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Comunicazione Filosofica n. 4 - dicembre 1998

 

Andrea Porcarelli*

INSEGNARE LA FILOSOFIA MEDIEVALE:
SREREOTIPI E INNOVAZIONI DIDATTICHE

 

Se è vero che la filosofia è "amore per la sapienza" e se è vero che la sapienza dice riferimento alla capacità di "gustare" ciò che si conosce, allora si comprende perché il primo problema di un insegnante di filosofia – a tutti i livelli – sia quello di riuscire a suscitare nei propri allievi un po' di amore e un po' di gusto per la filosofia stessa, pena la totale vanificazione di tutto il suo impegno e di tutto il suo lavoro. Tale dovrebbe essere la preoccupazione costante dei docenti che offrono agli studenti la storia di una disciplina che reca fin nel proprio nome un sigillo per cui dovrebbe venire trasmessa e accolta in modo "amabile": parlare dei filosofi al di fuori di una dimensione di splendore e di meraviglia significa fallire completamente il delicato compito di portare i giovani in contatto con la filosofia.

Tale preoccupazione ha costantemente accompagnato quanti hanno preso sul serio il proprio compito di insegnanti di filosofia: fin dagli albori della storia del pensiero filosofico molti autori si sono preoccupati non solo di elaborare e perfezionare le proprie riflessioni, ma anche di individuare modalità efficaci per far sì che quelle riflessioni potessero "fecondare" le menti di quanti si lasciavano attrarre da esse. Nel far questo filosofi e maestri di ogni epoca hanno dovuto fare i conti sia con le condizioni sociali, economiche e strutturali in cui si trovavano ad operare, sia con le legittime richieste di quanti si accostavano a loro animati dal desiderio di entrare nel mondo della filosofia.

Una riflessione generale sugli elementi che contribuiscono a migliorare l'efficacia dell'interazione didattica esula dai confini del presente intervento, ma è bene innanzitutto sottolineare la centralità di questo problema per ogni insegnante (1) e perlomeno accennare al fatto che gli elementi che dovrebbero essere presi in considerazione sono numerosi e si collocano su due versanti fondamentali: quello del contesto relazionale in cui avviene l'interazione didattica e quello della metodologia di cui si serve l'insegnante. Il contesto relazionale dell'interazione didattica ha un ruolo cruciale, non è pensabile – infatti – una didattica efficace che prescinda dall'autorevolezza del docente (sia come esperto della propria disciplina, sia come persona stimata perché umanamente equilibrata e matura), dalla sua capacità di instaurare relazioni umane cordiali e positive con tutti i propri allievi, dalla sua capacità di motivare gli studenti al lavoro sia in classe che a casa, ovvero dalla capacità di trasmettere un amore per la materia che lui per primo deve possedere in alto grado. Sul versante della metodologia il docente deve interrogarsi sia sulle modalità della didattica (come insegnare, in base a quali modelli, con quali strumenti, in quali tempi), sia sul piano degli strumenti per l'apprendimento da consigliare agli allievi (testi, dispense, sussidi di vario tipo, percorsi di recupero, ecc.), sia sul piano delle modalità di valutazione. Nel presente contributo presenteremo una riflessione sui modelli didattici, ben consapevoli che essa tocca semplicemente un tassello del complesso mosaico che raccoglie tutti gli elementi utili in vista di un'interazione didattica efficace.

L’ipotesi di fondo su cui si basa il presente lavoro (2) è che sia possibile far rivivere oggi (con gli opportuni aggiustamenti) alcuni dei più significativi modelli didattici già proficuamente sperimentati nell’insegnamento filosofico dei secoli passati. Il modello che qui proponiamo è stato costruito sulla falsariga della disputatio in uso presso le Università medievali.

 

Cenni sulla situazione attuale in merito alle modalità di veicolare la cultura medievale nella scuola superiore

Chi si occupa di studi sul Medioevo sa che deve spesso fare i conti con una marea di pregiudizi e stereotipi che rischiano di viziarne la comprensione da parte di quanti si accostano alla cultura medievale. Ultimamente poi bisogna tenere conto anche di altri fattori che hanno ulteriormente complicato la situazione, tra cui – non ultimo – la circolare ministeriale che "comprime" ulteriormente lo studio della storia medievale, spostandolo al secondo anno, nella scuola Secondaria Superiore. Tale scelta, in particolare, ha alcune conseguenze di cui si iniziano a vedere gli effetti:

  • i ragazzi sono più piccoli, meno critici, più inclini ad assorbire stereotipi e ipersemplificazioni,
  • il tempo dedicato al medioevo si restringe sempre più, il che favorisce un'eccessiva schematizzazione e contribuisce al consolidarsi di stereotipi interpretativi,
  • i necessari tagli per "scelte tematiche" rischiano di privilegiare aspetti marginali, ma più facilmente assimilabili dai ragazzini più piccoli,
  • l'insegnante di Storia e Filosofia che opera al Triennio non può contare sulla possibilità di suddividere la presentazione del Medioevo tra programma di Storia e di Filosofia, trovandosi a doverlo sbilanciare interamente su quello di Filosofia.

 

È dunque importante rendersi preliminarmente conto degli stereotipi che siano presenti nella mente dei ragazzi e che rischierebbero di distorcere la presentazione della cultura medievale prevista per l'ultima parte del Terzo anno di corso nei licei classici e scientifici. A tal fine pare opportuno servirsi di strumenti di rilevamento agili (3), (come ad esempio questionari d'ingresso abbastanza informali) miranti a identificare in modo sintetico quale percezione del periodo medievale abbiano i ragazzi, in modo da sapere su che cosa poter contare e su che cosa è necessario riprendere o ribadire alcuni temi essenziali. Volendo dare una lettura "qualitativa" dei risultati di un questionario di questo tipo somministrato quest'anno ad una classe Terza (4), ci possiamo limitare a segnalare alcuni tratti emergenti:

  • tutti gli studenti individuano, senza problematizzare tale affermazione, il significato del termine "Medioevo" come "età di mezzo", tra lo splendore del mondo antico e la rinascita rinascimentale agli albori dell'età moderna;
  • tutti gli studenti sottolineano come la nota più caratteristica di questo periodo incolore sia ben rappresentata dall'espressione "secoli bui", in quanto dominati dal fastidioso oscurantismo ecclesiastico (il sinistro bagliore dei roghi cinematografici di cui si pasce una certa retorica anticlericale occhieggia inquietante sullo sfondo delle parole dei nostri giovani e sull'immagine che hanno del Medioevo);
  • circa una metà degli studenti ritiene un dato certo (5) e significativo il fatto che la maggior parte degli uomini dell'Alto Medioevo attendessero per l'anno 1000 il realizzarsi delle profezie apocalittiche, in un clima angosciato di terrore e smarrimento, prefigurando uno scenario di panico generale dove ogni orrore è possibile;
  • quasi un terzo degli studenti, alla richiesta di indicare le caratteristiche più rilevanti della cultura medievale, risponde che si trattava di una cultura contadina in cui il ruolo essenziale è giocato dall'evoluzione degli attrezzi in genere e dell'aratro in particolare;
  • alcuni studenti segnalano (come rilevante dal punto di vista culturale) lo studio e il commento dei testi sacri, generalmente facendolo dipendere dal "monopolio culturale" della Chiesa di cui si è già detto;
  • un terzo circa degli studenti è al corrente della nascita delle Università in età medievale, ma è in difficoltà a dire che cosa si facesse in tali luoghi di studio: qualcuno ricorda l'insegnamento delle Arti del Trivio e del Quadrivio, altri sottolineano come in ogni caso gli studi fossero patrimonio di pochi, vale a dire dei nobili, dei ricchi e del clero;
  • alcuni studenti collegano all'età medievale il "dolce stil nuovo" e sottolineano come la "donna angelicata" fosse in qualche modo onorata più dai poeti che non dagli uomini della società civile;
  • in sintesi molti lo considerano un periodo "da cancellare" o "di cui vergognarsi", alcuni timidamente azzardano l'ipotesi che il giudizio che condanna in blocco un millennio come una sequenza di "secoli bui" sia forse un po' esagerato, ma non hanno idee chiare sul tipo di "luce" da collocare nel seno di questi secoli bui.

