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Comunicazione Filosofica n. 4 - dicembre 1998

 

ELISABETTA de PALMA

QUALE MULTIMEDIALITA’ PER QUALE FILOSOFIA. RIFLESSIONI E DOMANDE

 

Il numero costantemente crescente di prodotti multimediali che ormai, anche in campo filosofico, è possibile rintracciare con sempre maggiore facilità, nonché la applicazione e l’utilizzo degli stessi nell’insegnamento della filosofia, mi ha spinta a compiere una serie di riflessioni sulla pratica didattica da me abitualmente attuata e a pormi alcune domande che, credo, potrebbero essere individuate nei pensieri di molti docenti. Proverò qui a presentarne alcune che, pur se affatto esaustive, potrebbero costituire un modesto contributo al dibattito in corso su tali argomenti. 

  • Prima questione : il modello d’insegnamento da me messo in atto e realizzato essenzialmente attraverso il connubio tra parola-oralità-suono e scrittura-grafica-segno, è l’unico possibile o comunque il più efficace?
  • Seconda questione : gli strumenti didattici che utilizzo sono neutri rispetto ai quadri concettuali che attivano nei discenti o sono strettamente connessi ad essi?
  • Terza questione : la decisione di impiegare uno strumento che può sembrarmi particolarmente adatto ed in sintonia con il modello d’insegnamento prescelto, rappresenta esclusivamente una opzione didattica o, di fatto, mi colloca inevitabilmente all’interno di un preciso orizzonte filosofico?

E’ evidente che al primo quesito potrei rispondere in un modo tanto diretto quanto immediato con un semplice : no. Tale risposta, infatti, si giustifica e regge quasi da sola in quanto è ormai più che nota e accettata la posizione che sostiene la possibilità di realizzare pratiche didattiche molteplici, variegate e con esiti differenziati anche nel campo dell’insegnamento della filosofia. Preferisco, però, non ragionare sull’ovvio o su quanto già sperimentato, bensì chiedermi qual è il fulcro, quali gli eventuali vantaggi e quali gli svantaggi presenti all’interno di un percorso di insegnamento-apprendimento basato quasi esclusivamente sull’oralità e la scrittura e quali gli eventuali vantaggi e svantaggi che potrebbero presentarsi a seguito dell’utilizzo di altri strumenti, con particolare attenzione a quelli multimediali cui accennavo sopra.

A mio avviso, per dipanare la matassa, diventa necessaria ed imprescindibile una riflessione attenta ed approfondita sugli elementi che veicolano la comunicazione docente-discente rendendo possibile l’apprendimento, sia all’interno del modello comunicativo che privilegia l’oralità e la scrittura, sia all’interno del modello comunicativo che fa ampio uso della multimedialità. In tal senso ritengo che il fattore di fondo su cui concentrare la discussione sia costituito dai codici espressivo-comunicativi utilizzati nei due modelli.

Nel primo caso i codici sono affidati al suono e/o al segno grafico e lo studente risponde attraverso suoni e/o segni grafici; nel secondo i codici sono appunto multimediali, vale a dire molteplici e plurimi, ma anche ipermediali, dato che la compresenza e soprattutto la fusione di input di varia natura in uno o più strumenti, li potenzia in quanto li dota di un elevato grado di incidenza e di una rete di significati altamente efficace.

Lo studente avrà pertanto la possibilità di riconoscere il codice a lui più familiare e di porlo alla base del proprio processo noetico. Avrà inoltre la possibilità di passare dal noto all’ignoto non per giustapposizioni o attraverso un ordine esclusivamente seriale, ma tessendo ed intrecciando i significati che i codici, nella loro polisemia, sono in grado di rappresentare.

Un insegnamento che tenga conto di tutto questo offre, a mio avviso, la possibilità di arrivare con successo ad un numero elevato di destinatari; ciò in quanto fa capo ad un sistema comunicativo più ampio rispetto a quello cui fa capo l’insegnamento della oralità e della scrittura.

E’ comunque da sottolineare che la scelta di una didattica mista, vale a dire che utilizzi tanto l’oralità e la scrittura quanto la multimedialità, e la eventuale ricollocazione della prima all’interno della seconda, implica da parte dell’insegnante la revisione e la ridefinizione dell’intero piano didattico. La molteplicità ed il potenziamento degli stimoli offerti al discente, infatti, ristrutturano il contesto dell’azione didattica modificando la dinamica della mediazione posta in essere dal docente.

