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Comunicazione Filosofica n. 4 - dicembre 1998

 

CHIOSE SUL CONCETTO METAFISICO DI SPAZIO. CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A PLATONE E A DESCARTES

Premessa 

Il lavoro svolto durante un intero anno scolastico da parte degli allievi della sez. A del Liceo Classico "G.Chiabrera" di Savona ha rivelato come la ricerca filosofica sia non solo possibile ma anche richiesta nell’ambito della scuola secondaria superiore in quanto propedeutica agli studi universitari.

Le tematiche che abbiamo affrontate a partire dalla I^ liceo hanno esaltato le capacità riflessive dei singoli, e l’entusiasmo non è mancato.

La ricerca di Riccardo Fanciulacci presentata in questa sede è il frutto di liberi pensieri pur sempre guidati con l’ausilio di una scelta bibliografica curata nonché da discussioni rigorose ove i nessi logici ed i rimandi argomentativi sono stati ritenuti per una corretta formazione dello studente.

Il compito affrontato dall’allievo non è stato semplice né privo di ostacoli, a partire dalla lingua francese a quella classica e il tentativo, in un tema così esteso, appare soddisfacente in quanto l’obiettivo di sintetizzare più prospettive filosofiche in un unico nucleo, anche se non sempre con estrema precisione, sembra portato a termine. Come rivela lo studio, interessante è stato il condurre i molteplici spunti verso un concetto di spazio che contenga in sé tutto il passato ma che avverta in epoca moderna anche l’esigenza di una rottura epistemologica che vedrà piena luce nel pensiero contemporaneo.

Le fasi didattiche seguite vanno da una semplice illustrazione dei vari contenuti storici ad una rielaborazione più personalizzata ove i tentativi originali non sono mai stati disdegnati; questo ha inciso notevolmente su come impostare il corso intero di filosofia che ha esaltato gli aspetti metodologici più significativi del programma "Brocca" incentrandolo soprattutto, come si è già sovramenzionato, sull’attitudine a problematizzare le conoscenze mediante il riconoscimento della loro storicità. Fanciullacci si è infine sforzato di pensare per modelli diversi e ha cercato di individuare per quanto possibile per uno studente liceale le molteplici alternative, ma interessante e mai dimenticata è stata la sua attenzione verso l’esigenza di una piena sintesi dei saperi studiati; questo ha permesso di sconfinare nelle varie aree disciplinari e di impostare quello che oggi è chiamato il "nuovo liceo".

 Savona, Italia settembre ’98
Prof. Riccardo SIRELLO
Liceo Classico Statale "G. Chiabrera"
17100- SAVONA (Italia)
e-mail: lgchiabrera


Chiose sul concetto metafisico di spazio. Con particolare riferimento a Platone e a Descartes

  

Autore: Riccardo FANCIULLACCI
Docente: Prof. Riccardo SIRELLO
Liceo Classico Statale "G.Chiabrera"-Savona-Italia

"Lo spazio è senza limiti per forma rientrante e non per la grande estensione. Ciò che è, è un guscio che fluttua nell’infinito di ciò che non è."
A.S. EDDINGTON The Nature of the Physical World (1928).

"Gli oggetti fisici non sono nello spazio, bensì spazialmente estesi."
A. EINSTEIN Nota alla XV edizione inglese (giugno 1952) de "Relatività: esposizione divulgativa".

Gli empiristi inglesi, da Hobbes a Hume, considerano lo spazio come un semplice concetto empirico, un’idea derivata da sensazioni.

