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Comunicazione Filosofica n. 7 - luglio 2000

 

Elisabetta Imperato

Dialettica e argomentazione: aver ragione è ancora un'arte Schopenhauer e Perelman

L’arte di ottenere ragione

Intorno al 1830-31, Schopenhauer scrive un breve trattato senza titolo, pubblicato per la prima volta nel 1864 ed apparso in Italia nel 1991 con il titolo L’arte di ottenere ragione (Adelphi 1991).

Nel testo il filosofo si occupa della dialettica, argomento di cui tratta anche in altre occasioni, a partire dai manoscritti giovanili, al Mondo e alle lezioni berlinesi.

Il titolo, assegnato postumo, ci introduce in uno dei tanti usi al quale storicamente il termine rimanda, collegando lo scritto al contesto molto antico della gara e della disputa.

La dialettica in Schopenhauer si identifica con l’eristica.

Il filosofo la riferisce ad una dimensione dialogica di tipo agonistico, apertamente incurante del valore di verità del linguaggio e particolarmente attenta ai trucchi e agli artifici logico-linguistici utilizzabili nelle dispute.

Questi ultimi vengono individuati e formalizzati in 38 stratagemmi.

La dimensione spirituale evocata è dunque quella della gara e del conflitto, l’uso del termine è quello retorico, il contesto è quello intersoggettivo della disputa.

Dopo aver dato una definizione della dialettica eristica come arte di disputare in modo da ottenere ragione con mezzi leciti e illeciti, l’autore distingue tra la verità oggettiva di una proposizione e la validità della stessa nell’approvazione dei contendenti, collega poi la dialettica alla seconda, riconducendone l’origine alla naturale cattiveria del genere umano, alla slealtà e alla vanità.

 Nella prospettiva assunta da Schopenhauer, chi disputa non lotta per la verità ma per imporre la propria tesi. Il fine della dialettica è di tipo pratico e non teoretico. Distinta dalla logica naturale, la dialettica naturale può diventare oggetto di addestramento attraverso l’esercizio.

Ricollegandosi ad Aristotele, che costituisce il punto di riferimento fondamentale dello scritto, afferma che mentre la logica si occupa della forma delle proposizioni e quindi considera l’universale, la dialettica si occupa del contenuto e quindi considera il particolare.

Ora ogni disputa ha una tesi o un problema e proposizioni che servono a risolverli. Si tratta sempre di rapporti tra i concetti, che vengono riportati, secondo la teoria aristotelica dei predicabili, ai quattro universali: definizione, genere, proprio, accidente.

"Il problema di ogni disputa è riconducibile a uno di tali rapporti. Questa è la base dell’intera dialettica" (A. Schopenhauer, L’arte di ottenere ragione, cit, pag.20). L’ambito della dialettica è definito dunque in relazione all’estensione dei concetti (l’ambito delle cose a cui si applica) e alla loro comprensione (l’insieme delle note che lo caratterizzano).

I concetti, riportati alle cinque classi aristoteliche, sono considerati sul piano formale e non in rapporto al loro contenuto. "La trattazione è qui dunque ancora in una certa misura formale, anche se non così puramente formale come nella logica, poiché si occupa del contenuto dei concetti, ma in una maniera formale." (pag.21).

Il limite di Aristotele, secondo Schopenhauer, è non aver distinto nettamente lo scopo della dialettica, avvicinato, nella forma debole degli éndoxa, alla verità secondo l’apparenza, l’approvazione o l’opinione altrui (Topici).

"Per formulare la dialettica in modo limpido bisogna considerarla, senza badare alla verità oggettiva (che è oggetto della logica) semplicemente come l’arte di ottenere ragione… (op. cit. pag. 23).

E ancora: "Dunque la dialettica non deve avventurarsi nella verità: alla stessa stregua del maestro di scherma, che non considera chi abbia effettivamente ragione nella contesa che ha dato origine al duello: colpire e parare, questo è quello che conta. Lo stesso vale anche nella dialettica, che è una scherma spirituale; solo se intesa in modo così puro, può essere costituita come una disciplina propria: infatti, se ci poniamo come fine la pura verità oggettiva, ritorniamo alla mera logica: se invece poniamo come fine l’affermazione di tesi false, abbiamo la mera sofistica. E in entrambi i casi il presupposto sarebbe che noi sapessimo già che cosa è oggettivamente vero e falso: ma solo di rado questo è certo in anticipo" (pag.25).

