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Comunicazione Filosofica n. 6 - novembre 1999

 

TAVOLA ROTONDA

DIDATTICA DELLA FILOSOFIA: METODI E NOVITÁ

 

Il 6 maggio 1999, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, organizzata dalla S.F.I Sezione Lombarda, a conclusione del corso di aggiornamento "Stili di pensiero", si è svolta la Tavola rotonda: "Didattica della filosofia: metodi e novità", presieduta dal Presidente della Sezione, Prof. Davide Bigalli, e coordinata da Susanna Creperio Verratti.

Durante l’incontro sono stati proposti gli interventi di Anna Bianchi (Liceo Scientifico "E. Majorana", Rho), Andreina Franco Repellini (Liceo-Ginnasio "G:Parini", Milano), Lelia Pozzi d’Amico (Direttivo S.F.I. Sez. Lombarda).

Il corso "Stili di pensiero", già ideato da Gianna Sidoni, si è svolto in quattro conferenze di due interventi ciascuna - una lezione di un docente universitario ed un percorso didattico illustrato da un docente della Secondaria Superiore - su "L’etica di Abelardo", (M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri - M. Rossini), "La dissoluzione della filosofia sistematica nel Mondo di Schopenhauer" (G. Invernizzi - A. Franco Repellini), "La teodicea di Leibniz" (M. Mugnai - G. Mormino) e da ultimo "The concept of mind di G. Ryle" (M.V. Predaval - A. Massari).

Se uno degli scopi del corso era di affermare il valore formativo della filosofia, la sua specificità e quindi la sua autonomia disciplinare, oggi in un momento cruciale per i destini del suo insegnamento sia all’Università che nella Scuola Superiore, alla Sezione Lombarda della S.F.I. è parso necessario finalizzare la tavola rotonda ad una riflessione sulle più recenti metodologie didattiche e sulle novità relative al mutato contesto istituzionale ed epistemologico.

 

INTRODUZIONE

di Susanna CREPERIO VERRATTI

Oggi più che mai si impone una riflessione sulle differenti metodologie di insegnamento della filosofia, oltre la superata lettura storicistica e manualistica della storia del pensiero, essendo per la prima volta messo in seria discussione dal legislatore il suo insegnamento come disciplina autonoma. Se è vero infatti che si considerano superati dai tempi e dagli eventi in campo epistemologico la concezione della filosofia come coronamento del sapere in senso gentiliano e in campo didattico l’uso di manuali tradizionali senza alcun approccio ai testi dei filosofi, è anche vero che la perdita del ruolo "romantico" e privilegiato della filosofia nell’ambito delle discipline scolastiche non implica la perdita della sua specificità come materia di studio scolastico (si negherebbe di fatto il suo ruolo formativo mentre anzi si va esaltando la sua funzione di "cerniera" pluridisciplinare). Non si mette certamente in dubbio che è necessario svecchiare il suo insegnamento - come del resto quello di altre discipline - ma siamo convinti che esso debba avvenire nel rispetto delle profonde radici che ormai possiede nei Licei e nelle Università grazie a decenni di insegnamento, ancorato dunque con forza nella tradizione culturale del nostro Paese, tradizione sempre invocata ma poi di fatto negata.

Il "gruppo di ricerca della S.F.I Sez. Lombarda" già dall’inizio degli anni Ottanta, grazie alla guida illuminata del Prof. Mario Dal Pra e all’efficace coordinamento della Prof.ssa Maria Assunta Del Torre, ha condotto e continua a portare avanti la ricerca teorica sulla didattica della filosofia che portò i suoi frutti nella battaglia contro i tentativi di trasformare la filosofia in una delle Scienze Umane. I risultati della ricerca sono stati pubblicati negli Atti dei Convegni della Società Filosofica Italiana di Verona nel 1983, Perugia nel 1986, Messina nel 1989 e Roma nel 1992. Al Congresso di Verona, Gianna Sidoni individuava i limiti dell’insegnamento della storia della filosofia di stampo idealistico e considerava in tal senso superato lo storicismo sia crociano che marxiano; chi scrive prospettava un insegnamento "storico" (non "storicistico") della disciplina inteso come collocazione storica delle teorie dei filosofi e delle loro opere con l’individuazione di itinerari, percorsi da intendersi come risposte teoriche e teoretiche dei filosofi alle esigenze di età ben determinate, di periodi storici concreti mentre Lelia Pozzi d’Amico invitava i docenti a limitare l’utilizzo del manuale per una lettura diretta dei testi, analitico-storico-tematica. A Perugia tre anni dopo si sottolineava l’importanza e il ruolo dell’insegnamento della filosofia nella formazione della personalità dell’adolescente come consapevolezza e controllo delle procedure, capacità di argomentare in modo retorico e razionale, rispetto del principio della tolleranza nel superamento dell’egocentrismo verso la coscienza di sé come persona giuridica. A Messina nell’ 89 proponevo di affiancare alla lettura dei testi l’utilizzo del computer per insegnare i dialoghi di Platone mediante la ricerca di concetti-chiave, dopo un lavoro sul campo durato due anni con il supporto del gruppo. E ancora a Roma nella prospettiva di un ampliamento della ricerca didattica, Maria Assunta Del Torre e Gianna Sidoni presentavano il progetto/esperimento I.S.P.E.R - Nuovi Linguaggi per la professionalità docente, un "corso di formazione-autoformazione" in collaborazione con l’IRRSAE Lombardia per realizzare una ricerca/formazione rivolta ad insegnanti di scuola secondaria superiore centrata sul rapporto arti-scienze-filosofia.; nella stessa occasione con Lelia Pozzi ribadivo la validità culturale e pedagogica di ideare itinerari didattici che potessero innestare sulla tradizione storica la flessibilità e l’apertura ai problemi che l’attualità impone.

Desidero quindi ribadire quali punti irrinunciabili della nostra ricerca fondati sullo studio teorico e sulla pratica didattica :

  1. l’autonomia didattica della filosofia,
  2. il suo insegnamento storico condotto con taglio tematico/problematico,
  3. la lettura diretta dei testi dei filosofi (opere brevi - introduzioni - prefazioni) con supporto multimediale.

Il "gruppo di ricerca" propone i risultati del suo più che decennale lavoro ai colleghi, ai docenti universitari, al legislatore, nella speranza che sulla base di tali risultati costituisca punto di partenza per un fondato rinnovamento della sua didattica e non per un suo annacquamento in altre discipline.


1° INTERVENTO

S.F.I Sezione Lombarda

Tavola rotonda: Didattica della filosofia: metodi e novità

Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano (6 maggio 1999)

 

Novità “per” l’insegnamento della filosofia

di Anna M. Bianchi

Il mio intervento è finalizzato a presentare le novità “per” l’insegnamento della filosofia. Intendo, cioè, soffermarmi non sugli sviluppi della ricerca didattica in filosofia, ma sulle possibili conseguenze per l’insegnamento filosofico prodotte dalle trasformazioni in atto nel sistema scolastico del nostro Paese.