"La concezione scientifica del movimento non implica l’esistenza d’uno spazio assoluto, diverso da quello che viene percepito col senso e riferito ai corpi. Che un tale spazio non possa esistere senza la mente appare chiaro in seguito agli stessi principi che dimostrano la stessa cosa per tutti gli altri oggetti del senso. Ma, se guardiamo più a fondo nella questione, vediamo che neppure nella mente possiamo concepire lo spazio puro, escludendo da esso tutti i corpi". Quando nel 1710 Berkeley scriveva queste parole (Trattato sui principi della conoscenza umana I, 116) e riduceva così lo spazio assoluto a un qualcosa di impossibile non solo in re, ma anche in mente, si scagliava principalmente contro Newton e i newtoniani. Lo scienziato inglese e i suoi seguaci, però, non avevano fatto altro che richiamarsi nel produrre la loro teoria, a quella che è la più antica concezione dello spazio, la concezione metafisica.

Generalmente si dice che tale concezione (detta anche oggettivistica in opposizione a quella soggettivistica propria dell’empirismo) prende posizione solo riguardo alla realtà dello spazio affermando che esso è una cosa in sé sussistente, mentre è indifferente al problema delle caratteristiche del vero e proprio concetto di spazio (1). Nel concetto metafisico di spazio a cui qui ci si riferisce, invece, è presupposta anche una teoria riguardo alla natura dello spazio stesso.

Prima che Albert Einstein fondasse la sua teoria dello spazio come campo, si può dire che esistevano due concetti di spazio: lo spazio come luogo o posizione di un oggetto rispetto ad un altro considerato come fisso e lo spazio come recipiente o contenitore di tutti gli oggetti. Questa seconda teoria si è presupposta connotativa dello spazio metafisicamente concepito.

Il concetto metafisico di spazio appare già in alcune immagini prodotte dal pensiero prescientifico: nelle primitive rappresentazioni, lo spazio è visto come un immenso contenitore, ovviamente esistente del tutto indipendentemente dall’uomo. Nella mitologia greca orfica, nella mitologia egiziana, in quella finlandese, in quella buddista e in quella giapponese è diffusa l’immagine dell’uovo cosmico come origine di tutto ciò che è: "Il guscio dell’uovo cosmico è l’involucro in cui il mondo raccoglie lo spazio, mentre la fertile potenza germinatrice interna simbolizza l’inesauribile dinamismo vitale della natura" (Campbell) (2). Altrettanto comune nelle più antiche manifestazioni del pensiero umano, è il concetto di Chaos: esso è definito come l’immenso spazio vuoto al cui interno hanno preso forma tutte le cose: "I Babilonesi lo chiamarono Apsu, l’abisso, o anche Tiamat, la profondità; per gli Scandinavi è Ginnunga gap (the yanning gap), il vuoto spalancato (3), designazione di cui la seconda parte si rapporta al tedesco gaffen (stare a bocca aperta), mentre la prima ha origine dalla stessa radice dalla quale proviene il tedesco gähnen (sbadiglio) e il greco chaos (4)" (Gomperz) (5).

Nel presente studio interessa mostrare come il concetto metafisico di spazio sia accolto anche da Platone nel suo Timeo e ancora venga presupposto da determinate espressioni e vocaboli utilizzati da Descartes. E’ chiaro che sia la teoria platonica sia la teoria cartesiana devono possedere per poter essere riportate alla concezione metafisica di spazio, entrambe le caratteristiche che si sono poste come proprie di essa. Poiché è comunemente accettato e risaputo che tanto in Platone quanto in Descartes lo spazio è una realtà oggettivamente esistente, è opportuno rinvenire in prima istanza la connotazione di spazio come contenitore (6).

Di Platone prenderemo in esame il passo "Timeo 48 E 2 - 52 D 1": in esso è sviluppata la trattazione del genere del Tutto indicato come "terzo", dopo il "primo" che è il paradigma o modello e il "secondo" che è l’imitazione del modello (si veda Timeo 48 E 5 - 49 A 3 e anche Timeo 50 D 1-4).Tale genere è definito "con tutta una serie di connotazioni, in larga misura di carattere ontologico o gnoseologico" alle quali si devono aggiungere altresì "una serie di immagini analogiche" (7): alcune di queste caratterizzazioni sono particolarmente significative per l’indagine qui condotta.

