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Comunicazione Filosofica n. 4 - dicembre 1998

 

Giuseppe Deiana

ETICA E MULTIMEDIALITA’ NELLA SOCIETA’ DELLA COMUNICAZIONE

L’educazione alla cittadinanza elettronica: una sfida per la scuola

 

1. La ricerca di un nuovo paradigma formativo e l’orientamento etico dei giovani di fronte alla cultura telematica

Quanto sta accadendo nella scuola, dove sono sempre più presenti e attive le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, è rilevante al punto da poter parlare di una rottura della centralità culturale rispetto al modello che abbiamo conosciuto dall’inizio del secolo (riforma Gentile), oppure si tratta di una semplice fase della trasformazione scolastica interpretabile sulla base delle tradizionali categorie concettuali e della naturale evoluzione del sottosistema sociale che comprende il mondo dell’istruzione? La domanda appare giustificata dalla grande importanza che viene attribuita alla tecnologia come fattore di cambiamento e si può rispondere affermando che c’è un mutuo processo di adeguamento tra tecnologia e società: le istituzioni si adeguano agli effetti della diffusione delle nuove tecnologie, la natura e il ritmo delle innovazioni tecnologiche si modellano sui bisogni effettivi della società.. Siamo in presenza, forse, anche nella scuola di una rottura di continuità del paradigma educativo che abbiamo sperimentato finora. In questo senso si apre per i docenti una fase di sperimentazione di proposte formative che richiedono l’elaborazione di un nuovo armamentario culturale, perché ci troviamo di fronte a compiti inediti, con strumenti inadeguati, di fronte alle tecnologie informatiche e della comunicazione, che stanno creando una nuova rivoluzione del modo di pensare e valutare, oltre che del modo di vivere e di produrre.

Questo contributo di riflessione non ha la pretesa di analizzare tutte le conseguenze delle trasformazioni in atto anche nell’ambito scolastico, ma solo di esplorare alcuni temi e aspetti, e soprattutto di rispondere agli interrogativi etici che sono in genere trascurati da parte di chi ha a che fare, in modo diretto o indiretto, con la scuola come luogo formativo per eccellenza, con particolare riferimento ai valori della cittadinanza, che, in epoca di globalizzazione economica e tecnologica è sempre più cittadinanza mondiale e planetaria.

Dall’"economia-mondo" discende la "comunicazione-mondo", che designa le trasformazioni e le specifiche dimensioni che va assumendo il sistema della comunicazione su scala planetaria. Quali le implicazioni della rivoluzione digitale sul piano formativo? Una cultura scolastica che chiudesse gli occhi di fronte a questi temi, al riparo delle rassicuranti certezze del passato, non avrebbe futuro e tradirebbe le sue ragioni fondamentali quando si abbandonasse ad una accettazione acritica, o fruizione passiva, e smarrisse il compito di problematizzare la modernizzazione, anche in riferimento alla profonda ingiustizia di un meccanismo di sviluppo del sistema della comunicazione che esclude la parte povera della popolazione mondiale.

Nell’era delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione diventiamo sempre più "persone elettroniche" e forse non mettiamo a fuoco con sufficiente lucidità e chiarezza i problemi etico-filosofici che questa trasformazione antropologica comporta. In questo senso la scuola e i suoi operatori culturali sono sollecitati ad elaborare qualche criterio di orientamento valoriale (una sorta di "avviso ai naviganti") rivolto ai giovani, che sono i più attratti e i più entusiasti utilizzatori della tv e di Internet, ma anche i più esposti alla videocrazia e all’Internetmania. Per questo gli insegnanti sono chiamati ad elaborare schemi interpretativi finalizzati alla comprensione delle trasformazioni in atto nella società contemporanea e a formulare ipotesi, come compito scientifico e morale sul futuro della formazione scolastica partendo dall’osservazione e dall’approfondimento attento dei mutamenti del sistema sociale che sono direttamente riconducibili all’affermazione delle nuove tecnologie.

Il tema centrale di questo capitolo è quello dei risvolti etici delle trasformazioni profonde di un’intera società, dovuta alla diffusione delle nuove tecnologie multimediali che stanno radicalmente influenzando il modo individuale e collettivo di concepire la realtà, il senso della convivenza civile e la stessa organizzazione politica. Anche la scuola, come sottosistema sociale, ne è coinvolta ed è chiamata alla ricerca di un’elaborazione culturale adeguata. Infatti, la rivoluzione multimediale, in tutte le sue ramificazioni, sta producendo un mutamento epocale che va ben oltre la novità dei diversi strumenti di comunicazione (televisione, computer, Internet, ecc.): essa è portatrice di una "Weltanschauung", di una filosofia, che genera un nuovo tipo di uomo e di società. In questo senso essa chiama in causa direttamente la responsabilità della scuola come luogo deputato alla formazione e quella dei docenti come operatori culturali dell’istituzione formativa che cambia in una società che si trasforma radicalmente. Come sostiene Domenico Parisi, "per sua natura l’istituzione ‘scuola’ è in presa diretta con la società in quanto prepara a vivere nella società. Perciò ogni tipo particolare di società richiede il suo tipo particolare di educazione e di scuola. Se la società cambia la scuola deve cambiare. Se la scuola non cambia mentre la società cambia, è inevitabile che la scuola entri in una crisi radicale. Essa prepara i ragazzi a una società che non c’è più. Il limite degli sforzi attuali per cambiare la scuola è che essi per lo più sono diretti a colmare ritardi e inadeguatezze della scuola rispetto alla società che esisteva fino a ieri. Questi sforzi sono meritori ma nella sostanza inutili. Il problema, specie per un’istituzione che verifica i suoi ‘prodotti’ a distanza di anni, cioè quando gli attuali ‘ragazzi’ saranno adulti inseriti nel mondo sociale, culturale e del lavoro dei prossimi decenni, è che oggi la società pone problemi completamente nuovi alla scuola, e li porrebbe anche a una scuola che non avesse antichi ritardi e inadeguatezze"(1) . E’ necessario, quindi, anche da parte dei docenti affrontare il problema dell’impatto delle nuove tecnologie sul sistema scolastico con l’intento di contribuire in modo critico e problematico al dibattito sul rapporto tra la scuola e la multimedialità nell’ottica dell’esigenza del rinnovamento culturale che, alle soglie del Duemila, investe la principale istituzione formativa pubblica in un’epoca di cambiamenti epocali, che sono anche mutamenti in senso etico.

L’ipotesi che intendo sostenere in questi appunti è che quella telematica e multimediale non è una rivoluzione soltanto tecnologica: è un fenomeno che ha conseguenze sulla nostra vita e investe anche il sistema dei valori. Nella cultura del cambiamento la dimensione etica delle nuove tecnologie è un terreno accidentato e inesplorato, sul quale forse non si è ancora sufficientemente riflettuto da parte di chi opera dentro la scuola, nella prospettiva della revisione dei contenuti dell’insegnamento scolastico, a cui non è estranea la cultura multimediale, come è scritto anche nel cosiddetto Documento dei saggi (I contenuti essenziali per la formazione di base) del ‘97, che nella premessa stigmatizza la necessità di reggere la "sfida posta dalle tecnologie della conoscenza". Si deve dire, in generale, che le conseguenze della rivoluzione telematica finora sono state poco considerate nella prospettiva filosofica e morale. Da qui il rischio, anche mio, di cadere nel banale o di perdersi nella complessità del tema, nel tentativo di contribuire a colmare una lacuna entro una cultura scolastica che si muove ancora nella prospettiva dell’autorinnovamento, o autoriforma.

 

2. Scuola e multimedialità: alle origini del problema

Che la scuola non possa e non debba contrastare, ma anzi favorire la rivoluzione telematica attraverso le vecchie e le nuove tecnologie della comunicazione (rappresentate rispettivamente dalla televisione e dal computer) è un fatto scontato, che passa però attraverso atteggiamenti contrastanti nei docenti: di ottimismo, slancio, entusiasmo ed esaltazione in alcuni, di pessimismo, pregiudizio, opposizione, resistenza e rifiuto in altri. A favore dei primi va il programma del ministro Berlinguer per lo sviluppo delle nuove tecnologie didattiche, che dovrebbero offrire un valido contributo ad insegnare e apprendere meglio accrescendo le conoscenze e le competenze dei giovani. I limiti del progetto ministeriale sulla multimedialità nella scuola sono evidenti, per la limitatezza degli investimenti finanziari (che non hanno altra pretesa se non quella di introdurre "semi" di multimedialità) e perché veicola una concezione semplicemente strumentale delle nuove tecnologie: la multimedialità come strumento metodologico di una didattica innovativa. Un passo avanti rispetto a questa concezione riduttiva traspare nel Documento dei saggi, in cui si legge che "alla valorizzazione della componente operativa può fornire un contributo essenziale il ripensamento critico della tecnica e delle sue dimensioni culturali (...). Emerge così la componente creativa e la possibilità che esse forniscono di potenziare le capacità umane, sia sul piano delle nuove azioni, sia sul piano dell’arricchimento degli spazi di vita" (2). In questo documento sintetico si può intravedere la distinzione, nella complementarietà, tra metodo e contenuto, tra strumento e conoscenza, tra procedure tecniche e dimensione culturale e formativa delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

Queste tecnologie hanno trasformato gli uffici e le fabbriche e trasformeranno anche la scuola. Ma questa non è né un ufficio né una fabbrica: è il luogo dell’istruzione e della formazione, in cui si deve guardare con curiosità e interesse, ma anche con sospetto, o comunque con rigore epistemologico ed etico alla rivoluzione digitale. Perché il computer da strumento tecnologico si è ormai trasformato in un fatto culturale, portatore di una visione del mondo. Il calcolatore e la rete Internet sono uno strumento potente, ma non solo. Come mezzo di lavoro sono utilissimi, ben più problematico è il discorso sul loro valore culturale, in quanto essi consentono non solo una maggiore comprensione della realtà, ma anche una sua ricostruzione globale in termini di senso e di valore. In quest’ottica le sfide vere e forti poste alla scuola dall’innovazione tecnologica sono quelle che si combattono sul piano culturale globale. E le risposte sono tanto più urgenti in quanto si può dire che oggi (e ancor più domani) i giovani traggono una parte consistente delle loro conoscenze dal piccolo schermo e dal computer e solo quella restante dall’istituzione scolastica. Dalla rete telematica nascono nuovi problemi, problemi epistemologici e problemi etici. E’ la filosofia della telematica, che pone la questione del peso della tecnica nel destino del genere umano. Problema che trova diverse risposte nei filosofi: in Emanuele Severino, ad esempio, che "a tenere alto l’allarme per il pericolo, a suo avviso fatale, che le parti si invertano, rendendo l’uomo schiavo delle sue macchine" (3); oppure in Gianni Vattimo "che vede nella rete la fine di qualsiasi centralismo, politico e culturale, e la giudica spazio di libertà" (4).

Internet, quindi, per la cultura scolastica è qualcosa di più di una nuova sfida tecnologica. E’ una sfida euristica che rivela una dimensione che supera il riduzionismo tecnicistico della multimedialità e della telematica e pone interrogativi di senso e di valore che aprono i nuovi orizzonti dell’epistemologia e dell’etica del cyberspazio. La cultura critica di una scuola rinnovata non può sottrarsi al compito di rispondere a questi interrogativi per fornire agli studenti punti di riferimento per la discussione sulla società dell’informazione e della comunicazione, con lo scopo di allargare gli orizzonti, in quanto attraverso le nuove tecnologie si entra "in un universo noetico e culturale diverso" (5). Gli aspetti che intendo mettere a fuoco sono prevalentemente quelli etici, nel quadro del progetto di formazione etica a scuola, che ho finora parzialmente sperimentato in classe, con gli studenti di un liceo scientifico, nell’ambito dell’insegnamento della filosofia (6), che ho sottoposto ad una "torsione" tematica riconoscendo la centralità della dimensione morale nella formazione culturale di base.

Una filosofia, di fronte alle moderne tecnologie interattive, riscopre la sua vitalità e la fiducia nel suo futuro, in quanto sollecita a misurarsi sul terreno dei problemi "concreti" che interessano l’umanità (filosofia pubblica); una filosofia che sa correre il rischio di disperdersi in mille rivoli andando oltre il limite degli "eterni problemi". Quello della telematica è materia da riflettere anche per i filosofi, che per ora si sono interessati assai scarsamente alla fenomenologia delle comunicazioni elettroniche e della digitalizzazione dei processi comunicativi, la quale è molto presente nei libri di specialisti non filosofi. E’ utile osservare che questo dato è generale: cioè, oggi la filosofia è forse maggiormente presente nei diversi saperi, come "filosofia di..." (della scienza, della politica, della religione, dell’arte, della medicina, della biologia, del lavoro, ecc.), che in uno specifico, quello della tradizione occidentale.