Per condurre una riflessione sull’insegnamento di ogni disciplina, infatti, è necessario tener conto di una pluralità di dimensioni che confluiscono nell’ambito della didattica. Occorre, cioè, considerare gli esiti dell’indagine disciplinare ed epistemologica relativi al sapere insegnato; gli apporti delle scienze dell’educazione; le condizioni operative per lo svolgersi dei processi formativi: tempi, spazi, raggruppamenti di alunni e così via; ma occorre anche analizzare il contesto istituzionale nel quale l’azione didattica si inserisce.

 

 

1. Il contesto istituzionale

A mio parere, in questo momento, l’attenzione al contesto istituzionale è decisiva non solo per lo sviluppo della ricerca didattica, ma per il futuro stesso dell’insegnamento della filosofia. Penso, cioè, che la “partita” sul futuro dell’insegnamento della filosofia attualmente “si giochi” anche nel quadro del processo di ridefinizione delle caratteristiche del sistema formativo in atto nel nostro Paese. Il nuovo contesto istituzionale costituisce, quindi, “la novità” nella quale si dovrà inserire un insegnamento della filosofia “rinnovato”, ma capace, da un lato, di salvaguardare gli elementi più significativi della sua tradizione, dall’altro, di valorizzare gli elementi più interessanti della ricerca e della sperimentazione didattica degli ultimi decenni.

 

Gli elementi del processo di trasformazione ai quali è opportuno prestare particolare attenzione sono in parte già realtà. Innanzi tutto, si pensi alla situazione creata dall’autonomia delle istituzioni scolastiche: le scuole, nella progettazione del Piano dell’Offerta Formativa, possono - ad esempio - adottare un’organizzazione modulare degli insegnamenti, progettare nuove aggregazioni di discipline, sperimentare un’articolazione flessibile del gruppo classe.(1) Si consideri, in secondo luogo, la novità costituita dalla riforma dell’esame di Stato: la terza prova scritta, infatti, prevede modalità differenti dall’interrogazione orale per accertare la preparazione anche filosofica degli alunni e il colloquio dovrebbe privilegiare la trattazione pluridisciplinare degli argomenti studiati. Si tenga, infine, presente l’innalzamento di un anno dell’obbligo scolastico, scelta che non resterà priva di ricadute sull’attività di tutta la secondaria superiore.

 

Accanto alle “novità” già in atto, è altrettanto importante ricordare le “novità” che si vanno delineando in prospettiva, perché anche con queste l’insegnamento della filosofia si dovrà misurare. In primo luogo, mi riferisco al progetto di riordino dei cicli scolastici: tale progetto ha contribuito a riaprire il dibattito sulla collocazione dell’insegnamento della filosofia nella scuola italiana, facendo riemergere - per esempio - l’alternativa tra la filosofia come materia dell’area comune della scuola secondaria superiore e la filosofia come materia dell’area di “indirizzo”. In secondo luogo, non è difficile prevedere - come effetto del nuovo rapporto tra “centro” e “periferia” istituito dall’autonomia - i vantaggi e i limiti delle nuove responsabilità attribuite ai docenti: con il passaggio dai Programmi ministeriali prescrittivi alla definizione - a livello nazionale - di curricoli “leggeri” e di standard di apprendimento, infatti, agli insegnanti sarà affidato il compito di costruire il percorso di formazione filosofica per i propri studenti, compito che esige competenza sia filosofica sia didattica. Infine, il previsto innalzamento dell’obbligo a diciotto anni impone un’attenta valutazione della prospettiva di estensione dell’insegnamento della filosofia a tutti gli indirizzi di studio.

 

 

2. La filosofia tra “i saperi essenziali”

Accanto agli sviluppi istituzionali e normativi, è necessario tener presente un altro evento rilevante per il futuro dell’insegnamento della filosofia: l’assegnazione a una Commissione tecnico-scientifica - la cosiddetta Commissione dei “saggi” - del compito di individuare “le conoscenze fondamentali” per la formazione dei giovani nei prossimi decenni.

Nelle due sintesi del lavoro della Commissione - la prima pubblicata nel maggio 1997 (3) e la seconda nel marzo 1998 (4) - si può registrare, come dato positivo, il riconoscimento del ruolo formativo della filosofia, posta tra “i saperi essenziali”. Inoltre, i contenuti dei paragrafi dedicati alla formazione filosofica dei giovani - intrecciandosi con la riflessione sul riordino dei cicli - hanno stimolato la ripresa del dibattito sui problemi relativi all’insegnamento della disciplina, riaprendo però anche la discussione su questioni che apparivano risolte nell’ambito della ricerca didattica.

Innanzi tutto, infatti, i due Documenti - assumendo la prospettiva dell’estensione dell’insegnamento della filosofia a tutti i giovani, compresi quelli degli attuali istituti tecnici e professionali - ripropongono ancora il problema di definire le condizioni alle quali tale scelta si può rivelare effettivamente produttiva.

In secondo luogo, i due testi - sollevando la questione del grado di istruzione nel quale collocare l’insegnamento della disciplina - hanno favorito l’avvio della riflessione sia sulla possibilità di un’anticipazione dello studio della filosofia agli ultimi anni di scolarità obbligatoria sia sul rapporto di autonomia/integrazione della filosofia con altre discipline. Infatti, mentre il Documento del maggio 1997 afferma che l’insegnamento della filosofia va introdotto “non prima dei 15-16 anni [...] nella fase successiva all’obbligo”, il secondo Documento, dopo aver dichiarato di muoversi nell’ottica di un obbligo scolastico decennale, si pronuncia a favore di un insegnamento filosofico “a partire dagli anni conclusivi della scuola dell’obbligo, secondo modalità connesse, ma distinte, rispetto a quelle operanti nello sviluppo delle capacità di lettura-scrittura e dell’educazione civica”.

Infine, la Commissione tecnico-scientifica - rifiutando l’insegnamento della filosofia “nella sua forma attuale di ricostruzione storica” - per proporre nel primo Documento: “elementi di filosofia” e nel secondo: “questioni di senso e di valore” e “questioni di verità” - ha rilanciato il dibattito sia sui criteri di selezione dei contenuti della formazione filosofica sia sull’alternativa tra il metodo “storico” e il metodo “per problemi”.

 

Va rilevato che, alla pubblicazione dei Documenti dei “saggi”, sono seguite alcune interessanti iniziative come - per esempio - il Convegno “La filosofia nella scuola di domani”, organizzato dall’Istituto per gli Studi filosofici e dalla SFI (Ischia e Napoli, 25-26 settembre 1997), con il successivo confronto di opinioni sulla rivista “Informazione filosofica”. A mio parere, invece, il “mondo della scuola” nella sua componente “docenti di filosofia” non ha trovato gli spazi per intervenire adeguatamente - pur con le sue molteplici voci - nel dibattito sul futuro dell’insegnamento filosofico nella scuola italiana.

 

 

3. Prospettive

All’interno del nuovo contesto delineato, invece, i docenti di filosofia interessati al futuro dell’insegnamento della disciplina possono assumere - a mio parere - un compito rilevante. Rilevante se si ritiene che la scuola non sia solo luogo di “riproduzione della società”, ma anche luogo di produzione culturale, realizzata attraverso l’elaborazione di curricoli, cioè attraverso la selezione e organizzazione del sapere trasmesso alle nuove generazioni.