La prima proprietà del terzo genere dell’Universo è quella di "essere il ricettacolo (upodoch) di tutto ciò che si genera" (49 A 5-6). Possiamo subito osservare che il termine upodoch (8) richiama l’idea di uno spazio interno: il ricettacolo è infatti il luogo che contiene, che riceve, persino che ospita (9).

Un’immagine di concavità e di rotondità proviene anche dal paragonare il ricettacolo con una nutrice (10) (che per metonimia si identifica col suo amorevole abbraccio) e con una madre (11) (che fin dal neolitico è tutta intera una parte di sé: l’utero e, per analogia, la terra solcata che accoglie il seme) (12).

Il Principio materiale del Cosmo è detto anche cwra (52 A 8, B 4, D 3). cwra è proprio lo spazio come in cui (13), come contenitore, come luogo in cui si entra o si esce (14), è lo spazio che si occupa o che si riempie (15).

I passi citati dimostrano bene che Platone immaginava lo spazio come un qualcosa dentro cui stanno le cose. Sebbene quindi, si possa, come Abbagnano (16), prestare particolare attenzione al fatto che il filosofo ateniese sia il precursore del concetto, proprio di Aristotele, dello spazio come luogo, cioè come posizione di un corpo tra gli altri corpi (17), è tuttavia impreciso non evidenziare altresì che la sua concezione dello spazio è prima di tutto riconducibile all’immagine del recipiente.

Senza considerare tutte le teorie che in seguito si ispirarono al modello platonico o che comunque, anche opponendosi ad esso, mantennero implicitamente l’idea che lo spazio contiene tutte le cose, si analizzeranno ora alcuni passi dell’opera di Descartes.

Quello che si cerca di illustrare è che il filosofo francese considerava lo spazio esistente oltre che indipendentemente dall’uomo anche indipendentemente dalle cose: credere infatti che lo spazio possa sussistere là dove non ci sono corpi significa ritenere che lo spazio sia qualcosa che sì esiste in relazione ai corpi, ma che non si identifica con essi, ovvero significa ritenere che lo spazio sia il contenitore dei corpi stessi. In questo modo verrà provato, oltre che per Platone, anche per Descartes che la sua concezione dello spazio è ancora vicina a quella metafisica.

I concetti fondamentali in cui si articola la teoria cartesiana dello spazio sono due: il concetto di "luogo interno" (o spazio vero e proprio) di un corpo che è la grandezza o estensione ("per spazio assumiamo sempre l’estensione in lunghezza, larghezza e profondità". Principi della filosofia, parte II, articolo 15) del corpo stesso e il concetto di "luogo esterno" al corpo (o semplicemente "luogo" di un corpo) che è la sua posizione rispetto ad altri corpi (18). Descartes quindi, non solo accoglie l’idea dello spazio come posizione, ma anche, affermando che lo spazio è l’estensione di un corpo e cioè è il corpo stesso considerato dal punto di vista della sua estensione, sembra proprio dire (come Einstein nella frase riportata in epigrafe a questo articolo) che non si deve parlare di spazio e di corpi, ma di spazio dei corpi, ovvero di corpi spazialmente estesi (19).

In relazione a questa teoria perde totalmente di significato il concetto di "spazio vuoto": Descartes scrive in un passo della lettera a Padre Marino Mersenne del 9 gennaio 1639: "(...) ci è impossibile concepire che Dio abbia tolto ogni sorta di corpo (da una stanza), e che, nonostante questo, Egli lasci dello spazio, infatti l’idea che noi abbiamo del corpo, o in generale della materia, è inclusa in quella che noi abbiamo dello spazio" (20).

Se questi sono sostanzialmente i cardini della risposta che Descartes ha dato al problema dello spazio, bisogna tuttavia aggiungere che il linguaggio di cui egli fa uso, ancora troppo influenzato dalla filosofia del passato, non è sempre coerente con essi, ma anzi talvolta tradisce una raffigurazione dello spazio molto vicina a quella che si è definita metafisica.