 La metafora sportiva chiarisce il senso della definizione e la riconduce ad una antica tradizione filosofica.

La dialettica, nell’ottica di Schopenhauer, sta nel mezzo tra logica e sofistica. In quanto arte è riconducibile ad un sistema di regole e di tecniche; in quanto disposizione naturale non si configura come puro artificio ma come tendenza originaria che può essere rafforzata attraverso l’esercizio.

La dialettica non è dunque una scienza ma un’arte a posteriori.

L’analisi di Schopenhauer nasce dall’osservazione di ciò che accade nelle dispute pubbliche e private, si sviluppa nella formalizzazione dell’esperienza quotidiana e si fonda sulla visione pessimistica, rimarcata sul piano linguistico, della lotta incessante che contrappone gli esseri umani e che si esprime in una costante volontà di sopraffazione.

La sua analisi presuppone un intelletto a servizio della volontà: ogni razionalizzazione costituisce un intervento a posteriori su tendenze naturalmente irrazionali.

Schopenhauer prende le distanze dalla Sofistica e presenta il suo studio come un primo tentativo di inoltrarsi in un ambito ancora inesplorato, in un "terreno ancora vergine".

Ciò che lo distingue dai Sofisti, al di là del contesto storico-filosofico ovviamente altro, è un diverso approccio ai rapporti tra pensiero, linguaggio e realtà. Schopenhauer non recide i legami tra i tre ambiti e non considera la sfera linguistica come autonoma e separata dalla sfera ontologica. Ritiene possibile una verità oggettiva e perciò si colloca in una prospettiva gnoseologica (e metafisica) diversa dal relativismo.

Sul piano linguistico la sua analisi non parte dalla possibilità di un doppio discorso su ogni cosa ma disancora la validità delle proposizioni dal contenuto di verità, considerando l’efficacia di un discorso in rapporto agli effetti prodotti sugli ascoltatori e valutando esclusivamente le tecniche formali di difesa e di attacco.

Egli assegna alla sofistica l’accezione negativa del significato che il senso comune le attribuisce. La sofistica ha come fine l’affermazione di tesi false. Al contrario la logica ha come fine la pura verità oggettiva.

La dialettica, indifferente come già detto al valore di verità delle proposizioni, si rivela utile nella maggior parte dei casi in cui ci si imbatte nella vita, dato che la maggioranza delle volte noi non sappiamo già, prima della contesa, che cosa sia oggettivamente vero e falso.

 Rispetto a Kant, Schopenhauer ritorna all’uso soggettivo e intersoggettivo del termine e pur mantenendo la distinzione tra analitica e dialettica, che con Kant aveva assunto un significato altro da quello aristotelico, riprende la distinzione antica rimarcandone però la contrapposizione, in considerazione degli scopi diversi, teoretico il primo, pratico il secondo, che analitica e dialettica si pongono.

 

La dialettica come tecnica di argomentazione

Schopenhauer individua due modi e due vie di confutazione. I modi sono:
- ad rem, attraverso il quale mostriamo che la tesi non concorda con la natura delle cose;
- ad hominem, attraverso il quale la discordanza è individuata tra la tesi sostenuta dall’avversario ed altre affermazioni dello stesso.

Relativamente alle vie, vengono indicate la confutazione diretta, che contraddice frontalmente la tesi, e quella indiretta che attacca le sue conseguenze. Nel secondo caso, richiamandosi alla tradizione greca, ("Socrate in Ippia maggiore e altrove"), si sofferma sull’apagoge che consiste nella dimostrazione della falsità di una proposizione condotta provando la falsità delle sue conseguenze, oppure nella dimostrazione della verità di una proposizione condotta mostrando l’assurdità della tesi contraria. Un secondo tipo di confutazione indiretta è l’istanza o exemplum in contrarium che esprime una confutazione della tesi generale attraverso l’indicazione di casi compresi nella sua enunciazione per i quali essa non è valevole.

 Riportiamo sinteticamente in elenco gli stratagemmi analizzati da Schopenhauer, nella convinzione che al di là dello spirito classificatorio dell’elencazione, la lista contenga spunti interessanti per una analisi delle forme di argomentazione. (lecite e illecite), utilizzate ancora oggi nelle discussioni pubbliche e private, nei dibattiti politici e nel linguaggio dei mass media.