Il compito dei docenti consiste nell’evitare la dispersione del patrimonio costituito dagli esiti della ricerca didattica sull’insegnamento della filosofia, maturato a partire dagli anni Settanta e giunto a una sintesi con i Programmi “Brocca”: certamente una sintesi da migliorare, ma con il pregio di riprendere, ordinare e valorizzare gli esiti della riflessione sull’insegnamento della materia condotto negli ultimi decenni, conciliandoli con la tradizione dell’insegnamento filosofico in Italia.

Più precisamente, mi pare opportuno uno sforzo di ricerca e di intervento in due direzioni: in primo luogo, nella direzione di un approfondimento della riflessione sul “valore formativo” della filosofia; in secondo luogo, nella direzione di una didattica basata sulla costruzione di percorsi, sulla lettura dei testi filosofici, su un approccio problematico all’interno di un impianto storico.

 

Approfondire la riflessione sul “valore formativo” della filosofia significa mostrare la specificità irrinunciabile del suo contributo alla formazione dei giovani, salvaguardandone così la presenza almeno nell’area comune del triennio delle scuole secondarie superiori. L’insegnamento della filosofia, infatti, non può giustificare il suo contributo alla formazione dei giovani solo appellandosi a finalità generali, conseguibili anche attraverso lo studio di altre discipline, come: l’acquisizione dello spirito critico e di capacità logiche. Occorre precisare la specificità dell’apporto della filosofia, per esempio, come riflessione consapevole sugli “stili di razionalità” caratterizzanti la storia del pensiero occidentale; come luogo di problematizzazione dello statuto epistemologico dei saperi; come ambito nel quale porre le domande di senso. Tale riflessione sul valore formativo della filosofia deve, inoltre, tradursi in proposte leggibili non solo dagli insegnanti di filosofia, ma almeno all’interno dell’intero mondo della scuola. Se la scuola produce cultura attraverso l’elaborazione di curricoli, una strada praticabile dai docenti è proprio la progettazione di nuovi curricoli e la diffusione di esperienze e di “modelli” convincenti e riproducibili. Gli spazi per avviare la circolazione di nuove proposte non mancano: si pensi - riferendosi solo alle opportunità create dalla Società Filosofica Italiana - alla Sezione didattica del Bollettino e alla rivista telematica Comunicazione Filosofica.

 

Muoversi nella seconda direzione indicata significa proporre un’impostazione didattica capace di valorizzare le potenzialità formative della filosofia. È, infatti, opportuno sottolineare che la scelta di sviluppare lo studio della filosofia attraverso la costruzione di percorsi - selezionando e raccordando temi, problemi, autori e rinunciando alla pretesa di completezza nella trattazione della storia del pensiero - contribuisce al superamento dell’alternativa tra il metodo storico e il metodo problematico nell’insegnamento della filosofia, alternativa sterile perché le questioni filosofiche non esistono astrattamente, ma si pongono all’interno di contesti storici e di tradizioni filosofiche. Il superamento di tale alternativa trova il suo punto di forza nella centralità attribuita alla lettura dei testi filosofici: la lettura di un testo, infatti, costringe a confrontarsi immediatamente con i problemi filosofici, ma una piena comprensione dei problemi filosofici trattati è favorita da un approccio storico-critico al testo.

L’inquadramento dei testi nel contesto storico consente, inoltre, di procedere non solo secondo una prospettiva sincronica, mostrando il nesso tra il pensiero filosofico e gli altri saperi, ma anche secondo una prospettiva diacronica, confrontando problemi e risposte delle epoche passate con la contemporaneità, al fine di promuovere la riflessione sugli interrogativi attuali, evitando però - nello stesso tempo - attualizzazioni banali.

 

NOTE

1) Legge n. 59 del 15 marzo 1997, art. 21; D.M. n.765 del 27 novembre 1997; Schema di Regolamento in materia di autonomia, approvato dal Consiglio dei Ministri il 25 febbraio 1999.

2) Legge n. 425 del 10 dicembre 1997; Regolamento D.P.R. n. 323 del 23 luglio 1998.

3) Sintesi dei lavori della Commissione tecnico-scientifica incaricata dal Ministro della Pubblica Istruzione di individuare “le conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni”, a cura di Roberto Maragliano (13 maggio 1997): “3.7. Quanto all’insegnamento della filosofia - positiva specificità della scuola italiana - non ha giustificazione la proposta di estenderlo, nella sua forma attuale di ricostruzione storica, alle scuole non liceali. Bisogna pensare a qualcosa che sia valido per tutti (ma non prima dei 15-16 anni), quindi anche (e sono la maggioranza) per i giovani degli attuali istituti tecnici e professionali: dovrà essere una rassegna di idee portanti e servirà alla costruzione delle loro identità e alla riflessione sul loro stare nel mondo. Nella fase successiva all’obbligo si deve dunque pensare a un insegnamento di “elementi di filosofia” (per tutti, qualunque sia l’indirizzo prescelto) che potrebbe trattare, esemplificativamente: questioni di etica, necessarie per comprendere le forme di validazione e di argomentazione in materia di valore, giustizia, ecc. a partire dai temi dei diritti/doveri, della cittadinanza, della bioetica, della medicina; questioni di logica, di verità e plausibilità, in relazione ai temi epistemologici e alle diverse forme di linguaggi convincenti e persuasivi. E’ un impegno didattico che si può realizzare agevolmente muovendo da testi filosofici accessibili, anche classici.”

4) I contenuti essenziali per la formazione di base, a cura di Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe, Mario Vegetti (20 marzo 1998): “5. L’insegnamento della filosofia - positiva specificità della scuola italiana - non può venir esteso indiscriminatamente nella sua forma attuale di ricostruzione storica. La sua destinazione generale consisterà nel dotare tutti i giovani di strumenti concettuali adeguati alla ragionevole costruzione di una soggettività propositiva e critica. Questa prospettiva include due versanti. Da un lato le questioni di senso e di valore (obblighi, scopi, diritti e doveri, valutazione delle condotte, questioni di giustizia): insomma, la costruzione della capacità di sviluppare razionalmente i propri punti di vista, e di comprendere e di discutere quelli altrui, a partire dalle situazioni e dai problemi dell’esperienza concreta (questioni di etica e di bioetica, responsabilità, cittadinanza). Dall’altro, le questioni di verità (a partire da questioni elementari di logica, teoria dell’argomentazione, epistemologia). Il diritto all’acquisizione di queste capacità non può venir negato, a partire dagli anni conclusivi della scuola dell’obbligo, secondo modalità connesse, ma distinte, rispetto a quelle operanti nello sviluppo delle capacità di lettura-scrittura e dell’educazione civica.”


2° INTERVENTO

A proposito della didattica della filosofia

di Andreina Franco Repellini

 

Più volte, in discussioni e tavole rotonde, ho sentito colleghi, pedagogisti, ed anche funzionari del ministero sostenere che l'insegnamento della filosofia, ma più generalmente l'insegnamento in quanto tale, può a essere organizzato secondo tre modalità differenti:

1. partendo dalle richieste della società.

2. partendo dai bisogni formativi dei ragazzi.

