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Comunicazione Filosofica n. 6 - novembre 1999

 

F. Paris

Analisi di un’opera: De la causa, principio et uno

 

La chiave

Il De la Causa è il cuore della filosofia bruniana, la fonte alla quale la riflessione filosofica di Bruno sempre ritorna e riattinge. È quest’opera che contiene la chiave per penetrare nei segreti della natura, che introduce all’esplorazione dell’universo infinito: "Quivi, come nel proprio seme, si contiene ed implica la moltitudine de le conclusioni della scienza naturale. Quindi deriva la intessitura, disposizione e ordine de le scienze speculative. Senza questa isagogia in vano si tenta, si entra, si comincia".

È quest’opera che fornisce il filo d’Arianna per poter procedere nel labirinto della "filosofia nolana" senza smarrirsi.

Il De la Causa rappresenta il momento centrale di un percorso che si snoda senza fratture a partire dalla Cena de le ceneri, opera che contiene l’annuncio, l’aurora del sorgere del sole di una nuova filosofia, per svolgersi ed esplicarsi pienamente nel De l’infinito.

Il seme da cui germina una nuova immagine dell’universo e della natura è gettato da Bruno nel De la Causa. La chiave di lettura della realtà ritrovata nel De la Causa si rivela estremamente feconda, fonte di una esplorazione mai conclusa dell’universo umano e naturale. Occorre ora, dice Bruno nella Proemiale Epistola del De l’infinito, raccogliere i frutti, mietere le messi affinché "quello, che è seminato ne gli dialogi De la Causa, principio ed uno, per altri germoglie, per altri cresca, per altri si mature". Nel De la causa si offrono i quadri concettuali, la mappa per procedere all’esplorazione dell’universo, per orientarsi negli immensi spazi cosmici. L’universo, manifestazione dell’Uno, è un unico immenso organismo in perenne trasformazione. L’universo comprende in modo esplicato "tutto lo essere e tutti i modi di essere" che in Dio, "sono indistinti e come agglomerati, non altrimente che nel seme, nel quale non è distinto il braccio da la mano, il busto dal capo, il nervo da l’osso". L’universo comprende tutto l’essere e tutti i modi di essere ma in forma esplicata, dispersa, distinta. Occorre ricomporre le membra sparse in un unico organismo, porre gli elementi in relazione tra loro. Riconoscere l’unità del tutto significa riferire le diverse forme di vita all’unica fonte da cui tutte provengono. La visione unitaria, interrelata, è applicata ora alla considerazione del cosmo: "la beltade dell’edificio non è manifesta a chi scorge una minima parte di quello, come un sasso, un cemento affisso, un mezzo parte, ma massime a colui che può vedere e che ha facultà di far conferenza di parti a parti." Una visione organica, in cui la parte è posta nell’ordine del tutto, ed è possibile comprendere il tutto mediante la parte e la parte mediante il tutto. È questa visione ciò che fornisce l’intelaiatura, la trama, la matrice della ricerca bruniana, nei diversi ambiti in cui si essa si cimenta. Una filosofia della totalità, che riunifica punti di vista opposti, secondo la logica della coincidenza dei contrari, strumento conoscitivo attinto dal Cusano, chiave di volta dell’edificio della filosofia di Bruno.

 

Il pluralismo filosofico e metodologico di Bruno

L’universo bruniano non è dispersa frantumazione, ma visione interrelata, dinamica, dialettica del reale. L’universo infinito non è il nulla, non è l’abisso della conoscenza in cui l’uomo, perduti i suoi tradizionali punti di riferimento, si smarrisce, ma piuttosto un mare sterminato e sconosciuto da esplorare. Rispetto ai fisici aristotelici, che osservano il cielo dal proprio punto di vista, la terra immobile al centro del cosmo, la visione di Bruno è policentrica: essendo infinito, il centro dell’universo è ovunque. Da un punto qualsiasi riceviamo un’immagine che non è uguale, ma comunque simile a come ci apparirebbe il cielo da un altro punto qualsiasi. In analogia alla visione unitaria e al tempo stesso policentrica dell’universo infinito, nell’universo della conoscenza diversità, molteplicità, opposizioni vanno compresi nell’ordine del tutto. Un universo infinito e in continua trasformazione richiede nuove procedure di conoscenza, quelle che Bruno mette in atto nel De la Causa. Il mutamento incessante, la varietà, la molteplicità delle forme in cui si esprime la vita universale tutti vanno compresi all’interno del quadro metafisico del De la Causa.

La realtà si rifrange in una molteplicità di visioni prospettiche di un unico oggetto. Diverse vie di ricerca, nell’esplorazione della natura, possono giungere ad una medesima meta. Bruno ritiene di possedere una chiave di lettura per mezzo della quale può interpretare e accogliere le diverse filosofie. Ammette una pluralità di interpretazioni di quell’unico testo che è il libro della natura. "(...)del medesmo oggetto possono esser giodici diversi sensi, e la medesma cosa si può insinuar diversamente. Oltre che (come è stato toccato) la considerazione di una cosa si può prendere da diversi capi. Hanno detto molte cose buone gli epicurei, benché non s’inalzassero sopra la qualità materiale. Molte cose exellenti ha date a conoscere Eraclito, benché non salisse sopra l’anima. Non manca Anassagora di far profitto della natura, perché non solamente entro a quella, ma fuori e sopra forse, conoscere voglia un intelletto, il quale medesmo da Socrate, Platone, Trismegisto e nostri teologi è chiamato Dio. Cossì nientemanco bene può promovere a scuoprir gli arcani della natura uno che comincia dalla raggione esperimentale di semplici (chiamati da loro), che quelli che cominciano dalla teoria razionale. E di costoro, non meno chi da complessioni che chi da umori, e questo non più che colui che descende da’ sensibili elementi, o, più da alto, quelli assoluti, o da la materia una, di tutti più alto e più distinto principio. (...) Circa il modo poi di filosofare, non men comodo sarà di esplicar le forme come da un implicato che distinguerle come da un caos, che distribuirle come da una fonte ideale, che cacciarle in atto come da una possibilità, che riportarle come da un seno, che dissotterrarle alla luce come da un cieco e tenebroso abisso: perché ogni fundamento è buono, se viene approvato per l’edificio, ogni seme è convenevole se gli arbori e frutti sono desiderabili." Il pluralismo filosofico e metodologico di Bruno è decisamente affermato nel terzo dialogo (che risulta per molti versi centrale nello svolgimento del De la Causa). Le molteplici vie, le diverse forme di sapere, le arti e le scienze, sgorgano da un’unica fonte, e, percorrendo cammini più o meno lunghi, si può giungere ad una medesima meta. Bruno si dichiara disposto ad accogliere metodi e dottrine provenienti da tutte le tradizioni filosofiche: "Eccovi dunque come non è sorte di filosofia, che sia stata ordinata da regolato sentimento, la quale non contegna in sè qualche buona proprietà che non è contenuta da le altre."

