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Comunicazione Filosofica n. 4
- dicembre 1998
ANCORA SULLA FILOSOFIA E LA
SUA IDENTITA'
di G. POLIZZI
Sono molto grato ai colleghi che sono
intervenuti nel Forum proposto a partire dal mio contributo per "Comunicazione
Filosofica", perché mi permettono di definirne meglio il senso e, spero, di offrire
qualche altro spunto per ravvivare questo luogo di dibattito (tanto prezioso nella
scarsità delle occasioni a portata di tutti i docenti, quanto ancora troppo poco
frequentato dal mondo della scuola).
Avevo cercato di sottolineare il nesso fra un problema teoretico connesso alla questione
dell'identità della filosofia e il problema didattico relativo all'identità e al ruolo
dell'insegnamento della filosofia in Italia. Ciò aveva comportato una certa
radicalizzazione delle prospettive alternative individuate nella filosofia analitica e in
quella continentale. Sono perfettamente consapevole del carattere troppo netto di tale
contrapposizione, anche se il dibattito di quest'estate dimostra che comunque c'è
conflitto in Italia tra i sostenitori dei due "movimenti" filosofici. Inoltre -
per replicare a Domenico Massaro - vorrei ricordare le recenti posizioni di Hilary Putnam
che in Rinnovare la filosofia (1992, tr. it. 1998), sostiene senza mezzi termini che la
filosofia analitica si è trasformata in metafisica, spesso con pesanti tratti
scientistici, e che <<la metafisica analitica contemporanea è per molti aspetti una
parodia della grande metafisica del passato>>. La diffusione della koinè
ermeneutica e l'affermarsi dell'etica del discorso e della comunicazione testimoniano di
un'attenzione al linguaggio e alla comunicazione che caratterizza tutta la filosofia
novecentesca (a partire dalla "svolta linguistica" prodotta da Wittgenstein), ma
non annullano la distanza rispetto allo scientismo cognitivista e mentalista di larga
parte della filosofia analitica odierna (per il quale si è parlato di una "svolta
cognitiva").
Piuttosto che evidenziare il peso della contrapposizione teoretica, il mio intento era
quello di riconoscerne gli effetti possibili in ambito didattico, visto che tale
alternativa era stata posta con forza anche su questo piano (cfr. l'articolo di Marco
Messeri Filosofia per temi contro storia della filosofia ?, in "Iride", n. 23,
gennaio-aprile 1998, pp.83-91 e in contraltare il mio C'è un canone per l'insegnamento
della filosofia, Ibid., pp.93-102); non si trattava quindi soltanto di una scelta di
comodo, come mi pare osservi Massaro. Proprio sul piano didattico ricorderei che
un'ipotesi "conciliativa", oltre a trascurare del tutto la questione
dell'identità, si trova a cozzare con consistenti problemi di specificità disciplinare.
Come abbiamo avuto modo di notare ancora nel recente Convegno Nazionale della SFI
Filosofia e insegnamento della filosofia e dell'etica in Italia, Portogallo, Spagna
(Reggio Emilia, 22-24 ottobre 1998), una cosa è trattare "analiticamente"
questioni di etica e di logica in una prospettiva tematica connessa all'attualità e
sorretta da riferimenti frammentari a exempla tratti da opere filosofiche (nelle forme
dell'insegnamento diffuso in Spagna e in Portogallo nella fascia scolastica dei 15-16
anni), altra cosa è presentare con ricchi riferimenti contestuali e storici i classici o
ampi testi tratti dalla tradizione filosofica, come indicano i Programmi Brocca (sui quali
riconosco di aver espresso perplessità, rivolte però piuttosto a rimarcare eventuali
"cadute" nella direzione "analitica" e letteraria, che non a negare la
centralità dei classici, come testimonia il mio Educare a pensare. Per una nuova
didattica della filosofia, in "Insegnare filosofia", n. 1, settembre 1996,
pp.14-16). E ancora: una cosa è un'analisi del linguaggio dei classici della filosofia
che mira a individuare stili e problemi in una prospettiva contestuale; altra cosa è
un'analisi del linguaggio comune e di abilità di soluzione dei problemi tratte da un
dialogo mosso da temi di attualità, del tipo: "cos'!
è oggi la democrazia", che poi conduca a leggere qualche pagina ad hoc di Rousseau,
di Locke, di Platone o di Aristotele (ma gli ultimi tre non sono teorici della democrazia
e gli ultimi due - ecco il problema "filosofico" non aggirabile - sono nemici
dichiarati della democrazia, e quindi da condannare, alla luce delle opinioni attuali).
In definitiva, come è possibile educare al pensiero critico (come giustamente sostiene
Massaro), senza esercitare un continuo confronto con coloro che per comune riconoscimento
hanno fornito le più potenti fondamenta del pensiero critico occidentale. Sarebbe come
proporre di imparare a suonare uno strumento, senza esercitarsi sugli spartiti dei grandi
musicisti e compositori del passato (più o meno recente).
Ho poco da aggiungere alle notazioni di Anna Bianchi, che condivido pienamente. Ho
osservato anch'io altrove l'importanza di introdurre gli allievi alla filosofia analitica,
che costituisce stile e approccio irrinunciabile tra quelli contemporanei. Ma proprio in
questa direzione si nota il valore di una scelta storicizzante e contestuale rispetto al
dogmatismo della proposta "analitica".
Gli interrogativi che propone Maurizio Villani sono pienamente pertinenti alla questione
dell'identità della filosofia come disciplina, ma la risposta ad essi rinvia
necessariamente a questioni "teoretiche", specie dinanzi al problema della
collocazione dell'insegnamento filosofico nel ciclo finale dell'obbligo. Ancora una volta:
quale filosofia ? Naturalmente una trattazione analitica per problemi, ma a patto che non
si intenda riconoscere in questa "educazione civile filosofica" l'insegnamento
della filosofia tout court, espressione sulla quale tutti noi per cultura e formazione non
abbiamo gravi problemi di interpretazione. La dichiarazione di Villani a favore della
concezione "continentale" della filosofia ha il pregio dell'onesta espressione
delle proprie scelte, aspetto ineliminabile della nostra deontologia professionale.
Vorrei concludere chiedendo che coloro sostengono un'idea "forte" e
riconoscibile della filosofia, in rapporto alla testualità e alla tradizione culturale,
nel quadro di una "positiva specificità della scuola italiana", non siano
accusati di passatismo dinanzi a "novità" spesso costituite dall'imitazione di
esperienze già segnate in altri paesi da scarso successo (come nel caso spagnolo, che
vede oggi la lotta dei colleghi di filosofia per reintrodurre una trattazione storica e
testuale nell'intera fascia del triennio superiore).
Mi pare infine urgente riaffermare il senso della presenza dell'insegnamento della
filosofia, nella sua identità forte e stratificata, all'interno dell'istruzione
secondaria (preferibilmente nei trienni, in tutti i trienni, come proponevano i Programmi
Brocca), piuttosto che avviare l'introduzione di vaghi "elementi di filosofia"
per una fascia scolastica priva degli strumenti cognitivi necessari per l'esercizio del
pensiero astratto. E non credo possa esserci filosofia (anche "analitica") senza
esercizio del pensare, senza pratica della riflessione e dell'argomentazione rigorosa,
senza una qualche "fatica del concetto". |