  • Ampliamento: è una forma di iperbole con cui estendiamo l’affermazione dell’avversario oltre le sue intenzioni, esagerandola mentre limitiamo la portata della nostra preservandola così da possibili attacchi.
  • Omonimia: consiste in una sorta di spostamento con cui dirottiamo l’affermazione su termini omonimi ma non sinonimi per estendere illegittimamente la portata della affermazione stessa che apparirà falsa.
  • Estensione: simile alle prime due, si ottiene trasformando una affermazione relativa in una affermazione universale per poi confutarla nei suoi aspetti generalizzanti.
  • Occultare le premesse di un ragionamento per evitare che l’avversario possa prevedere la conclusione, presentarle in ordine sparso e confusamente. 
  • Servirsi all’occorrenza di premesse false, nel caso l’avversario non ammetta quelle vere, argomentandole secondo il modo di pensare dell’interlocutore. 
  • Ricorrere ad una petitio principii occulta, sofisma che prende come presupposto implicito la stessa tesi che si vuole dimostrare. 
  • Domandare in una sola volta molte cose in modo da occultare ciò che in realtà si vuole che venga ammesso, ed esporre rapidamente per nascondere eventuali lacune nell’argomentazione. 
  • Suscitare l’ira dell’avversario, tormentandolo, per impedire che sia in grado di giudicare rettamente. 
  • Porre le domande con spostamenti di ogni genere in modo che l’avversario non capisca dove si voglia andare a parare. 
  • Sottoporre all’avversario due tesi opposte in modo che egli non si accorga di quale si vuole che lui affermi. 
  • Se facciamo una induzione ed otteniamo l’assenso dell’avversario su singoli casi, evitiamo di sottoporgli la generalizzazione ma introduciamola come già stabilita e concessa. 
  • Nel caso il discorso verta su un concetto che occorre definire, introdurre nella definizione ciò che si vuole provare, così da derivarlo con un semplice giudizio analitico. 
  • Indirizzare l’avversario verso l’accoglimento di una tesi, presentandogli quella opposta in maniera paradossale, in modo che la tesi da noi appoggiata risulti più probabile e sensata. 
  • Ingannare l’avversario tramite l’assunzione della non causa come causa. 
  • Condurre l’avversario ad absurdum presentando una tesi paradossale come giusta ma non del tutto evidente. 
  • Cercare, rispetto ad una affermazione dell’interlocutore, un elemento anche solo apparentemente in contraddizione con quanto ha ammesso in precedenza. (Argumenta ad hominem o ex concessis). 
  • Ricorrere al doppio significato o ad una distinzione sottile per smontare una controprova fornita dall’avversario nel corso della disputa. 
  • Avviare una mutatio controversiae interrompendo o sviando l’interlocutore da una argomentazione con cui potrebbe batterci. 
  • Generalizzare l’affermazione e poi attaccarla. 
  • Non concedere all’avversario di giungere a conclusione, poste alcune premesse, ma tirare noi la conclusione. 
  • Non evidenziare il carattere illusorio o sofistico dell’argomento fornito dall’avversario ma ricorrere ad un controargomento altrettanto sofistico e apparente. 
  • Rigettare come petitio principii una cosa che l’avversario ci chiede di ammettere, se da questa ammissione lo svolgimento della discussione dovesse svilupparsi in modo favorevole alla tesi avversa. 
  • Spingere l’interlocutore ad estendere contro la sua volontà la portata della sua affermazione, contraddicendolo e inducendolo in questo modo ad esagerare una tesi che in un ambito più limitato potrebbe essere vera. Nel caso l’avversario ricorra allo stesso stratagemma, fermarlo subito e ricondurre la nostra affermazione nei termini nei quali noi l’abbiamo posta. 
  • Ricorrere a false deduzioni e deformare i concetti derivandone tesi che non vi sono contenute, assurde o contraddittorie. 
  • Demolire una tesi universale attraverso il ricorso ad un caso particolare per il quale essa non risulti valida. 
  • Ricorrere alla retorsio argumenti utilizzando l’argomento dell’avversario contro di lui. 
  • Incalzare senza tregua con un argomento, se di fronte ad esso l’avversario si adira, supponendo di aver toccato con questa reazione il punto debole del suo ragionamento. 
  • In mancanza di argomenti, avanzare una obiezione non valida di cui però solo un esperto vede l’inconsistenza. Questo stratagemma è consigliato per persone colte che disputano davanti ad ascoltatori incolti (Argumentum ad auditores). 
  • Utilizzare la diversione quando ci si accorge di venir battuti passando ad altro argomento come se fosse pertinente alla questione affrontata. 
  • Quando non si hanno motivazioni a sostegno della propria tesi, menzionare autorità competenti in una scienza, arte o professione poco note all’avversario o, nel caso si discuta con gente comune, fare uso dell’opinione generale come di un’autorità. 
  • Dichiarare la propria incompetenza con ironia qualora non si sappia opporre nulla alle ragioni esposte dal contendente. Questo stratagemma va usato solo nel caso si sia più stimati dell’avversario presso l’uditorio. 
  • Ricondurre un’affermazione dell’avversario ad una categoria odiata ("… Per esempio: Questo è manicheismo; questo è arianesimo; questo è pelagianesimo; questo è idealismo…"). 
  • Riconoscere la possibilità che l’affermazione da confutare sia vera in teoria ma non in pratica.
  • In caso di una risposta evasiva ad una nostra domanda, incalzare l’avversario perché questo comportamento rivela una qualche debolezza. 
  • In presenza di una tesi che può essere giusta, alludere al fatto che essa è in contrasto con l’interesse comune della corporazione, setta club o altra comunità alla quale gli uditori ma non l’avversario appartengono. Questo stratagemma, scrive Schopenhauer, non appena sia praticabile, rende superflui tutti gli altri perché invece di agire sull’intelletto con ragionamenti, agisce sulla volontà con motivazioni. La forma di persuasione che ne risulta appare perfetta. 
  • Sconcertare l’avversario con sproloqui privi di senso, impressionandolo se è abituato a sentire cose che non capisce e a fare come se le capisse. 
  • Spacciare un argumentum ad hominem per uno ad rem. Sfruttare una cattiva prova fornita dall’avversario a sostegno di una tesi giusta per confutare quest’ultima. 
  • Abbandonare l’oggetto della discussione, quando ci si accorge della superiorità dell’avversario, per passare all’offesa e all’oltraggio grossolano alla persona. Questo stratagemma provoca reazioni peggiori rispetto ad un attacco avente ad oggetto la tesi dell’avversario perché ferisce la vanità dell’uomo, umiliandolo.