 

Riprendiamo dunque quanto già detto sopra a proposito del peso da dare alla trattazione della cultura medievale nel programma di filosofia: se si vuole evitare che gli studenti rimangano con un "buco" di circa mille anni, riempito solo a tratti da alcuni vaghi e mal assimilati stereotipi, è importante svolgere con una certa cura il programma di filosofia relativo alla cultura medievale, anche per ovviare al calo che essa ha subito all'interno della scansione dei vari programmi di storia.

 

La disputatio un modello didattico fruibile nella scuola di oggi

Utilizzare nella didattica odierna alcuni modelli didattici sperimentati dai filosofi del passato significa operare una sorta di analogia di proporzionalità per cui potremmo dire che:

 Una forma di insegnamento                                      La sua rivisitazione odierna
      ---------------------------------                  =                      -----------------------------------

Cultura e strutture scolastiche del suo tempo   Cultura e strutture scolastiche del nostro tempo

  

È evidente che il segno "=" della proporzione di cui sopra va preso in senso "debole", visto che – pur tenendo conto del fattore correttivo che questa doppia contestualizzazione comporta – in ogni caso ogni rivisitazione di modelli didattici e forme di insegnamento suppone la capacità di porsi oggi, con la nostra mentalità e la nostra cultura le domande che sono oggi più rilevanti in prospettiva educativa e didattica.

Per parlare della fruibilità del modello didattico della disputatio per la scuola odierna è necessario porre in primo luogo il problema di come tale modalità di interazione didattica si inseriva nello spirito dell'insegnamento universitario, in secondo luogo bisogna esplicitare le caratteristiche proprie della disputatio intesa come modello didattico (e lo faremo tenendo sempre presente la necessità di un confronto con le esigenze odierne), quindi bisognerà prendere in esame le condizioni di fruibilità di tale modello, ossia se e come sia possibile gestirne l'uso nella scuola di oggi.

 

Lo "spirito" dell'insegnamento universitario in rapporto ad alcuni obiettivi del dialogo educativo-didattico di oggi

"In dulcedine societatis quaerere veritatem", scriveva S. Alberto Magno ed è forse questa la frase che meglio esprime lo "spirito" del lavoro che si compiva nelle università medievali; la nostra ipotesi di lavoro è che tale spirito possa essere considerato come contesto possibile di un'efficace didattica della filosofia oggi. Per esplicitare meglio questa intuizione possiamo scandagliare l'espressione albertina in modo da farne "esplodere" le potenzialità.

"In dulcedine societatis", si tratta di un'espressione "forte", che si nutre di una cultura e di una mentalità ben precise. Dietro le righe di questa espressione si scorge tutto il vigore di una cultura cristiana in cui la dimensione comunitaria dei legami tra gli uomini sinceramente assetati di verità ha un fondamento soprannaturale e divino. Ma anche oggi, in un clima culturale diverso da quello in cui fiorirono le università medievali, vi sono istanze che ci rimandano a questo tipo di mentalità, perlomeno intesa come esigenza: tutto il tema dello "star bene a scuola", prevenzione del disagio e promozione del benessere ripropone come attualissimo il tema della "dolcezza" della compagnia di chi frequenta la compagine scolastica. Va detto però che la prima parte dell'espressione di Alberto di Colonia è specificata in modo formale dalla seconda: egli non allude a qualsiasi "combriccola" di persone che si ritrovino nell'ambiente scolastico magari per finalità molto diverse, spesso arrivistiche e carrieristiche: è dolce la compagnia di chi cerca la verità, perché la verità è un bene comune ed ha una dimensione intrinsecamente comunitaria.

Vi è poi un aspetto più specifico di questa espressione, che la lega direttamente alle modalità proprie dell'approccio alla filosofia: il "filosofare" ha una dimensione "solitaria" e una dimensione "comunitaria" che devono potersi integrare sapientemente e di cui deve tenere costantemente conto chi – insegnando filosofia – si pone (come è bene che si ponga) domande precise circa lo "stile" didattico da tenere. Vi è una dimensione "solitaria" che è costituita dall'attitudine alla riflessione personale, che spesso nei giovani si presenta in forme embrionali, che fanno sorridere, che sembrano più un "fantasticare" che un "filosofare", ma che vanno accolte con simpatia e tolleranza, incoraggiando i ragazzi e "rilanciando" costantemente, facendo sempre intravedere la possibilità di "guardare più lontano". Vi è una dimensione comunitaria del filosofare, che è quindi un "con-filosofare", un filosofare insieme, come sottolineano gli estensori dei programmi Brocca di filosofia e come viene da più parti (6) ribadito. Per i dottori del Medioevo tale dimensione comunitaria del filosofare era ineliminabile, come ci ricorda la bella espressione di Bernardo di Chartres, per cui noi saremmo come nani che – stando sulle spalle di giganti – riescono a vedere più lontano di loro, in un afflato sostanzialmente unitario che collega tra loro uomini di diversi tempi e diversi luoghi.

"Quaerere veritatem", è un'espressione forse ancora più forte della precedente, o perlomeno può apparire tale in un contesto culturale tendenzialmente relativistico come quello in cui ci troviamo a vivere, in cui il riferimento a punti di riferimento "forti" viene spesso bollato con un certo sussiego quale un atteggiamento superato, obsoleto, fuori moda. Ma chi ragiona in prospettiva didattica non può non avere la realtà dei propri ragazzi come punto di riferimento costante, sicché non si può restare indifferenti di fronte alla propensione dei giovani alla ricerca del "vero" in quanto tale, senza comodi aggettivi relativistici che ne offrano un'accezione "debole": all'insegnante di filosofia i giovani non chiedono di diventare abili "giocolieri di concetti", ma di orizzontarsi nella ricerca della verità. Intendiamoci, la richiesta non è quella di qualcuno che si presenti con una sorta di verità "in tasca" e cerchi di rifilarla acriticamente, anzi un atteggiamento di questo tipo genera (come ha sempre generato) un indubbio fastidio; la richiesta è quella – come si è detto – di avere strumenti quanto più raffinati possibile per orientarsi nella ricerca della verità su se stessi, sul mondo, sulla vita, su Dio. In una ricerca libera, senza imposizioni aprioristiche, senza condizionamenti, in una ricerca garbata e rispettosa delle opinioni altrui, ma in una ricerca autentica.