 

3. La cibernetica: temi e problemi etici connessi alla telematica

Dunque, le nuove modalità di accesso all’informazione rese possibili da sempre più potenti mezzi telematici pongono domande di tipo etico: tutto quello che è tecnologicamente possibile è eticamente buono, legittimo e condivisibile? E’ la dimensione dell’etica tecnologica (con tutta una serie di risvolti sociali, antropologici, giuridici, religiosi ed economici) che nasce da un nuovo rapporto tra scienza ed etica ed impegna a cercare le dimensioni etiche della ricerca tecnico-scientifica, cioè a cogliere l’intreccio tra la conoscenza e i valori, nel senso che la scienza applicata e la tecnologia sono sempre più connesse ai problemi morali. Su questo terreno si pongono in modo sempre più urgente questioni riguardanti la regolamentazione della scienza e della tecnologia a partire dalla convinzione che la libertà dell’azione scientifica deve muovere da un preliminare impegno etico, secondo la lezione filosofica di Hans Jonas, il quale pone la necessità di legare lo straordinario progresso della tecnologia ai principi dell’etica della responsabilità, come impegno della conoscenza critica. "Esercitare questa conoscenza e svilupparla è uno dei compiti della filosofia. Innanzitutto nel ruolo di mosca cavallina a cui Socrate paragona il proprio operare: la problematicità non può più essere taciuta, neppure per un attimo, e le coscienze devono venir costantemente poste in allarme (...). E, d’altra parte, abbiamo scoperto che non una congettura metafisica in sé (che certamente ha la sua ragion d’essere), ma una responsabilità angosciosa per le cose che ci minacciano, è l’anima più intima dell’interrogazione filosofica. D’altra parte, dove il sapere non offre nessuna risposta, dobbiamo trovarla nell’agire. Così l’orrore della questione ultima di una disumanizzazione totale per salvare l’umanità, può rafforzare la filosofia nel suo compito di risvegliare l’attenzione su ciò che è irrinunciabile sebbene essa stessa debba diventare l’avvocato delle più grandi rinunce. In questo nuovo modo di pensare che colloca al proprio centro l’idea di responsabilità e della sua estensione a ogni comportamento della specie umana nei confronti dell’intera natura, la filosofia compie un primo passo al servizio di tale responsabilità" (7).

La problematizzazione filosofica nel sapere tecnico-scientifico è un guadagno specifico della nostra epoca in cui - come sostiene Evandro Agazzi - "i problemi filosofici più interessanti ed immediati si impongono ‘al di fuori della filosofia’ e di là fanno appello ad essa in modo chiaro, benché spesso implicito" (8). In questo senso l’ambito dell’etica comincia oggi a non essere più estraneo alle diverse scienze. "In effetti, la scienza nel suo complesso è oggi fatta oggetto di problematizzazione morale profonda, da quando iniziarono ad emergere in tutta la loro urgenza i problemi legati alle implicazioni morali del progresso scientifico e da quando la ‘neutralità’ della scienza è stata messa in dubbio (...). In generale si può affermare l’emergere di una problematica complessa legata alla ‘responsabilità del sapere’, che deriva dalla presa di coscienza dei legami inestricabili tra mondo della scienza e la sfera dei valori (...). [Perciò] il discorso propriamente filosofico si contraddistingue per il suo carattere critico, per la messa in questione dei fondamenti per l’analisi dei presupposti inconsci che si celano dietro tante affermazioni che hanno, nella discussione abituale di questi problemi, un carattere assai spesso dogmatico. Di conseguenza, se la filosofia si trova chiamata in causa in questo settore, è per introdurvi una valutazione imparziale e non emotiva, per suscitare un dialogo costruttivo, per incoraggiare il chiarimento dei presupposti dogmatici e l’analisi della conseguenze implicite delle tesi sostenute. Non è certo sottovalutabile l’importanza di un tale intervento della filosofia per garantire una formazione civile ed umana in occasione dell’insegnamento di tale disciplina" (9), anche in ambito scolastico, con particolare riferimento alla filosofia contemporanea. Infatti, "la filosofia contemporanea si nutre di ambiti disciplinari "esterni" e ci indica come essa trovi in essi stimoli fecondi per svilupparsi con la certezza di una presa sul reale e di una capacità di confronto con problemi concreti: questi a loro volta raggiungono la chiarezza della propria ‘filosoficità’ grazie ad una lievitazione interna e non in quanto suscitati in modo artificiale dalla logica di un sistema autonomo di pensiero. La filosofia può ancora convincere noi contemporanei della sua funzione e non è il caso se, quando i nostri contemporanei fanno ‘filosofia’, si trovano naturalmente sollecitati da problemi effettivamente sollevati nel nostro ambiente culturale e grazie a ciò giungono a fare ‘filosofia di...’, liberi di ampliare la propria prospettiva se la dinamica stessa della comprensione filosofica lo esige. Ciò spiega anche le ragioni per cui i sistemi di pensiero, anche i più ‘generali’, sono oggi orientati o centrati su di un nodo tematico assai specializzato" (10). Come ogni segmento dell’etica applicata, "questa struttura tipica della filosofia contemporanea ci consente d’altronde di afferrare in modo convincente la specificità e la non banalità della ricerca filosofica, precisamente in quanto essa emerge e si impone all’interno di quelle stesse discipline che, a parere di molti, dovrebbero al contrario farla scomparire. Più esattamente, risulta probantemente che, anche quando la filosofia riconosce ad altri campi di ricerca il compito di fornire all’uomo una ricchezza di ‘sapere’, essa si assume cionondimeno il compito di ‘conferire senso’ e di ‘ricercare un fondamento’ a questo sapere, interpretarlo da un punto di vista critico e globale, senza il quale l’esigenza di comprensione del reale che si realizza nelle scienze, e in generale nelle discipline particolari, resterebbe insoddisfatta" (11).

Ciò è particolarmente significativo nella prospettiva della ridefinizione dei contenuti culturali della nuova scuola secondaria superiore, in cui l’ipotesi di estendere l’insegnamento della filosofia a tutti gli indirizzi potrà concretizzarsi nella valorizzazione delle filosofie particolari (la filosofia della scienza, del diritto, della comunicazione, ecc.), aprendo nuovi scenari cognitivi e sociorelazionali all’esigenza di applicare la filosofia alla vita. Trova così giustificazione forte anche nel sistema formativo l’etica applicata correlata alle nuove tecnologie. In questo ambito culturale le nuove tecniche di comunicazione reclamano una nuova riflessione e ridefinizione etica, operativa e illuminante, per colmare il vuoto etico derivante dall’inefficacia delle morali tradizionali. Oggi, "l’etica fa sentire il suo appello urgente. Si ricercano nuovi obiettivi, che mettano fine alla ‘de-moralizzazione’ dell’uomo, privo di punti di riferimento. Dobbiamo lavorare alla creazione di nuovi principi etici. Se la ‘de-moralizzazione’ contemporanea esige una nuova etica, è forse perché la tecnica non è un semplice strumento, un puro prolungamento (empirico) della mano umana, ma un vero e proprio mondo. La tecnica è un modo di essere, un universo, e non soltanto un insieme di procedimenti che derivano da una conoscenza di leggi scientifiche. Dal momento che la produzione tecnica rappresenta un’organizzazione generale del mondo (...) essa ci impone una nuova problematica etica. Esprimendo il vuoto ontologico, la tecnica dei nostri tempi ci interroga; opaco ed enigmatico destino, essa esige la trasparenza della riflessione, una formulazione dell’etica intorno a nuovi principi e una nuova teoria della responsabilità" (12). In questo senso l’etica può essere individuata e appresa.

Qui voglio concentrarmi sull’etica dei media, che solleva numerosi interrogativi, i quali possono trovare risposta nel principio, laico e razionale, della responsabilità, inteso come rispetto della persona e del cittadino, della natura e del pianeta, nella formulazione forte e critica proposta da Hans Jonas in Principio responsabilità(13), riprendendo e radicalizzando la weberiana etica della responsabilità.

Il progetto culturale della nuova scuola deve porsi quindi il problema della ricostruzione di un’etica per le nuove generazioni, che non può prescindere dalla novità della globalizzazione culturale in atto. Secondo alcune indagini, infatti, gli adolescenti e i giovani di tutto il mondo sono sempre più uguali: hanno gli stessi gusti e condividono opinioni, obiettivi e valori, modellati dalla musica, dai film, dalla televisione e, in misura crescente, dalle reti telematiche. La globalizzazione della cultura giovanile è un fenomeno che si sta imponendo rapidamente ed esige, quindi, una riconsiderazione significativa degli orientamenti formativi della scuola, a partire dalla problematizzazione dei nodi etici dei mezzi telematici e multimediali, che hanno e avranno un peso sempre più rilevante nella vita di ciascuno di noi. "Per ora, e auguriamoci per sempre, Internet e qualsiasi altro congegno analogo sono e fanno soltanto ciò che vogliamo noi. Il punto è proprio questo: che cosa vogliamo che sia la rete e soprattutto che cosa vogliamo farne? Qualsiasi risposta meditata presuppone, quindi, la conoscenza esatta di ciò che la rete effettivamente è, delle sue possibilità attuali e di quelle prevedibili, ma anche dei vantaggi e dei rischi che possono derivarne: bisogna mettersi nelle condizioni di saper distinguere le certezze dalle dicerie, le illusioni dalla realtà. Ma questo si può fare soltanto ascoltando e confrontando informazioni, spiegazioni e opinioni di competenti. In una materia così complessa, che chiama in causa questioni e interesse di varia natura, anche quando si parla di cose concrete (ma la concretezza delle comunicazioni è impalpabile, il ‘peso’ di un messaggio è incorporeo) la molteplicità dei pareri è la condizione stessa di qualsiasi analisi seria, libera, senza pregiudizi. Perciò servono dibattiti in cui vengano esposte tesi anche contrapposte, purché plausibili, e di cui siano esclusi possibilmente orecchianti ed esperti da salotto" (14).

Ad alimentare il dibattito tra i docenti è orientata questa mia proposta culturale, strutturata didatticamente, sperimentata e generalizzabile, non senza una forte dose di dubbi e incertezze, perché ci muoviamo in un terreno mobile e rischioso. Ma "bello è il rischio e il pericolo", anche educativo, in una scuola che si rinnova dal suo interno, da parte dei soggetti (insegnanti e studenti) che la vivono quotidianamente interrogandosi sul senso del loro operare. Una scuola che accetta la sfida del cambiamento senza distruggere quanto di buono vi viene realizzato (come riforma "gentile", che è riforma "sommersa") da pratiche didattiche animate da passione pedagogica e culturale (15), pur in un clima sociale di disattenzione generale da parte dell’opinione pubblica rispetto ai temi della formazione e di catastrofismo scolastico indotto dai media.