 Lo scritto di Schopenhauer si conclude con un riferimento all’ultimo capitolo dei Topici di Aristotele. Qui lo stagirita invita a non disputare con il primo arrivato ma solo con chi si conosce che ha intelletto sufficiente per disputare con ragioni e con equità.

 Nei Topici Aristotele aveva distinto la dialettica dalla scienza, dall’eristica e dalla retorica ed aveva indicato tre usi possibili della dialettica: 

  1. la dialettica serve ad allenarsi nella pratica dell’argomentazione;
  2. serve a ben condurre la discussione;
  3. è utile in rapporto alle scienze filosofiche.

 Nel terzo uso Aristotele sottolinea la continuità tra opinione e sapere scientifico integrando le diverse vie, quello della analitica e quello della dialettica, che conducono verso i principii di tutte le trattazioni scientifiche.

Schopenhauer, pur ignorando il terzo uso della dialettica, nella conclusione dello scritto segue Aristotele: "In ogni caso la disputa, come attrito di teste, è spesso di reciproca utilità per rettificare i propri pensieri e anche per produrre nuovi punti di vista. Ma i due contendenti devono essere pressoché pari fra loro per erudizione e intelligenza. Se uno è privo della prima, allora non capisce tutto, non è au niveau. Se gli manca la seconda, allora il rancore che ne sorge lo istigherà a cose sleali e ad astuzie, o alla villania." (pp. 66-67).

 La dialettica, dunque, non si esaurisce in una tecnica di reperimento di luoghi vincenti ma presenta un aspetto euristico che collega l’accezione d’uso presente in Schopenhauer all’antico significato filosofico del termine. Mentre nella retorica, intesa almeno tradizionalmente, i luoghi sono già dati e si devono reperire ed applicare ai singoli casi, nella dialettica è possibile scorgere un aspetto creativo che può far emergere nel corso della discussione nuovi punti di vista.

 

Perelman: dialetica e nuova retorica

 Lo scritto di Schopenhauer, concepito nell’età del trionfo di Hegel, età in cui si afferma una concezione della dialettica diversissima da quella qui esposta e destinata ad ampi sviluppi, merita qualche riflessione supplementare, in considerazione delle indicazioni di lavoro che esso offre e in ragione della ripresa di questa accezione intersoggettiva della dialettica nella nuova retorica nel Novecento.