In sostanza, desidero qui evidenziare il fatto che preferire un modello comunicativo ad un altro, non solo determina la qualità e la caratterizzazione della comunicazione docente-discente a seconda degli strumenti prescelti e dei codici espressivi di cui questi sono portatori ma anche la tipologia e la qualità delle risposte che i discenti potranno rinviare al docente. Quest’ultimo, pertanto, per ottenere dalla sua azione il massimo d’efficacia, dovrà organizzare e strutturare la mediazione didattica pensando la multimedialità non come strumento da giustapporre, secondo il procedimento copia-incolla, al modello oralità-scrittura ma integrare, fondere, appunto mediare i due modelli fino a produrne uno inedito e noeticamente diverso dai precedenti. Ma tale procedere implica una ineludibile ristrutturazione della mediazione del docente, del contesto in cui essa avviene e dell’intero progetto didattico-educativo cui fa capo.

Ovviamente una prospettiva di questo tipo può sembrare vantaggiosa, data la portata dei meccanismi e delle dinamiche cognitivo-affettive messe in movimento, ma può anche essere considerata uno svantaggio se si considerano la mole di lavoro che comporta da parte dell’insegnante e degli studenti nonché l’elevato livello di responsabilità e di competenze richieste al docente che, non sempre, può sentirsi pronto e disponibile a modificazioni pressoché integrali . Una didattica mista, infatti, se non attentamente soppesata e calibrata, può essere facilmente fraintesa e soprattutto portare a esiti indesiderati, e credo che questo rischio sia particolarmente elevato all’interno dell’insegnamento della filosofia.

Provo a porre solo due tra i tanti interrogativi che tornano con frequenza nella mente degli insegnanti inducendoli ad optare per il già noto e sperimentato piuttosto che a porsi sulla strada della ricerca e della sperimentazione.

- E’ filosofia quella proposta attraverso la visione di una videocassetta o la produzione di un percorso ipertestuale?

- E’ filosofia quella che si fa utilizzando il registratore o la videocamera per riprendere alcune discussioni di natura filosofica tra studenti e tra studenti e docente per poi riascoltare, rivedere quanto è stato prodotto al fine di ridiscutere tesi e dimostrazioni, problemi e conclusioni?

Ovviamente se il contesto della azione didattica resta immutato e l’utilizzo degli strumenti multimediali rappresenta il fine e non già il mezzo della stessa, le risposte non possono che essere negative. Da questo punto di vista, risulta ampiamente spiegabile la propensione ad affidarsi unicamente a quello che attualmente, nella scuola italiana, risulta essere il modello comunicativo più ampiamente accettato e diffuso in filosofia, vale a dire quello basato sulla oralità e scrittura : oggigiorno, infatti, si discute per analizzare le mille possibilità della sua realizzazione non già per contestarne la validità.

Poste queste premesse, non posso però evitare di cedere ad una provocazione consistente nel sottolineare il fatto che anche se attualmente l’esigenza di mettere in campo una azione didattica centrata sull’analisi dei testi filosofici, felice e valida espressione del connubio oralità-scrittura, è diventata comune alla maggior parte dei docenti di filosofia, tuttavia Socrate non avrebbe condiviso una simile scelta. Proviamo per un istante ad immaginare come avrebbe potuto rispondere se un suo interlocutore gli avesse proposto una discussione filosofica a partire da un testo scritto! Allo stesso modo, potremmo riflettere sul fatto che quello che di primo acchito a noi sembra distante e inequivocabilmente agli antipodi del filosofare, va pensato e considerato all’interno di una prospettiva per l’appunto filosofica e non genericamente tecnologico-scientifica. Dunque l’intera questione rimanda ad un problema filosofico : si tratta si di ri-pensare, come docente la propria mediazione didattica ed il proprio ruolo e progetto educativo, ma si tratta anche di ri-pensare, dal punto di vista della filosofia, il problema della comunicazione filosofica non scindendolo da quello della praxis messa in atto in classe.

La seconda tra le domande poste in apertura mi porta a riprendere e sviluppare questioni in qualche modo prima accennate e relative alla riflessione sia sulle forme di pensiero messe in movimento dagli allievi, a seconda degli strumenti didattici utilizzati, sia sui processi cognitivi attivati nella produzione delle loro risposte.

All’interno del modello didattico oralità-scrittura, lo studente e l’insegnante si trovano, prevalentemente, a privilegiare procedimenti logici di natura ipotetico-deduttiva strettamente connessi con ragionamenti regolati dal principio causa-effetto. In questo caso, infatti, i registri che veicolano la comunicazione, sia essa verbale o grafica, sono centrati sulla linearità di un pensiero che parte da premesse per arrivare a conclusioni. Pertanto l’argomentazione e la consequenzialità rappresentano, in massima parte, i cardini dei ‘modelli di ragionamento’ sottesi alla produzione filosofica di natura verbale.

Se ciò è vero, come leggere i quadri concettuali aperti, dagli aforismi, dai pensieri, dagli epistolari, dalle meditazioni, dal poema filosofico? Non tutti questi generi filosofici rimandano necessariamente a strutture argomentative; essi, piuttosto, dischiudono ampi spazi ad una razionalità guidata dall’immagine, questione che molto deve far riflettere su come, in questi casi, vanno a prodursi e a sedimentarsi le significazioni e le interpretazioni.