 

Le Università medievali come "laboratori" di sperimentazione didattica

Oggi, quando si parla di didattica in genere e di didattica della filosofia in particolare (7), si afferma che i vari modelli didattici si evolvono in ragione del mutare di una molteplicità di variabili, spesso strutturalmente connesse alle modalità del "fare filosofia" di un certo ambiente culturale.

I modelli didattici elaborati nelle università medievali hanno, per chi si occupa di didattica della filosofia, alcuni motivi particolari di interesse che è bene sommariamente (8) richiamare:

  • Relativa stabilità dal punto di vista delle strutture: le Università medievali raccolgono, dal punto di vista contenutistico, metodologico e didattico, l'eredità delle scuole monacali, epsicopali e palatine, riflettendo criticamente su di essa, ma senza rompere in modo traumatico la continuità con la tradizione da cui derivano ed è questo un elemento molto importante dal punto di vista delle dinamiche della sperimentazione didattica, se teniamo conto che anche oggi le riflessioni che provengono dalla "didattica militante" devono poter contare sulla stabilità di un certo numero di fattori (per esempio ha una certa difficoltà ad effettuare sperimentazioni sensate l'insegnante che non goda di una certa stabilità e cambi scuola tutti gli anni), in modo da riuscire a dominare le variabili su cui si esercita la sperimentazione didattica vera e propria, per poterne poi valutare gli esiti in modo significativo.
  • Dinamismo per quanto riguarda i contenuti del lavoro didattico: un eccesso di stabilità porta all'immobilismo e induce la tentazione della ripetizione meccanica di quanto fatto in passato; le università medievali – da questo punto di vista – sono in qualche modo "costrette" a rinnovare i contenuti della didattica, a partire dall'attenzione alle nuove opere disponibili per la lettura, ma soprattutto perché il ruolo dell'interazione in classe nella determinazione dei contenuti delle lectiones e soprattutto delle disputationes è decisamente rilevante.

 

Guardate da questa prospettiva le Università del XII e del XIII secolo possono configurarsi come veri e propri "laboratori di didattica della filosofia" che possono contare su una tradizione consolidata e studiano e sperimentano modalità diverse e dinamicamente nuove per interagire con il patrimonio della tradizione filosofico-teologica con cui si confrontano, tenendo conto delle tradizioni più antiche come delle opinioni e delle problematiche più recenti.

 

A questo punto sarebbe opportuno richiamare sommariamente i tratti essenziali delle due forme di insegnamento in uso presso le università medievali (la lectio e la disputatio), al fine di riprenderli poi in fase di elaborazione del modello didattico: l'insegnante, infatti, sarà in grado di elaborare un modello tanto più flessibile quanto più avrà chiare le caratteristiche dei modelli medievali a cui si ispira, sia nelle modalità concrete in cui si svolgevano, sia nello spirito che li animava.

 

La disputatio come modello didattico in senso formale

I modelli didattici, in ambito filosofico, hanno come obiettivo comune quello di favorire l'esercizio autonomo del pensiero da parte degli allievi, nella speranza di "contagiarli" con quello spirito filosofico che ha animato le riflessioni dei grandi maestri del passato in un clima sereno di ricerca della verità (come si è detto sopra), con il gusto per la costruzione di argomentazioni rigorose che diano a tale ricerca il carattere serio e sobrio dell'indagine filosofica, piuttosto che il tono lezioso e leggero di amabili conversari, come spesso tendono a fare i nostri ragazzi ... e non solo loro.

La costruzione di un modello didattico (9) comporta l'analisi di una molteplicità di variabili che trovano diversa fruibilità nelle diverse epoche e nei diversi contesti culturali e filosofici. Non è nostro compito – in questa sede – svolgere tale analisi in rapporto all'insegnamento nelle università medievali, ma ci limiteremo a raccogliere alcuni elementi di tale modello che emergono da alcuni studi sull'argomento per sottolineare soprattutto le modalità con cui tale modello può essere reso attuale nella didattica odierna, fatte le debite distinzioni.

 

 

Variabili del modello didattico

Caratteristiche della disputatio come modello didattico

Condizioni di fruibilità nel contesto scolastico odierno

Accezione in cui viene intesa la filosofia I maestri delle scuole medievali in genere e delle Università in particolare non avevano una concezione univoca dell'identità e del ruolo della filosofia, anche se vi erano alcuni elementi comuni di cui si può prendere atto, tra cui spicca il riferimento alla riflessione teologica come termine di un rapporto che caratterizza diversamente la filosofia: dal rifiuto della ragione proprio degli antidialettici, al "filosofare nella fede" della tradizione patristica in genere e agostiniana in particolare, all'autonomia della riflessione filosofica dell'aristotelismo del XIII sec., fino al razionalismo dei "dialettici". Prescindendo dalle molteplici concezioni generali della filosofia in se stessa nella cultura del nostro tempo, possiamo dire che a scuola essa può essere considerata sostanzialmente in due modi, tra loro alternativi:

a) come "storia della filosofia" intesa in senso dossografico, centrata sui contenuti manualistici,

c) come "incontro con il patrimonio storico della filosofia", inteso come occasione per esercitare in qualche modo l'arte del "filosofare", inteso come capacità di esercitare una riflessione disinteressata, aperta allo stupore, condotta con rigore in grado di attribuire senso alle esperienze importanti dell'esistenza.

Domande filosofiche più diffuse nella cultura del tempo Gli argomenti strettamente filosofici discussi nelle scuole erano numerosi ed ancora di più lo erano i temi "trasversali" (soprattutto i temi teologici che fruivano di categorie filosofiche), mi limito a segnalare quelli strettamente filosofici più significativi:
  • il rapporto tra fede e ragione, in genere, tra filosofia e teologia, tra verità rivelate e certezze razionali, tra le diverse fonti della tradizione (Scritture, Magistero, Padri, Dottori)
  • la "quaestio de universalibus" e il valore della nostra conoscenza
Il parallelismo in questo caso non è simmetrico (visto che non ci sono "dispute strutturate" nelle nostre scuole), ma un insegnante attento può cogliere alcuni interrogativi ricorrenti che emergono spontaneamente nella mente degli alunni e di questi tenere conto, anche se oggi, più che di "domande filosofiche spontanee" dovremmo parlare di "domande filosofiche indotte" (dai media in particolare) che vengono effettivamente fatte proprie dai ragazzi:
  • "questioni speciali" interne al dibattito contemporaneo (bioetica, pena di morte, ecc.), generalmente sollecitate a partire da fatti di cronaca più o meno eclatanti
  • problemi esistenziali, soprattutto legati alle dinamiche relazionali, spesso a partire dalla percezione confusa di una certa difficoltà o disagio
Valenza formativa riconosciuta alla filosofia La riflessione filosofica, attraverso l'analisi e il commento delle opere di grandi maestri, entrava a far parte della formazione degli studenti, sia a livello di formazione di base, sia ai livelli più alti. Nella facoltà delle arti la filosofia entrava come dialettica (logica) nelle arti del Trivio, ma rientrava anche nelle scienze, il cui studio non era di fatto separato da una visione del mondo di tipo filosofico. Essa accompagnava, quale strumento insostituibile, tutta la formazione del giovane, sia nelle discipline profane (medicina, diritto), sia soprattutto negli studi teologici, per cui era imprescindibile una buona cultura filosofica e continuamente ci si serviva della filosofia come strumento che andava quindi continuamente raffinato. a) Valenze formative già riconosciute all'I.d.F.:
  • Importante "informazione culturale" nel contesto di una formazione più globale di una persona che si appropria di strumenti per pensare e agire nella cultura del proprio tempo
  • Alcuni strumenti che "aiutino a pensare" in modo rigoroso e critico, attraverso il contatto con il patrimonio storico della filosofia che porta altresì ad un allargamento dei propri orizzonti.