In questo nuovo contesto, Perelman, in collaborazione con Olbrechts-Tyteca, nel Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, pubblicato nel 1958, recupera la teoria dell’argomentazione sviluppata dai Topici di Aristotele ed integra dialettica e retorica, distinte dalla tradizione soprattutto in base al destinatario cui si indirizzavano, presupponendo la dialettica un interlocutore attivo e la retorica un uditorio passivo.

Collegandosi alla tradizione antica, nel trattato Perelman riprende il concetto aristotelico dell’argomentazione come completamento della dimostrazione basata sul ragionamento formale ed amplia il concetto di ragione per comprendervi i procedimenti linguistici utilizzati al fine di generare la persuasione.

La nuova retorica, avvicinata alla dialettica, si presenta come logica della persuasione fondata su argomentazioni diverse da quelle contemplate dalla logica della dimostrazione delle scienze matematiche.

Ora l’elemento centrale di ogni argomentazione è il riferimento ad un uditorio, riferimento sempre presente nel testo di Schopenhauer.

Per questo ed altri motivi lo scritto di Schopenhauer ci sembra offrire indicazioni preziose per una analisi della dialettica intesa in uno dei significati più ampi e oggi più diffusi, legato alla prassi quotidiana del confronto, della discussione e del dibattito.

Non a caso nel testo di Perelman si fa riferimento a come il discorso privato si sviluppi in un campo affine a quello dell’antica retorica e come sia proprio nel corso dei rapporti quotidiani che l’argomentazione ha occasione di esercitarsi.

Da queste considerazioni derivano conseguenze importanti. Innanzitutto si riducono le distanze tra dialettica e retorica, in secondo luogo si apre uno spazio, interessante a fini didattici, di analisi delle tecniche delle controversie che consente efficaci recuperi della tradizione filosofica, declinandone però gli insegnamenti in contesti non più prettamente filosofici ma legati a modalità di comunicazione diffuse e sedimentate in tecniche di argomentazione automatiche di cui non sempre si ha coscienza.

La filosofia (o l’insegnamento della filosofia) può cosi diventare una strada maestra per il reperimento di queste tecniche e può contribuire ad attrezzarci criticamente rispetto all’uso di artifici linguistici di attacco, di difesa e di confutazione.

 In altri termini: se la nuova retorica non distingue più tra uditore attivo del dialogo e uditorio silenzioso (i confini tra i due uditori si assottigliano, le due figure il più delle volte si sovrappongono), sul piano teorico non ha più ragione d’essere la distinzione tra dialettica intesa come tecnica della controversia e retorica intesa come tecnica indirizzata a un pubblico numeroso.

L’uditore silenzioso presupposto dalla retorica tradizionale è quasi sempre l’incarnazione di un uditorio particolare. Non è quasi mai, scrive Perelman, l’uditorio universale: uditorio, la cui supposta esistenza costituiva la base, storicamente fondata, della distinzione, oggi in discussione, tra dialettica e retorica.

Per altra via: anche la dialettica oggi, nella accezione d’uso qui considerata, non si collega più alla dimensione esclusivamente privata del dialogo. I mass media hanno dato corpo a quel pubblico universale che un tempo apparteneva al dominio della retorica.

 Risulta inoltre estremamente difficile, sul piano pratico, precisare la distinzione tra dialogo eristico e dialogo euristico, discussione e dibattito, dialettica in senso "basso" e dialettica in senso "elevato" perché queste dimensioni si sovrappongono continuamente.

Nel trattato di Perelman e Olbrechts-Tyteca, Schopenhauer è ampiamente citato (per la precisione 27 volte); la sua concezione della dialettica, quanto mai attuale, si sottrae ad una logica per addetti ai lavori e, come già detto, dischiude prospettive di analisi sui luoghi comuni del dibattito e della discussione.

Il contributo di Schopenhauer viene spesso ricondotto da Perelman alla individuazione di artifici e trucchi ricorrenti nelle tecniche dell’argomentazione. Il fatto che Schopenhauer si ricolleghi esplicitamente ad Aristotele ci permette di stabilire relazioni interessanti tra contributi, strettamente filosofici e non, che caratterizzano gran parte del pensiero occidentale, dalla fondazione della logica alla nuova retorica.

L’area comune dell’argomentazione, terreno di indagine di discipline disparate e di approcci di diversa natura (dalla linguistica alla sociologia, dalla psicologia alla semiotica, dallo strutturalismo alla psicoanalisi), mette in luce la pervasività del discorso filosofico, a partire dai fondamentali meccanismi di associazione e di dissociazione tra i concetti, che guidano, il più delle volte intuitivamente, le logiche dei discorsi.