Ma tra strutture della realtà naturale e strutture della conoscenza dev’esserci corrispondenza: alle nostre parole debbono corrispondere le cose. È possibile giudicare della bontà delle diverse filosofie a seconda della loro lontananza dalla natura. Il sapere di Aristotele è rimosso dalla natura e fondato sulle immaginazioni. Aristotele ha fatto credere che non esiste che una sola via per investigare l’universo naturale, ha disprezzato e frainteso le dottrine degli antichi e i loro modi di filosofare. Ha rinchiuso il mondo della filosofia entro orizzonti immaginari, condannando all’oblio una visione del mondo, un’immagine della natura. L’antica filosofia di cui parla Bruno non va intesa come un insieme di dottrine ben definite. Gli antichi sono per Bruno principalmente i presocratici, che ricercarono l’arché, il principio delle cose naturali, ciò che per Bruno è il riflesso di una più alta unità. Continui sono nel De la Causa i richiami al Timeo platonico, e a Plotino. Tra i contemporanei, punti di riferimento sono il Cusano, Copernico, Paracelso. Bruno cerca di adeguare metodi e linguaggi ad una immagine della natura profondamente mutata rispetto alla visione tradizionale. Il tentativo di distruzione del vecchio mondo che rompe vecchi schemi dissolvendoli dall’interno, si attua attraverso la libera utilizzazione di linguaggi provenienti da fonti diverse.

Nel De la Causa Bruno ritesse le fila di tradizioni varie in un nuova trama. Le diverse filosofie sono reinterpretate e rielaborate alla luce dell’Uno. Si tratta della ricerca di una nuova sintesi, di un nuovo punto di vista da cui guardare alla intera tradizione filosofica, punto di vista che si situa al di là della falsificazione e stravolgimento delle dottrine degli antichi operata da Aristotele, del confronto tra universi linguistici diversi e per certi aspetti lontani. Gli antichi, pur da differenti punti di vista, indagarono alla ricerca di un principio primo e lo chiamarono con diversi nomi. Occorre risalire alla pietra di paragone, in base alla quale poter ricomporre i frammenti di verità contenuti nelle diverse filosofie in un tutto, sanare la frattura avvenuta tra parole e cose, realtà e rappresentazione.

Bruno ritiene di possedere una chiave ermeneutica in base alla quale poter interpretare le diverse filosofie, tradurre i linguaggi l’uno nell’altro, guardare ai lontani e opposti da un punto di vista privilegiato. A chi attinge a questa fonte, a chi possiede questa chiave si aprono allo sguardo gli spazi infiniti.

 

La difficoltà dell’impresa

Nel De la Causa Bruno si presenta come colui che è in grado di condurre fuori da un profondo abisso, in cui i suoi avversari sono rinchiusi, a rivedere il cielo disseminato di stelle. Come i prigionieri nel fondo di un’oscura torre, costoro non riescono più a vedere il cielo. Alla vista del vero volto della natura, queste creature della notte fuggono nelle loro tane, non sopportano lo splendore del sole: a costoro la luce del mattino appare come buio profondo. Sono ciechi e non sanno di esserlo. Hanno trasformato il cielo stellato in un cieco abisso. La magia di Bruno consiste all’inverso nel tramutare queste tenebre in luce. Impresa difficilissima è risalire il profondo abisso della conoscenza, la tranquilla e serena contemplazione di un cielo limpido, stellato, aperto è preceduta ed è resa possibile dalla faticosa e ardua ricerca dell’Uno, che verrà intrapresa nel De la Causa. Al termine del cammino, appaiono finalmente le stelle, ossia i nodi di una nuova trama concettuale, i fondamenti per procedere all’esplorazione dell’universo infinito. Occorre purificare l’occhio della mente, dissipare le ombre in cui è avvolto, per poter nuovamente contemplare gli spazi cosmici. Oltre questa dimensione umbratile si attinge alla sorgente, al luogo di conciliazione degli opposti, da cui è possibile l’avvio a tutte le metamorfosi. Compito della filosofia è tentare di avvicinarsi a quel mistero, a quelle profondità insondabili nella consapevolezza della radicale insufficienza della ragione umana e della parzialità di ogni punto di vista soggettivo, unilaterale, mettendo in atto strategie conoscitive adeguate alla natura proteiforme, mutevole del volto della natura, che è riflesso visibile e manifestazione della natura inesauribile, inattingibile della divinità. Il policentrismo cosmico bruniano si traduce sul piano conoscitivo nella considerazione delle diverse prospettive da cui guardare alla cosa, prospettive che si integrano vicendevolmente. L’esplorazione della realtà, prisma a molte facce, richiede strumenti estremamente duttili, flessibili: perché solo per brevi attimi la luce divina, che risplende nella natura, si mostra, si concede a chi cerca di afferrarla, mentre essa fugge, si nasconde, si ritrae, si vela. È qui che trova la ragione la proposta di una chiave, quella offerta nel De la Causa, cioè l’indicazione di vie, di metodi, di procedure di conoscenza.

 

Struttura della realtà e strutture della conoscenza

Per poter intendere i diversi linguaggi umani, occorre saper riconoscere dietro le parole, l’anima, dietro al testo, la "voce" che in esso risuona. Allo stesso modo per poter leggere ed interpretare il libro della natura, occorre ascoltare e riconoscere quella "voce" che da tutti i luoghi fortemente riecheggia, e incessantemente chiama: "voce" nella quale si compongono in armonia le innumerabili voci e gli infiniti ritmi delle cose. Riconoscere oltre la molteplicità e multiformità della natura, la rete della vita, la struttura profonda, nascosta, le infinite diramazioni attraverso le quali la vita scorre. La realtà si dispiega attraverso un’ordinata successione di piani che si richiamano e si rimandano l’un l’altro: ad ogni livello si ripetono i medesimi fenomeni regolati da medesime leggi. Ogni piano riecheggia il successivo, come in un infinito gioco di specchi. L’isomorfismo che contraddistingue i livelli del reale, si riproduce nella scala del sapere. Nel configurarsi della materia si fa a poco a poco visibile ciò che era racchiuso nel seme, allo stesso modo si presenta l’ordine della conoscenza, che risale dalla superficie esterna all’interna struttura delle cose ripercorrendo in senso inverso le vie della natura. Lo svolgimento del percorso conoscitivo a imitazione della natura muove dall’indistinto alla distinzione delle parti e quindi alla considerazione delle parti come membra di un tutto. Il quadro unitario, la trama per mezzo della quale collegare le parole le une alle altre rispecchia la struttura profonda della realtà, la trama della vita. È l’anima dell’universo, che tutto vivifica e pervade, l’elemento che tutto collega e unisce, in un’unica rete.