b) Valenze formative di cui l'I.d.F. potrebbe farsi carico:

  • Nella rapidità dei mutamenti e delle trasformazioni si rende la lettura della realtà è difficile, così come è difficile elaborare modelli interpretativi variabili, rigorosi e coerenti.
  • Nel dialogo educativo emerge la necessità, da parte degli adolescenti, di acquisire la capacità di "orientarsi" in rapporto a se stessi, al mondo, agli altri, in vista di una crescita armonica della persona
Ruolo del docente di filosofia Il magister , dopo avere contemplato e fatto proprio ciò che intende trasmettere, è in grado di insegnare nel senso che si rapporta in modo dinamico e attivo con i grandi maestri del passato, presenta proprie riflessioni su ciò che questi hanno detto, si confronta con i propri allievi, discute con i colleghi vagliando con il "fuoco" della disputa i propri argomenti e le proprie riflessioni. In qualche modo è paragonabile al capomastro di una bottega artigiana che, essendo in possesso di un'arte, guida per mano gli apprendisti e, nel guidarli, costruisce a sua volta qualcosa di nuovo. Definire il ruolo dell'insegnante di filosofia nella scuola di oggi significa – comunque – fare riferimento ad un determinato modo di intendere l'insegnamento della filosofia nella scuola. Nel nostro caso prendiamo in esame la seconda delle due accezioni segnalate, nella quale il docente di filosofia torna ad avere un ruolo in qualche modo paragonabile a quello del magister delle università medievali: cresciuto intellettualmente in contatto con il patrimonio storico della filosofia è in grado di guidare gli allievi lungo "percorsi" che ne visitano alcune delle testimonianze più rilevanti. L'attenzione al rigore nella contestualizzazione storica è forse la caratteristica più significativa che differenzia l'approccio odierno rispetto a quello medievale, ma la capacità di far "parlare" i filosofi perché a sua volta chi li ascolta si senta da essi "interrogato" è ciò che può dare senso al lavoro dell'insegnante di filosofia, oggi.
Caratteristiche e motivazioni degli allievi Gli allievi delle università medievali avevano in media un alto grado di motivazione in genere ed allo studio della filosofia in particolare, anche perché non avevano nessun tipo di "obbligo" ad istruirsi, ma era per loro una "conquista" Con la scolarizzazione di massa e, ultimamente, la "licealizzazione di massa" si accostano allo studio della filosofia molti allievi non particolarmente motivati e anche piuttosto disorientati, ma spesso disponibili a lasciarsi coinvolgere, specialmente se la disciplina è presentata in modo attraente e tale da destare un autentico interesse.
Condizioni istituzionali, strutturali e logistiche in cui si colloca l'interazione didattica Tra le caratteristiche delle Università medievali ci preme qui segnalarne sommariamente alcune emergenti dal punto di vista dell'impatto didattico:
  • la formazione integrale della persona, in senso umano e cristiano era il fine di tutto il percorso educativo
  • il rapporto personale tra maestro e allievi, che si iscrivono nella "matricula" di uno che avrà a cuore il loro cammino formativo e li aiuterà a orientarsi tra le diverse offerte,
  • la responsabilizzazione precoce, visto che i baccellieri della facoltà delle Arti erano piuttosto giovani, venivano coinvolti molto attivamente nell'attività didattica ed a loro venivano affidati compiti paragonabili a quella che oggi chiameremmo "educazione tra pari", ma di alto livello
La scuola superiore odierna è complessa, sfaccettata e bisognerebbe distinguere tra i diversi indirizzi e tipi di scuole, oltre che tra le diverse aree geografiche e culturali. Tenendo come punto di riferimento i licei (per ora è lì che si insegna la filosofia) e le situazioni più diffuse (una sorta di "valor medio"), possiamo sottolineare alcune caratteristiche:
  • fine riconosciuto della scuola è l'educazione attraverso l'istruzione, anche se spesso la prassi tende a privilegiare il secondo aspetto rispetto al primo e l'idea di tramutare i docenti in "tecnici della formazione" rischia di far perdere ulteriormente di vista il fine primario dell'attività didattica che è attività educativa,
  • l'interazione didattica ordinariamente avviene in classi abbastanza numerose, per poche ore alla settimana, con una serie di adempimenti formali che tolgono tempo al dialogo educativo,
  • forse proprio per lo "scarto" rispetto a questa prassi ordinaria risultano straordinariamente efficaci tutti quei comportamenti didattici e relazionali che valorizzano la partecipazione degli allievi, attribuiscono loro un ruolo attivo e mostrano con evidenza la preoccupazione per la centralità delle loro persone nel processo educativo e didattico
Tecniche di insegnamento più diffuse ed efficaci nel contesto di cui sopra Le due forme di insegnamento in uso presso le Università medievali sono veri e propri "sistemi integrati" di azioni didattiche, in cui le singole operazioni si collocano dinamicamente in una sintesi organica:
  1. La lectio, non corrisponde propriamente a quella che noi chiameremmo "lezione frontale" poiché comporta un alto grado di interattività da parte degli studenti, suppone un certo tipo di lavoro di gruppo (la collatio),
  2. La disputatio rappresenta l'espressione più tipica della didattica delle università medievali, suppone il paziente lavoro delle lezioni ordinarie, ma consente (come si direbbe oggi) di servirsi di quanto appreso per "produrre" qualcosa di nuovo. Elemento caratteristico di tale "produzione" è il fatto che essa non si configura come mero esercizio autoreferenziale, ma ha un obiettivo preciso, in piena sintonia con lo "spirito" delle Università: vagliare argomenti diversi in funzione della ricerca della verità. Altro elemento da rimarcare per cogliere il valore didattico delle dispute è il fatto che esse avevano una loro "centralità" anche istituzionale: le lezioni venivano sospese e tutta l'attività didattica ruotava attorno alla disputa.
Alcune riflessioni sulla didattica curricolare odierna tendono a "parcellizzare" le operazioni didattiche, scomponendole in parti semplici, per poi ricomporle nell'azione della programmazione secondo uno schema cripto-meccanicistico che vorrebbe collocare ogni singola operazione all'interno di un percorso lineare, descrivibile quasi con uno schema algoritmico, per cui se volessimo enumerare le modalità di interazione didattica dovremmo fare un elenco lunghissimo, non tanto perché tutti gli insegnanti si servano costantemente di tutte le forme di interazione in oggetto, ma perché esse rappresentano il "repertorio" (una sorta di menû) di tutte quelle possibili. Ne indichiamo solo alcune tra quelle effettivamente più usate:
  1. Lezione frontale,
  2. Lezione interattiva,
  3. Lavori di gruppo,
  4. Visite guidate,
  5. Lezioni itineranti
  6. Viaggi di istruzione,
  7. Variazioni sul tema in ragione dell'uso di strumenti specifici (audiovisivi, multimediali, ecc.)