3. lavorando sullo specifico disciplinare.

Queste tre modalità venivano indicate come distinte, e poste in alternativa fra loro. A mio parere, invece, tale alternativa non è così radicale da implicare l'esclusione reciproca. Infatti, per quanto riguarda gli ultimi due punti, ossia lo specifico disciplinare e i bisogni dei ragazzi, non mi sembra che presentino elementi di contraddittorietà, se si assume come vera la semplice premessa che la finalità fondamentale della scuola e di ogni insegnamento valido risiede nell'apprendimento ed inoltre, prima ancora dei bisogni, esiste il diritto del giovane ad avere un'istruzione chiara e strutturata. Allora, come produrre apprendimento? L'apprendimento come gioco non mi sembra possa essere proposto in una scuola superiore; vorrei a questo proposito citare un passo di Hannah Arendt contro la teoria dell'insegnamento come gioco: "in nome dell'autonomia del mondo giovanile si elimina proprio la cosa che dovrebbe preparare il ragazzo all'ingresso del mondo degli adulti, la capacità, acquisita poco per volta, di lavorare e di abbandonare il gioco". L'autonomia mentale non è, infatti, un dato originario, ma è il risultato di un apprendimento reale, cioè dell'assimilazione e della rielaborazione di un insegnamento ben strutturato. Se noi consideriamo finalità dell'insegnamento l'apprendimento e diciamo che un insegnamento è valido solo se genera un apprendimento, allora possiamo concludere che la peculiarità di ogni insegnamento deve essere la chiarezza. Dell'equivoco verbale, dice Agostino nel De Magistro, può essere responsabile sia la scarsa capacità di comprensione di chi ascolta, ma anche l'ambiguità di chi parla, e di tale ambiguità non sempre i professori sono esenti. Gli studenti hanno fondamentalmente bisogno, questi sono i bisogni dei ragazzi a scuola, di un insegnamento chiaro, che possa essere recepito, di indicazioni di metodo e di lavoro precise, che li metta in grado di fare ciò che il professore chiede loro. Uno dei motivi di disaffezione allo studio può essere identificato in richieste di lavoro da parte degli insegnati alle quali gli studenti non sanno come rispondere; quando, invece, hanno capito come procedere, può anche accadere che si appassionino allo studio. Ecco allora che il problema di come insegnare, nel nostro caso la didattica della filosofia esposta con chiarezza ed organizzata secondo criteri di evidenza e di rigore, è una questione di notevole importanza; mettere al centro dell'insegnamento la disciplina non è un esigenza di professori fanatici che ignorano i bisogni reali dei ragazzi, ma un modo di difendere ed aiutare gli studenti stessi. Secondo Aristotele, sa insegnare chi conosce bene la materia, in quanto sa mettere in risalto i principi, i fondamenti della disciplina stessa. Questo per dire, certamente in modo semplicistico, che non vedo incompatibilità tra i bisogni dei ragazzi e la ricerca in ambito disciplinare; ho inoltre notato che, quando si tiene una lezione su un argomento nuovo anche per l'insegnante, il fatto viene immediatamente percepito e l'attenzione cresce. Se quanto detto fino ad ora vale per le discipline in generale, possiamo passare alla filosofia, e porre due questioni: perché e come insegnare la filosofia.

Comincio con il secondo quesito, come insegnare la filosofia. In generale i ragazzi devono acquisire una certa praticità in ambiti come la lettura, l'esposizione e la scrittura. Ad esempio, leggere: per imparare i ragazzi hanno bisogno dei testi, ne hanno bisogno per familiarizzarsi con il linguaggio, e perché il testo dà loro una sicurezza. Per testi intendo sia il manuale che i classici. È un errore, a mio parere, usare o soltanto il manuale o soltanto i classici. Il manuale è richiesto dai ragazzi stessi, in quanto fornisce loro uno schema di organizzazione del discorso, un criterio d'ordine, ma non ha soltanto una funzione didattica in quanto fornisce anche l'idea della disciplina nel senso che ne sistematizza le informazioni, ne definisce i bordi ed i limiti, il tutto secondo una scansione cronologica. E tuttavia il manuale non ci porta al centro, sono i classici che ci immettono nel cuore della filosofia e per questo devono essere letti se vogliamo che i ragazzi capiscano qualcosa di filosofia, e, soprattutto, se vogliamo noi stessi capire qualcosa di filosofia. Studiare i classici e leggerli agli studenti è un esercizio molto utile, una sorta di formazione permanente per gli insegnanti e un procedimento educativo per gli studenti che imparano così a ricercare e riflettere. I classici sono perciò importanti come educazione alla lettura, alla ricerca personale, alla formazione di un buon gusto filosofico.

Come leggerli ed introdurli nel programma? Facendoli interagire col manuale. E come renderli comprensibili agli studenti? Bisogna preparare un percorso che può protrarsi anche oltre un anno scolastico, centrarlo su un testo i due, e supportare il classico da esaminare con il manuale. Si tratta, quindi, di costruire una tematica, prepararne le premesse in senso cronologico sul manuale, considerare il testo in relazione all'epoca e poi affrontare il classico. Tutti i ragazzi devono avere il libro di fronte, l'insegnante ne riassume delle parti, ne legge delle altre, detta una serie di domande di ricapitolazione sui problemi principali e, alla fine, ne ricostruisce le idee centrali all'interno di un dibattito e di una discussione. Posso portare un esempio di una tematica organizzata su un testo. Il testo è il Proslogion di Anselmo da Aosta, testo molto bello sia per lo stile, efficace e stringato al tempo stesso, sia per l'architettura che si compone di tre parti: l'argomento di Anselmo, l'obiezione di Gaunilone, la risposta di Anselmo. La tematica individuata potrebbe essere l'idea di perfezione o conoscenza, pensiero e linguaggio. Si inizia partendo dal manuale dove vengono studiati Agostino e la questione degli universali. In seguito la lettura integrale ed analitica del testo. La tematica può proseguire con l'esame di Tommaso d'Aquino, Cartesio, Leibniz e Kant. Per il '900 potrebbero essere esaminati Wittgenstein e gli analitici. Rimane da vedere come insegnare loro a parlare riflettendo e insegnare a scrivere utilizzando un certo rigore.