La realtà presenta dunque una struttura stratificata: un’Unità ricca di aspetti, che si esprime e si manifesta in una complessa trama di articolazioni e relazioni. Così, per ripercorrere in senso inverso tale struttura, occorre individuare i punti di intersezione tra i diversi piani della realtà, i punti medi tra gli estremi: tra natura e uomo, tra anima e materia, tra materia e forma, tra corporeo e incorporeo. Ancora, ad esempio, tra principio e causa: termini che vanno distinti e sembrano escludersi a vicenda, ma che nel corso del dialogo risultano pertinenti ad un unico oggetto, l’anima universale. Anima come vita che informa il corpo, ma anche come realtà che esiste fuori del corpo e della contingenza spazio-temporale: la vera essenza dell’uomo è ciò che sopravvive alla morte, il principio indistruttibile, che nell’anima universale ha il suo punto di innesto, le sue radici, così come la vera sostanza dell’universo è l’anima universale, immutabile e annichilabile. L’uso dello strumento analogico conduce a rilevare differenze e concordanze, identità e diversità. Procedimenti simili sembrano ripetersi nello svolgimento dei dialoghi della Causa, la struttura dell’opera è analoga alla struttura a diversi piani della realtà, uno stesso dinamismo si riflette a diversi livelli, in forme analoghe: il rapporto tra anima e corpo nell’uomo presenta analogie e differenze con il rapporto tra anima e corpo dell’universo, il rapporto tra l’artefice umano e le sue opere rimanda a quello che intercorre tra l’artefice naturale e le opere della natura.

 

Il movimento del dialogo

Il movimento del dialogo, in quest’opera, è movimento tra diversi e contrari punti di vista, per trovare il punto dell’unione, cioè della trasformazione di un contrario nell’altro, della traduzione di un linguaggio nell’altro. "Eccovi quella specie di filosofia nella quale certa e veramente si ritrova quello che ne le contrarie vanamente si cerca." I termini filosofici tradizionali aristotelici vengono saggiati al fuoco alchimico della filosofia bruniana. Occorre disossare le parole, soppesarle, riportarle alla fonte. Ciò significa ricostruire la trama dei significati che lega i termini gli uni agli altri, individuare analogie e differenze, procedere come per concatenazioni nelle quali un concetto è chiarificato da altri, scomporre e ricomporre, per risalire all’essenza, alla radice, da cui i entrambi contrari, anima e materia, si svolgono. "In conclusione, chi vuol sapere massimi secreti di natura, riguardi e contemple circa minimi e massimi de gli contrarii e oppositi. Profonda magia è saper trar il contrario dopo aver trovato il punto de l’unione".

Aristotele "errò a tutta passata, dicendo i contrarii non posser attualmente convenire in soggetto medesimo."

Nella prassi didattica del dialogo sono all’opera i metodi, le procedure di conoscenza che il De la Causa vuole proporre: l’arte del pensare di Bruno. Forma e contenuto si intrecciano dunque nell’opera: è necessario seguire il movimento del dialogo nel suo dipanarsi, il percorso nel suo svolgersi. Altrimenti si corre il rischio di cucire e ricucire, di isolare e fraintendere singole affermazioni estrapolandole dal contesto in cui sono inserite.

Cercheremo di seguire il movimento di distruzione e di ricostruzione di un nuovo cosmo di significati, della nuova trama di concetti filosofici che si svolge dall’Uno, prendendo in considerazione solo alcuni passaggi, alcuni nodi di quel percorso.

Considerando l’oggetto da molteplici punti di vista, anche opposti tra loro, Bruno cerca di raggiungere il primo principio, sorgente dell’essere, in cui ogni contrapposizione e ogni dualismo sono risolti e superati. Si tratta di un avvicinamento graduale, attraverso particolari strategie conoscitive, a quell’Uno che si sottrae ad ogni definizione. Si prende in considerazione la cosa da molteplici lati, esplorando in profondità i fondamentali concetti filosofici, come quelli di anima e materia. La ridefinizione dei significati investe tutto l’apparato terminologico della filosofia aristotelica. Le principali categorie e classificazioni aristoteliche risultano parole prive di un corrispondente nella realtà, gusci vuoti. Gli aristotelici, dice Bruno, sono simili a coloro che sanno foggiare delle belle spade, ma non sanno come adoperarle: non basta possedere metodi e strumenti di conoscenza, se non si sa come usarli, il rischio è costringere la realtà entro la gabbia delle classificazioni e distinzioni concettuali, senza però possedere la cosa più importante, cioè la chiave che consente di aver ingresso alla contemplazione della natura, che solo può dare significato agli strumenti, linguistici e filosofici a cui ricorriamo per studiare ed investigare l’universo naturale. "Teofilo. Lascio che è facil cosa ordinare la dottrina demostrativa, ma il demostrare è difficile; agevolissima cosa è ordinare le cause, circostanze e metodi di dottrine; ma poi malamente gli nostri metodici e analitici metteno in esecuzione i loro organi, principii di metodi ed arti de le arti. Gervasio. Come quei che san far sì belle spade, ma non le sanno adoperare."

Metodi, categorie, concetti, hanno lo scopo di promuovere alla contemplazione dell’Uno, ma la divinità resta inattingibile e ineffabile, inafferrabile e incatturabile nelle reti delle definizioni e dei concetti. Le parole, i nomi, possono indirizzare lo sguardo, indicare il percorso da seguire.

Il ricorso ad immagini e similitudini, in quest’opera, ha la funzione di avvicinare gradualmente l’interlocutore alla comprensione del concetto che si vuole esplicare.

 

Principio e causa

Difficilissimo è cercare di risalire dalle cose principiate e causate alla prima causa e principio, ossia conoscere la causa e il principio primo dai suoi effetti, perché questi ultimi si situano lontanissimi da quel centro da cui hanno origine, come gli echi di una voce che ci giungono da luoghi remoti. Questo mondo sensibile non è che lo specchio, l’immagine, l’ombra, la veste che insieme nasconde e rivela, il segno sensibile che annuncia e rinvia oltre di sé. Ciò che noi vediamo non sono che gli accidenti degli accidenti, mentre la sostanza resta sconosciuta.

Bruno introduce qui la similitudine con l’arte: questo paragone consente, lungo l’opera, di percorrere un cammino parallelo: "Il che medesmo si può considerare ne le cose artificiali, in tanto che chi vede la statua, non vede il scultore; chi vede il ritratto di Elena, non vede Apelle, ma vede lo effetto de l’operazione che proviene da la bontà de l’ingegno d’Apelle, il che è uno effetto degli accidenti e circostanze de la sustanza di quell’uomo, il quale, quanto al suo essere assoluto, non è conosciuto punto."

Le opere naturali rimandano ad un artefice che opera con intelligenza e secondo un fine. Il filosofo delimita la sua ricerca in un ambito naturale, considera non l’artefice, ma le sue opere: "consideramo del principio e causa per quanto, in vestigio, o è la natura istessa o pur riluce ne l’ambito e grembo di quella". Ricerca le tracce, le orme nel mondo sensibile della luce che risplende nella natura, il Dio nelle cose, le investiga, le interpreta, le studia, le osserva nella consapevolezza della radicale insufficienza dei modi del conoscere umani. Come dalle sue opere non vediamo l’artista, così conoscere l’universo e la natura è come conoscere nulla della divinità. Tuttavia come l’opera d’arte è specchio dell’anima dell’artista, così l’universo è immagine della divinità.