Nel XVII secolo Descartes si trovava a dover intervenire in questioni nascenti in seno a un pensiero che si rappresentava lo spazio come un contenitore; qualunque fosse la sua opinione perciò, essa in ogni caso si doveva articolare sulla base delle categorie proprie dei contemporanei.

Una delle dispute più accese era quella intorno al vuoto: dopo che i filosofi del Medioevo quasi senza eccezione avevano stimato il vuoto inconcepibile, si tornò a discuterne nei primi decenni dell’epoca moderna. Ciò fu probabilmente dovuto a un recupero, da parte di numerosi scienziati d’allora (ad esempio Isaac Beekman e Pierre Gassendi), della filosofia atomistica (21), la quale, affermando l’esistenza del vuoto, obbligava i filosofi scolastici ad impegnarsi per dimostrare la falsità di tale teoria (22). Si tratta di quella che Lenoble chiama "la celebre questione dei vuotisti e dei pienisti" (23). Come appare dalle parole dello studioso francese, i termini stessi del problema (se esista lo spazio vuoto o se lo spazio sia solo pieno) presupponevano l’idea che lo spazio fosse un recipiente.

E così anche Descartes, che subiva l’influenza del modello platonico per il quale l’esistenza del vuoto (già da Parmenide - e fino a Descartes stesso- identificato col nulla) era inammissibile (24), si trova a dover provare che lo spazio è "riempito" completamente dai corpi: "(...) (25) non si può concepire un luogo così talmente vuoto da non esserci alcuna estensione nella sua cavità, e nel quale per conseguenza non ci siano affatto corpi (...)".

Come si vede, Descartes non induce la non esistenza del vuoto dal fatto che in natura tutto lo spazio è pieno, bensì dalla contraddittorietà del concetto stesso di vuoto (una estensione che non è estensione di un corpo) deduce che lo spazio deve essere pieno. A questo punto, però, l’aprioristico ragionamento di Descartes si trova di fronte il problema che è stato definito del "popolamento dello spazio" (26), si trova cioè a dover spiegare quei fenomeni, quali ad esempio la rarefazione e la condensazione e soprattutto, dopo il 1643, l’effetto dell’esperimento di Torricelli o della colonna di argento vivo, che i seguaci dell’atomismo adducevano a prova dell’esistenza del vuoto. In tutti questi casi, Descartes si richiamava per dimostrare l’efficacia della sua dottrina, alla materia sottile. Essa è una sorta di "riempitivo" (27) atto appunto a mantenere saldo l’assunto fondamentale del meccanicismo cartesiano: l’identificazione di spazio ed estensione e la conseguente inconcepibilità del vuoto: "Non essendoci assolutamente vuoto in natura, come quasi tutti i filosofi riconoscono, mentre vi sono molti pori in tutti i corpi che vediamo d’intorno, come l’esperienza può mostrare molto chiaramente, è necessario che questi pori siano riempiti da qualche materia sottilissima e fluidissima, che si estende senza interruzione dagli astri fino a noi" (28).

Il concetto di materia sottile e in generale la riflessione di Descartes sul problema del vuoto dimostrano bene come fosse ancora viva nel pensiero del padre del razionalismo l’idea dello spazio come contenente.

E in verità questa immagine continuò ad essere presente nel pensiero europeo ancora molto a lungo, ma si mostrò anche in maniera più evidente: si pensi anche soltanto allo spazio assoluto della fisica newtoniana, esso, lo si è già detto all’inizio, è chiaramente una rielaborazione del concetto metafisico di spazio; Platone e Descartes invece, vengono talvolta considerati sostenitori del concetto di spazio come luogo o posizione di un oggetto, per questo era abbastanza interessante cercare di mettere meglio a fuoco la loro teoria.