 

4. Finalità e obiettivi di una coscientizzazione telematica delle nuove generazioni

L’accesso alle reti mondiali della comunicazione e le sfide dell’immateriale spingono ad una presa di coscienza dei problemi legati alle nuove comunicazioni affinché quelli che potrebbero essere straordinari strumenti di democrazia non si convertano in mezzi di controllo sociale e di oppressione, materiale e simbolica. "Compito della scuola in questa fase storica è contribuire all’acculturazione tecnologica di tutti, nella prospettiva dell’educare a vivere consapevolmente e democraticamente nella società dell’informazione" (16). Si tratta di gestire e valorizzare i nuovi sistemi tecnologici con funzione cognitiva e educativa alzando i livelli etici per scoprire le prospettive della democrazia nella rete, nella direzione necessaria alla costruzione del futuro nel quadro di un nuovo paradigma delle scienze della complessità e della dialettica tra istruzione e educazione. Si deve trovare il modo di individuare regole universali che possano costituire la base di una società civile globale, operando scelte che condizioneranno il nostro futuro. Il questo senso, navigare nel cyberspazio e sviluppare la rete in senso democratico significa riportare la discussione alla consapevolezza critica personale e prospettare il controllo collettivo delle nuove tecnologie da parte delle istituzioni rappresentative. E’ la prospettiva della società della comunicazione che ripensa criticamente se stessa, anche in ambito scolastico, dove è necessario mettere in atto strategie culturali per aiutare le nuove generazioni a comprendere meglio come funziona il mondo e a costruirne uno migliore, anche attraverso l’accesso alle reti telematiche. Questo straordinario compito esige una nuova funzione docente che sappia indagare sulle competenze che il futuro potrebbe richiedere, cioè sulle capacità che i cittadini dovranno necessariamente possedere nel prossimo futuro, a cominciare dai giovani di oggi. Ad esempio:

a) la capacità di saper cogliere la necessità di sviluppare una cultura mediatica critica, un’educazione ai media interrogandosi su questa nuova condizione mondiale. Si tratta di un fenomeno da accogliere o da respingere?, di semplici strumenti tecnologici o di una rivoluzione culturale globale?, dell’opportunità di nuovo "business" o della prospettiva di miglioramento della società? Il personal computer è una macchina della libertà individuale e collettiva o produce sradicamento e omologazione? Internet sarà l’arma della nuova emancipazione o del nuovo controllo come imperialismo culturale? Quali le conseguenze sugli individui e sui gruppi umani? Ottimismo ingenuo o cupo pessimismo? Sono le domande del nostro prossimo avvenire, che, a partire dall’oggi, esigono una risposta anche dalla scuola.

b) La capacità di mettere in discussione l’idea scontata che qualsiasi progresso tecnologico sia, per definizione, un vero progresso, e di rispondere a domande del tipo: in che senso la multimedialità è progressista? Interrogativo che esige risposte operando distinzioni e valutazioni, le quali impediscono l’esaltazione acritica, ma anche la condanna indiscriminata, nella convinzione che l’avvento della tecnologia multimediale è forse inevitabile e inarrestabile, senza che per questo debba essere accettata alla cieca. Saper individuare, quindi, le motivazioni opposte che giustificano gli atteggiamenti di apologia o di resistenza da parte degli intellettuali.

c) La capacità di pervenire alla comprensione della rivoluzione antropologica che sta cambiando la natura dell’uomo attraverso il "tele-vedere" e il "video-vivere", che "sta trasformando l’homo sapiens prodotto dalla cultura scritta in un homo videns nel quale la parola è spodestata dall’immagine" (17). Per cui tutto diventa visualizzato e virtuale. Si tratta, in altre parole, di saper cogliere l’importanza della difesa del libro e della cultura scritta, la cui perdita non è compensata dall’acquisizione della cultura audiovisiva e tematica. L’obiettivo è quello di saper risolvere il contrasto - se di contrasto si tratta - tra le due culture, senza vivere di nostalgia del passato (per i cui sostenitori la cultura audiovisiva e digitale è incolta e, quindi, non è cultura), ma anche senza cadere nelle lusinghe dei multimedialisti, dei profeti del mondo digitale e delle cybernavigazioni, nella tecnopoli telematica: senza, cioè, votarsi ciecamente ai "miracoli virtuali".

d) La capacità di capire l’informatica è solo l’ultima conquista della rivoluzione scientifico-tecnologica, un modo di vivere, un modo di essere: l’"essere digitali" appunto, che equivale ad essere uomini "ad una dimensione", in realtà la dimensione dell’"avere" nel senso indicato rispettivamente da Marcuse e da Fromm. Ciò per maturare una presa di coscienza dei problemi posti dalla videocrazia e dal potere digitale, cercando di capire la portata delle nuove comunicazioni e chiedendosi "che cosa passa nella rete: da chi, per chi e per conto di chi?"; per darsi risposte critiche, senza lasciarsi incantare dai predicatori del "vangelo" del bit.

e) La capacità di cogliere, in un’ottica scolastica, i diversi aspetti della multimedialità, in cui la televisione e il computer esercitano un potere egemonico, distinguendo l’affinità e la differenza, la complementarietà e la competizione tra il reale e il virtuale, come caratteristica della nostra epoca che vede la progressiva tendenza alla smaterializzazione della società in cui noi ci avviamo a non avere più un impatto diretto con la realtà, ma tutto quello che accade, tutto quello che ci circonda, le nostre stesse esperienze, ci giungono attraverso le immagini o le simulazioni virtuali. Da qui la necessità di chiedersi se l’immateriale si identifica con il regno della libertà o con quello dell’alienazione.

f) La capacità di capire "che ci troviamo di fronte ad una svolta epocale nella storia della civiltà. Qualcosa di simile avvenne con la diffusione della scrittura nell’età neolitica e, agli albori dell’età moderna, con l’invenzione della stampa (...). Questi cambiamenti epocali, che ci fanno uscire dall’era della "Galassia Gutenberg", avvengono proprio mentre si sta manifestando nel mondo dell’educazione scolastica, un po' in tutto l’occidente, una profonda crisi (che fa parlare alcuni di una vera e propria era del post-alfabetismo), proprio in un momento in cui il sistema scolastico passa attraverso una fase di sostanziale e crescente ridimensionamento. Per questo qualcuno, come Antonio Calvani, ha introdotto il termine "iperscuola" ed ha riflettuto proprio sulla constatazione che la scuola non è eterna, e che può benissimo cambiare radicalmente di forma e di sostanza" (18), con rilevanti conseguenze sul piano cognitivo e su quello formativo. La profonda trasformazione del sistema scolastico comporta notevoli potenzialità, ma anche rischi nel campo dell’istruzione e dell’educazione, che spingono i docenti ad una riflessione critica sulle nuove tecnologie della comunicazione, che non possono essere introdotte nella scuola solo per un uso applicativo, ma che vanno discusse nelle loro natura, per cogliere oltre al modello di conoscenza anche il sistema di valori sottesi. La trasformazione di questi ultimi accentua "la difficoltà del compito della formazione etica in un mondo che richiede sempre più criteri di scelta (e quindi valori), ma dove regna anche il politeismo dei valori" (19), cioè quell’"etica del finito" che non consente alla coscienza critica e laica riferimenti normativi assoluti, in quanto "le radici della morale non hanno più fondamento oggettivo" (20).

Quindi, chi si occupa professionalmente di educazione è necessariamente coinvolto nella ricerca di una risposta all’interrogativo di fondo: in relazione al mondo dei media è possibile una "pedagogia dei valori" senza incorrere in modelli unici, o cadere nella grande illusione della società della comunicazione? Nella consapevolezza dei rischi a noi docenti è demandato il compito di valorizzare le potenzialità di crescita e di progresso che si stanno aprendo di fronte alle nuove generazioni, come connotato di un’etica pubblica matura nella popperiana "società aperta", che è tutta da costruire anche con il contributo della scuola.

Ma, andando oltre le finalità e gli obiettivi, si tratta ora di specificare alcuni orientamenti valoriali, relativi alle nuove tecnologie, su cui concentrare l’attenzione critica e problematica dei giovani in formazione, come percorso didattico di sperimentazione innovativa, finalizzata a potenziare la capacità di pensare in modo autonomo, nel quadro di quella "mappa delle strutture culturali di base necessaria per il successivo sviluppo della capacità di capire, fare, prendere decisioni, progettare e scegliere in modo efficace il proprio futuro", come è scritto nel Documento dei saggi.

 

5. Aspetti specifici della metamorfosi dell’"ethos" nella cultura postmoderna e in un mondo senza frontiere: tra illusioni e realtà

La ricerca di una dimensione etica nell’impatto dei grandi mezzi di informazione e, in particolare, nel sistema informatico-telematico rimanda all’analisi della loro evoluzione storica, e del loro ruolo nella società industriale del Novecento, che consente di intrecciare la storia della tecnologia con la storia della società e della cultura. Oggi viviamo, in modo sempre più marcato, il passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, connotata come società dell’informazione, in cui i mezzi di comunicazione costituiscono l’ambiente complessivo della vita sociale. Negli ultimi decenni il progresso tecnologico è entrato nell’età cibernetica o multimediale, in cui, appunto, i media sono molti e la televisione non ha più il ruolo di regina, perché spodestata dal computer e dalla sua tecnologia digitale, che "non solo unifica parola, suono, immagine, ma introduce nei ‘visibili’ realtà simulate, realtà virtuali" (21). Pur nella continuità, tra televisione e computer ci sono notevoli differenze (contrassegnate dal salto dall’analogico al digitale): la prima ci fa vedere immagini di cose reali, invece il computer "ci fa vedere immagini immaginarie. La cosiddetta realtà virtuale è una irrealtà che viene creata sul video e che è realtà soltanto nel video. Il virtuale, le simulazioni allargano a dismisura le possibilità del reale; ma non sono, come tali, realtà" (22).. Il collegamento in rete tra i computer attraverso un linguaggio comune ha dato origine alla rete delle reti, l’"autostrada dell’informazione".. Nata col sostegno del governo statunitense come strumento di lavoro tra gli scienziati, essa oggi è un fenomeno esplosivo, come dimostrano i numeri che crescono in modo esponenziale. "Internet si è trasformata in uno spazio sovranazionale e planetario, accessibile a tutti, nel quale è possibile viaggiare, trovare notizie, fare affari, scambiare merci" (23), ecc.; da fenomeno americano nel giro di pochi anni si è mutata in fenomeno mondiale. "In prospettiva, ci potrebbe essere un’unica meta-rete globale - ovvero una famiglia di reti che condividono un sottosistema comune di protocolli e sono quindi in grado di interoperare - che permetta di integrare ad un minimo comune multiplo di funzionalità tutti i sistemi comunicativi che oggi sono disgiunti ed incomunicanti. La parola d’ordine è ‘interconnettere’, a tutti i livelli" (24).

Le possibilità e i rischi in un mondo interconnesso sono al centro di un dibattito tra gli intellettuali (con i riflessi anche tra i docenti) in cui si confrontano gli entusiastici sostenitori delle profezie esaltanti del cyberspazio e i suoi detrattori, esponenti del "gran rifiuto": gli "apocalittici", che negano il valore culturale e formativo della telematica e gli "integrati", à la Negroponte, artefici di un’esaltazione ottimistica e acritica. Nella prospettiva scolastica una sorta di terza via si rivela come la più funzionale e feconda: quella del dubbio, della prudenza, dell’approccio critico e problematico, per cui l’apprezzamento delle tecnologie non si risolve in un’accettazione senza riserve o, all’opposto, in un rifiuto radicale.

I numerosi intellettuali che resistono al vorticoso cambiamento tecnologico esprimono paura riguardo al tipo di civiltà mediatica che sta emergendo e negano il valore della cultura telematica, che costituisce una grave minaccia per la cultura e per la libertà e, quindi, è un fenomeno da respingere. Sono gli antagonisti del negropontismo, come Giovanni Sartori, per il quale "le potenzialità di Internet sono pressoché infinite, e tanto nel male come nel bene. Sono e saranno positivi quando l’utente userà lo strumento per acquisire informazioni economiche, e cioè quando sarà ispirato da genuini interessi culturali, dalla voglia di sapere e di capire. Ma il grosso degli utenti di Internet non è, e prevedo nemmeno che sarà, di questo tipo. La paideia del video promette di passare a Internet analfabeti culturali rapidamente dimentichi di quel poco che hanno dovuto imparare a scuola, e quindi analfabeti culturali che ammazzeranno in Internet il loro tempo vuoto in compagnia di ‘anime gemelle’ sportive, erotiche, o di minuti hobbies. Per questo tipo di utente Internet è soprattutto uno (...) splendido modo di sprecare il tempo, investendolo in futilità" (25).

In quest’ottica l’ambiguità della tecnica sta nel fatto che un mezzo si trasforma in fine determinando la crisi del libro e della tradizione culturale da esso veicolata, e producendo un’"artefattualità" artificiale, manipolatrice e omologante, per cui "tutto è costruito, reso finto, costituito da e in vista di dispositivi mediali" (26). La conseguenza è che "i giovani d’oggi (...) stanno rapidamente passando dalla logica della scrittura e della lettura alla cultura del monitor e al culto ossessivo dell’immagine" (27). E’ il trionfo del bambino elettronico-televisivo ipermedializzato, che allarma le prevenute paure di chi si occupa di formazione, in quanto "il mondo per immagini che ci viene proposto dal video-vedere disattiva la nostra capacità di astrazione e, con essa, la nostra capacità di capire i problemi e di affrontarli rapidamente" (28). E’ la prospettiva dell’uomo della stanza che se ne sta al chiuso a navigare in Internet, immerso nei mondi virtuali, senza più nessun vero contatto con il mondo reale.