Si tenta di risalire dagli effetti, dalla manifestazione, alla causa, come dal corpo all’anima, come dalle parole al significato.

Per scoprire e ricercare ciò che è principio e ciò che è causa, è necessario superare prospettive parziali, che rimangono alla superficie delle cose. Dall’esplorazione in profondità di due concetti fondamentali contenuti nel titolo dell’opera, principio e causa, vengono aperte molteplici vie di ricerca. La rivoluzione filosofica bruniana si realizza attraverso la ridefinizione delle categorie e distinzioni aristoteliche, modificando i confini tra le parole. Bruno adotta il linguaggio dell’avversario, per piegarlo a nuovi significati. Muovendosi entro l’orizzonte linguistico aristotelico, ne infrange i confini.

Alla radice, in Dio, principio e causa coincidono, si identificano. Chiamiamo Dio primo principio e prima causa perché è la sorgente dell’essere, tutte le cose vengono dopo di lui, secondo un certo ordine, ma al tempo stesso tutte da lui derivano e sono da lui distinte come gli effetti dalla causa. Nell’ordine delle cose naturali i due termini vanno invece distinti: benché siano a volte usati come sinonimi, i cui significati si intersecano e in certi casi sembrano sovrapporsi. "Benché alle volte l’uno si usurpa per l’altro, nulladimeno, parlando propriamente, non ogni cosa che è principio, è causa, perché il punto è principio della linea, ma non è causa di quella; l’instante è principio dell’operazione; il termine onde è principio del moto e non causa del moto; le premisse son principio dell’argumentazione, non son causa di quella." Principio è "quello che intrinsecamente concorre alla constituzione della cosa e rimane nell’effetto, come dicono la materia e forma, che rimangono nel composto, o pur gli elementi da’ quali la cosa viene a comporsi e nÈ quali va a risolversi. Causa chiami quella che concorre alla produzione delle cose esteriormente, ed ha l’essere fuor de la composizione, come è l’efficiente e il fine, al qual è ordinata la cosa prodotta."

Principio è un termine più generale che causa, perché non ogni cosa che è principio, è per questo anche causa. Nelle cose naturali, principio non è inteso come inizio, ma come ciò che concorre dall’interno alla costituzione della cosa e rimane nell’effetto: questo significato lo avvicina a quello di elemento, o alla forma e materia aristoteliche, entrambe considerate appunto principi delle cose naturali. Mentre causa è ciò che concorre alla produzione della cosa, ma opera dal di fuori, estrinsecamente, nel linguaggio aristotelico è l’efficiente e il fine. La materia è per Bruno principio, mentre la forma o anima è causa. Questo secondo dialogo, pur trattando principalmente della causa, anticipa lo schema complessivo dell’opera e affronta quindi i temi che verranno approfonditi in seguito. Bruno muove dal dualismo aristotelico di materia e forma o anima, identificate almeno inizialmente con il principio e la causa, ma nello svolgimento del dialogo gli stessi concetti di anima, forma, materia, muteranno i loro significati. La metamorfosi dei significati avviene perché i termini filosofici vengono inseriti in un diverso e più ampio contesto, in una diversa trama di relazioni.

L’esplorazione dei significati racchiusi nel concetto di causa efficiente aristotelico, potrebbe fornire una via d’accesso per penetrare nella cognizione della causa prima. Bruno identifica la causa efficiente con l’intelletto universale, che procede dal primo intelletto divino e che è chiamato con diversi nomi: è detto ‘fabro del mondo’ dai Platonici, ‘motore dell’universo’ dai Pitagorici, ‘occhio del mondo’ da Orfeo, ‘padre e progenitorÈ da Plotino. A questa stessa realtà alluse il poeta, Virgilio (totamque infusa per artus /mens agitat molem, et toto se corpore miscet), e ciò vollero significare teologi e filosofi. Nomi diversi per indicare un medesimo oggetto, ma i cui significati sono andati in parte perduti o fraintesi. Le parole della filosofia sono divenute parole vuote di contenuto, a cui non corrisponde nessun oggetto nella realtà. Attraverso l’analisi dei concetti filosofici fondamentali (anima, materia, intelletto) si tenta di precisare il senso delle parole, servendosi di termini ad esse collegati, vicini, allo scopo di recuperare il senso più profondo di quelle antiche espressioni. Indagine che porta a una revisione dei significati, che risultano in parte mutati, a volte addirittura rovesciati, come accade per le fondamentali categorie aristoteliche. Se tale esplorazione, sembra in alcuni casi poter condurre alla traduzione del linguaggio bruniano in concetti e forme tradizionali, occorre tuttavia tener presente che dietro l’apparente affinità di espressioni si celano significati in parte diversi, come nel caso dell’intelletto universale, il quale, pur conservando i tradizionali appellativi, assume nuove connotazioni.

Mentre l’arte dell’uomo si applica ad una materia a lui esterna, questo intelletto universale opera come un artefice interno, "che forma la materia e la figura da dentro, come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe; da dentro il stipe caccia i rami; da dentro i rami le formate brance; da dentro queste ispiega le gemme; da dentro forma figura, intesse, come di nervi, le frondi, gli fiori, gli frutti; e da dentro, a certi tempi, richiama gli suoi umori da le frondi e frutti alle brance, da le brance agli rami, dagli rami al stipe, dal stipe alla radice".

A differenza dell’arte umana che agisce sulla superficie della sua materia e "suscita le forme o per suttrazione, come quando de la pietra fa statua, o per apposizione, come quando, giongendo pietra a pietra e legno e terra, forma la casa", questo artefice interno "dall’intrinseco della seminal materia" opera simultaneamente in tutte le direzioni.

Il seme, o l’uovo si esplica sdoppiandosi al suo interno e l’organismo si sviluppa configurandosi simmetricamente attorno al centro.

L’intelletto universale opera come un artefice interno, e quindi è causa estrinseca, ma rimane distinto da ciò che produce, non è parte dei composti, è incorruttibile e la sua relazione con i corpi viene illustrata da Bruno ancora una volta per mezzo di un’immagine, di un paragone: l’anima è nel corpo come il nocchiere nella nave, che, in quanto è mosso insieme alla nave, si può dire sua parte, cioè causa intrinseca, ma poiché è lui che muove e governa la nave, si deve intendere pure come parte estrinseca, distinto efficiente. Allo stesso modo si può dire che l’intelletto universale è causa intrinseca e insieme estrinseca delle cose da lui prodotte, perché tra intelletto umano e intelletto universale e la relazione che essi hanno con il loro corpo (rispettivamente il corpo dell’uomo e il corpo universale) esiste un’analogia: l’intelletto umano regge e governa il corpo, come l’intelletto universale il mondo.