 

NOTE

1 Si veda ad esempio G. Calogero "Spazio" in Enciclopedia Italiana Treccani.

2 Joseph Campbell "L’eroe dai mille volti", Milano 1984, pag. 245.

3 J. Campbell, op. cit., pag. 252, traduce Ginnunga gap con l’espressione "il vuoto che sbadiglia".

4 Si ricordi che, come ha mostrato Schoemann (Opusola academica II, 64-67. Citato in T. Gomperz "Pensatori greci", Firenze 1933, pag. 59), la parola greca "casma", può essere messa in relazione al termine casma (apertura, voragine, baratro, sbadiglio) ed essere perciò tradotta con l’espressione "apertura che sbadiglia".

5 Theodor Gomperz, op. cit., pagg. 58-59.

6 In altra sede sarebbe anche interessante indagare la presenza di tale immagine dello spazio nei filosofi cosiddetti presocratici (soprattutto in Anassimandro, Parmenide e Democrito): a questo proposito si legga il seguente breve passo di Rodolfo Mondolfo : "l’apeiron è to periecon (il contenente) anche sotto il rispetto temporale come sotto il rispetto spaziale" (R. Mondolfo "L’infinito nel pensiero dell’antichità classica", Firenze 1956, pag. 69).

7 Così spiega G. Reale in "Per una nuova interpretazione di Platone", Milano 1987 (V ediz.), pag. 528. A questa opera si rimanda anche per una esposizione molto sintetica, ma completa, di tali connotazioni.

8 La radice di upodoche (non vengono ora considerate le connotazioni spaziali conferite al concetto dal prefisso upo-) è dek- / dec- / dok- / doc- .Nel passo 48 E 2 - 52 D 1 si trovano altri derivati dalla stessa radice, come ad esempio il verbo decomai (rivedere, accogliere, ospitare), in questi luoghi: 50 B 6 (peri th ta panta decomenhV swmata jusewV - intorno alla natura che riceve tutti i corpi), B 8 (decetai aei ta panta - [la natura definita in 50 B 6] riceve sempre tutte le cose), E 5 (to ta panta ekdexomenon en autw genh - ciò che deve ricevere in sé tutti i generi), 51 A 7 (pandeceV - che riceve o accoglie tutto). Si vedano pure: 50 B 5, D 3, E 1, E 1-3, E 7-8, 51 A 1-3, A 5, B 6, 52 D 4-6, 53 A 3.

9 Upodoch, oltre che ricettacolo e serbatoio, significa anche ospitalità. A questo proposito si tenga presente che in terra greca l’ospitalità si estrinseca prima di tutto nel far entrare l’ospite dentro la casa il cui interno è perciò il luogo ospitale per eccellenza: si veda a questo proposito Odissea I 118-124 o IV 20-43.

10 TiJhnh . In 49 A 6, 52 D 4-6, 88 D 6.

11 In 50 D 2-3 (proseikasai prepei to decomenon mhtri - conviene paragonare ciò che riceve alla madre) e in 51 A 5. L’immagine della madre è connotata come luogo accogliente, ricettivo e stabile anche nelle Eumenidi: "Non la madre è la generatrice di quello che è chiamato suo figlio, ma è soltanto la nutrice del germe in lei seminato. E’ il fecondatore che genera: e lei come straniera a uno straniero salva il germoglio, se un dio non lo soffoca prima" (Eschilo Eumenidi vv. 558-661); un passo questo che forse risente della teoria sulla riproduzione che Aristotele (De generatione animalium, D, 1, 763 b, 30-32) attribuisce ad Anassagora, secondo la quale: "mentre dal maschio si produrrebbe il seme, la femmina offrirebbe soltanto il luogo" .

12 Si veda J. J. Bachofen "Myth, Religion and Mother Right", Princeton 1967, pag. 27; e anche P. Léveque "Bestie, dei, uomini. L’immaginario delle prime religioni", Roma 1991, pag. 44-47. La metafora utero-solco è frequente anche nel mondo greco, ad esempio in Sofocle Antigone v. 569 e Edipo re v.1256-57.