All’opposto, per i trionfalisti dei media la televisione interattiva e i computer sono uno spazio privo di condizionamenti dove tutti possono esprimersi liberamente, dai bambini agli adulti. Sono i seguaci di Negroponte, il quale, in un raptus di esaltazione "prometeica", scrive che "come una forza della natura, l’era digitale non può essere rifiutata o fermata. Essa ha quattro punti di forza, che porteranno al suo definitivo trionfo: decentramento, globalizzazione, armonizzazione e potenziamento umano". Pertanto "col tempo ci sarà sempre più gente su Internet che avrà il tempo e la saggezza per farne una rete di conoscenza e solidarietà reciproca". Di conseguenza, "domani, le persone di ogni età potranno godere di un’evoluzione più armonica della loro vita, perché sempre più frequentemente gli strumenti per lavorare e per divertirsi saranno gli stessi. Piacere e dovere, espressione individuale e lavoro di gruppo, avranno sempre più una base comune" (29). Per l’ingegnere del Massachusetts Institute of Tecnology, profeta senza dubbi, il mondo digitale è un fatto quasi genetico e il suo futuro è nelle mani dei giovani. Il suo "vangelo" ha molti seguaci, che costituiscono l’esercito degli apologeti del cyberspazio, i sostenitori (non disinteressati) di profezie miracolistiche, di una nuova frontiera, della grande promessa del futuro, di un’era di esaltante ottimismo fondata sulla realizzazione dell’utopia elettronica, che regalerà all’umanità progressi miracolosi. Al fondo c’è la concezione feticistica del computer, trasformato da strumento tecnologico in "un fatto umanistico" (30), veicolo di una nuova visione del mondo.

Non è tutto oro ciò che luccica. In sintonia con la sua funzione educativa, come educazione alla criticità e alla complessità, la rivoluzione digitale va sottoposta al vaglio critico per coglierne il valore e i limiti; per cui non si può dire ingenuamente che la navigazione cibernetica sia solo una variante del videogioco, ma si deve dire anche che la navigazione nel virtuale può essere altamente stimolante e liberante, capace di far maturare nuove potenzialità espressive e di liberare le energie creative della persona. "Di fronte all’enorme sviluppo della tecnologia dei media si notano sia aperture entusiastiche ed irriflesse che chiusure apocalittiche. Una misura di buon senso, di fronte a queste drastiche alternative, ci invita alla cautela nella presa di posizione. E’ legittimo infatti dubitare, da una parte, che dallo sviluppo e diffusione delle tecnologie derivi ‘spontaneamente’ una crescita culturale e di pensiero. Così come, d’altra parte, è ragionevole riconoscere che non si potrà far molto per impedire lo sviluppo e la diffusione dei nuovi strumenti di comunicazione multimediale e telematica" (31).

L’atteggiamento del docente non può essere quindi né "apocalittico" né "integrato", ma quello di una guida che, senza gridare al "grande fratello" e alla "dittatura tecnologica", o ai "miracoli virtuali", lavorando in un clima di collaborazione con i suoi allievi è capace di smascherare le differenze tra le promesse e la realtà, e di cogliere e valutare con rigore etico i benefici e le contraddizioni della "futura vita elettronica" (32). Si tratta di prendere "le distanze, senza mezzi termini, dall’ottuso conformismo e dall’euforico trionfalismo oggi dilagante nei confronti di quelle tecnologie e del loro eventuale impatto nella società (...). Se i vaneggiamenti pessimistici sono da deplorare, non lo sono meno quelli ottimistici. Sbaglia chi vede l’informatica come un vaso di Pandora, colmo di malanni, ma sbaglia altrettanto chi la ritiene una cornucopia traboccante di frutti miracolosi (...). Detto questo, io sono profondamente convinto che le tecnologie, se si vuole tutelare la loro carica innovativa, devono restare sempre aperte al dibattito delle idee" (33), in una visione dialettica capace di pervenire ad una sintesi critica tra le posizioni estreme, tra quella che esalta lo spazio di libertà e quella che paventa il preludio di inevitabili dittature.

Il fatto di aver individuato le posizioni che caratterizzano la diatriba intorno al cyberspazio non significa aver centrato la soluzione del problema dal punto di vista etico, che esige di essere articolato attorno ad alcuni nodi strategici (quello epistemologico, quello antropologico, quello economico, quello sociale, quello religioso, quello giuridico, ecc.) per avviare la discussione sui binari giusti anche in ambito scolastico e proiettare qualche raggio di luce sul futuro, con particolare riferimento al destino delle nuove generazioni.

 

a) l’intreccio tra mondo digitale e relativismo etico

Dobbiamo accettare la sfida del progresso tecnologico che nella società postmoderna ci sospinge verso un tipo di essere umano che non siamo in grado di delineare con precisione. Dal lato delle dinamiche del pensiero le nuove tecnologie della comunicazione hanno fatto emergere prepotentemente la dimensione della realtà virtuale, che modifica radicalmente la concezione dello spazio e del tempo e consente forme di simulazione mai pensate prima, superando i limiti del determinismo tecnologico. In questo senso si può considerare il metodo di simulazione al calcolatore come il terzo grande metodo d’indagine dopo quello deduttivo dell’antichità (Aristotele) e quello sperimentale dell’epoca moderna (Galilei). Ciò si risolve nell’amplificazione delle possibilità dell’intelligenza, che costituisce un progresso straordinario e consente di "guardare con aspettative positive alla ‘rete’, alle nuove possibilità che si aprono con la telematica. Gran parte degli atteggiamenti polemici dei filosofi novecenteschi nei confronti del mondo della razionalità tecnica sono stati dominati dall’immagine del motore e cioè della tecnologia meccanica. Era questa immagine, soprattutto. che sembrava riassumere i pericoli incombenti sull’autenticamente umano, sulla libertà, a causa della razionalizzazione tecno-scientifica della società e anzitutto del lavoro (...). Se e quando all’immagine e al modello del motore si sostituisce quello della rete, è finalmente possibile che anche la filosofia cambi il suo atteggiamento verso la tecnologia e le sue applicazioni sociali ed esistenziali. E’ in fondo questa la scommessa di quelle prospettive filosofiche che si sono chiamate post-moderne (...).Ebbene, se il termine postmoderno ha un senso (...), esso si fonda sulla dissoluzione del modello ‘centrale’ del motore e sulla sua sostituzione, ancora semplicemente abbozzata e vaga, con la rete. Decisiva è, in quest’ultimo modello, la presenza di nodi e incroci che non richiedono un nodo ultimo; e la reciprocità della comunicazione, che esclude la stessa idea di una istanza suprema o, in termini filosofici, di un fondamento (...). Se, come pare, uno dei problemi, o forse il problema determinante della filosofia del ventesimo secolo è stato il rapporto tra libertà e razionalizzazione tecno-scientifica del mondo (...), si può a buon diritto pensare che il tema che si propone alla filosofia della fine di questo secolo e dei decenni che la seguiranno è quello di ripensare l’esistenza umana - ancora, la questione della libertà e della storia - in relazione al delinearsi della rete (...).Prima ancora che determinare, del resto con implicazioni importanti, nuove modalità del lavoro intellettuale, e dunque anche filosofico, l’instaurarsi della rete rivolge alla filosofia un appello molto più sostanziale, quello di ripensare l’esistenza stessa e la stessa essenza del pensiero fuori dai modelli ereditati dalla modernità" (34); cioè fuori da un modello "centrale", unico e assoluto, di riferimento, che, dal punto di vista etico corrisponde al bene universale e oggettivo, dissolto dalla mancanza di centro della rete. Con la rivoluzione telematica, che non consente più l’affermazione di alcuna gerarchia prefissata e indiscutibile di valori, il bene assoluto si tramuta in bene incerto, relativo e soggettivo, si configura cioè come capacità del soggetto di perseguire il proprio bene e il bene pubblico. Nell’attuale complessità del mondo cyberspaziale la soggettivizzazione del bene, che definisce la virtù come risorsa soggettiva, non comporta che debba necessariamente essere intesa solo come potenza arbitraria, sciolta da ogni vincolo. Può benissimo coincidere con la virtù pubblica dell’interesse generale, che si esplica secondo le modalità della cittadinanza elettronica, la quale consente inedite forme di comunicazione, sempre nella convinzione che la cultura telematica, all’epilogo dello smaliziato Novecento, non possa essere disgiunta, senza negare se stessa, dalla relatività della morale. In questa prospettiva di potenziamento della comunicazione, il cyberspazio dilata enormemente i confini delle possibilità umane "rendendo disponibili mondi virtuali e creando varchi per nuove forme e modalità inedite di comunicazione. In questo senso, se correttamente inteso e utilizzato, può risultare estremamente importante ai fini della realizzazione di quello che potremmo chiamare un ‘progetto delle relazioni’, un progetto il cui obiettivo principale sia l’integrazione nel tempo e il consolidamento di relazioni tra soggetti, individuali e collettivi, e sistemi, anche lontani nello spazio, finalizzate al conseguimento di risultati il cui valore sia congiuntamente riconosciuto da tutti gli attori coinvolti. ‘Progetto di relazioni’ non vuol dire, ovviamente, progetto unitario ex ante, ma progetto reso unitario ex post, attraverso un paziente lavoro di integrazione tra le diverse identità, rispettoso dei tratti distintivi e dell’autonomia di ciascuna di esse, e di elaborazione di un vissuto e di un immaginario comune, che si sviluppa, per forza di cose, più che all’interno dei diversi sistemi coinvolti, nelle zone di confine e di contatto tra di essi. L’elaborazione di questo vissuto e immaginario comune è indispensabile, in quanto nel cyberspazio la stabilità degli oggetti dipende dalla cooperazione tra agenti. Per agire all’interno di esso, dunque, ogni partecipante deve essere disposto a rinunciare a una parte della sua autonomia e ad assumere e rispettare impegni nei confronti degli altri. In caso di disaccordo può essere difficile stabilire quale scena è stata effettivamente trasmessa e rappresentata e che cosa, di conseguenza, ‘è accaduto’ nel cyberspazio. La coerenza e stabilità di quest’ultimo richiedono dunque un’intesa collaborativa tra gli agenti, nel senso che la scelta tra le possibili categorizzazioni di comportamento degli oggetti è determinata, oltre che dagli elementi dello spazio medesimo, anche dalla somma delle azioni dei partecipanti" (35).

 

b) Un nuovo modello di socialità fondato sull’interattività

Con la cultura del computer siamo alle soglie di una mutazione antropologica e di civiltà, di un mutamento epocale di cui è difficile anticipare gli esiti, che non è detto che siano necessariamente negativi: potranno consistere in un nuovo modello di socialità e di pluralità, fondate sulla connettività, che è intesa come combinazione di individualità e collettività. E’ la tesi ottimistica del fecondo rapporto tra interattività e partecipazione, sostenuta dall’erede di Mc Luhan, Derrick De Kerckhove, per il quale la rete telematica, come strumento di progresso e deposito della memoria globale, è la chiave per entrare nel futuro e consente opportunità straordinarie all’uomo che saprà criticamente interiorizzare la multimedialità e volgerla a suo vantaggio (36). Il messaggio di questo intellettuale è che "non dobbiamo avere paura delle macchine che esaltano tumultuosamente l’informazione (...). Esse vanno considerate come estensione del nostro sistema nervoso, come organi artificiali che ci permetteranno, poco a poco, di acquisire una ‘sensibilità planetaria’. Cioè quella virtù che, sola, potrà rimediare agli scompensi di uno sviluppo economico disomogeneo e ormai insostenibile, evitandoci l’apocalisse" (37). L’autentico uomo virtuale è quello "consapevole del fatto che il mondo virtuale che egli contribuisce a fondare stando nella rete è nello stesso tempo un mondo reale" . Per De Kerckhove la virtualità telematica si compone di tre elementi essenziali, che ne costituiscono una sorta di "grammatica": la connettività, l’ipertestualità e l’interattività. Il terzo è il più importante: "quello che integrando gli altri due fa diventare reale il virtuale e, per così dire, restituisce una corporeità a colui che viaggia sulla rete" nel senso che, attraverso la simulazione, l’interattività consente di essere (tele)presente ovunque, anche in più luoghi contemporaneamente, favorendo l’atteggiamento di impegno e di partecipazione alle cose del mondo. Perciò, "il destino della virtualità è quello di essere una forma di materializzazione del pensiero (mai del corpo), e insieme un modo di comunicazione sulla rete. [In questo senso] la virtualità è l’esempio palmare della connessione tra cervello fisico e mente immateriale, cui le reti riescono a dare consistenza; ma è anche luogo d’incontro fra persone, nel quale un immaginario diventa sempre più reale" (38).