A questo punto vorrei riconnettermi a due questioni che ho anticipato ma senza dar loro adeguato sviluppo: si tratta della necessità di orientare l'insegnamento alle richieste della società e porre l'insegnamento della filosofia in relazione a tale argomento. Il ministro francese Alegre, parlando dell'insegnamento delle scienze, ha dichiarato che a suo parere il tradizionale modello d'insegnamento in vigore nelle scuole secondarie francesi, basato sul primato della matematica, è ormai superato, in quanto la matematica è una scienza troppo rigida: ad essa ha contrapposto la geofisica, più duttile, più sperimentale. La duttilità disciplinare dà spazio ad un'organizzazione interdisciplinare della didattica in quanto permette allo studente di trascorrere da un ambito all'altro, sviluppando così, a sua volta, una plasticità mentale per tutti necessaria nell'epoca della globalizzazione e della complessità. Ecco che la debolezza della filosofia, da essere un limite, diventa il suo pregio ed il suo grande motivo di attualità. La filosofia, come diceva Wittgenstein, diversamente dalle scienze naturali non è dottrina, ma solo un'attività; per quanto riguarda l'insegnamento la filosofia può prescindere ai contenuti tradizionali e configurarsi principalmente come metodo. I francesi, in effetti, incentrano il loro insegnamento di filosofia essenzialmente sul metodo, utilizzando, a questo proposito, lo schema della quaestio medioevale che viene ripresa dalla dissertazione, un compito scritto nel quale un problema viene analizzato partendo da un testo, mettendone appunto la tesi centrale, evidenziandone la teoria contraria e concludendo con l'esposizione di un'opinione personale. La dissertazione, mi sembra venga incontro sia al bisogno dei ragazzi di esprimere le proprie opinioni e di poter scrivere utilizzando una certa libertà, sia alla richiesta sociale per la quale gli studenti devono apprendere a ragionare con scioltezza attraverso tecniche collaudate. Ad esempio, in occasione della guerra dei Balcani, in terza liceo ho fornito loro molti articoli di giornali firmati da storici e filosofi, come Chomsky, Todorov, Susan Sontag, Sergio Romano, Kissinger ed altri. Su questo lavoro è stato dato un tema in classe: "Ricostruite brevemente gli antefatti storici che sono all'origine di questa guerra; esponete le tesi principali, sia dei detrattori che dei fautori dell'intervento, ed esprimete la vostra opinione a proposito basandola su fatti ed argomentazioni". Per quanto riguarda la ricostruzione storica, tutti hanno dimostrato una certa qual abilità; per converso, nel momento di esprimere un giudizio personale a partire da tale ricostruzione, in particolare nell'analisi e sintesi delle due tesi antitetiche, i lavori sono risultati molto più deboli. In effetti non è un operazione facile; basta vedere che tante volte nei ragionamenti comuni, ed anche negli articoli di giornale, vengono presentate come incompatibili delle tesi perfettamente compatibili; ma è giusto abituare i ragazzi ad esprimersi, a parlare ed a scrivere con una certa coerenza e logicità. Questo tipo di lavoro lo si può fare molto bene proprio partendo dai classici, che hanno il grande vantaggio di immetterci nello specifico disciplinare sia per quanto riguarda il linguaggio che per quanto riguarda i problemi. La discussione sui temi proposti dal testo deve essere sia in una prospettiva di attualità che in una prospettiva interdisciplinare. E in quest'ottica, appunto, i testi devono essere scelti. Per portare un esempio potrei indicare un tema, il principio della non-violenza nel pensiero occidentale: i testi di partenza possono essere Beccaria, De i delitti e delle pene, e Kant, Per la pace perpetua, ma tale argomento può essere sviluppato anche nella filosofia del '900, ad esempio Hannah Arendt e Todorov; inoltre tale argomento può essere oggetto di approfondimenti in storia, diritto e nelle letterature. In effetti la interdisciplinarità è molto importante; come dice Lyotard ne La condizione post-moderna, il problema, nei decenni a venire non sta solo nella capacità di dominare la materia, che è una capacità acquisita, ma il problema sta nella difficoltà di tessere una serie di legami che facciano progredire insieme informazione ed organizzazione. È quel metodo di cui parla anche Edgar Morin quando ritiene un'abilità fondamentale per un mondo governato dalla complessità la capacità di rendere sistematiche le informazioni.

E tuttavia, le richieste della società e i bisogni dei ragazzi, se presi indipendentemente dalle discipline manifestano sempre qualche cosa di gretto e di angusto, perché da soli non sembrano in grado di sviluppare un reale amore per la conoscenza ed aprire la mente alla cultura. E perciò, per quanto riguarda l'insegnamento, la richiesta che mi sembra più valida, più profonda e più vera è quella che la filosofia si è insegnata secondo le modalità che più le convengono come ricerca ed amore per la conoscenza; voglio citare a questo proposito Thomas Mann: "i primi trent'anni del XX secolo si sono scagliati, per reazione, contro il razionalismo classico e l'intellettualismo, (...) e contro lo spirito, senza generosità alcuna, ci si è schierati dalla parte della vita, cioè dalla parte del più forte. Una cosa è infatti certa e dimostrata: la vita nulla ha da temere né dallo spirito né dalla conoscenza; non essa, ma lo spirito è sulla terra la parte più debole il più bisognosa di essere difesa".


3° INTERVENTO

Proposta di lettura di un testo esemplare

di Lelia Pozzi d’Amico

 

La Promende du sceptique ou les allées, redatta con buona probabilità da Denis Diderot nel 1747 (1), è lo scritto che intendo prendere in considerazione usufruendo del metodo filologico-critico che già da tempo è stato individuato come irrinunciabile dal Gruppo di Studio della Sezione Lombarda della S.F.I., guidato prima dal prof. Mario Dal Pra, successivamente, dalla prof.ssa Maria Assunta Del Torre, in vista dell’individuazione dei temi portanti dell’opera in discussione.

L’analisi filologico-critica di un testo che può essere considerato esemplare ovvero di un classico, per usare una connotazione più tradizionale, ha una valenza culturale e didattica molto rilevante. Sul piano culturale è da accertare, anzitutto, il livello espositivo-linguistico, dove la terminologia, la prevalenza delle immagini, delle allegorie e delle metafore sull’argomentazione deduttiva e sull’esprit de système, consente già una collocazione dell’opera nuova o, al contrario, tradizionale che contribuisce a definirne la valutazione. In secondo luogo, l’oggettività del testo costringe al rispetto del tempo e della situazione in cui è stato redatto, così da bandire la tentazione di qualsiasi filosofia della storia, connotata dalle più diverse matrici ideologiche, a favore di una storicità oggettiva, definita dal concorrere di fattori concreti e molteplici: culturali, sociali, politici ed economici. Infine, è possibile individuare la portata del testo come proposta di una visione del mondo alternativa o inserita in un preciso itinerario cronologico, così da intenderne appieno l’incidenza nella storia del pensiero.

A livello didattico la ricaduta dei fattori individuati è altrettanto significativa. Infatti, la lettura il più possibile esauriente di un testo esemplare opportunamente scelto e rapportato al manuale, è un’occasione preziosa sia per correggere i limiti di un’istruzione esclusivamente manualistica, di necessità ripetitiva e acritica, sia per imporre la specificità e l’originalità della riflessione filosofica, particolarmente in un momento nel quale viene da più parti messa in discussione, sia perché può diventare momento di un’autentica formazione, di una Bildung, sollecitando nel discente spirito di riflessione e originalità creativa, capacità di critica e sublimazione concettuale di intuizioni e di pulsioni, precedentemente avvertite in modo ancora ingenuo.

Ciò premesso, il manoscritto di D.D. appartiene a pieno diritto alla letteratura libertina che circola clandestinamente nella Francia di Luigi XV ed è impegnata principalmente nella lotta contro la religione positiva nella sua duplice identità di religione rivelata e di chiesa istituzionalizzata e contro il dispotismo regio che ha nella dottrina dell’investitura divina del sovrano il sostegno più valido.