13 Platone definisce il triton genoV come l’in cui (en w) si generano le cose generate nei passi: 49 E 7-8, 50 D 1, D 6.

14 Le "imitazioni delle cose che sono sempre" sono in effetti definite come le cose che entrano (ta eisionta) e che escono (ta exionta) dal ricettacolo in 50 C 4-6. Si vedano anche: 50 C 1, C 3, E 1.

15 In 52 B 4 Platone usa in riferimento alla cwra il verbo katecw tra i cui significati ci sono anche "occupare", "abitare" e alla forma passiva "essere riempito".

16 Si veda N. Abbagnano "Dizionario di filosofia", Torino 1971, alla voce "spazio".

17 Platone anticipa Aristotele quando parla del concetto di edra (sede, luogo di qualcosa, ossia, sua posizione). La edra va però ben distinta dalla cwra: la cwra non è l’edra, ma dà l’edra a tutto ciò che nasce. Si veda 52 B 1. Questa problematica è affrontata da C. Diano nell’articolo "Il problema della materia in Platone. La chora del Timeo" (Giornale Critico della Filosofia Italiana" 49, 1970, pagg. 321-335).

18 Si legga l’articolo 14 della parte II dei Principi della filosofia: "I nomi di luogo e di spazio poi differiscono, poiché luogo designa la posizione più espressamente che la grandezza o la figura; al contrario, facciamo più attenzione a queste, quando parliamo dello spazio (...)".Si veda anche l’articolo 15 (il luogo "interno è senz’altro lo stesso che lo spazio") e per il "luogo esterno" le note 110 e 111 di P. Cristofolini che si trovano in R. Descartes "I principi della filosofia", Torino 1992, a pagina 170.

19 Per Descartes lo spazio è estensione e l’estensione è sempre estensione di qualcosa, di un corpo ("molti ritengono falsamente che l’estensione contenga qualcosa di distinto da ciò che è esteso" Regola XIV, in Descartes "Opere filosofiche", Bari 1994, vol. I, pag. 75): risulta così che lo spazio è essenzialmente legato al corpo: "(...) l’estensione dello spazio, o luogo interno, non differisce dall’estensione del corpo (...)" (Principi della filosofia, parte II, articolo 16. Si veda anche l’articolo 13), "noi abbiamo una unica idea della materia e dello spazio" (Lettera al marchese di Newcastle dell’ottobre 1645, in Descartes "Oeuvres philosophiques", Parigi 1967, vol. III, pag. 624. D’ora in poi quest’opera sarà citata con la sigla OPh), "(...)là dove c’è dell’estensione, là anche necessariamente c’è un corpo" (Lettera ad Antoine Arnauld del luglio 1648, in OPh, III, 861).

20 Da OPh II, 116. Si confronti il passo della lettera di Descartes citato nel testo con questo di una lettera di Eulero: "(...) Supponiamo che tutti i corpi, che si trovano ora nella mia camera, compresa l’aria, siano annientati dall’onnipotenza divina. Otterremo allora uno spazio che, pur avendo la stessa lunghezza, larghezza e profondità di prima non contiene più alcun corpo. Ecco dunque, quanto meno, la possibilità di un’estensione che non è un corpo. Un simile spazio senza corpo è chiamato vuoto: un vuoto è dunque un’estensione senza corpo (...)" (da "Lettres à une Princesse de Allemagne", lettera 69 del 21 dicembre 1760. Citato in N.Abbagnano op. cit., alla voce "spazio" ). Partendo dallo stesso esempio, Eulero arriva a una conclusione totalmente opposta a quella cui perviene Descartes: la differenza è che Eulero concepisce lo spazio come ciò in cui stanno (e quindi possono anche non stare) gli oggetti.

21 "Il primo riferimento all’atomismo che troviamo nel diciassettesimo secolo sta in un’opera (Philosophia Epicurea, Democritiana, Theophrastica proposita simpliciter, non edocta) pubblicata a Parigi da un londinese, Nicholas Hill, nel 1601" (J. S. Spink "Il libero pensiero in Francia da Gassendi a Voltaire", Firenze 1974, pag. 150). A questa opera dello Spink si rimanda anche per una ampia panoramica sull’atomismo del ‘600 e del ‘700. Su Nicholas Hill, si legga l’epigramma 134 di Ben Jonson: " Questi ridicoli atomi, di cui l’antico Democrito disse, e Nicholas Hill giurò, il mondo consiste".

