline, al fine di avvicinare l’insegnamento scolastico alla ricerca scientifica. Per il resto, potrebbe essere conveniente riconoscere loro la libertà di progettare i percorsi e decidere i mediatori più adatti al raggiungimento, da parte degli studenti, dei "traguardi irrinunciabili (24)" fissati nei futuri programmi: questo sia per le profonde differenze tra le situazioni nelle quali i docenti si trovano a operare sia per consentire loro, "nell’ambito dei poteri loro attribuiti dall’autonomia scolastica (25)", di partecipare effettivamente all’"impegno continuo di elaborazione, sul piano culturale e su quello didattico". E l’apporto degli insegnanti a tale "impegno […] di elaborazione" sarebbe da sollecitare e sostenere, considerata la ricchezza di esperienze e riflessioni per il rinnovamento della scuola che i docenti hanno saputo produrre in questi decenni, dimostrando proprio quel "gusto per l’insegnamento (26)" al quale vengono richiamati dai "saggi".

 

NOTE

1) Il Documento I contenuti essenziali per la formazione di base è stato redatto da Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe, Mario Vegetti.

2) Sintesi dei lavori della Commissione tecnico-scientifica incaricata dal Ministro della Pubblica Istruzione di individuare "le conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni", a cura di Roberto Maragliano, 13 maggio 1997, in: Biblioteca di Documentazione Pedagogica (http://www.bdp.it), Ministero della Pubblica Istruzione - Ufficio Legislativo.

3) Presentazione del Documento I contenuti essenziali per la formazione di base, 20 marzo 1998, in: Biblioteca di Documentazione Pedagogica (http://www.bdp.it), Ministero della Pubblica Istruzione - Ufficio Legislativo, p. 1.

4) Ibidem.

5) DD.MM. n. 50 del 21 gennaio 1997 e n. 84 del 5 febbraio 1997, in: Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, Firenze, Le Monnier, 1997, n. 78, p. 1.

6) Cfr. Riordino dei cicli: documento di lavoro, presentato dal Ministro della Pubblica Istruzione il 14 gennaio 1997, e Disegno di "Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione", approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 giugno 1997, in: Biblioteca di Documentazione Pedagogica (http://www.bdp.it), Ministero della Pubblica Istruzione - Ufficio Legislativo.

7) Documento I contenuti essenziali per la formazione di base, cit., p. 2.

8) Sintesi dei lavori della Commissione tecnico-scientifica incaricata dal Ministro della Pubblica Istruzione di individuare "le conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni", cit., p. 1

9) Documento I contenuti essenziali per la formazione di base, cit., p. 2.

10) Ibidem, p. 1.

11) Riordino dei cicli: documento di lavoro, cit., p. 7.

12) Ibidem, p. 3.

13) Documento I contenuti essenziali per la formazione di base, cit., p. 5.

14) Ibidem, p. 2.

15) Ibidem, p. 5.

16) Ibidem, p. 6.

17) Ibidem, p. 5.

18) Ibidem.

19) Ibidem.

20) Sintesi dei lavori della Commissione tecnico-scientifica incaricata dal Ministro della Pubblica Istruzione di individuare "le conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni", cit., p. 8.

21) Documento I contenuti essenziali per la formazione di base, cit., p. 5.

22) Ibidem. L’espressione utilizzata da Clotilde Pontecorvo nel suo contributo del 15 marzo 1997 ai lavori della Commissione (in: Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, Firenze, Le Monnier, 1997, n. 78, p. 260) è stata ripresa sia nella Sintesi del maggio 1997 sia nel Documento I contenuti essenziali per la formazione di base.

23) Ibidem, p. 2.

24) Ibidem, p. 1.

25) Ibidem, p. 2.

26) Ibidem, p. 1.