In questi anni di relativa pace, garantita dall’amministrazione del cardinale Fleury (1726-43), Parigi è veramente l’ombelico del mondo della cultura, meta irrinunciabile degli ingegni più brillanti, crogiolo d’idee, teatro di una produzione letteraria, filosofica e teatrale brillantissima, e della circolazione di manoscritti clandestini che la censura e la polizia sorvegliano, ben lontane dal bloccarli.

Nel Discorso preliminare della Promenade, Aristo, un io narrante ricco, nobile, militare, filosofo e il suo interlocutore, Cleobulo, un maturo pensatore ritiratosi nelle sue campagne, pongono in primo piano il tema della libertà di pensiero e di espressione e della necessità di ricercarla costantemente e di difenderla ad ogni costo. Cleobulo, con preoccupata benevolenza, avverte Aristo:

“Non vi biasimo per l’impegno ad illuminare gli uomini; è il servizio più importante che uno possa proporsi di rendere loro, ma è anche quello che mai sarà possibile rendere. Come diceva argutamente uno dei nostri amici, un giorno che conversavo con lui sotto queste fronde, presentare la verità a certe persone è come insinuare un raggio di luce in un nido di gufi; serve solo a ferirne gli occhi e a sollevare i loro strepiti. se gli uomini fossero ignoranti solo perché non hanno imparato niente, forse sarebbe possibile istruirli, ma il loro accecamento è programmatico. Aristo, non avete soltanto a che fare con gente che non sa nulla, ma con gente che non vuole sapere nulla. Puoi aprire gli occhi a chi sbaglia involontariamente, ma da che parte attaccare chi sta in guardia contro il senso comune? Dunque non aspettatevi che questo vostro libro risulti molto utile agli altri e invece preoccupatevi che non danneggi infinitamente voi medesimo. La religione e il governo sono argomenti sacri che non è permesso toccare. Quelli che reggono il timone della Chiesa e dello Stato sarebbero in grande imbarazzo a darci una buona ragione del silenzio che ci impongono; ma la cosa più sicura è obbedire e tacere, a meno che non si sia trovato nell’aria un qualche punto d’appoggio fuori portata dei loro tiri, donde gli si possa annunciare la verità”. (2)

Aristo, tuttavia, ribadisce con serena fermezza:

“Intendo tutta la saggezza dei vostri consigli, ma non m’impegno a seguirli, e vi domanderò, perché la religione e il governo sono argomenti su cui ci è proibito scrivere? Se la verità e la giustizia non possono che trarre vantaggio dalla mia indagine, è ridicolo proibirmi d’indagare. Se mi spiego liberamente sulla religione, le farò forse attentato maggiore di quella che la colpisce con la proibizione, che mi viene intimata, di spiegare le mie ragioni?”(3).

E, infine, conclude:

Ma io, Cleobulo, ho un bel considerare gli oggetti che ho intorno, ne scorgo solo due che meritino attenzione, e sono precisamente i soli di cui mi proibite di parlare. Imponetemi il silenzio sulla religione e sul governo, e non avrò più niente da dire” (4).

 

Prova di autore redatta nel nome della libertà di pensiero e di espressione, la Promenade si svolge come un dialogo a più voci, richiamandosi alla tradizione millenaria del dialogo filosofico e, nello stesso tempo, concretando, per la prima volta nell’opera di D.D., il modulo stilistico prediletto dal philosophe, vale a dire il dialogo inteso come conversazione, come entretien.

Tutto tiene nella conversazione. Ma sarà talvolta ben difficile ritrovare i legami impercettibili che hanno attratto tante idee così disparate”, scriverà D.D. nel 1760 e già nella Promenade il dialogo è unità-molteplicità di considerazioni e, nello stesso tempo, capacità di digressione e di sintesi.

Nel tessuto che compone l’entretien frequentissimo è l’uso della metafora, topos consacrato della tradizione classica e nel XVIII secolo escamotage nei confronti della censura, prediletto dalla produzione letteraria engagée. Già Cartesio nel secolo precedente aveva affermato di sé medesimo: larvatus prodeo, procedo mascherato, e la metafora persiste ad essere la maschera prediletta dell’intellettuale che, per necessità, deve procedere con cautela nei riguardi dell’autorità. A questo proposito Cleobulo consiglia ad Aristo:

Non scrivete mai se dovete rovinarvi per uno scritto (5) [¼.] è molto meglio essere un cattivo autore tranquillo che un buon autore perseguitato. Un libro che dorme, diceva con buon senso uno scrittore d’altronde piuttosto stravagante, non fa male a nessuno (6),

e, concludendo:

Io vi consiglio di rivolgervi a un qualche suddito del principe filosofo [Federico II di Prussia] che talvolta vedete, la fronte cinta di lauro, passeggiare per i nostri viali, e riposarsi di nobili fatiche all’ombra dei castagni; [¼.] Passate nei suoi stati con il vostro libro e lasciate strepitare i bigotti” (7).

Il tema centrale della Promenade è l’equazione tra la vita e una passeggiata, anzi una marcia di soldati arruolati nel sonno e perciò inconsapevoli:

Noi nasciamo soldati, ma niente è più curioso del modo con cui ci arruolano: mentre siamo immersi in un sonno così profondo, che nessuno di noi si ricorda neppure di avere vegliato o dormito, ci mettono a fianco due testimoni; si domanda al dormiente se vuole essere arruolato, i testimoni consentono per lui, ne firmano l’ingaggio ed eccolo soldato” (8).

Come scrive Orazio nel frammento del II libro delle Satire citato in epigrafe alla Promenade: “Come dentro una selva, l’errore sparge or qua or là, lontano dal sentiero giusto chi si smarrisce, e questo va a sinistra e quello a destra e l’errore, tuttavia, è uno solo per tutti” (9), nella selva che è tutt’uno con la vita D.D. individua tre sentieri, tre viali percorribili: anzitutto “il viale delle spine”, percorso da chi è stato folgorato dal terrore degli dei, per dirla ancora con Orazio: il pellegrino porta “una benda o una veste o casacca bianca” ed è in tutto e per tutto paragonabile a un soldato i cui doveri “si riducono a tener a posto la benda e a conservare la veste senza macchia” (10) e la cui volontà è del tutto sottomessa a un “sovrano sul cui nome i sudditi sono più o meno d’accordo, mentre non è così per la sua esistenza” (11).

Ispirandosi al Militaire philosophe, il pamphlet anonimo che furoreggia a Parigi nel decennio 1740-50, D.D. si scatena con sfrenata verve libertina nell’ironica descrizione di chi percorre il viale delle spine:

Nell’uscire dal sonno profondo durante il quale uno è stato arruolato, ci si trova nel sentiero della spine, con la casacca bianca e il capo adorno della benda. Si capisce come risulta scomodo camminare a tastoni fra i rovi e le ortiche. Eppure ci sono soldati che benedicono ad ogni passo la Provvidenza per averli piazzati lì, che sinceri gioiscono dei graffi continui che devono soffrire, che soccombono raramente alla tentazione di macchiare la veste e mai a quella di togliere o strappare la benda; che credono fermamente che, meno chiaro si vede, più si va diritti, e che un giorno arriveranno, persuasi che il principe sarà loro grato tanto del poco uso che avran fatto degli occhi che della cura particolare che avranno avuto della veste” (12).