E’ il tema delicato e complesso delle cosiddette "comunità virtuali", che si possono considerare come un passatempo e uno svago (come immaginare una città virtuale, una città modello: la città dei sogni, la città di Utopia) per evadere da una realtà quotidiana mediocre e soffocante, e trovare rifugio e riparo dall’angoscia; oppure, più seriamente, un luogo reale, forse il mondo "vero" di domani, dove chiunque possa andare per accrescere il nostro bagaglio di conoscenza e di esperienza, attraverso quell’"organismo cibernetico" (o "cyborg") che è il risultato dell’interazione tra uomo e macchina, fautrice di un nuovo modello di socialità che si attua nella rete a seguito di tale interazione. Nel senso che, sempre secondo De Kerckhove, "il cyborg (...) produce un cambiamento interno all’organizzazione mentale nella persona singola, per cui il pensiero personale, mediante la pratica costante dell’interattività, si ritrova connesso al pensiero di altri. Da un ciclo cibernetico input-autput tra individuo e rete, rete e individuo, nasce un modello nuovo di pluralità. E questa pluralità non ha più niente a che vedere con le vecchie forme di collettività (...). Dalle reti nascono gruppi autorganizzati, software di collaborazione, forme che anziché collettive si possono definire ‘connettive’, perché si basano sul dialogo vivo e istantaneo che si svolge per mezzo delle reti e sulle reti. Forme aperte (questo è molto importante) e sempre accessibili a chiunque (...). Viene semplicemente in essere una terza forma della presenza umana. Insomma per la prima volta nella storia abbiamo una tecnica di comunicazione che, senza eliminare l’individuale e il collettivo, è capace di cambiare i due nella forma del ‘connettivo’ ".. Queste sono le prospettive proposte da De Kerckhove, studioso e sostenitore delle ricadute neurosociali e delle modificazioni antropologiche provocate dalle nuove tecnologie delle macchine telematiche, quando non le si contrasti per principio e si impari ad usarle assorbendole all’interno del nostro universo psicologico e dello spazio mentale che le considera come "semplici estensioni del nostro sistema nervoso". Cosa che è forse difficile da accettare dalla generazione adulta e molto più naturale per i bambini e i giovani. Questi "imparano l’uso delle tecnologie mentre il loro sistema nervoso è in fase di sviluppo e così acquisiscono, attraverso il giocoelettronico, una particolare capacità di reagire agli stimoli e di accelerare la creatività. Crescono in simbiosi con le macchine, si integrano con un ambiente tecnologico, ma appunto crescono " (39). Che è un altro modo di "essere digitali" e un’altra concezione del vivere civile, con le relative conseguenze economiche, sociali, politiche, culturali e morali.

 

c) Risvolti etico-economici ed etico-sociali tra competizione e multiculturalità

Nata come esigenza scientifica Internet si è trasformata in un fatto economico che muove ingenti quantità di risorse umane e monetarie, sconvolgendo assetti consolidati. Da ciò la reazione dei puristi della rete che accusano gli investitori di capitali di voler trasformare il nuovo mondo telematico in un ambiente prevalentemente commerciale per realizzare nuove forme di profitti e "business".. Gli analisti di mercato prevedono la "corsa all’oro" attraverso miliardi di scambi commerciali "on line", che andranno ad ingrandire i fenomeni macro-economici già consolidati nel sistema della globalizzazione come processo irreversibile del capitalismo senza limiti. Il nesso tra la rivoluzione digitale e la globalizzazione economica è sempre più evidente e sconvolgente, nel senso che i mercati e la produzione di beni nei diversi paesi sono sempre più interdipendenti sulla base della libera circolazione di capitali e dello sviluppo tecnologico, che facilita gli scambi in tempo reale e impone una maggiore trasparenza. In questo contesto l’unico padrone è il mercato di dimensione mondiale che, nel nome della concorrenza, sta cambiando la vita individuale e collettiva. La conseguenza più rilevante è che la politica non è in grado di controllare o contrastare i fenomeni più negativi derivanti. "I sistemi dell’economia e della finanza si sono svincolati da ogni controllo politico e sono quindi diventati indipendenti da qualsivoglia legittimazione democratica. E non si tratta di sistemi moralmente neutrali, come affermano i sostenitori di una illimitata libertà del mercato. Le conseguenze dei processi messi in moto da questi sistemi ricadono infatti su individui che non hanno nessuna possibilità di decidere su essi. E questa è la grande conseguenza dal punto di vista morale: gli individui non dispongono delle proprie vite, non sono liberi" (40). E quando il sistema economico è svincolato dal controllo politico finisce a sua volta per sottomettere la politica e far venir meno la legittimazione democratica.

Di fronte alla ossessione ideologica della competitività la coscienza critica non può non mettere in guardia dagli errori e dai pericoli che quest’idea nasconde in sé, come hanno messo bene in evidenza gli studiosi del Gruppo di Lisbona (41). Nella mondializzazione la distribuzione internazionale della ricchezza ingigantisce l’allargarsi apparentemente irreversibile del fossato tra i paesi ricchi e i paesi poveri. L’economia mondiale, come motore sempre più potente e incontrollato, sviluppa disuguaglianze crescenti anche tra i soggetti umani, una parte consistente dei quali è sospinta o mantenuta in una condizione di pauperizzazione. Di fronte alla parte affamata della popolazione del pianeta, la coscienza etica non può non chiedersi se sia possibile sottoporla a controllo, come e da parte di chi, anche con il contributo delle nuove tecnologie, le quali oggi sono lo specchio delle contraddizioni, apparenti e reali, della globalizzazione. Infatti, a titolo di esempio, mentre nella parte ricca del mondo cresce enormemente l’uso della posta elettronica, più della metà della popolazione del pianeta non ha ancora il telefono, o addirittura altri beni di prima necessità, come il cibo, l’acqua, ecc. In relazione alla diffusione della rete Internet nel mondo, il trend di crescita vorticosa interessa tutti i paesi altamente industrializzati, soprattutto del mondo occidentale: in testa ci sono gli Stati Uniti, seguiti a distanza dal Giappone, dalla Germania, dall’Inghilterra, dall’Olanda, dalla Francia, dalla Svezia, ecc.: l’Italia telematica è al decimo posto(42) . Sono esclusi, in toto o in parte, i paesi che sono fuori dalla competizione mondiale e quelli cosiddetti in via di sviluppo. Quindi, il modello Internet si fa strada nella parte più ricca e colta della popolazione mondiale (quella che usa il computer, possiede un lettore di cd-rom, ecc.) e tendenzialmente a livello di massa, come scenario futuribile, pur tra le macroscopiche contraddizioni strutturali. Di conseguenza, in quanto ancora di pochi, i nuovi mezzi telematici alimentano la disuguaglianza nel nome della competizione. Infatti, "chi già naviga in rete con il computer, se ne mostra affascinato e orgoglioso: sa che si tratta di uno strumento capace di accrescere in misura rilevante le facoltà percettive e cognitive di chiunque lo usi e sa che è in grado di dare a qualsiasi persona opportunità e poteri di gran lunga superiori a quelli di chi non è in grado, o non vuole servirsene. Sembra scontato, del resto, che in alcune attività, soprattutto se creative, produttive e di ricerca, la ‘diversità’ fra chi è internetista e chi non lo è può fare la differenza, a parità di doti intellettuali e di cultura, fra il successo e l’insuccesso. Questa non è un’opinione, è un fatto: saper accedere in qualsiasi momento agli sterminati archivi di informazioni, dati, immagini e idee consultabili ‘on line’ è un vantaggio paragonabile a quello che in un giro del mondo può avere un viaggiatore poliglotta nei confronti di altri concorrenti che parlino soltanto la propria lingua" (43).

Tuttavia, nel più generale processo di globalizzazione, le tecnologie dei "new" media non influiscono solo sulla vita dei ricchi, coinvolgono (e in futuro potranno coinvolgere sempre di più) persone, gruppi sociali e paesi diversi, offrendo nuove opportunità, come quella di ampliare la multiculturalità nelle diverse società, di uscire dall’isolamento, di mettersi in contatto con il mondo intero da parte di minoranze emarginate e discriminate, costrette a chiedere aiuto e solidarietà all’opinione pubblica mondiale. In questo senso, "è opinione comune che attraverso le nuove tecnologie sarà possibile educare i giovani all’accettazione della diversità, attenuare gli atteggiamenti razzisti e crescere delle società sempre più tolleranti" (44). E’ la prospettiva etica di una nuova civiltà che potrà essere costruita sulla collaborazione e solidarietà in un clima sociale in cui le persone che appartengono a popoli e a gruppi diversi possano entrare in rapporto le une con le altre rispettando le differenze culturali, in una dimensione egualitaria in cui l’unità incorpora le diversità.

Un altro aspetto controverso e problematico in prospettiva etica è quello che riguarda un aspetto del futuro del mondo del lavoro, il cosiddetto telelavoro. In futuro, "saremo un popolo di lavoratori a domicilio forniti di computer, magari liberati dal traffico e dall’obbligo di presentarci in azienda, e forse schiavi di forme nuove di accentramento del potere da parte dell’élite" che comanderà "un esercito di ‘telecommuters’ "? (45).

Va detto che è vero che nuovi posti di lavoro vengono oggi e potranno ancor più in futuro essere creati dal sistema telematico, ma è altrettanto vero che intere professioni vengono e saranno spazzate via in modo irreversibile, con tutta una serie di ricadute sul piano della qualità del lavoro, non tutte positive ed accettabili dal punto di vista delle esigenze personali e sociali. Il telelavoro, infatti, fa pensare alla comodità di lavorare stando a casa propria, ma significa anche perdita della socialità, del potere contrattuale, delle garanzie collettive, della regolamentazione dell’organizzazione del lavoro, della solidarietà professionale, ecc., nel nome delle soluzioni "personalizzate", veicolate dai "personal-media" (46), che costituiscono la mistificazione ideologica del controllo, dell’anomia e dell’atomismo sociale, come conseguenza dello sfaldarsi, nel cyberspazio, dei rapporti corporei interpersonali. Infatti, "l’ambiente elettronico, contrariamente alla suggestiva propaganda che lo regge, elimina di fatto le aspettative sociali tipiche di un’interazione faccia a faccia. E’ vero che con ciò riduce il carattere drammatico dei rapporti umani, che è essenzialmente dato dal fatto che sono imprevedibili, ma ciò facendo li disumanizza, ed è in questo senso responsabile di una perdita irreparabile. Una temibile obiezione, infine, è quella che riguarda l’effetto complessivo della comunicazione digitale, la quale finirà probabilmente per ridurre i contatti umani a una pura virtualità priva della completezza della fisicità. Per esempio: sarà possibile stringere la mano via Internet?" (47).

Sono problemi irrisolti che emergono dai segni di una condizione del mondo che sta cambiando i propri connotati strutturali. Quello che è lungi dall’essere chiaro è il modello etico-civile di economia e di società, di politica e di cultura che uscirà da questa nuova rivoluzione tecnologica come maggiore o minore democratizzazione e civilizzazione del mondo, legate alla partecipazione dei cittadini. Nel senso che le decisioni che toccano lo loro vita investono problemi di portata mondiale: problemi non solo economici e sociali, politici e ambientali, ma anche culturali e morali, da cui dipende la libertà degli individui e l’autodeterminazione dei popoli.

 

d) La crescita del potere della tecnologia telematica è sinonimo di estensione della democrazia?

L’impatto delle nuove tecnologie mediatiche sul sistema politico non può non incidere anche nel dibattito sulle sorti della democrazia in un tempo nuovo in cui i media, negando i vincoli dello spazio e del tempo, cancellando soggetti antichi e creandone nuovi, ridisegnano i luoghi e ridefiniscono i significati della politica. Gli effetti di fondo della video-cyber-politica si misura concretamente nell’incidenza sulla formazione dell’opinione pubblica, sulle risultanze del confronto elettorale e sull’efficacia della pratica di governo. In relazione a ciò "alle soglie del Duemila coesistono (...) utopie positive e negative, speranze nell’avvento di una inedita democrazia diretta, riconducibile al miracolo democratico della polis greca accanto al timore per un’eventuale irreversibile affermazione dell’incubo orwelliano del Grande Fratello, e quindi di una società della sorveglianza di tutto e di tutti" (48).