L’intelletto universale "che empie il tutto, illumina l’universo e indrizza la natura a produre le sue specie come si conviene" è "l’intima, più reale e propria facultà e parte potenziale dell’anima del mondo". È "la natura istessa", una natura più profondamente intesa. Come l’artefice umano realizza nella materia ciò che ha prima concepito per mezzo dell’immaginazione nella sua mente, così "questo intelletto, che ha facultà di produre tutte le specie e cacciarle con sì bella architettura dalla potenza della materia a l’atto, bisogna che le preabbia tutte secondo certa raggion formale, senza la quale l’agente non potrebe procedere alla sua manifattura; come al statuario non è possibile d’essequir diverse statue senza aver precogitate diverse forme prima". L’anima è la causa formale universale. È l’unica forma, fonte di tutte le forme; tutte le contiene virtualmente in sè e dà origine a diversi esseri viventi a seconda della diversità che trova nelle disposizioni materiali a cui si applica. Poiché l’intelletto universale non è distinto dall’anima del mondo, causa formale, efficiente e finale coincidono.

 

L’anima universale

In tutte le cose è la vita, e quindi in tutte è l’anima. Ovunque presente, tutto pervade. Attraverso infinite diramazioni la vita scorre in tutte le cose, lega ogni cosa con ogni cosa. Come una voce che da tutti i luoghi risuona, voce moltiplicata e moltiplicabile all’infinito, o come uno specchio frantumato che rimanda da tutte le parti un’unica immagine. L’anima universale è l’unica forma, fonte di tutte le forme, presente ad un livello profondo in ogni frammento di realtà dell’universo. È in un certo modo intima, interna alle cose naturali, e in un certo modo esterna. È unica, ma si differenzia a assume diversi volti a seconda delle disposizioni materiali a cui si applica. Le diverse forme sensibili nascono dall’incontro di quest’unica forma con diverse complessioni e disposizioni materiali. È il vero atto e la vera forma di tutte le cose: mentre le forme particolari che si mutano e si annullano, non sono vere sostanze, ma accidenti. Questa forma sempre si accompagna alla materia.

 

Due forme di cecità

La filosofia di Bruno vuole insegnare a vedere ciò che non si mostra alla vista sensibile. La cecità di coloro che non riescono a vedere l’unica forma, al di sotto di tutte le forme, e quella di coloro che non riescono a vedere l’unica materia, al di sotto delle molte materie, rappresentano due posizioni che nello svolgimento del dialogo si rivelano opposte e speculari.

Bruno vuole condurre il suo interlocutore oltre la superficie delle cose. Ma se l’analogia con le arti serve ad aprir la mente, a condurre lo sguardo oltre quella soglia, può aiutare a comprendere ciò che accade in natura, occorre rilevare insieme alle concordanze, le differenze. Tramite la similitudine con l’arte, già usata da Pitagorici, Platonici e Peripatetici, possiamo conoscere la materia occulta, che si cela sotto le forme sensibili, e tuttavia la relazione tra forma e materia va intesa "secondo debita proporzione".

L’artefice umano si applica ad una materia a lui esterna, agisce sulla superficie delle cose, aggiungendo e sottraendo, mentre l’artefice naturale opera dall’interno, intessendo forme e figure dal centro della sua materia. L’arte umana si applica a una materia già formata, mentre il soggetto dell’arte della natura è del tutto privo di forme e distinzioni, poiché ogni differenza proviene dalla forma. Come il soggetto dell’arte umana è una materia che può essere foggiata in varie figure dall’artefice, così la materia delle cose naturali non possiede alcuna forma, ma tutte le può ricevere. Quest’unica materia del tutto informe e indeterminata è il sostrato che permane al di sotto delle continue trasformazioni che si succedono sul dorso di essa. Non è percebile con i sensi, non si identifica con la corporeità. Poichè questa si sottrae alla visione sensibile, può essere raggiunta solo tramite procedure razionali, può essere individuata solo dall’occhio della mente. Infatti non con il medesimo occhio vediamo il soggetto della natura e quello delle arti. Con diversi principi di cognizione e con diversi occhi possiamo conoscere l’uno e l’altro: con gli occhi sensitivi questo, con l’occhio della mente quello. Con gli occhi sensibili si vede solamente il perenne trascorrere e trasmutarsi delle forme, non l’unica materia, immutabile, che ad esse soggiace. Così il Timeo pitagorico insegnava a cercare la materia occulta, nascosta profondamente al di sotto delle forme sensibili, la "cosa terza", che persiste sotto i mutamenti e non si annichilisce, ciò che assume e depone le vesti che riceve, il soggetto dei contrari, poiché un contrario non accoglie e riceve l’altro: "dove era la forma della terra", dice lui, "appresso appare la forma de l’acqua", e qua non si può dire che una forma riceva l’altra; perché un contrario non accetta né riceve l’altro, cioè il secco non riceve l’umido o pur la siccità non riceve la umidità, ma da una cosa terza vien scacciata la siccità e introdotta la umidità, e quella terza cosa è soggetto dell’uno e l’altro contrario, e non è contraria ad alcuno."

Chi non possiede quello strumento che solo può permettere di vedere oltre la superficie corporea, e resta confinato in una visione materialistica, è simile a un cieco che non sa di esserlo, che vorrebbe conoscere i colori e le forme, che sono evidenti solo a chi possiede la luce dell’intelletto.

 

Alchimia e filosofia

Simile all’attività dell’alchimista è quella del filosofo. Come l’alchimista cerca di liberare l’anima del minerale, imprigionata nella spessa e dura pietra, per mezzo dell’arte della separazione, le virtù attive dagli involucri corporei, così attraverso la separazione, la distinzione di ciò che solo astrattamente può essere separato, poiché nella realtà l’anima o forma è indissolubilmente unita alla materia, si cerca di raggiungere il centro indivisibile, il nucleo nascosto, che si sottrae ad ogni scomposizione, da cui procedono entrambi contrari.

Indissolubili e annichilabili sono per Bruno, l’anima o forma e la materia, ciò che muta e perde l’essere sono solo le forme esteriori. La materia è, come l’anima, un principio costante ed eterno. Dissolvendosi i composti, né la sostanza spirituale né quella materiale si annullano. Vera sostanza è l’unica forma. Tutte le altre forme - le forme sostanziali di cui parlano certi aristotelici - non possono dirsi sostanze, perché consistono "non in altro che in certa complessione e ordine di accidenti": "Vedete dunque come trattano questa forma sustanziale che è l’anima; la quale, se pur per sorte è stata conosciuta da essi per sustanza, giamai però l’hanno nominata né considerata come sostanza. Questa confusione molto più evidentemente la possete vedere, se dimandate a costoro la forma sustanziale d’una cosa inanimata in che consista, come la forma sustanziale del legno. Fingeranno quÈ che son più sottili: nella ligneità. Or togliete via quella materia, la quale è comune al ferro, al legno e la pietra, e dite:- Quale resta forma sustanziale del ferro? Giamai ve ne diranno altro che accidenti. E questi sono tra’ principii d’individuazione e danno la particularità, perché la materia non è contraibile alla particularità se non per qualche forma; e questa forma, per esser principio constitutivo d’una sustanza, vogliono che sia sustanziale, ma poi non la potranno mostrare fisicamente se non accidentale. E al fine, quando aranno fatto tutto, per quel che possono, hanno una forma sustanziale, sì, ma non naturale, ma logica; e cossì, al fine, quale logica intenzione viene ad esser posta principio di cose naturali."