In aggiunta D.D. s’impegna nella denuncia delle ingenuità e delle contraddizioni del “codice militare” composto da due volumi, l’Antico e il Nuovo Testamento, e condanna, richiamandosi alla tradizione libertina, l’assurdità scandalosa del miracolo:

E’ sempre stato, che una folla di imbecilli credesse liberamente ciò che il piccolo numero di persone sensate non si degnava di ammettere; l’ingenuità stupida dei primi non ha mai indebolito la testimonianza illuminata degli altri” (13).

Non nuova nei suoi contenuti ma quanto mai coinvolgente nel moltiplicarsi delle metafore e nel sottile gioco degli attacchi polemici, la condanna senza appello del viale delle spine, identificazione dell’alienazione e della snaturazione dell’uomo compiuta nel nome di Dio con il sacrosanto appoggio dei codici, il Vecchio e il Nuovo Testamento e della chiesa positiva, si conclude con un ultimo sberleffo:

Ma prima di uscire dal viale delle spine deve ancora sapere che quelli che lo percorrono hanno tutti una strana visione. E’ quella di credersi ossessionati da un maligno incantatore, vecchio quanto il mondo, mortale nemico del principe e dei suoi sudditi, che volteggia invisibile attorno a loro, che cerca di traviarli, suggerendo al loro orecchio senza posa, di gettare il bastone, di macchiare il vestito, di strappare la benda e di passare nel viale dei fiori, o all’ombra dei nostri castagni” (14); infine:

non avvenga che quel maledetto incantatore non diventi l’eroe anche della mia opera, come non mancheranno di sostenere che ne è l’autore” (15).

Con verve e acutezza di analisi D.D. contribuisce alla battaglia portata avanti dalle lumières, sul piano storico come sul piano ideologico, nei confronti del dogmatismo e del dispotismo religioso, facendosi partecipe di uno dei capitoli più significativi della cultura engagée del XVIII secolo, valida erede della tradizione libertina.

Sul lato opposto, a destra del viale delle spine,

c’è uno stretto viale, ombreggiato di castagni, dal fondo sabbioso, più comodo del sentiero delle spine, meno piacevole del viale dei fiori, più sicuro d’ambedue, ma difficile a seguirsi fino in fondo” (16). “Costituisce un soggiorno tranquillo, e somiglia assai all’antica Accademia […] Il popolo che l’abita è per natura grave e serio, senza essere taciturno e severo. Per professione ragiona, ama conversare e anche discutere, ma senza quell’acredine, quell’accanimento con cui nelle vicinanza si stridono sciocche fantasie. La diversità delle opinioni non altera lo scambio dell’amicizia, non rallenta affatto l’esercizio della virtù. Uno attacca il suo avversario senza odio, lo preme senza riguardo, ma lo vince senza vanità [...] Qui non c’è tempio, altare, sacrifici, guide. Non si segue un comune stendardo; non si conoscono regole generali: la folla è distinta per bande più o meno consistenti tutte gelose della loro indipendenza” (17).

A questo punto D.D., con puntigliosa precisione, enumera e connota le bande di filosofi che percorrono o stazionano nel viale dei castagni: pirroniani, atei, deisti, spinozisti, idealisti seguaci di Berkeley, libertini atei “non virtuosi”, autentici “fanfaroni detestati dai nostri saggi” di cui La Mettrie, oggetto di una costante polemica da parte di D.D., è l’odiato simbolo.

Identificazione della koiné dei più disparati orientamenti filosofici, precisamente individuati nella loro diversa identità, ma in armonia nel nome dello spirito di tolleranza, tema portante della proposta illuminista, il sentiero dei castagni consente altresì il confronto articolato e ampiamente discusso tra il dio dei filosofi proposto dalle argomentazioni del deismo e celebrante l'armonica bellezza dell’universo, ancora prioritario nelle contemporanee Pensées philosophiques, ispirate alla problematica di Shaftesbury, della cui opera D.D. è in questi anni altresì il traduttore, e il delinearsi di un monismo ateo e materialista che, almeno nella Promenade, è di matrice spinoziana e s’ispira alla linea di libero pensiero che va da Rabelais a Montaigne e da Bayle a Fontenelle.

A questo proposito, con un magistrale colpo di teatro, D.D. contrappone Cleobulo, deista, a Ateo e Oribaze, a livelli diversi, materialisti. In una bella pagina, oltremodo accattivante grazie anche ai sapienti artifici retorici che la caratterizzano, Cleobulo espone in modo finemente argomentato il tema della divina armonia dell’universo fondamento della proposta deista:

Cominciò durante una di quelle belle nottate che un romanziere non si lascerebbe scappare senza trarne l’omaggio di un’ampia descrizione. Io però sono solo uno storico, e mi limiterò a dirti che la luna era allo zenith, il cielo senza nubi, le stelle radiosissime. Il caso mi aveva fatto trovare a fianco di Ateo, e per un po’ camminammo in silenzio, ma non c’è modo di viaggiare a lungo senza dir niente. Presi dunque la parola e rivolgendomi al mio vicino =Vedete -gli dissi- lo splendore degli astri, la corsa regolare degli uni, la costante immobilità degli altri, il soccorso mutuo che si danno, l’utilità che rappresentano per il nostro Globo? Senza queste faci, che sarebbe di noi? Quale mano benefica li ha fatto tutti accesi e degna mantenerne vivo il lume? Noi ne godiamo; saremmo tanto ingrati da attribuirne l’origine al caso? La loro esistenza, il loro ordine ammirevole non ci condurranno per mano alla scoperta dell’autore?” (18).

Argutamente polemica e ispirata alla martellante critica del deismo propria della tradizione libertina, è la replica di Ateo:

Tutto questo non ci porta da nessuna parte, caro mio, replicò lui. Voi guardate tutta questa luminaria con non so quali occhi da fanatico. La vostra fantasia, così intonata, ne compone una decorazione splendida e ne fa poi gli onori attribuendola a non so quale essere che non ci ha mai pensato [¼.] Abbiamo di fronte una macchina sconosciuta, sulla quale si sono fatte delle osservazioni che provano la regolarità dei suoi movimenti a detta di alcuni, e il suo disordine, alla sensibilità di altri. Certi ignoranti che ne hanno esaminato una ruota appena, e possono dire di conoscerne qualche dentatura, fanno congetture sugli ingranaggi di centomila altre ruote di cui ignorano il moto, gli impulsi, e per concludere come fa un artigiano, mettono sull’opera il nome del suo autore” (19).

La prima comparsa nell’opera di D.D. dell’apologo tratto dall’Entretien sur la pluralité des mondes di Fontenelle che in Le reve de D’alembert Mademoiselle de l’Espinasse individua con geniale intuizione come sophisme dell’ephémère (20), allusivo dell’ingenua pretesa di un essere passeggero che crede all’immutabilità delle cose e giudica di conseguenza, consente a D.D. di precisare la forte proposta filosofica di un monismo materialistico ateo che scardina la visione teleologica del mondo:

Chi vi ha detto che l’ordine che ammirate qui non si smentisce in nessun punto? Vi è forse consentito di trarre conclusioni, a partire da un punto dello spazio, allo spazio infinito? Riempi un vasto terreno di fango e macerie a caso, dove però il verme e la formica trovano abitazioni comodissime. Che pensereste di questi insetti se, ragionando col vostro metodo, si estasiassero dell’intelligenza del giardiniere che ha disposto tutti quei materiali per loro?” (21).