Una differenza significativa tra le scuole superiori italiane di oggi e le università medievali è costituita dalla rigidità della scansione disciplinare e del quadro orario, per cui un'esperienza come quella della disputatio oggi rischia di essere difficilmente realizzabile o perché, se si chiede una certa flessibilità nella gestione del tempo, si rischia di creare disagio ai colleghi e (di riflesso) agli allievi (anche se questo non è impossibile nella scuola dell'autonomia, attraverso un'organizzazione modulare che però dovrebbe essere elastica), o perché viene coartata negli spazi angusti delle ore curricolari della disciplina e vessata da preoccupazioni "esogene" (tipo interrogazioni e compiti in classe).

 

Motivazioni e modalità per utilizzare il modello didattico della disputatio oggi

È evidente che, allora come oggi, ha senso ipotizzare una disputatio solo nel contesto di "lectiones" che abbiano un alto grado di interattività: se l'interazione ordinariamente avviene secondo uno schema del tipo: lezione frontale + appunti + studio a casa = interrogazione, allora un'esperienza come quella di una disputatio strutturata apparirà come una sorta di forzatura. Se invece l'attività didattica ordinaria mira a suscitare questioni, a sollecitare la partecipazione, a stimolare gli interventi, a lasciare un certo spazio per l'esposizione del pensiero oltre che delle domande degli allievi, allora ci troviamo nelle condizioni favorevoli per poter tentare questa forma di sperimentazione didattica.

Per quanto concerne le motivazioni che rendono sensato l'uso del modello didattico della disputatio oggi ci limitiamo a segnalare brevemente quelle che non emergono direttamente dall'analisi delle caratteristiche del modello sopra condotte:

  • è un approccio didattico dinamico e motivante per qualsiasi argomento, che si presta particolarmente a due tipi di contestualizzazione:
  1. una contestualizzazione storico-filosofica, nel senso che si può utilizzare la disputatio come modello didattico per avvicinare la filosofia medievale (o tardo-medievale), attraverso una simulazione realistica di disputa centrata sui contenuti della riflessione dei pensatori medievali,
  2. una contestualizzazione di tipo problematizzante, avente come punto di riferimento alcuni dei temi più dibattuti ai giorni nostri (del resto le dispute medievali vertevano sui problemi "di punta" del dibattito di allora), in questo senso si potrebbe utilizzare la disputa come modello didattico che riprende lo stile dei pensatori medievali, ma si applica al di fuori del contesto curricolare del programma di filosofia (o di storia).
  • per quanto riguarda la prospettiva storico-filosofica si tratta di un approccio che aiuta moltissimo ad entrare nel contesto culturale delle università medievali, a "mettersi nei panni" degli autori che si studiano, a non vedere le loro disquisizioni (talora più raffinate di quelle che è disponibile a compiere lo studente medio) come un pedante esercizio accademico che si traduce per lo studente in un noioso apprendimento erudito.

 

Sulle modalità per realizzare una disputatio oggi possiamo procedere abbastanza schematicamente, sulla falsariga dei vari momenti delle dispute medievali, di cui ripercorriamo le tappe essenziali. A questo punto, comunque, potremmo fare due ipotesi: quella di realizzare questo tipo di sperimentazione didattica nel contesto dell'attività ordinaria, in stretta connessione con il programma di filosofia, oppure quella di realizzarla in uno spazio apposito (10) che si collochi al di fuori dell'ordinaria attività didattica. Ciascuna di queste due scelte comporta vantaggi e svantaggi che possiamo schematicamente riassumere:

  

 

Collocazione curricolare

Collocazione extracurricolare

Vantaggi
  • Ne beneficia la percezione della serietà del lavoro, l'assiduità nell'impegno e lo sforzo che viene profuso
  • Consente di svolgere una parte di programma in modo simpatico e coinvolgente
  • Offre uno strumento didatticamente potente per entrare nello "spirito" della cultura medievale
  • Consente di superare alcuni stereotipi dei dibattiti televisivi, sostituendoli con una serie di operazioni rigorose e strutturate
  • Favorisce la "socializzazione" e la libera espressione degli allievi e la loro capacità di ascoltarsi e dialogare
  • Valorizza l'aspetto più caratteristico della disputatio, cioè il fatto di porre in questione i temi di punta della cultura del proprio tempo
  • Consente di collocare l'attività filosofica "in actu exercito" in quella dimensione di gratuità che le è più propria
  • Consente di apprezzare la grande attualità di alcune soluzioni elaborate in seno alle scuole del Medioevo, sfatando certi stereotipi fin troppo diffusi
  • Consente di superare alcuni stereotipi dei dibattiti televisivi, sostituendoli con una serie di operazioni rigorose e strutturate
  • Favorisce la "socializzazione" e la libera espressione degli allievi e la loro capacità di ascoltarsi e dialogare
Svantaggi
  • È difficile riuscire a ritagliarsi spazi adeguati e, se non ci si riesce,
  • l'esperienza risulta un po' frammentata e vessata da altre preoccupazioni
  • La preoccupazione per il "risultato" in termini scolastici rischia di inibire in parte la piena libertà di espressione degli allievi
  • Il carattere extracurricolare può essere interpretato da alcuni come una sorta di invito al disimpegno
  • Se l'esperienza non è ben condotta risulta maggiore il rischio di rimanere impigliati in alcuni stereotipi da dibattito televisivo o di non riuscire a superare ostacoli che derivano da un troppo forte coinvolgimento emotivo

 

Avendo già esposto in altra sede alcune riflessioni analitiche sull'esperienza della disputatio in un contesto extracurricolare, ci occuperemo qui dell'altra alternativa proposta, ovvero della realizzazione di una disputa nel corso dell'ordinaria attività didattica. Per cui ci collochiamo – idealmente – nella seconda parte dell'anno di una classe terza superiore, il cui programma prevede lo studio della filosofia antica e medievale.