L’immediatezza dell’immagine velocizza, senza alcun dubbio, i processi cognitivi e le concettualizzazioni; sviluppa e rinforza il procedere inferenziale e l’induzione; favorisce il decentramento, il confronto, le connessioni, la reversibilità e la divergenza. Questi processi, già resi possibili all’interno della didattica della parola, risultano esaltati e rinforzati dalla didattica mista. Per quanto fin qui sostenuto, credo di poter arrivare alla conclusione che gli strumenti multimediali, nel privilegiare l’utilizzo dell’immagine uditiva e visiva, permettono il sorgere di costruzioni mentali, concettualizzazioni e significazioni complesse, dotate di un apprezzabile spessore noetico e di un’alta carica comunicativa; caratteristiche, queste, del filosofare.

Tale riflessione non deve però far automaticamente dimenticare le difficoltà e/o i pericoli sottesi ad un utilizzo inconsapevole della multimedialità ed in cui potrebbero incorrere studenti e forse anche una parte di docenti.

Ad esempio, la fruizione di materiale filmico ‘consumato acriticamente’, modalità abitualmente messa in atto da una gran fetta di adolescenti, fedeli utilizzatori di prodotti televisivi, credo che non vada nella direzione della didattica mista e che, anzi, non vada nella direzione di alcuna didattica ma che, piuttosto, risulti dannosa. In questo caso, il destinatario resta immobile nella sua passività : egli non è chiamato a porsi domande, costruire nessi e relazioni, interpretare dati problematici, cogliere allusioni, costruire significazioni, ecc…, ma a fare da spettatore nei confronti di un prodotto finito, già pronto ed impacchettato per riempire lo spazio di una di lezione. Penso di poter dunque riaffermare con forza e senza timore di essere smentita, che questa non è didattica, né filosofia! Allo stesso modo ritengo sia pericoloso il navigare a vuoto all’interno di un ipertesto, sia pure di contenuto filosofico. Rispondere ad uno stimolo senza produrre elaborazioni o ipotesi di percorso, farsi guidare da un procedere per prove ed errori, magari spacciato per ‘desiderio di scoperta’, certo non rappresenta un buon modo di allenare la razionalità, tantomeno quella di natura filosofica. Non è sufficiente un ipertesto di contenuto filosofico per filosofare : in questo caso diventa cruciale non tanto il contenuto, quanto l’uso dello stesso. E’ infatti possibile leggere testi di filosofia e/o disquisire sulla ‘felicità’ o sul ‘bene’ senza porsi automaticamente in una prospettiva filosofica, come è possibile porsi in modo filosofico utilizzando un ipertesto se la prospettiva entro cui tale operazione avviene è critica, tesa a costruire riflessioni, concettualizzazioni, significazioni, a porre domande e dubbi, a offrire prospettive e risposte su cui continuare a discutere e ri-discutere.

Ancora una volta, dunque, grande responsabilità è quella del docente che desidera misurarsi con un modello d’insegnamento innovativo. Ciò diventa ancora più vero se l’obiettivo consiste in quello di far produrre ipertesti di natura filosofica ai propri allievi. In questo caso, infatti, gli studenti devono operare scelte come ‘costruttori’ di percorsi filosofici; e ciò vuol dire problematizzare già da subito la loro praxis, organizzandola e strutturandola in funzione del taglio filosofico caratterizzante il materiale cui daranno forma. Diventa quindi una azione filosofica l’assumere decisioni su questioni come : attorno a quali i testi, quali immagini, quali suoni, quali connessioni, quali significazioni ecc… il lavoro dovrà andare ad organizzarsi.

Mettere in atto riflessioni e scelte del tipo su evidenziate scongiura, inoltre, un altro rischio non meno nocivo di quelli già menzionati, vale a dire la perdita delle coordinate temporali, spaziali e delle gerarchie logico-filosofiche. Il fluttuare da un link ad un altro, prescindendo dal contesto e dalle concatenazioni, rappresenta, di fatto, un pericolo reale per chi si accosta ad un ipertesto, sia come fruitore che come produttore, senza una adeguata riflessione sulle motivazioni e sugli obiettivi sottesi alla produzione e all’utilizzo di tale strumento. Ma la razionalità filosofica può aiutare a superare tale ostacolo, in quanto induce a meditare tanto sui contenuti di pensiero, quanto sui metodi attraverso cui i contenuti vengono filtrati, elaborati e presentati, né può essere ritenuta filosoficamente valida una azione che separi a priori i due elementi, né una agire che decontestualizzi l’orizzonte entro cui va a collocarsi e realizzarsi.