Afferma di conseguenza Ateo:

Se la materia è eterna, se il movimento l’ha disposta e le ha originariamente impresso tutte le forme che vediamo oggi conservate dal movimento medesimo, che bisogno ho del vostro principe? (22); Oribaze incalza:

Se si può dimostrare che la materia, e fors’anche la sua sistemazione ordinata, sono eterne segue dunque dalla sua ammissione e dal mio ragionamento che essere intelligente e essere corporeo sono eterni, che queste due sostanze compongono l’universo e che l’universo è Dio” (23).

La comparsa della proposta materialista nella Promenade non vuole essere solo una provocazione fortemente polemica ispirata alla tradizione libertina, né soltanto il delinearsi di una rivoluzionaria metafisica totalizzante. Ad essa si accompagna il quesito che si è sempre configurato come l’aporia del materialismo ateo. C’è una morale materialistica? E’ possibile bandire lo spettro dell’ateo non virtuoso detestato dai nostri saggi? (24). L’atteggiamento di D.D. rimane interlocutorio, espressivo di quel pensoso “vedremo” (25), in italiano nel testo, che conclude il conversare, vera e propria cifra dello scetticismo del philosophe inteso come rigetto del dogmatismo, pacata sospensione del giudizio e, infine, tolleranza reciproca. Infatti, se la considerazione critica della storia consente di rigettare l’accusa che colpisce il materialismo ateo di essere “distruttivo di ogni società” (26) opponendo la pacata constatazione che, al contrario “è distruttivo solo degli abusi. Si sono già viste grandi nazioni mantenersi salde senza questo miraggio [del trascendente] e ce ne sono ancora oggi che sono tanto fortunate da ignorarne persino il nome” (27), la drammatica conclusione del confronta tra il materialismo ateo e le visioni del mondo che si consentono un principio fondante comunque trascendente esplicita l’aporia che intriga qualsiasi proposta materialista, come le drammatiche disgrazie che nella conclusione dell Promenade colpiscono il povero Ateo sottolineano.

Sappi solo che Ateo trovò al suo ritorno che la sua donna era stata rapita, sgozzati i suoi bambini, saccheggiata la casa. Si sospettava il cieco, contro il quale aveva altercato attraverso la siepe e al quale aveva insegnato il disprezzo della coscienza e delle leggi della società ogni volta che sia possibile affrancarsene senza rischio, di aver abbandonato segretamente il viale delle spine e commesso quei delitti per cui l’assenza di Ateo e la lontananza di ogni testimone gli garantivano l’impunità. Il più doloroso per il povero Ateo, in tutta questa avventura, era che non aveva neppure la libertà di lamentarsi a gran voce; perché, in fondo, il cieco era stato conseguente” (28).

La presa di posizione di D.D. nella Promenade persiste a mantenersi interlocutoria, punto di partenza di un itinerario che percorre, articolandosi a livelli diversi, tutta l’opera del philosophe e che, fin da quest’opera giovanile, convive con la benevola attenzione per il “viale dei fiori”, attraente metafora dei piaceri della vita, nei confronto dei quali l’autore del contemporaneo Les bijoux indiscrets mantiene una considerazione di rispetto:

Se ne incontra, di faccia, una seconda strada, spaziosa, piacevole, tappezzata di fiori; presenta un dolce declivio, ci si sente indotti naturalmente a seguirla; accorcia la via, il che non è un vantaggio, giacché, piacevole com’è, non si sarebbe scontenti che fosse lunga. Se il viaggiatore è prudente e va ad esaminare attentamente questa strada, scopre che è disuguale, tortuosa e malsicura. La pendenza gli appare ripida; scorge precipizi sotto i fiori; gli prende la paura d’inciampare e se ne allontana, anche se a malincuore; ci torna per poco che si lasci andare: e non c’è nessuno che una volta o l’altra non si lasci andare” (29).

Le conclusioni dell’analisi filologica-critica proposta sono molteplici e variamente indicative, “scucite” per richiamare una connotazione che spesso caratterizza l’esprit diderotiano. Anzitutto l’identificazione della funzione della filosofia engagée nell’impegno politico e nella polemica anti-clericale, vale a dire nella lotta senza esclusione di colpi e senza timori contro la censura e il dispotismo dello stato e della chiesa, proponendosi come alternativa del dogmatismo e dell’esprit de système.

In secondo luogo, la denuncia martellante, talvolta greve nel moltiplicarsi delle metafore, dell’alienazione religiosa, della snaturazione della bella natura umana operata nel nome di Dio e dello scandalo del miracolo che scardina l’armonia e l’equilibrata successione degli eventi naturali.

Infine, l’esaltazione della filosofia quale sinonimo della koiné di libere scelte, ma anche di dialettica, di intreccio di entretiens, al fine pragmatico di éclairer, di cambiare il mondo, con la forza della raison, con il possibilismo del “vedremo”, con la disponibilità all’epoké del giudizio e al rifiuto di qualsiasi dogmatismo e della pretesa di una soluzione definitiva delle questioni prese in esame.

Opera giovanile, la Promenade si rivela prova d’autore d’alto profilo, fortemente propositiva in sé stessa e nell’anticipazione di temi che si riveleranno portanti nella successiva speculazione del philosophe.

In ogni caso, alle soglie del Duemila, la Promenade si propone come un’esperienza illuminante ed estremamente coinvolgente sia sul piano della formazione personale che su quello dell’applicazione didattica.

 

Note

 

1) - Denis Diderot, Oeuvres complètes, Hermann, Paris 1975, II, pp. 73-155. La passeggiata dello scettico, Serra e Riva, Milano 1984; le citazioni sono tratte dalla traduzione italiana.

2) op. cit., pp. 9-10

3) op. cit., p. 10

4) op. cit., p. 13

5) op. cit., p. 14

6) op. cit., pp. 14-15

7) op. cit., pp. 17-18

8) op. cit., p. 24

9) op. cit., p. 19

10) op. cit., p. 25

11) op. cit., p. 22

12) op. cit., pp. 27-28

13) op. cit., p. 53

14) op. cit., p. 57

15) op. cit., pp. 57-58

16) op. cit., p. 27

17) op. cit., pp. 59-60

18) op. cit., pp. 79-80

19) op. cit., p. 80

20) Denis Diderot, Oeuvres philosophiques, Garnier, Paris 1964, p. 303. " "  La passeggiata dello scettico, op. cit., p. 81

21) “ “ “ “ “ “ p. 71

22) “ “ “ “ “ “ p. 89

23) “ “ “ “ “ “ p. 66

24) “ “ “ “ “ “ p. 82

25) “ “ “ “ “ “ p. 75

26) “ “ “ “ “ “ p. 75

27) “ “ “ “ “ “ p. 90

28) “ “ “ “ “ “ p. 26