Lo studio della filosofia antica ha – in rapporto a questa ipotesi di sperimentazione didattica - la duplice funzione di fornire le prime e fondamentali categorie della riflessione filosofica e di svolgere un ruolo di "iniziazione" alla capacità di ragionare con un certo rigore argomentativo, ponendosi domande autenticamente filosofiche. A questo riguardo è bene sottolineare il senso di trepidazione con cui l'insegnante di filosofia dovrebbe rapportarsi con i ragazzi che per la prima volta si accostano significativamente al patrimonio storico della filosofia, nella consapevolezza della responsabilità culturale e formativa che il proprio ruolo comporta, attento a collocare l'incontro dei giovani con la filosofia in una dimensione di profondità e di splendore.

Quando il percorso didattico giunge ad affrontare l'età medievale (dopo avere visto gli antichi, l'età ellenistica e la patristica cristiana) i tempi possono essere maturi per realizzare l'esperienza della disputatio. L'insegnante dovrà aver cura di preservare per questa esperienza un tempo (11) sufficiente a gestirla in modo adeguato.

 

1) Attribuzione dei ruoli Al di là del ruolo del magister (che compete strutturalmente all'insegnante) è importante quello dei baccellieri che nel contesto scolastico odierno potrebbero essere visti come dei collaboratori del prof., con alcune funzioni precise all'interno della disputa (possono essere scelti tra i ragazzi più motivati della classe o coinvolgere alcuni ragazzi di una classe superiore)
2) Scelta del tema Di per sé il tema dovrebbe sorgere spontaneamente dall'attività didattica ordinaria, il che può anche accadere, purché l'insegnante operi in modo stimolante, magari sollecitando per tutta la prima parte dell'a.s. domande che possano preparare l'esercizio della disputa. Se la disputa viene utilizzata come strumento metodologico per veicolare alcuni contenuti del pensiero medievale, sarebbe bene che riguardasse temi centrali del dibattito effettivo dei pensatori del medieovo, ma che possano essere significativamente discussi anche dai giovani di oggi (può andare bene il dibattito sulle prove dell'esistenza di Dio, sulla natura della libertà, della verità o simili, mentre bisognerebbe escludere alcuni temi più "tecnici", come ad esempio "se l'anima separata possa patire dal fuoco fisico").
3)Determinazione degli "articoli" Ogni tema ha una sua complessità che impedisce di trattarlo d'acchito e tutto insieme, anzi ciò che più manca nelle libere discussioni dei nostri ragazzi è la capacità di distinguere i diversi problemi che entrano a far parte della fisionomia di un problema complesso. La determinazione degli "articoli" (cioè dei principali sotto-problemi in cui il tema prescelto si articola) può essere fatta dal prof., meglio se in collaborazione con i baccellieri, che così si rendono conto dei motivi per cui il problema viene articolato in un certo modo.
4) Individuazione dei "pro" e dei "contra" Ogni articolo così determinato sottintende una tesi, che può essere espressa in termini affermativi o di domanda ("Quaeritur utrum ..."), a questo punto si possono dividere i ragazzi in due gruppi (animati da uno o più Baccellieri) che per un certo tempo (anche a casa) studino rispettivamente gli argomenti a favore e quelli contrari a ciascuna delle tesi proposte. Nel fare questo gli allievi possono sia proporre argomenti di loro propria "produzione", sia servirsi di fonti culturalmente significative, cioè di altri autori che vengono così inseriti nel programma attraverso il loro indiretto contributo alla disputa.
5) Determinatio magistralis A questo punto l'insegnante non può tirarsi indietro e deve entrare nella dinamica della disputa in prima persona. In teoria potrebbe anche limitarsi ad "impersonare" un autore di cui vuole proporre il pensiero, ma se è avvenuto – come è auspicabile – che i ragazzi si sono esposti in prima persona, allora è importante che anche l'insegnante faccia lo stesso: lui non è un "dispensatore" di certezze preconfezionate sotto forma di "pillole" storiche, ma è a sua volta un "cercatore di verità" e come tale si deve esporre ... anche con il rischio di sbagliare.
6) Solutio argomentorum Altro momento importante, che il prof. deve prevedere, magari con l'aiuto di qualcuno dei Baccellieri che avevano a loro volta raccolto gli argomenti "pro" e "contra", è quello in cui si prendono sul serio tutte le argomentazioni emerse nella disputa e – alla luce di quanto affermato nella "determinatio" – si sciolgono i vari nodi argomentativi proposti. Anche questo momento è molto importante, perché i ragazzi si sentiranno presi sul serio, il frutto del loro lavoro intellettuale troverà un'eco significativa nelle parole dell'insegnante.
7) Libera discussione finale e bilancio dell'iniziativa Si tratta – a rigore – di una "aggiunta" allo schema delle dispute medievali, ma è di estrema utilità didattica il fatto di ridare la parola a chi lo desidera per eventuali "controrepliche" (a questo punto il dibattito è già incanalato entro una struttura rigorosa). Essenziale anche il bilancio dell'iniziativa per mettere in comune ciò che essa può avere insegnato.

 

Altre indicazioni per procedere in modo fluido nella realizzazione di questa esperienza:

  • Per quanto concerne la scelta del tema si può procedere sia in modo esplicitamente "democratico", cioè sollecitando i ragazzi a scegliere loro stessi il tema della disputa (magari all'interno di una rosa di possibilità sintoniche con le indicazioni di cui sopra), ma si può anche procedere in modo "magisteriale", nel senso che l'insegnante (che ha vissuto con i propri ragazzi la prima parte del percorso formativo, cioè dell'anno scolastico, che precede la disputa) si rende interprete delle esigenze via via emerse nel corso delle libere discussioni in classe. È bene prevedere in ogni caso un attivo coinvolgimento dei "Baccellieri", fin dalla scelta del tema, sia che ci sia bisogno di loro per raccogliere e ordinare le varie proposte, in modo da individuare aree tematiche convergenti, sia che il tema venga scelto dal maestro, magari nel corso di un sereno "brainstorming" con i ragazzi che fungono da baccellieri (specialmente se sono della classe).
  • Per realizzare bene l'esperienza è bene che essa sia stata introdotta in modo specifico da alcune lezioni sulle università medievali in genere e sulle modalità di insegnamento ivi operanti in particolare. Sarebbe bene predisporre una sorta di piccolo "vademecum" recante sia una sintesi del materiale didattico sulle università medievali, sia una descrizione analitica di come l'esperienza dovrà svolgersi, nelle sue diverse fasi e – possibilmente – anche nei tempi.
  • Il contatto diretto con le "Quaestiones disputatae" di alcuni dei grandi dottori del medioevo è opportuno che sia successivo all'esperienza della disputa realizzata in classe (in modo poter cogliere – dopo avere toccato con mano le difficoltà concrete – il valore di quei testi per tutto il lavoro didattico e di confronto che sta dietro di essi), se il tema è stato scelto tra quelli effettivamente discussi nelle dispute di cui abbiamo il testo si potrebbe utilmente leggere la quaestio disputata corrispondente al tema trattato in classe.
  • Posto che realizzare questa esperienza comporta l'uso di un certo tempo che, in ogni caso, non deve considerarsi tempo "perso" bensì tempo didatticamente proficuo (nell'ottica del kairòs, di cui si è detto sopra), risulta strategicamente opportuno sfruttare l'esperienza della disputa per svolgere indirettamente il pensiero di alcuni autori i cui contributi specifici al tema della disputa saranno collocati tra i "pro" o i "contra", nei singoli articoli. Man mano che tali autori non ancora affrontati in classe vengono inseriti nella disputa il loro pensiero andrà anche contestualizzato da parte dell'insegnante, che eserciterà in tal modo un doppio ruolo: da un lato quello del "magister" pienamente inserito nella disputa e dall'altro quello del prof. che continua ad agire come tramite tra i propri allievi e il patrimonio storico della filosofia.