Dunque, pur ripetendomi, insisto nel sottolineare la grande responsabilità del docente che coordina tali operazioni, ma anche l’elevato grado di professionalità da lui espressa e di soddisfazione raggiunta alla conclusione del percorso.

Sulla scorta di quanto fin qui sostenuto, penso di poter ora sviluppare la risposta alla terza questione posta all’inizio di questa breve riflessione, questione molto delicata in quanto, mi pare, che attorno ad essa si giuochi gran parte della scommessa fatta da quanti intendono misurarsi con la multimedialità in filosofia.

Da più parti si sostiene che la scelta di inserire i nuovi strumenti e sistemi multi e ipermediali nell’insegnamento della filosofia sia pressoché inevitabile in quanto, ignorare le grandi e fondamentali trasformazioni del presente, significherebbe separare la filosofia dal suo tempo storico. Pur essendo sostanzialmente d’accordo con questa tesi, sento di dover aggiungere qualcosa a suo sostegno e nel fare ciò riformulo la domanda iniziale : per il docente di filosofia, la decisione di impiegare uno strumento che può sembrare particolarmente adatto ed in sintonia con il modello d’insegnamento da lui prescelto, rappresenta esclusivamente una opzione didattica o, di fatto e inevitabilmente, colloca tale scelta all’interno di un preciso orizzonte filosofico?

Ritengo che la massiccia presenza nel quotidiano di strumenti ipermediali stia dando luogo ad una trasformazione radicale del sociale. Con molta probabilità, i cambiamenti e le innovazioni che interverranno nei modelli di comunicazione e di ragionamento che guideranno la produzione della razionalità e del sapere negli anni a venire avranno la stessa forza, al contempo innovativa e destabilizzante, che ha avuto, nel passato, l’invenzione della stampa ed il suo utilizzo su vasta scala. Trasformazioni di tale entità mi pare non possano esimere chi si occupa di filosofia dal riflettere filosoficamente su tutto ciò e sui problemi che di conseguenza emergono nell’azione didattica. E’ dunque arrivato il momento di fare i conti in filosofia con quella che qui denomino razionalità delle interconnessioni, razionalità forte e dirompente della società ipermediale. A mio avviso, dal punto di vista filosofico, essa può essere letta e resa praxis didattica in vari modi, ciò secondo i supporti didattici scelti e le modalità del loro utilizzo, ma anche e soprattutto secondo la riflessione teoretico-filosofica che accompagna le scelte di cui ho detto sopra. La razionalità delle interconnesioni potrà quindi rifarsi alla logica della complessità, come al de-costruzionismo o al relativismo o ancora ad altri orizzonti di pensiero; sarà la consapevolezza di tutto ciò a rendere filosofico l’agire del docente. Ma essa potrebbe anche essere espressione di un operare poco meditato, centrato sull’uso acritico di strumentazioni ad elevato sviluppo tecnologico ed in tal caso sfumerebbe ogni prospettiva tanto teoretica quanto didattica. Ritengo, dunque, che per il docente di filosofia divenga imprescindibile ri-pensare dal punto di vista filosofico il proprio modello d’insegnamento ed i supporti didattici che ad esso afferiscono. Porre come oggetto di ri-flessione filosofica la tecnologia e la realtà virtuale, chiedersi quali prospettive filosofiche apra la presenza di tali oggetti all’interno del rapporto insegnamento-apprendimento, rappresenta, per quanti non scindono l’insegnamento della filosofia dalla propria riflessione teoretica e dal proprio intervento in classe, un impegno ineludibile. La filosofia ed il suo insegnamento hanno dunque nuovi oggetti su cui meditare? Credo di non poter che rispondere affermativamente; del resto i grandi cambiamenti sono sempre stati tali, in quanto destabilizzanti e ristrutturanti; cito a tale proposito un solo esempio : la questione bioetica.

Chiudo prendendo spunto da una breve riflessione sulla mia esperienza professionale.

Per la mia attività di insegnante di filosofia, ha sempre costituito un punto fermo la celebre frase di J. G. FICHTE : "La scelta di una filosofia dipende da quel che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un’inutile suppellettile, che si può lasciare o prendere a piacere, ma è animato dallo spirito dell’uomo che l’ha." Prima introduzione alla dottrina della scienza, a cura di L. Pareyson, Marzorati, Milano 1971, in Grande antologia filosofica, vol. XIX, pag. 957.

Da qualche tempo, nella mia testa si è verificato un ‘rimpasto’ che mi ha permesso di creare un link tra la citazione su riportata e la seguente riflessione-convinzione : per il docente di filosofia, la scelta di supporti didattici non rappresenta una semplice scelta tecnica, ma riguarda ciò che si è come soggetto non separabile dalla prospettiva filosofica cui tale scelta rimanda.