 "Il fatto che siamo in grado di indicare un gran numero di coppie e di assegnare a ognuno dei loro termini un posto determinato, senza dovere per arrivarci, inserirli in un pensiero sistematico (…) è indice dell’azione che le elaborazioni filosofiche hanno esercitato sul pensiero comune, fornendolo di una serie di coppie, residui di una tradizione culturale dominante" (Perelman, cit., pag. 442).

Perelman cita a titolo esemplificativo coppie filosofiche quali: apparenza-realtà, mezzo-fine, conseguenza-principio, accidente-essenza, relativo-assoluto, teoria-pratica, linguaggio-pensiero, individuale-universale, e ancora, riferendosi al Fedro platonico, opinione-scienza, conoscenza sensibile-conoscenza razionale, corpo-anima, divenire-immutabilità, pluralità-unità, umano-divino.

L’ipotesi di questo lavoro è che si possano considerare anche queste coppie di derivazione filosofica come magazzini di argomenti, rubriche sotto le quali è possibile classificare gran parte degli schemi argomentativi in uso, raggruppandoli, per così dire, in cassetti.

Con Perelman possiamo affermare che i luoghi comuni dei nostri giorni, in gran parte, non sono che un’applicazione dei luoghi comuni in senso aristotelico ad argomenti particolari.

I luoghi della quantità, su cui si fondano le argomentazioni sulla presunta superiorità di quanto ammesso dalla maggioranza, oltre ad essere di enorme rilievo nello sviluppo della democrazia, hanno un’origine filosofica. Ad essi si contrappongono i luoghi della qualità, altra categoria filosoficamente forte, che al contrario si fondano sulla superiorità valoriale dell’unico contrapposto al molteplice, al volgare e al banale. E qui, da Kierkegard a Schopenhauer e a Nietzsche, per limitarci alla filosofia contemporanea, si apre la possibilità di un’analisi di un luogo filosofico fondamentale nella filosofia post kantiana.

 Questi luoghi ed altri (quelli dell’ordine, dell’esistente, dell’essenza, della persona) svolgono una funzione importante nei discorsi perché costituiscono un punto di partenza delle argomentazioni, vere premesse che guidano la discussione e che il più delle volte sono determinanti in forma non intenzionale ma implicita o inconsapevole.

 

Applicazioni didattiche

 Un percorso possibile, che sfrutti le indicazioni date da Schopenhauer e quelle presenti nell’opera di Perelman, potrebbe individuare gli schemi argomentativi di derivazione filosofica.

Si potrebbe tentare di esplicitare schemi concettuali che agiscono senza essere chiaramente percepiti, a partire dagli argomenti che risultano particolarmente ripetuti e perciò più familiari, ad esempio nel dibattito politico.

Un’altra linea da seguire potrebbe essere quella volta a reperire casi in cui si ricorre all’effetto comico per aver ragione sull’interlocutore; il lavoro si sposterebbe in tal modo sull’uso che nell’argomentazione rivestono alcuni procedimenti caricaturali ai fini della confutazione.

Bisogna ovviamente tener conto che ogni argomentazione si fonda sulla interazione di elementi che agiscono reciprocamente ed empiricamente gli uni sugli altri. Diventa perciò difficile farne una analisi scientifica. Occorre ricordare che siamo in un ambito che riguarda la prassi, non la teoria, e che l’esigenza della mediazione didattica conduce ad una necessaria semplificazione rispetto alle implicazioni psicologiche e logiche che caratterizzano il discorso come prassi intersoggettiva.

 Gli schemi argomentativi si riferiscono per lo più all’ambito del quasi-logico. Rientrano in questa categoria enunciati come "se il mondo è retto da una provvidenza, lo stato richiede un governo", che già Quintiliano definiva "argomento di vicinanza o di paragone".

Molti discorsi comuni si fondano su analogie e contiguità ragionevoli più che razionali. La persuasione ha a che fare perciò con una procedura dimostrativa di tipo "dialettico".

Tra le molte relazioni che nell’ambito della argomentazione potrebbero essere esaminate si potrebbero privilegiare quelle che maggiormente consentano una fenomenologia filosofica.

Bisogna però mantenere la consapevolezza che le premesse nell’argomentazione solo in rari casi sono del tutto esplicite, che nella prassi i problemi oggetto di discussione si chiariscono col procedere della discussione stessa e che quindi l’ambito dell’argomentazione risulta fondamentalmente complesso e diverso da quello della dimostrazione.