 

 

Cenni su un possibile percorso tematico interdisciplinare: l'itinerarium mentis in Deum

Tra i temi che si presterebbero bene ad una disputatio realizzata come esposto sopra possiamo indicarne uno che offre una serie di indubbi vantaggi e potrebbe fungere da esempio paradigmatico, anche se potrebbe altresì essere trattato anche secondo metodologie tradizionali come pura e semplice convergenza tematica pluridisciplinare. Il tema in oggetto è quello che nella cultura medievale va sotto il nome di "itinerarium mentis in Deum"; esso pare particolarmente adatto anche ad organizzare una disputa perché si presenta ad un tempo:

  • come un tema centrale nella riflessione medievale,
  • strettamente connesso ad argomenti di spontaneo interesse per i ragazzi (il problema della felicità, del senso della vita, del cammino che porta a realizzare pienamente se stessi ... qualunque cosa si intenda per "auto-realizzazione",
  • che offre spunti per un percorso tematico interdisciplinare, capace di coinvolgere la filosofia, ma anche la letteratura italiana (si pensi a Dante, ma non solo) e quegli autori della letteratura straniera che si occupano di tematiche legate in modo più o meno stretto a riflessioni di tipo esistenziale, magari anche da una prospettiva diversa rispetto a quella dantesca.

 

L'articolazione di questo itinerario tematico nelle varie discipline (Filosofia, Letteratura Italiana, Religione, ecc.) dipende dallo spazio che si riuscirà a ritagliare per tale tema, ma vale la pena sottolineare fin da subito come il suo carattere strutturalmente pluridisciplinare, oltre a costituire un bene in sé (la capacità di operare collegamenti interdisciplinari è – in genere – tra gli obiettivi didattici del triennio) può consentire di superare alcune delle difficoltà indicate in precedenza e, soprattutto, quella di riuscire a trovare nel Consiglio di Classe la necessaria elasticità per realizzare l'esperienza della disputatio dedicando ad essa tempi adeguati. Se il numero dei docenti coinvolti in questa iniziativa didattica pluridisciplinare è sufficientemente ampio (già 2/3 insegnanti sono un buon numero) diventa più facile riarticolare in modo flessibile una parte dell'orario della classe nel periodo in cui si effettuerà questa attività, perché tale attività farà già parte a pieno titolo della programmazione di più di un docente.

 

Per quanto riguarda il percorso in filosofia si possono prendere in considerazione diversi autori, ci limitiamo in questa sede a suggerire i passi essenziali del percorso, attraverso l'indicazione degli autori e dei testi di riferimento in una griglia schematica che ne illustra il ruolo entro il percorso tematico in questione.

 

 

Autore

Testo scelto

Motivazioni – chiave di lettura

Agostino di Ippona Confessioni, brani scelti (lib. II, IV, VII) Si tratta della storia di un’anima inquieta, alla ricerca della verità sul mondo, su se stessa e su Dio, che trova la propria vera identità solo dopo avere assunto intimamente la decisione di abbandonare la vita di peccato e convertirsi pienamente a Dio, lasciandosi pervadere dal Suo amore. Il cuore dell’uomo non ha pace finché non "riposa" in Dio: è questo il punto di partenza esistenziale di ogni itinerario dell'anima verso Dio.
Dionigi Areopagita Lettera VI, 1077a. Teologia mistica, brani scelti Viene descritto l’itinerario di unione con Dio a partire dalla Scrittura, prendendo in considerazione i "passi" che scandiscono la salita di Mosè sul Sinai e il suo incontro con Dio; esso viene descritto come un puro itinerario conoscitivo, senza riferimenti all’incarnazione di Cristo né ai segni sacramentali: si chiede semplicemente di abbandonare i nomi di Dio (sensibili e intelligibili) contenuti nella Scrittura per giungere ad uno stato di perfetta "non-conoscenza" (la "negazione eccellente", il trionfo dell’apofaticità) ed operare uno "slancio" verso l’unione estatica con Dio che, anche a questo livello, rimane incomprensibile, "vicino" ma incomprensibile.
Bonaventura da Bagnoregio Itinerarium mentis in Deum, ampia scelta di brani Nella totalità del creato si trova come una "scala" attraverso cui salire a Dio, secondo la triplice distinzione neoplatonica rivisitata in chiave agostiniana, per cui l’uomo - per realizzare il proprio destino - dovrebbe compiere un itinerario (Itinerarium mentis in Deum), un viaggio mistico che lo conduca a Dio, che può essere considerato: a) nelle vestigia (realtà corporee fuori di noi), b) nelle immagini (realtà spirituali dentro di noi), c) nelle similitudini (realtà soprannaturali, sopra di noi). Conclusione e coronamento dell'itinerario è, se Dio ne fa dono, il rapimento mistico dell'anima (a cui ci si può solo "disporre", ma che non è un effetto dell'itinerario stesso).
Tommaso D'Aquino Summa Theologiae, I-II, q. 24 L'itinerario dell'anima verso Dio, da un punto di vista etico, comporta da un lato la lotta contro il peccato (nemico della grazia) e dall'altro lato un cammino di crescita nella carità, crescita da non intendersi come "aumento quantitativo", ma nel senso che l’uomo partecipa in modo sempre più intenso della carità (che è dono di Dio) lasciandosi da essa pervadere sempre di più. I tre gradi della carità (quello dei principianti, dei progredienti e dei perfetti) marcano quelle che con terminologia felice e aderente al testo di Tommaso sono state definite "le tre età della vita interiore". Si tratta di un vero e proprio itinerario dell’anima verso Dio che ha - già in questa vita terrena - un "prologo" (la libera scelta di allontanarsi dal peccato, di uscire dalla "selva" con cui esso soffoca l’anima e camminare nella luce di Cristo) e un "epilogo" cioè la contemplazione amorosa dei misteri più profondi della fede cristiana, fino eventualmente al dono mistico del rapimento dell'anima.

 

Conclusioni

In conclusione possiamo dire che il senso di questa nostra proposta, che si colloca nel solco di quelle che intendono rilanciare nella scuola di oggi modelli didattici già sperimentati in passato e rivisitati e corretti in funzione delle esigenze dei nostri allievi, è quello di rilanciare con grande forza lo studio della cultura medievale in genere, tenendo fortemente conto di come tale cultura prendeva forma, perlomeno nelle Università.