La convinzione più diffusa nell’élite intellettuale è che le nuove tecnologie informatiche possano essere lo strumento ideale per riformare o reinventare gli istituti della democrazia reale, dando vita ad una sorta di "repubblica elettronica", fondata su un’opinione pubblica non manipolata e ingannata. Il fantasma del Grande Fratello elettronico, invece, è intravisto da chi, come Giovanni Sartori, sostiene che "invece di fruire di una democrazia diretta, il demos è diretto dai manipolatori dei media". E anche se il potere della televisione e del computer non sarà un Grande Fratello al singolare, nulla "toglie che la ‘tecnopoli’ digitale sarà gestita da una razza padrona di piccolissime élites, di tecno-cervelli altamente dotati, e che si risolverà (...) in una ‘tecnocrazia divenuta totalitaria che plasma tutto e tutti a propria immagine e somiglianza" (49). Il politologo italiano non è certo l’unico intellettuale che denuncia il grave pericolo per la democrazia costituito dalla videocrazia, che fabbrica un’opinione etero-diretta e, quindi, ostacola la buona politica rompendo il delicato equilibrio tra passione e razionalità e producendo un effetto globale di depoliticizzazione (50), o di disincanto nei confronti della politica, particolarmente devastante nella coscienza giovanile. Ad esempio, dall’osservazione diretta del sistema telematico statunitense, che è il più potente del mondo, si levano le voci critiche di Edward S. Herman e del più noto Noam Chomsky contro le rete globale, come strumento per la creazione artificiale del consenso, che sarebbe uno spazio non di libertà, ma di dominio del potere economico mondiale (51), a causa dell’influenza del potere di mercato delle grandi concentrazioni capitalistiche, che determinerà la perdita dell’indipendenza e la cancellazione della possibilità di un mezzo di comunicazione democratico. Le ragioni pessimistiche, tuttavia, non nascondono i potenziali vantaggi nell’uso di Internet. "In primo luogo permette di comunicare rapidamente con i propri amici o con i propri alleati, intellettuali o politici che siano. E infatti ciò ha reso più efficace la mobilitazione di gruppi politici dissidenti che hanno sempre avuto scarso accesso ai massmedia. E’ il caso, per esempio, della rivolta zappatista in Mexico: grazie a Internet i rivoluzionari hanno ottenuto la solidarietà internazionale e hanno potuto comunicare rapidamente al mondo gli abusi del ceto politico e militare mexicano e le bugie con cui tentavano di coprirli. Da ultimo, Internet permette di avere accesso rapido alle informazioni tramite le banche dati, il che è stato molto utile sia al mondo scientifico, per cui il mezzo è stato creato, sia a coloro che hanno tentato di dare alle minoranze e alle opposizioni un supporto politico" (52).

Dunque, la rete mondiale della comunicazione costituisce una sfida per la democrazia, che in alcuni produce il sogno di una democrazia diretta e globale, autenticamente solidale e libertaria, egualitaria e decisionista, che prende corpo soprattutto nel voto elettronico; in altri determina l’incubo di una società plebiscitaria-autoritaria, caratterizzata dalla mancanza degli elementi primari dell’agire democratico, cioè la compresenza degli uomini e delle donne in un rapporto diretto viso a viso e in uno spazio di identità sociale consolidata, che ha una consistenza ben più reale rispetto alle comunità virtuali che si formano su Internet, le quali per Thomas Maldonado, sono solo "simulacri di comunità" o "comunità di spettri" (53), caratterizzate da aspetti regressivi fino alle derive della "media-crazia" autoritaria. La quale, tuttavia, non può essere identificata in modo esclusivo e totale con il modello comunicativo della comunicazione elettronica interattiva. Restano, comunque, dubbi e interrogativi: sia quelli relativi alla rappresentanza politica (il partito ed il voto telematico sono una possibilità remota?), sia quelli relativi alle forme di socialità collettiva (quali saranno i luoghi e i momenti di incontro degli uomini e delle donne del nuovo secolo?).

Per rispondere ad essi anche nell’insegnamento-apprendimento scolastico è necessario superare le posizioni rigide e manichee e riconoscere, in prima istanza, che le trasformazioni digitali della comunicazione riferite ai modi di produzione e ai meccanismi di trasmissione occupano ormai a buon diritto un posto centrale nella discussione sulla democrazia globale; in seconda istanza, che la democrazia elettronica non è data una volta per sempre, ma è tutta da costruire: "se la democrazia elettronica dovrà trionfare, i suoi sostenitori dovranno fare ben altro che evitare errori. Dovranno costruirla" (54).A tal fine è necessario che le scelte politiche sottese ai problemi tecnici delle telecomunicazioni vengano portate alla massima trasparenza, perché è in gioco la capacità della democrazia di controllare alcuni dei nuovi e più potenti apparati tecnologici che regolano la vita collettiva. Si tratta di realizzare l’obiettivo di una rete che cresca socialmente come esperienza di comunicazione libera e di democrazia diffusa, capace di influire sulla sfera pubblica e produrre benefici effettivi sulla vita civile. Ma la conquista di nuovi diritti all’informazione e alla comunicazione, per una democrazia del dialogo, va posta in stretta relazione con il conflitto nel cyberspazio, nel senso che "decisiva sarà la pratica in rete, concretamente attuata da una molteplicità di soggetti socialmente attivi che si muovono dentro e fuori il cyberspazio e utilizzano quest’ultimo sia come cassa di risonanza dei propri progetti (...) che come luogo reale dove costruire e plasmare la propria identità" (55). Questa è vista come una delle condizioni per superare i pericoli generati dal processo di concentrazione dei mezzi di informazione e dal loro asservimento a interessi commerciali forti. Resta il fatto, comunque, che "Internet ha la potenzialità per diventare una gigantesca tribuna politica aperta a tutti, in cui tutti in ogni momento possono intervenire con il loro parere o anche soltanto raccogliere informazioni su quello che avviene nelle istituzioni" (56). E questa è oggettivamente una novità rivoluzionaria, che va colta in tutta la sua portata.

 

e) La regolazione sociale della comunicazione in rete: libertà o censura?

Finora i conflitti del cyberspazio hanno riguardato prevalentemente le minacce alla "privacy" e alla libertà di espressione. Oggi, dopo che Internet è diventata veicolo di comunicazione non solo culturale, ma anche commerciale, il nome della rete è sempre più frequentemente associato a fatti di violenza nei confronti dei bambini (pedofilia), di scandali (come il "sexgate" di Clinton), di pornografia, di corruzione, di xenofobia, di guerra, di illeciti finanziari e di altri reati, che investono giovani e adulti. Questi fenomeni patologici impongono l’esigenza di una regolamentazione giuridica sulla base di principi etici, finalizzata a salvaguardare la libertà individuale e collettiva nell’interazione socio-culturale? "Più volte è stato ribadito che la libertà, che ha caratterizzato Internet sin dalla nascita, non può garantire la sicurezza di cui necessitano i massmedia e che pertanto, in conseguenza diretta della sua massiccia diffusione, occorre definire limiti, o meglio istituire dei filtri per salvaguardare la ‘purezza’ dell’informazione. Tale discorso è stato ulteriormente accentuato nei confronti dei bambini, che a parere di molti devono essere protetti durante la navigazione del cyberspazio" (57).

Al di là della diffusione di materiale pornografico e della propaganda violenta, come quella neonazista, il problema vero relativo allo status giuridico della rete mondiale di comunicazione è quello del rischio di manipolazione dell’informazione. "Il fatto che chiunque possa immettere dati su Internet comporta un triplice rischio: (1) la diffusione di notizie fasulle per i più vari scopi (...); (2) il rischio che notizie rilevanti finiscano con il passare inosservate nella massa disordinata di informazioni circolanti sulla rete; (3) la possibilità di scatenare campagne persecutorie o diffamatorie (in questo del resto Internet non si differenzia da altri mezzi di informazione se non per la maggior difficoltà di controllo)" (58).

La garanzia da rischi e pericoli oggi non può essere data dalla forma storica del controllo come la censura, la quale oltre che poco praticabile è diseducativa. Infatti, "usando la censura non si rispetta il diritto alla libertà di espressione dei bambini e si definiscono delle regole senza prestare alcuna cura a ciò che essi pensano al riguardo. Accettando questa strategia si promuove una mentalità passiva: al giovane responsabile in grado di elaborare processi autonomi di accesso all’informazione nonché di gestione e applicazione della medesima, si preferisce un individuo passivo che si limita ad assimilare più o meno diligentemente materiale informativo predigerito e ad agire secondo precise indicazioni provenienti dal mondo adulto" (59).. Resta tuttavia da risolvere il problema di una legislazione moderna di tutela dei diritti umani dalle violazioni elettroniche o telematiche. Sulla base di una maggiore sensibilità collettiva finora, anche in Italia, sono state prodotte norme e istituti di controllo per garantire la riservatezza personale, o "privacy", sottraendole allo sfruttamento commerciale e/o alla spettacolarizzazione massmediatica, che allarma lo stesso Negroponte (che è tutto dire), corifeo degli apologeti del cyberspazio: "sono ottimista per natura. Tuttavia, ogni tecnologia o dono della scienza ha un lato oscuro. Il mondo digitale non fa eccezione. Il prossimo decennio vedrà aumentare i casi di violazione della proprietà intellettuale e di invasione della nostra privacy. Avremo a che fare con il vandalismo digitale" (60).

E’ evidente che la disciplina dei diritti del cyberspazio per essere efficace va posta sul piano sovranazionale, da cui far derivare una legislazione flessibile capace di recepire i cambiamenti indotti dalla dialettica tra comportamenti sociali e sviluppo tecnologico, cioè una cornice normativa in grado di tener conto dei conflitti che la frontiera elettronica esprime in relazione al diritto di informazione come uno dei diritti fondamentali dell’uomo, che va reso praticabile su scala mondiale da parte di tutti i cittadini, i quali sono sempre più cittadini del mondo anche grazie ad Internet ed alle reti telematiche. Questa soluzione pone, però, il problema della possibilità o necessità di uno stato mondiale: si va da chi sostiene l’esigenza di uno stato mondiale globale, a chi propone uno stato mondiale minimo. Il punto di divergenza sta nel destino della sovranità nazionale, che prospetta una soluzione radicale e una più moderata. In entrambi i casi, comunque, si pone la necessità di provvedimenti legislativi di portata mondiale, che però, per salvaguardare un livello alto di democraticità, non possono essere proposti nel segno della censura.

In relazione ai cyberdiritti, a quella della censura va contrapposta quindi la cultura della libertà: la libertà di manifestazione del pensiero. La quale tuttavia non può prescindere da una formalizzazione legislativa essenziale sulla base del principio per cui ciò che è illegale fuori dalla rete rimane illegale anche sulla rete, come propone Stefano Rodotà richiamandosi alla comunicazione della Commissione europea, dell’ottobre 1996, sulle "Informazioni di contenuto illegale e dannoso su Internet" (61). Per il giurista italiano, che sostiene l’urgenza di "robusti presidi" alla libertà su Internet, "se si vuole veramente mettere a punto una disciplina che non costituisca l’avvio o il pretesto per la proposta e l’approvazione di regole censorie, è necessario: a) inquadrare ogni azione rivolta specialmente al settore telematico in una strategia di carattere globale; b) individuare comportamenti ritenuti assolutamente inaccettabili, come la pedofilia o altre forme criminali, e perseguirli sempre e comunque con la massima severità; c) rispettare negli altri casi la libertà di scelta individuale, anche in casi sgradevoli come la pornografia, sempre con il limite della tutela dei minori" (62).

A questi e ad altri criteri di tipo razionale vanno ispirate le norme della legislazione di tutela dalle minacce derivanti dalla diffusione di materiale digitale di natura pornografica, violenta, xenofoba, falsa e tendenziosa, ecc., che costituisce il pericolo che si annida nella madre di tutte le reti. A monte, però, va attuata un’azione di educazione preventiva e di coscientizzazione critica, che veda protagonista una scuola rinnovata, capace di recuperare la funzione etico-civile che intrinsecamente le appartiene, ponendo al centro la cultura dei diritti di una nuova cittadinanza, che alle soglie del terzo millennio è sempre più telematica e planetaria. Una cultura critica nell’opinione pubblica che avverta il rischio e il pericolo di una cittadinanza aperta che si trasforma in "società della sorveglianza", governata dall’"occhio elettronico" (63) del Grande Fratello, o da forme di controllo diverse dalle solite, come quelle della democrazia plebiscitaria o del Panopticon benthamiano.