Una figura dalla quale potrebbe partire l’indagine empirica è quella dell’ironia, perché vanta una importante tradizione filosofica e perché diffusa in molte situazioni argomentative.

Altre figure, oggetto di analisi, potrebbero essere la tautologia, la reciprocità, la transitività, l’inclusione, l’entimema, il paragone, la probabilità, ma per una elencazione più dettagliata rimandiamo senz’altro a Perelman.

Un altro percorso didatticamente suggestivo è quello relativo alla rottura di legame e alla dissociazione dei concetti, esercizio particolarmente legato allo statuto della filosofia.

"Faremo vedere in seguito come ogni nuova filosofia presupponga l’elaborazione di un apparato concettuale, di cui almeno una parte, quella che è fondamentalmente originale, risulta da una dissociazione delle nozioni che permette di risolvere i problemi che il filosofo si è posto. Ciò spiegherà, fra l’altro, il grande interesse che merita, secondo noi, lo studio della tecnica delle dissociazioni." (Perelman, cit., pag.436).

Per comprendere la tecnica della dissociazione delle nozioni, Perelman esamina la coppia apparenza-realtà, considerata il prototipo filosofico di qualsiasi dissociazione concettuale.

"Questa preferenza accordata a ciò che è reale non si manifesta soltanto nel corso di discussioni filosofiche, ma si esprime nel pensiero di tutti i giorni, nelle circostanze più varie." (Perelman, cit., pag.439)

La dissociazione esprime sempre una visione del mondo e stabilisce gerarchie tra elementi. Mettere in rapporto coppie è un utile esercizio filosofico: la storia della filosofia, narrabile ricorrendo al modello dell’enciclopedia più che a quello del dizionario, può configurarsi come la storia di coppie filosofiche che non sono date una volta per tutte ma che si definiscono e si ridefiniscono attraverso associazioni e dissociazioni che configurano nuove coppie, creando nuove combinazioni e nuove visioni del mondo.

Perelman suggerisce di opporre alle coppie filosofiche risultanti da una dissociazione, da una parte coppie antitetiche come alto-basso, bene-male, giusto-ingiusto, dall’altra coppie classificatorie che sono apparentemente prive di intenzione argomentativa, quali quelle utilizzate nella periodizzazione storica, nella suddivisione di zone in regioni o di generi in specie.

L’autore parte dal presupposto che in molte coppie che sembrano classificatorie, le dissociazioni filosofiche svolgono una funzione essenziale.

E cita, a tale proposito, l’analisi fatta da L. Febvre della creazione ad opera del Michelet del concetto di Rinascimento che dimostra come inizialmente Michelet oscillasse tra due concezioni, quella del Rinascimento come resurrezione del Medioevo originale e quella del Rinascimento come sostituzione del Medioevo. Nel momento in cui sceglie la seconda soluzione, trascura del tutto le pagine che aveva scritto collegandosi alla prima e fa un diverso uso della coppia apparenza-realtà che aveva guidato la scelta iniziale: mentre nella prima interpretazione il Rinascimento veniva presentato come il vero Medioevo perché avrebbe incarnato lo spirito più puro del Medioevo storico, presentato come Medioevo apparente, nella seconda interpretazione l’epoca anteriore costituisce il Medioevo autentico, che non è più considerato come apparenza di Medioevo ma apparenza di civiltà. In tal modo la coppia originaria apparenza-realtà è applicata ad un’altra nozione.

 Le stesse periodizzazioni storiche, accolte solitamente come classificazioni date, presuppongono argomentazioni che non sempre appaiono evidenti.

Per questo motivo, una volta sedimentate in concetti, le idee perdono il legame originario con l’argomentazione a cui si collegano e possono apparire come puramente classificatorie.

"Così le nozioni risultanti da una dissociazione possono, una volta lanciate nella comunità linguistica, apparire come indipendenti." "Le coppie mezzo-fine, atto-persona, individuo-gruppo, atto-essenza, simbolo-cosa, particolare-generale, con le loro varianti e le loro connessioni, ci forniscono i termini dei legami più abituali, che sono base dei legami di solidarietà argomentativa" (Perelman, cit., pag.445).

Questo terreno d’analisi appare particolarmente fertile se pensiamo che le coppie sono oggetto di un rimodellamento costante, attraverso inversioni, commutazioni e reinterpretazioni.

Tentare di ricostruirle significa quindi cimentarsi in una sorta di archeologia filosofica e imparare al tempo stesso a riconoscerle, all’occorrenza, nei discorsi comuni.