Qui Bruno allude agli scotisti (che oltre le forme specificanti, posero le forme individuanti, le ecceità). Il procedimento usato da Bruno si potrebbe definire di tipo alchimistico: si toglie progressivamente tutto ciò che è accidente, sovrastruttura, per raggiungere, l’essenza, il centro, l’anima. Le forme aristoteliche risultano vuote di contenuto, determinazioni solo logiche, prive di un corrispondente nella realtà. Si riducono a semplici suoni, voci, privi di significato.

Cosideriamo ora la cosa dall’altro lato. Dal fatto dunque che, pur concependo la forma come sostanza, Aristotele non riesce poi a concepirla che come accidentale, alcuni, come Avicebron, furono indotti a credere erroneamente che l’unica sostanza fosse la materia, perché solo la materia sembra essere principio sostanziale, cioé che permane stabilmente al di sotto delle diverse configurazioni che si succedono sul dorso di essa. Le forme, che vanno e vengono, nascono, si corrompono e muoiono, non possono definirsi "principio". Avicebron chiamò perciò la materia principio eterno e divino, e disprezzò la forma aristotelica considerandola mutabile e corruttibile, accidentale rispetto alla materia, e ne negò la sostanzialità. Ma questo avvenne perché si fermò alla considerazione della corruttibilità delle forme naturali e non arrivò a conoscere l’unica forma, fonte di tutte le forme, vera sostanza, ritrovata e discussa nel secondo dialogo.

 

La materia come potenza

Il medesimo oggetto si può indagare a partire da molteplici prospettive e percorrendo diverse vie: si tenta ora di avvicinarsi all’Uno per una via diversa e opposta, dopo che nel secondo dialogo si era tentato di raggiungerlo attraverso l’analisi dei concetti di causa, intelletto e anima. Nel secondo dialogo si era parlato della forma, la quale è causa, piuttosto che principio, ora si prende a considerare il polo opposto, cioé la materia, che è da intendersi più come principio ed elemento che come causa.

Ogni cosa può essere considerata in diversi modi, e la materia, di cui si parla, può essere considerata come potenza e come soggetto. Nel terzo dialogo Bruno prende in esame la materia come potenza, mentre nel quarto parlerà della materia come soggetto. La materia intesa come potenza è presente anche nel mondo intelligibile, afferma Bruno: "In quanto che presa nella medesima significazione che potenza, non è cosa nella quale, in certo modo e secondo la propria raggione, non possa ritrovarse, e gli pitagorici, platonici, stoici e altri non meno l’han posta nel mondo intelligibile che nel sensibile". Tuttavia Bruno ritiene di possedere un superiore punto di vista, in grado di superare le diverse prospettive da cui finora si è guardato alla "cosa", e di intendere in un senso più alto la materia. "E noi, non la intendendo appunto come quelli la intesero, ma con una raggione più alta e più esplicata, in questo modo raggionamo della potenza over possibilità." Occorre infatti riconsiderare i concetti filosofici dal punto di vista dell’Uno: nel nuovo quadro di riferimento che si svolge e si muove dall’Uno, anima e materia ricevono un nuovo e più ampio significato, come risulterà chiaro nel quarto dialogo.

La potenza, argomenta Bruno, può essere distinta in attiva e passiva. Potenza di fare e potenza di essere fatto sono presenti ad ogni livello della realtà: l’una implica l’altra, pone l’altra, non possono andar disgiunte. La materia intesa come potenza è presente anche in Dio, in cui atto e potenza coincidono assolutamente. Nel primo principio la potenza non precede né segue l’atto: Dio è infatti tutto quello che può essere. Nelle cose naturali l’atto è distinto dalla potenza, perché non sono tutto quello che possono essere.

"Or contempla il primo e ottimo principio, il quale è tutto quel che può essere, e lui medesimo non sarebe tutto se non potesse essere tutto; in lui dunque l’atto e la potenza son la medesima cosa. Non è cossì nelle altre cose, le quali, quantunque sono quello che possono essere, potrebono però non esser forse, e certamente altro, o altrimente da quel che sono; perché nessuna altra cosa è tutto quel che può essere. Lo uomo è quel che può essere, ma non è tutto quel che può essere. La pietra non è tutto quello che può essere, perché non è calci, non è vase, non è polve, non è erba. Quello che è tutto che può essere, è uno, il quale nell’esser suo comprende ogni essere. Lui è tutto quel che è e può essere qualsivoglia altra cosa che è e può essere. Ogni altra cosa non è cossì. Però la potenza non è equale ad uno atto, perché non è atto assoluto, ma limitato; oltre che la potenza sempre è limitata ad uno atto, perché mai ha più che uno essere specificato e particolare: e se pur guarda ad ogni forma ed atto, questo è per mezzo di certe disposizioni e con certa successione di uno essere dopo l’altro."

Mentre Dio è tutto ciò che può essere "indifferentemente e unitamente", l’universo "è tutto quello che può essere, ma secondo un modo esplicato, disperso, distinto", perché nessuna delle sue parti è tutto ciò che può essere. La coincidenza di atto e potenza presente in Dio si riflette in modo specifico nel suo simulacro, l’universo. Considerato complessivamente, come totalità dell’essere esplicazione del primo principio, l’universo realizza a suo modo la coincidenza di atto e potenza, di forma e materia, e quindi di anima e materia. Quindi l’universo "secondo la sustanza, è uno". "Tutto è uno": Bruno raggiunge qui le conclusioni che rappresentano le premesse necessarie allo svolgimento del quarto dialogo, dove troverà quell’unità, cioè il principio universale della vita, che costituisce la chiave offerta nel De la Causa, la radice in cui gli estremi della scala di natura, potenza e atto, materia e anima, si riducono ad uno."Volete dunque che, benché descendendo per questa scala di natura, sia doppia sustanza, altra spirituale, altra corporale, che in somma l’una e l’altra se riduca ad uno essere e una radice." A questa chiave Bruno arriverà dunque nel quarto dialogo, e aprirà le porte alla contemplazione di un universo infinito.