In definitiva, per avere una vera democrazia anche nell’era telematica è sempre necessaria la trasparenza degli atti politici, la partecipazione dei cittadini e la costruzione di un’opinione pubblica mondiale su cui radicare le garanzie di una democrazia globale e planetaria. E’ una prospettiva che "avverte la necessità di un organo legislativo e di un organo esecutivo di portata mondiale, ai quali non potrà non accompagnarsi un corrispondente organismo giudiziario. Accenni in tal senso non mancano: l’Assemblea plenaria dell’ONU (indipendentemente dal suo attuale status giuridico), le varie convenzioni internazionali per la difesa dell’ambiente o dei diritti umani, l’esistenza di tribunali internazionali come quello dell’Aja sono tutti passi in direzione di uno stato mondiale che però è ben lungi dall’esistere anche solo sulla carta" (64). E’ il realismo dell’utopia che con il potenziamento dei diritti di informazione pone nuovi traguardi, anche educativi, all’affermazione dei diritti umani, come il diritto alla vita, alla partecipazione politica, alla difesa dell’ambiente, ecc., con particolare riferimento alle nuove generazioni. Educazione ai diritti umani, dunque, come educazione alla legalità e alla libertà responsabile, che può avere un impulso anche dalla rete mondiale della comunicazione, la quale, se sottratta agli interessi economici e al dominio politico, rappresenta un’occasione di portata epocale per gettare le basi di una coscienza pubblica mondiale. In questo senso, "è importante che Internet mantenga il suo ruolo di foro assolutamente privo di controllo dall’alto, cui tutti possano liberamente accedere e in cui tutti possano dire la loro e ascoltare l’opinione altrui" (65).

I cinque aspetti finora indicati non esauriscono il tentativo di dare una lettura etica dei contenuti della rete mondiale della comunicazione. C’è, per esempio, una "spiritualità digitale", che fa capo a numerose religioni: qualcuno ne ha calcolato oltre settecento tra le antiche e quelle neonate (66). Così il Dio dei cristiani (cattolici, protestanti e ortodossi) si trova a fianco del Dio di altre neo-chiese o alle divinità di diverse religioni storiche (buddhismo, islamismo, ecc.) e dei culti "new age".. Basta digitare per partecipare a riti, discutere di fede, fare esperienze mistiche, svolgere proselitismo, collegarsi con i fedeli della propria comunità, ecc., volando da un punto a un altro e unendosi a persone lontanissime di tutte le specie: ecclesiastici, ma anche guru, integralisti, venditori, truffatori, maghi, monoteisti e politeisti, ecc. L’abbattimento delle barriere e la competizione in rete investono, insomma, anche il fenomeno religioso e gli esiti delle cyber-religioni sono del tutto imprevedibili, ma certamente sono destinati a sconvolgere le distinzioni tradizionali tra atei e credenti, tra mistici e materialisti, tra atei e integralisti, con conseguenze non secondarie sul piano dell’identità individuale e dei rapporti collettivi a livello mondiale.

 

6. Nuovi modi di apprendimento dei giovani: una nuova relazione tra soggetti e tra saperi all’insegna dell’interazione e della trasversalità

Lavorare a scuola sui contenuti culturali veicolati dalle reti telematiche significa affrontare anche problemi di ordine metodologico, cioè capire come si costruiscono le competenze rivolte a cogliere i risvolti e le ricadute culturali delle nuove tecnologie, a capire quali strumenti didattici sono da mettere in campo da parte dei docenti, in un contesto di innovazione tendenziale (che, al di là della riforma, esiste in modo latente più di quanto normalmente si pensi) che vede il mutamento dei paradigmi di apprendimento a cui siamo abituati e il cambiamento della stessa scuola e della struttura dei saperi, nella direzione - che è ancora ben lontana dall’essere raggiunta - della "iperscuola" (di una scuola cioè che "potrebbe essere inserita e collegata tramite l’uso della telematica a tutta una serie di risorse che sono situate fisicamente in luoghi anche lontanissimi, per esempio per consultare gli archivi delle più importanti biblioteche, oppure per dialogare tramite posta elettronica con alunni e insegnanti di altre scuole, magari all’estero, nel contesto di un progetto formativo comune" (67) e degli "ipermedia" capaci di ribaltare il tradizionale rapporto tra bambino e adulto, tra allievo e docente. "Sta dunque per scoccare una rivoluzione culturale per l’infanzia: sopra i suoi destini e quelli dell’adulto sembra aprirsi un futuro dall’epocale scambio delle parti, con relativo ribaltamento dei ‘ruoli’: nel senso che potrebbe essere il bambino a vestire i panni di padre dell’adulto. Un ‘piccolo padre’ chiamato a tenere teneramente per mano un adulto (genitore, insegnante), disorientato, impacciato, claudicante al cospetto dei mediatori-elaboratori della cultura elettronica" (68).

In quest’ottica, oltre alla vecchia struttura della scuola, sono investiti da un processo di trasformazione radicale anche, e soprattutto, gli insegnanti la cui figura insieme ad altre è destinata necessariamente a evolversi verso un ruolo di guida di un gruppo-classe, caratterizzato da spirito di collaborazione e di interazione nel "laboratorio didattico virtuale", luogo di simulazione e di riproblematizzazione di tutti i saperi, compresi quelli cosiddetti "umanistici". Ciò significa superamento delle tradizionali partizioni disciplinari e organizzazione dell’insegnamento-apprendimento secondo relazioni tra i saperi aggregati per temi trasversali, come approccio multidisciplinare integrato per la risoluzione di problemi complessi, come quelli dell’etica applicata, che qui sono oggetto di riflessione con particolare riferimento al tentativo di formulazione etica del sapere telematico, che risponde alla necessità di ripensare un cambiamento epocale che sta travolgendo più o meno tutti i punti di riferimento del passato.

 

7. Un nuovo "ethos" giovanile, tra libertà e responsabilità, per mettere le nuove tecnologie al servizio della società

In conclusione, anche da questo bilancio provvisorio di fine secolo si coglie che "nella sua complessità l’ethos è sempre in movimento, fermentante e vivo anche quando (...) vi sia un generale disorientamento su quanto accadrà" (69), come nel caso della rivoluzione tecnologico-informatica, in relazione alla quale il futuro esige scelte individuale e collettive che, salvaguardando le novità epocali, non perdano l’orientamento e il rigore etico.

L’interpretazione etica dei media va posta sullo sfondo del nichilismo e dello scetticismo che prevalgono nella filosofia del nostro secolo. Essi rappresentano "un sismografo sensibile della nostra condizione, in quanto registrano, segnalandone i margini estremi, le oscillazioni del diagramma dell’attualità. Elaborano cioè in forma di concetti lo stato di un mondo in cui vari fattori - enigmatiche evidenze sotto gli occhi di tutti - obbligano sia a rivedere gli scenari e gli strumenti del comprendere, sia a riformulare le norme etiche vigenti: lo sgretolarsi delle tradizioni, il bisogno degli individui di orientare con maggiore autonomia lo loro esistenze, l’incontro appena avviato tra le grandi culture del pianeta, le alternative estreme tra nichilismo e fondamentalismo, le migrazioni collettive che moltiplicano in Occidente le società multietniche, i processi di ‘globalizzazione’ e di concentrazione delle ricchezze e del sapere, l’impatto delle scienze e delle tecniche sui nuovi modi di pensare e di produrre" (70). Può darsi che i media "abbassino provvisoriamente il livello intellettuale e morale della società in cui penetrano, che producano una sorta di piacevole cacofonia o di chiacchiera heideggerianamente inautentica. Hanno però il vantaggio di squadernare le differenze, di rendere udibili le voci prima soffocate, di stimolare il protagonismo degli esclusi di un tempo: ‘Caduta l’idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità locali - minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche - che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall’idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti’.. I mezzi di comunicazione di massa, di cui non si colgono appieno anche gli aspetti perversi, permettono un genere di emancipazione costruito non tanto ‘sull’autocoscienza tutta spiegata, sulla perfetta consapevolezza di come stanno le cose’, quanto piuttosto sull’‘erosione dello stesso principio di realtà’ , sulla moltiplicazione dei punti di vista irrelati e dei contenziosi irrisolti. Il singolo si muove ormai nell’ambito di una interpretazione infinita, mai compiuta, di una realtà le cui incessanti trasformazioni impediscono qualsiasi cristallizzazione da cui dedurre principi metafisici o criteri definitivi di scelta" (71).

Nella cultura della rete telematica priva di un centro vengono meno, quindi, i criteri globali capaci di dare senso ai comportamenti etici secondo un fine ultimo e cadono i presupposti di un dover essere metafisicamente fondato. Alle pretese di verità e di bene garantite da un determinato "telos" si sostituisce l’abbandono all’imprevedibilità e alla scoperta di nuovi aspetti della condizione umana. "Si lascia che i concetti solidi e univoci (...) vacillino e si distribuiscano in una varietà di significati mobili e sempre di nuovo interpretabili. I ‘fondamenti’ del sapere e le ‘basi’ della morale, dichiarati insondabili, finiscono così per essere considerati amuleti utili a esorcizzare l’incertezza, mentre i vari progetti di emancipazione dell’umanità elaborati dalla filosofia contemporanea si rivelano ormai, a loro volta, quali fiabe per consolare gli adulti. Entrano nel linguaggio comune espressioni e concetti come ‘differenza’, ‘crisi della ragione’, ‘postmoderno’, ‘nichilismo’, ‘decostruzionismo’, ‘simulacri’ o ‘pensiero debole’ " (72).

Insomma, per i sostenitori della condizione postmoderna il pensiero telematico come pensiero "errante" nella rete offre lo spettacolo di incessanti mutamenti che esigono l’abbandono della verità assoluta e la rinuncia ai valori forti, ma aprono anche ampie dimensioni di libertà per gli individui e per i gruppi, confutando la paura del controllo sociale e del potere omologante della tecnica sull’uomo nella società della sorveglianza. Il che equivale a sgonfiare l’ingenuo ottimismo dei "miracoli virtuali" promessi dal computer, ma anche a confutare o ridimensionare l’eccesso di allarmismo che avvolge la società dell’informazione. E’ la terza via enunciata in apertura, che è particolarmente funzionale alle finalità della scuola e dell’educazione al mondo telematico dei giovani, che devono essere messi nelle condizioni di fare nuove esperienze di ricerca culturale e vivere responsabilmente nella vasta comunità del cyberspazio. La libertà e la responsabilità costituiscono i valori guida nel processo di istruzione e socializzazione delle nuove generazioni alla complessità della cultura dell’informazione basata sulle reti telematiche. Nel senso che "sono proprio i giovani ad essere al centro di questo grande cambiamento nel modo non solo di comunicare, ma di rappresentare sé e gli altri (...), che in qualche modo sono loro i demiurghi della nuova era telematica. Occupando questa posizione, essi non necessitano di protezione, quanto piuttosto di essere aiutati a crescere" (73), attraverso proposte culturali significative di cui deve farsi interprete una scuola di massa rinnovata, cioè criticamente aperta al nuovo e culturalmente qualificata, in quanto capace di recepire la sfida radicale del cambiamento insita anche nelle nuove tecnologie della comunicazione, che segnano in profondità la trasformazione della vita collettiva nella società a capitalismo maturo globalizzata. Secondo Domenico Parisi questi sono "i veri problemi della scuola", la cui crisi di fronte alla globalizzazione può trovare soluzione non tanto nelle proposte di ingegneria istituzionale (come sta avvenendo in Italia: riforma dei cicli, autonomia, innalzamento dell’obbligo, nuovi saperi di base, ecc.), quanto nella ricerca di un fecondo rapporto tra nuove tecnologie e cultura di massa nella società globale (74).

L’affermazione della rivoluzione telematica mette in discussione la tradizionale distinzione tra cultura d’élite e cultura di massa, che ha contraddistinto la vecchia scuola, trasmettitrice della cultura d’élite, oggi in difficoltà rispetto alla cultura di massa, che con le tecnologie informatiche esercita sempre più un ruolo "egemonico" ed impone una nuova concezione della democrazia, quello della democrazia elettronica che scaturisce dalla connessione tra tecnologie della comunicazione e globalizzazione, determinando, tra l’altro, la transpartitizzazione e la transnazionalizzazione della politica come effetto della interattività. Le conseguenze sociopolitiche di queste novità si prospettano enormi: la democrazia informatica come democrazia diretta, che fa vacillare le istituzioni classiche della politica, dallo stato ai partiti, che rischiano l’estinzione e pongono i problemi etico-politici del futuro determinati dalla connettività, dall’istantaneità e dalla dinamicità delle relazioni individuali e collettive, che saranno sempre più di tipo connettivo nel villaggio globale, in quanto "ogni villaggio diventerà globale, nel senso che chiunque, da qualsiasi luogo potrà fare operazioni in qualsiasi altro luogo" (75).