22 Una rapida e chiara panoramica sul problema del vuoto dall’antichità a Descartes e Pascal è fatta da Ettore Lojacono in una nota a un passo della Diottrica (si veda più sotto la nota 29); si trova in R. Descartes "Opere scientifiche", Torino 1983, vol II, pagg. 197-198, nota 23.

23 Robert Lenoble "Mersenne ou la naissance du mècanisme", Parigi 1971 (II ediz.), pag. 427.

24 Si leggano queste parole di E. J. Dijksterhuis : "Il fatto che per tutto il Medioevo la gente restasse così generalmente e facilmente convinta che non si può verificare un vuoto nella natura, va considerato come una conseguenza della concezione platonica secondo la quale la natura è stata progettata dal Demiurgo nella maniera più efficace possibile così che non v’è posto in essa per nulla che possa disturbare l’armonia del tutto. E’ questa una convinzione che (...) ha sempre agito come un fattore di ispirazione attraverso i secoli, anche se la questione di che cosa si debba considerare come disordine e disarmonia trovò varie risposte nel corso dei secoli. Per lo studioso medioevale la concezione di uno spazio vuoto apparteneva alla medesima categoria" (in E. J. Dijksterhuis "Il meccanicismo e l’immagine del mondo. Dai Presocratici a Newton", Milano 1980 (II ediz.), p.192-193).

25 Lettera ad Antoine Arnauld del luglio 1648, in OPh, III, 861. Il corsivo, qui come anche nel passo seguente, è nostro. Si veda anche "Il Mondo o Trattato della luce", in Descartes "Opere filosofiche", op. cit., pagg. 136-137: "Quando il vino di una botte non sgorga dall’apertura praticata in basso perché la botte è completamente chiusa in alto, dire, come è d’uso, che il fatto dipende dal timore del vuoto (horror vacui), significa usare un’espressione impropria (...). Piuttosto è da dire che non può uscire dalla botte perché fuori tutto lo spazio è pieno fino a quanto può esserlo, e che, se il vino venisse giù, la parte d’aria di cui prenderebbe il posto non troverebbe in tutto il resto dell’universo luogo alcuno in cui entrare, a meno di praticare nella parte superiore della botte un’apertura attraverso la quale quest’aria possa risalire con moto circolare a prendere il posto del vino".

26 E’ un’espressione di M. Brunchvicg citata da R. Lenoble (op. cit., pag. 426).

27 In effetti, come si vedrà anche dai passi riportati, il verbo che più spesso accompagna la materia sottile nell’opera di Descartes è proprio il verbo riempire.

28 Diottrica I, in R. Descartes "Opere scientifiche", op. cit., pagg. 197-198 (il corsivo è nostro). Si veda anche questo passo della lettera a Padre Marino Mersenne del 9 gennaio 1639: "(...)poiché ci sono dei corpi che si muovono nell’universo e non c’è il vuoto, allora necessariamente c’è una tale materia le cui parti siano così piccole, e si muovano così velocemente che la forza con cui esse incontrano gli altri corpi sia sufficiente a far si che esse cambino di forma e si accomodino a quelle dei luoghi in cui si trovano", in OPh, II, 117-118; e questo passo della lettera a Vopiscus-Fortunatus Plemp (Plempius) per Libert Froidmont (Fromondus) del 3 ottobre 1637 (il corsivo è nostro): "io non suppongo assolutamente il vuoto, ma al contrario avendo espressamente detto che tutti gli spazi, dal Sole a noi, sono pieni di corpi, in verità molto fluidi, ma per questa stessa ragione più continui, che io ho chiamato materia sottile, non vedo cosa si