 

La ricerca della chiave della trasformazione dei contrari nel quarto dialogo

Dopo aver considerato l’oggetto da diverse prospettive, esplorando in profondità due categorie fondamentali, materia e forma, si prende ora in esame lo stesso schema in cui sono inserite: è il rapporto forma-materia o anima-materia che è al centro del quarto dialogo. È la trattazione della materia come soggetto, sostrato, che aprirà la via che condurrà all’Uno. La materia è definita da aristotelici e platonici in termini del tutto negativi, essa è l’opposto speculare della forma o anima. Non è concepibile per sé, ma si può conoscere solo tramite la similitudine con la forma, e quindi in contrapposizione ad essa. La materia è detta caos, silva, potenza o attitudine a ricevere le forme, sostrato del tutto indeterminato, del tutto informe, privazione, anzi non essere, o almeno prope nihil, quasi nulla, tabula rasa, foglio bianco, tavola non scritta. La materia, mai paga di ricevere sempre nuove forme, è simile alla donna, causa di ogni male, difetto, corruzione, per la sua imperfezione. Materia e forma si situano agli estremi opposti della scala di natura nello schema tradizionale. Attraverso la demolizione di questo concetto puramente negativo di materia, Bruno dissolverà il rigido dualismo aristotelico: a un rapporto di contrapposizione e di subordinazione sostituirà la reciprocità e complementarietà dei due poli, che nella loro distinzione e diversità concorrono entrambi alla vita. Mediante la ridefinizione dei due termini coinvolti, è possibile ripensare questa unità-dualità. Bruno ricerca il punto dell’unione, il punto in cui un contrario si trasforma e si converte nell’altro. Il movimento del dialogo dipanandosi in mezzo a classificazioni e schemi tradizionali, come quello della scala di natura, collocherà in una diversa prospettiva, in un diverso quadro i fondamentali concetti filosofici.

Il percorso del dialogo conosce nel suo svolgersi dei nodi, dei veri e propri salti qualitativi, e infine è attraverso un radicale ribaltamento del piano del discorso, dopo la demolizione del concetto di materia aristotelico, che Bruno perviene all’Uno, dileguando e dissolvendo tradizionali quadri concettuali peripatetici (il dualismo materia-forma, causa-principio, potenza-atto) che rivelano la loro incosistenza. Si tratta di un avvicinamento graduale, scandito da passaggi, da cambiamenti di prospettiva, attraverso cui si giunge infine a un rovesciamento dei significati.

Cercheremo di seguire analiticamente questo percorso. Bruno ricerca il punto dell’unione che consente la conversione dei contrari, il passaggio dall’uno all’altro.

Dopo aver parlato della materia come potenza, Bruno dunque considera la materia come soggetto. Ogni essenza è fondata sopra qualche essere, per cui come "ogni sensibile presuppone il soggetto della sensibilità, cossì ogni intelligibile il soggetto della intelligibilità". Nel mondo intelligibile la distinzione e la molteplicità delle idee rende necessaria l’esistenza di qualcosa che le accomuni in quanto idee: "quello che è comune, tien luogo di materia, quello che è proprio e fa distinzione, tien luogo di forma." Per questa ragione Plotino, in analogia con il mondo sensibile, pone la materia anche nel mondo intelligibile.

Materia corporea e materia incorporea rinviano ad un substrato comune: ogni distinzione infatti procede da un comune fondamento indistinto, "a cui si aggionge la differenza e forma distintiva". Se la materia non si identifica con la corporeità, e "precede, secondo sua natura, l’essere corporale, che dunque la può fare tanto aliena da le sustanze dette incorporee?" Con vari argomenti si dimostra che la materia di cose sensibili e intelligibili è la stessa.

Mentre la prima si presenta come "absoluta da le dimensioni", la seconda è "contratta alle dimensioni": "Perché la medesima materia (voglio dir più chiaro) il medesimo che può esser fatto o pur può essere, o è fatto, è per mezzo de le dimensioni ed extensioni del suggetto, e quelle qualitadi che hanno l’essere nel quanto; e questo si chiama sustanza corporale e suppone materia corporale; o è fatto (se pur ha l’essere di novo) ed è senza quelle dimensioni, extensione e qualità; e questo si dice sustanza incorporea e suppone similmente detta materia. Cossì ad una potenza attiva tanto di cose corporali quanto di cose incorporee, over ad un essere tanto corporeo quanto incorporeo, corrisponde una potenza passiva tanto corporea quanto incorporea, e un posser esser tanto corporeo quanto incorporeo".

La dimensionalità non è estranea alla materia intelligibile: non avendo nessun particolare atto dimensionato, li possiede in realtà tutti complicatamente: "Quella materia per esser attualmente tutto quello che può essere, ha tutte le misure, ha tutte le specie di figure e dimensioni; e perché le ave tutte, non ne ha nessuna, perché tutto quello che è tante cose diverse, bisogna che non sia alcuna di quelle particolari". Mentre nel mondo intelligibile la materia "è insieme tutto, ed essendo che possiede tutto, non ha in che mutarsi", contraendosi alla corporeità "si fa tutto, e a tempi e tempi si fa cosa e cosa; però sempre sotto diversità, alterazione e moto".

Nel mondo intelligibile la potenza è atto, la materia è forma. Nella materia intelligibile, l’atto coincide con la potenza, anche se tale coincidenza si realizza in modo diverso a quanto accade per il primo principio semplicissimo e indifferente ad ogni determinazione. Nel mondo intelligibile la materia è forma, la potenza è atto, ma a una considerazione più profonda, anche in queste cose inferiori, "se non a fatto, molto viene a coincidere l’atto con la potenza".

Nella sua essenza la materia prima indefinita di cui son fatte le cose sensibili non presenta alcuna particolare dimensione e poiché "non viene a ricevere le dimensioni come di fuora, ma a mandarle e cacciarle come dal seno", conviene pensare che includa già in sé tutte le forme, piuttosto che tutte le escluda: "La dico privata de le forme e senza quelle, non come il ghiaccio è senza calore, il profondo è privato di luce, ma come la pregnante è senza la sua prole, la quale la manda e la riscuote da sè; e come in questo emispero la terra, la notte, è senza la luce, la quale con il suo scuotersi è potente di racquistare". La materia possiede tutte le dimensioni (perché volete che la materia sia nulla, piuttosto che sia tutto?"), perché non le riceve da fuori, ma le manda dal suo seno.

La materia non può essere considerata "quel prope nihil, quella potenza pura, nuda senza atto, senza virtù e perfezione" come la definisce Aristotele, ma avendo la capacità di produrre da se stessa le forme di vita "deve essere chiamata cosa divina e ottima parente, genetrice e madre di cose naturali". La materia non è il nulla, ma infinita possibilità di vita.

La natura "fa tutto per modo di separazione, di parto, di efflussione", mentre l’uomo produce le sue opere applicandosi ad una materia a lui esterna, aggiungendo e sottraendo. La materia è la stessa natura, e non si distingue, quanto all’essere, dall’efficiente.