Quale, allora, l’organizzazione politica del futuro? "Un’organizzazione che, dovendo riservare molto spazio alla connettività, metta intelligentemente insieme il pubblico e il privato. Un’organizzazione, se posso introdurre un neologismo, ‘pubblivata’. Il centralismo è sicuramente morto. Ma anche il federalismo, per il fatto che è anch’esso legato a una vecchia concezione della repubblica, si può considerare morto. E sono morte pure le regioni. Che cosa resta? Resta il governo delle realtà locali, con la gente del posto che partecipa molto da vicino, quasi fisicamente all’amministrazione del comprensorio in cui vive. Ecco: lo Stato di domani potrebbe essere una immensa costellazione di iperlocalismi. E in tale stato tutti i cittadini avranno ragioni di sentirsi ‘plurali’, ‘locali e ‘amboversi’ (...) [cioè] capaci di guardarsi dentro e contemporaneamente di proiettarsi agli antipodi" (76). E’ la prospettiva esaltante di una rivoluzione antropologica, prima ancora che politica, per cui "accanto alla collettività e alle individualità si sta facendo avanti una terza forma di presenza umana con cui persone e gruppi devono fare i conti: l’organismo cibernetico nato dalla connessione e dal dialogo fra coloro i quali si conoscono e, parlandosi, possono confrontarsi in rete" (77).

Questa possibilità può, però, mutarsi nel suo opposto, prospettando il terrore che Internet diventi il luogo di tutte le nefandezze di questa terra, dallo scambio di materiale pornografico alla propaganda nazista, alla messa in atto di loschi traffici. Le tecnologie digitali, dunque, ci prospettano due possibilità di scelta etica opposte. L’affermazione di quella che è indirizzata al bene comune (78) non può essere slegata dall’affermazione di un’etica della responsabilità e della solidarietà, che interpella la scuola e gli operatori del sistema formativo impegnandoli a riscoprire la imprescindibile funzione etico-civile dell’educazione. Non per formulare una nuova tavola di valori da consegnare alle nuove generazioni come prontuario asettico delle norme necessarie ad affrontare il mondo telematico, ma per sviluppare la capacità di affrontare in modo autonomo e maturo le questioni di verità e di valore derivanti dall’accelerata affermazione su scala planetaria delle nuove tecnologie.

E’ evidente, dunque, che la società dell’informazione e della comunicazione, che ha per emblema Internet, nata dall’"esplosione" delle nuove tecnologie informatico-telematiche, non può essere al servizio esclusivo del commercio e dei macro-poteri economici e interi settori della popolazione mondiale largamente esclusi. Queste tecnologie non sono tecnologie come tante altre: esse intervengono in tutte le attività umane e condizionano le modalità di apprendimento, di pensiero, di rappresentazione del mondo, di decisione e di scelta individuale e collettiva. La tesi che ho cercato di sostenere per sottoporla alla discussione, in conclusione, è che i pubblici poteri non possono solamente aprire le scuole ai venditori delle società di informatica, ma devono fare soprattutto dell’appropriazione sociale e della formazione culturale critica una delle basi della coscientizzazione civile della popolazione giovanile, che è e sarà sempre più scolarizzata con l’elevazione dell’obbligo scolastico. In questo senso, la formazione dei cittadini più giovani all’esercizio della razionalità etica nella multimedialità è un’urgenza che investe la responsabilità dei docenti, nella convinzione che essi siano i veri protagonisti della riforma e questi i veri problemi della scuola.

Alle soglie del duemila la società della comunicazione è una sfida decisiva per la scuola e la maturazione nei giovani di un’"ethos" della cultura telematica una garanzia contro i rischi della società della sorveglianza totale, nel mondo senza frontiere della democrazia elettronica, in cui tecnologia e comunicazioni potrebbero consentire universale libertà dai bisogni e vita di migliore qualità, più attiva e cosciente. E’ noto il paradosso di Archimede: datemi una leva e un punto di appoggio e vi solleverò il mondo. Se una leva per cambiare il mondo può essere la rivoluzione digitale, il punto di appoggio necessario è dato da una coscienza morale matura e adeguata a comprendere i dilemmi della grande transizione del sistema-mondo, sulla base di un nuovo paradigma culturale e formativo ispirato alla complessità, che impegna in profondità anche la scuola e la sua capacità di aprire le menti ai giovani per apprendere questa semplice, ma profonda verità: se è vero che il sonno della ragione genera mostri è altrettanto vero che l’assopimento della coscienza morale genera robot autoreplicanti. Che è un modo per dare maggiore dignità professionale e utilità sociale al compito dell’insegnare oggi, in una scuola pubblica di massa, laica e qualificata, capace di affrontare anche la crisi etica attuale e ritrovare una forza morale (79), nella prospettiva culturale post-moderna, che non consente di andare oltre la relatività della morale. Nel cui ambito ai soggetti della professionalità educativa non è consentito di chiamarsi fuori dai problemi della de-moralizzazione e della de-responsabilizzazione diffusa e di rinunciare alla ricerca di nuove forme personali e sociali della responsabilità, anche di fronte alla sfida delle nuove tecnologie telematiche e multimediali e della loro pretesa di trasformare gli uomini in "esseri digitali" e di presentarsi come nuova "filosofia", la quale pone non pochi problemi e pericoli all’esercizio del libero pensiero e delle libere decisioni, che ho cercato di illustrare e proporre alla riflessione negli operatori della formazione nella scuola pubblica di massa, laica e qualificata.

 

NOTE

1 D. Parisi, Quali sono i veri problemi della scuola?,, "Il Mulino", n. 3, 1997, pp. 493-494.

2 Internet: www.ilsole24ore.it, p.7 (il corsivo è mio).

3 I. Contu, Internet: il luogo e il tempo di una straordinaria avventura, "Teléma", primavera 1997, p. 2.

4 Ivi, p. 3.

5 F.C. Manara, Didattica della filosofia e multimedialità, "Bollettino della SFI", n. 160, 1997, p. 42.

6 Cfr. cap. II.

7 H. Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila, Ed. Il Melangolo, Genova 1998, p. 50 e p. 52.

8 E. Agazzi, Filosofia e filosofia di..., in Aa. Vv., Filosofia e filosofia di, Ed. La Scuola, Brescia 1992, p. 1992, p. 17.

9 Ivi, p. 20 e p. 22.

10 Ivi, p. 23.

11 Ibidem.

12 J. Russ, L’etica contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 14-15.

13 H. Jonas, Principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990.

14. I. Contu, op. cit., pp. 2-3.

15 Cfr. Aa. Vv., Buone notizie dalla scuola. Fatti e parole del movimento di autoriforma, a cura di A. Lelario, V. Cosentino e G. Armellini, Nuove Pratiche Ed., Milano 1998.

16 M. Gustavigna, A scuola oggi non basta insegnare con il computer, in "Teléma", n. 9, giugno 1997, p. 25.

17 G. Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 33.

18 C.F. Manara, op. cit., pp. 42-43.

19 A. Cavalli, Dilemma dell’istruzione: per i valori c’è un posto?, in "Reset", n. 20, settembre 1995, p. 43.

20 S. Manghi, Il buon seme. Le responsabilità dell’altruismo nel tempo della morale perduta, in "Iride", n. 21, 1997, pp. 296-297.

21 G. Sartori, op. cit., p. 11.

22 Ivi, p. 12.

23 F. Carlini, Nel ciberspazio c’è di tutto, ma manca qualcosa: la società, in "Teléma", primavera 1997, p. 13.

24 A. Berretti, V. Zambardino, Internet. Avviso ai naviganti, Donzelli Ed., Roma 1995, pp. 97-98.

25 G. Sartori, op. cit., p. 30.

26 J. Derrida, B. Stiegler, Ecografie della televisione, Cortina Ed., Milano 1997, p. 6.

27 F. Ferrarotti, La perfezione del nulla,. Promesse e problemi della rivoluzione digitale, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 94.

28 G. Sartori, op. cit., p. 90.

29 N. Negroponte, Essere digitali, Sperling-Kupfer Ed., Milano 1995, p. 239, p. 212 e p. 231.

30 E. Pedemonte, Personalmedia, Bollati Boringhieri, Torino 1998, p. 194.

31 F.C. Manara, op. cit., p. 42.

32 Cfr. C. Stoll, Miracoli virtuali. Le false promesse di Internet e delle autostrade dell’informazione, Garzanti, Milano 1996.

33 T. Maldonado, Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano 1997, pp 7-8.

34 G. Vattimo, E’ una rete senza centro, ma ci dà un premio: la libertà, in "Teléma", primavera 1997, pp. 4-5.

35 S. Tagliagambe, Epistemologia del cyberspazio, Demos Ed., Cagliari 1997, pp. 82-83.

36 Cfr. A chi ha paura rispondo: è un’occasione, fantastica, intervista con D. De Kerckhove di Pietro Zullino, in "Teléma", primavera 1997, pp. 8-12.

37 Ivi, p. 8.

38 Ivi, p. 8, pp. 10-11.

39 Ivi, p. 12 e pp. 10-11.

40 A. Pinzani, Un diritto a Internet? Il problema della creazione di un’opinione pubblica mondiale e di nuovi diritti umani per il XX secolo, in "Iride", n. 23, 1998, p. 145.

41 Gruppo di Lisbona, I limiti della competitività, a cura di Riccardo Petrella, Manifestolibri, Roma 1995.

42 Cfr. M. Mandò, Fiorisce l’Italia digitale, in "Sapere", ottobre 1997, p. 126.

43 I. Contu, op. cit., p. 2.

44 B. Bruschi, I diritti dei bambini in Internet, in "Orientamenti pedagogici", n. 45, 1998, p. 119.

45 A. Berretti, V. Zambardino, op. cit., p. 17 e p. 82.

46 E. Pedemonte, Personal media. Storia e futuro di un’utopia, Bollati Boringhieri, Torino 1998.

47 F. Ferrarotti, La perfezione del nulla, Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 84.

48 M. Morcellini, Prefazione a L.K. Grossman, La repubblica elettronica, Ed. Riuniti, Roma 1997, p. VII.

49 G. Sartori, op. cit., p. 95.

50 P. Bourdieu, Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 117.

51 Cfr. No, non sono d’accordo: Internet è una vera trappola, intervista con Edward S. Herman, di D. Ovadia, in "Teléma", primavera 1997, pp. 25-26; G.M. Pace, Il Grande Fratello si chiama Internet, intervista a Noam Chomsky, in "La Repubblica", 29 gennaio 1997.

52 No, non sono d’accordo, cit., p. 26.

53 Th. Maldonado, op. cit., p. 169.

54 A. Berretti, V. Zambardino, op. cit., p. 85.

55 F. Carlini, Internet, Pinocchio e il gendarme. Le prospettive della democrazia in rete, Manifestolibri, Roma 1996, p. 229.

56 A. Pinzani, op. cit., p. 151.

57 B. Bruschi, I diritti dei bambini in Internet, in "Orientamenti pedagogici", n. 45, 1998, p. 99.

58 A. Pinzani, op. cit., p. 152.

59 B. Bruschi, op. cit., p. 114.

60 N. Negroponte, op. cit., p. 237.

61 Cfr. S. Rodotà, Se non ci sono più confini qualche limite è necessario, in "Teléma", primavera 1997, p. 6.

62 Ivi, p. 7.

63 Cfr. D. Lyon, L’occhio elettronico. Privacy e filosofia della sorveglianza, Feltrinelli, Milano 1997.

64 A. Pinzani, op. cit., pp. 147-148.

65 Ivi, p. 155.

66 Cfr. M. Merlini, Pescatori d’anime. Nuovi culti e Internet, Avverbi e Innovanet Ed., 1998.

67 E. Pantò, C. Petrucco, Internet per la didattica, Ed. Apogeo, Milano 1998, p. 5.

68 R. Maragliano, Manuale di didattica multimediale, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. VII-VIII.

69 R. Bodei, Il noi diviso. Ethos e idee dell’Italia repubblicana, Einaudi, Torino 1998, p. 165.

70 Ibidem.

71 Ivi, pp. 163-164.

72 Ivi, p. 155.

73 B. Bruschi, op. cit., p. 104.

74 D. Parisi, op. cit.

75 A chi ha paura rispondo: è un’occasione fantastica, cit., p. 12.

76 Ibidem.

77 Ibidem.

78 Cfr. R. Petrella, Il bene comune. Elogio della solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia 1997.

79 Cfr. Z. Bauman, Le sfide dell’etica, Feltrinelli, Milano 1996.