In questo senso la proposta di collocare l'esperienza della disputatio nel contesto dell'attività curricolare, magari scegliendo un tema a chiara vocazione pluridisciplinare, ma che a sua volta sia un tema centrale per la cultura del Medioevo, vuole essere un segnale forte della necessità di ripensare una certa didattica che presenta un Medioevo gravato da pregiudizi e stereotipi, reso artificiosamente "odioso" a tal punto da riuscire a far digerire con poche difficoltà la scelta – sempre più frequente – di saltarne la trattazione o quasi.

È evidente che non si può accettare questo tipo di mentalità, né tanto meno si può accettare la tendenza di molti insegnanti a tollerare nei propri allievi l'ignoranza quasi totale della cultura e della filosofia medioevale, quasi che un "buco" di mille anni nella storia del pensiero umano non abbia alcun peso sulla formazione dei giovani, specialmente nel momento in cui si sta cercando di costruire quell'unità europea che trova nel Medioevo le sue radici più profonde e significative.

*Docente di Filosofia e Storia presso il Liceo "Copernico" di Bologna - Docente di discipline filosofiche e metodologica della ricerca filosofica presso l'Ateneo Domenicano di Bologna, affiliato alla Pontificia Università San Tommaso D'Aquino di Roma

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NOTE

1 Un insegnante che si disinteressi del fatto che i propri allievi apprendano o meno tradisce quella che è l'etimologia stessa del nome della propria professione: fine dell'attività didattica non è quella di appagarsi in una sorta di narcisistico auto-ascolto, ma quello di riuscire a far sì che gli studenti apprezzino ed apprendano ciò che viene loro insegnato.

2 Le riflessioni che qui proponiamo riprendono e approfondiscono alcuni spunti di un contributo pubblicato su questo tema nella sezione didattica del Bollettino della Società Filosofica Italiana: A. Porcarelli, Una "disputatio" per il liceo, in "Bollettino della Società Filosofica Italiana, N° 157 - Nuova serie -, Roma gennaio-aprile 1996, pp. 43-59, a cui rimandiamo per ulteriori approfondimenti.

3 Chi si occupa abitualmente di indagini statistiche a livello professionale si serve – di norma – di strumenti di rilevamento più raffinati di quello di cui daremo conto tra breve, ma l'insegnante che opera in classe non è un "professionista delle statistiche", né è interessato a rilevare dati per il puro gusto di farlo o di riferirli in uno studio o ricerca, ma è un professionista dell'insegnamento che ha bisogno di farsi un'idea preliminare (anche con un certo grado di approssimazione) della situazione della classe in cui opera, quindi il problema è di acquisire in tempi brevi tutte e solo quelle informazioni che siano utili ad orientare il proprio lavoro di programmazione didattica. A questo scopo si prestano molto di più degli agili questionari, anche un po' informali (in modo che i ragazzi si sentano abbastanza liberi di esprimersi mentre li compilano), piuttosto che complessi e raffinati strumenti di rilevamento.

4 Riportiamo, a titolo esemplificativo, il testo di un agile questionario somministrato nell'a.s. 1998/1999 ad una classe Terza del Liceo Scientifico "Copernico" di Bologna; scopo di tale somministrazione (che non ha avuto riscontri valutativi) era quello di conoscere, prima di affrontare in Filosofia l'età medievale, quale tipo di percezione ne avessero gli studenti, soprattutto in rapporto ad alcuni elementi più rilevanti del clima culturale e delle istituzioni scolastiche del Medioevo.

Indagine informativa sulla conoscenza della cultura medievale

 

1 che cosa indica il termine "Medio-evo"? quali sono le coordinate cronologiche che delimitano il periodo in oggetto?
 
2 Quali sono le caratteristiche generali e più rilevanti della cultura medievale?
 
3 Come erano strutturate le istituzioni scolastiche nel Medieovo?
 
4 Come immagini la "vita quotidiana" degli studenti medievali? Quali erano le loro preoccupazioni?
 
5 "Spazio aperto": libere considerazioni di tipo storico, storiografico, filosofico, culturale, religioso, umano o sociale sulla civiltà e la cultura medievale
 

 5 Tra l'altro va detto che se non tutti sottolineano questa convinzione non vi è nessuno che la smentisce, cioè nessuno dei ragazzi appare consapevole del fatto che essa sia sostanzialmente un'affermazione falsa e – se interrogati sul senso del termine "millenarismo" – lo spiegano come "paura dell'anno Mille".

6 Cfr. Mario De Pasquale, Il confilosofare nell'apprendimento della filosofia, in: AA. VV. (a cura di M. De Pasquale), Filosofia per Tutti. La filosofia per la scuola e la società del 2000, Franco Angeli, Milano 1998, p. 64 e sgg.

7 Cfr. Mario De Pasquale, La didattica della filosofia, in: AA. VV. (a cura di M. De Pasquale), Filosofia per Tutti. La filosofia per la scuola e la società del 2000, Franco Angeli, Milano 1998, p. 22 e sgg.

8 Per un'analitica trattazione delle modalità di insegnamento in seno alle Università medievali (lectio e disputatio) rimando ad un mio contributo pubblicato sulla rivista telematica della Società Filosofica Italiana, "Comunicazione Filosofica", n. 1, giugno 1997, http://lgxserver.uniba.it/lei/sfi/cf/comunicazione_filosofica.htm. Tale contributo è reperibile anche nel sito: http://www.ilgiardinodeipensieri.com/analicas/Indice%20FT.htm.

9 Cfr. Mario De Pasquale, La didattica della filosofia, in: AA. VV. (a cura di M. De Pasquale), Filosofia per Tutti. La filosofia per la scuola e la società del 2000, Franco Angeli, Milano 1998, pp. 24-26.

10 L'esperienza di cui ho già parlato in altra sede (cfr. A. Porcarelli, Una "disputatio" per il liceo, in "Bollettino della Società Filosofica Italiana, N° 157 - Nuova serie -, Roma gennaio-aprile 1996, pp. 43-59 e la versione più articolata dello stesso studio, in: http://www.ilgiardinodeipensieri.com/analicas/Indice%20FT.htm) si riferisce ad un'opzione di questo tipo e, precisamente, alle settimane di sospensione della normale attività didattica per consentire ad alcuni di accedere ai corsi di recupero e ad altri di svolgere attività di approfondimento. L'esperienza della disputatio è stata offerta come attività di approfondimento a coloro che non dovevano svolgere attività di recupero.

11 Potremmo dire che il "tempo della didattica" è – in un certo senso – duplice:

  • vi è un tempo che potremmo indicare con il termine greco di Chronos, che scorre inflessibile ed abbastanza uniforme, tra ore di lezione, interrogazioni, campanelle che squillano, quadrimestri che si aprono e si chiudono; si tratta di una dimensione ineliminabile del tempo della didattica, con cui bisogna saper convivere in modo attivo e propositivo, senza lasciarsene travolgere;
  • vi è un tempo che potremmo indicare con il termine Kairòs, che è invece "tempo opportuno", occasione favorevole per realizzare alcuni degli obiettivi più profondi del proprio progetto educativo; l'esperienza di cui stiamo parlando – che pure presuppone un certo lavoro di lezioni ordinarie – dovrebbe collocarsi in questa seconda dimensione del tempo della didattica.