Materia di cose intelligibili a materia di cose sensibili si identificano: questa equiparazione tra materia del mondo sensibile e materia del mondo intelligibile apre la via al ribaltamento del piano del discorso, al rovesciamento dei significati.: "E se questa potenza di sotto venesse ad esser una finalmente con quella di sopra, che sarrebe?", chiede l’amico Dicsono. E Teofilo/Bruno risponde: "Giudicate voi. Possete quindi montar al concetto, non dico del sommo ed ottimo principio, escluso dalla nostra considerazione; ma de l’anima del mondo, come è atto di tutto e potenza di tutto, ed è tutta in tutto; onde al fine (dato che sieno innumerabili individui), ogni cosa è uno". È trovato il punto dell’unione, il punto di fuga delle diverse prospettive da cui si è finora indagato l’oggetto, dalla parte della materia e dalla parte della forma o anima. Anima e materia coincidono e la loro unità è il principio di vita e di unità dell’universo.

Trasformando il concetto di materia nel suo contrario, Bruno insegna a vedere in ciò che è informe, nell’abbozzo, nel seme, non il nulla ma la possibilità della vita al suo massimo grado ("Quello, prima che sia conceputo per vario e multiforme, era in quello informe"). L’indistinto non è l’estremo infimo della scala di natura: la natura produce le sue opere partendo da un centro, da un seme, che contiene già complicatamente tutte le forme. Le due visioni speculari, che contrapponevano i due termini del rapporto, si rivelano illusorie, si rovesciano l’una nell’altra. Le opposizioni e distinzioni comuni saltano nei termini in cui sono state espresse tradizionalmente.

Nella natura l’artefice e la materia, soggetto della sua arte, si identificano: "Non esiste un artefice che dall’esterno predisponga e configuri".

La natura plasma se stessa: "La natura in eterno crea, senza accrescere o diminuire la sua capacità. L’anima è a ciascuno intima forza plasmatrice ed essa stessa come materia determina se stessa dall’interno, come la chiocciola per un proprio impulso si allunga, si agglomera su se stessa in una massa compatta e non offre così alcuna immagine di sé, ma tosto fa rispuntare sulla fronte le piccole corna, fa emergere la testa, si fa vedere e si mostra nella forma di un verme, dopo aver allungato l’agile corpo, quasi sgomitolandolo dal centro. Così lo spirito artefice del seme, che muove dal profondo centro, la natura efficiente, l’artefice della materia presente, il trascinatore, il modellatore, l’ordinatore non sono altro che l’intimo motore." (De Immenso)

L’unità divina, principio della sostanza corporale come di quella spirituale, sorgente inesauribile di vita, è intima alle cose più di quanto queste lo siano a sé. L’universo, esplicazione del primo principio, è un unico immenso organismo in perenne trasformazione. Il trasmutarsi delle forme sulla superficie della materia non è che il "volto labile, mobile, corrottibile di uno inmobile, perseverante ed eterno essere; in cui son tutte forme, figure e membri, ma indistinti e come agglomerati, non altrimente che nel seme, nel quale non è distinto il braccio da la mano, il busto dal capo, il nervo da l’osso. La qual distinzione è sglomeramento non viene a produre altra e nuova sustanza, ma viene a ponere in atto e compimento certe qualitadi, differenze, accidenti e ordini circa quella sustanza."

Oltre la vanità, il continuo mutarsi delle forme alla superficie, Bruno scorge il nucleo profondo, quell’Uno che permane al di sotto delle continue trasformazioni.

L’Uno è il centro, dal quale riconsiderare i concetti filosofici e le loro relazioni, ritessere la trama dei significati in un quadro unitario.

 

Introduzione

La fondazione dell’unità dell’universo infinito nel De la Causa

Il De la Causa è l’opera che contiene la chiave di lettura della realtà naturale, che apre alla contemplazione dell’universo infinito

Il duplice movimento che si svolge dall’Uno: scomposizione e ricomposizione, distruzione di un vecchio mondo, dissoluzione di schemi tradizionali, e ricostruzione di un nuovo cosmo di significati

La visione policentrica dell’universo

La considerazione multilaterale dell’oggetto

La ricerca di un linguaggio filosofico adeguato alla realtà

La ricerca di una sintesi tra diverse filosofie

La chiave della trasformazione dei contrari, che consente di tramutare le tenebre in luce, di risalire il profondo abisso

Strutture della conoscenza e strutture della realtà

La ricerca della struttura profonda della realtà naturale: la rete della vita

 

Il movimento del dialogo

Bruno applica questa chiave, questo strumento conoscitivo nella prassi didattica del dialogo, inteso appunto come movimento tra punti di vista diversi e opposti, ricerca del punto dell’unione.

Si prendono qui in considerazione solo alcuni nodi di quel percorso

Bruno considera l’oggetto da molteplici prospettive: percorrendo diverse vie tenta di avvicinarsi a quell’Uno, in cui i contrarii coincidono

Ricerca i punti medi tra gli estremi: tra anima e materia, principio e causa, corporeo e incorporeo, sensibile e intelligibile dissolvendo le gabbie teoriche in cui gli aristotelici hanno imprigionato la natura

Le strategie conoscitive per avvicinarsi all’Uno.

La similitudine con l’arte: arte dell’uomo e arte della natura

L’esplorazione in profondità dei concetti di anima e intelletto universali

Il procedimento alchimistico per raggiungere l’anima

Due forme di cecità

L’elaborazione di un’originale concezione di materia

Materia come potenza e materia come soggetto

Il percorso del quarto dialogo

Il percorso attraverso il quale Bruno perviene infine al centro, all’Uno, che si è tentato di raggiungere attraverso l’analisi e la scomposizione dei concetti di anima e materia: il punto di fuga in cui le diverse prospettive, opposte e speculari, si rovesciano l’una nell’altra, producendo una metamorfosi dei significati:

La materia come soggetto, sostrato

La materia è presente anche nel mondo intelligibile

Un’unico fondamento indistinto è substrato alla materia delle cose corporee e a quella delle cose incorporee

Con vari argomenti si dimostra che la materia di cose sensibili e quella di cose intelligibili è la stessa:

nella materia di cose intelligibili l’atto coincide con la potenza (quella materia "è insieme tutto, ed essendo che possiede tutto non ha in che mutarsi")

la differenza tra l’una e l’altra materia è che la materia intelligibile è "absoluta da le dimensioni" mentre la materia sensibile è "contratta alle dimensioni"

la materia intelligibile non avendo nessun atto dimensionato li possiede in realtà tutti

la materia che si ricerca non si identifica con la corporeità

anche nel mondo sensibile la potenza coincide con l’atto

materia di cose sensibili e materia di cose intelligibili si identificano

le forme sono nel seno della materia, che non le riceve dall’esterno

la materia è la stessa natura

la materia non è un prope nihil, una potenza pura, nuda, senza virtù e perfezione, come la definisce Aristotele, ma deve essere chiamata "genetrice e madre di cose naturali", è l’informe che contiene tutte le forme

Anima e materia si identificano alla radice e la loro unità è il principio di vita e di unità della realtà naturale