La filosofia di Schopenhauer, scrive Perelman, ci offre eccellenti esempi di dissociazioni a ventaglio. Dalla coppia obiettività-volontà si passa a suddivisioni ulteriori attraverso la scissione della obiettività (rappresentazione) nei due termini cose-idee, mentre il termine idee si sdoppia nella coppia concetto-intuizione, legato alla coppia parziale-totale.

 "Questi approfondimenti successivi, che permettono di non sacrificare i risultati già ottenuti, gli accordi acquisiti, i concetti di cui si dispone, si presentano in tutti i settori del pensiero". (op. cit. pag.453).

La frequenza con cui tali coppie ricorrono, non sempre in forma evidente nei discorsi comuni, risponde ad una doppia logica: da un lato ad una economia cognitiva che ci permette di capitalizzare categorizzazioni sedimentate nel pensiero dominante, dall’altro ad una stratificazione di modelli, schemi e concetti che hanno perduto in chi li usa il senso filosofico dell’origine e che si presentano come un prontuario di soluzioni, automatiche e condivise, alla portata di tutti. Lo stesso ragionamento si può fare per altri luoghi dell’argomentazione, passati al senso comune dalla filosofia, dalla retorica e dalla dialettica.

I trucchi individuati da Schopenhauer costituiscono un repertorio di questo tipo. E se Aristotele e Quintiliano possono aiutarci a capire il significato filosofico che si nasconde dietro l’apparente approccio minimalista con cui Schopenhauer ci consegna trucchi e artifici, il linguaggio comune e le contese cui ci capita di assistere o a cui partecipiamo, possono aiutarci a capire il senso profondo dei legami che ancora collegano questi a quello, in una dialettica costante che riduce gli scarti tra filosofia e vita quotidiana.

 

 Riassumiamo schematicamente il pensiero di Schopenhauer sulla dialettica 

  • La dimensione spirituale della dialettica in Schopenhauer è quella della gara, del conflitto, l’uso del termine è quello retorico, il contesto è quello intersoggettivo della disputa, l’ambito è quello dell’oralità. 
  • Diversamente da Platone, che nella accezione più alta identifica la dialettica con la filosofia e con la scienza, Schopenhauer concepisce la dialettica come sinonimo di eristica.  
  • Sulla dialettica Schopenhauer si ricollega ad Aristotele e alla tradizione aristotelica. Il punto di partenza della sua analisi è la distinzione tra analitica e dialettica. 
  • La base della dialettica viene individuata nella teoria dei predicabili che considera il contenuto dei concetti in maniera formale e in relazione ai rapporti inversamente proporzionali tra estensione e comprensione. 
  • Schopenhauer apprezza Aristotele per lo spirito scientifico che lo contraddistingue ma lo critica per non aver separato nettamente analitica e dialettica. La distinzione, per lo stagirita, risiede essenzialmente nella diversità delle premesse, vere nel sillogismo dimostrativo, probabili nel sillogismo dialettico. 
  • Per Schopenhauer la distinzione si fonda sulla diversità dello scopo: mentre la logica ha come fine la pura verità oggettiva, la dialettica ha uno scopo utilitaristico: ottenere ragione con ogni mezzo, lecito e illecito. Essa può, quindi, essere messa indifferentemente al servizio del vero e del falso. 
  • La dialettica non è collegata alla filosofia ma alla condizione umana. L’ambito in cui si esercita è l’esperienza quotidiana. Essa è una tendenza naturale al servizio della volontà a cui l’intelletto si subordina. Può essere tecnicamente addestrata con l’esercizio e si avvale di stratagemmi che aiutano ad averla vinta sull’avversario. 
  • L’origine della dialettica non è in un intento conoscitivo ma in un istinto di sopraffazione, nella prepotenza e nella volontà di ottenere ragione. 
  • Nei confronti di Kant Schopenhauer mantiene un atteggiamento di critica, ma è possibile individuare tra le due concezioni alcuni punti di contatto. In entrambi si ritrova la distinzione aristotelica della logica generale in analitica e dialettica. In entrambi la dialettica è considerata naturale ed inevitabile.

 Tuttavia l’uso del termine nei due filosofi è diverso. Kant collega la dialettica alla ragione e all’idea di totalità non accessibile all’esperienza umana. Ne rifiuta pertanto la pretesa teoretica e la collega alla libertà, all’incondizionato e alla metafisica.

Nella Critica della ragion pura la dialettica assume un duplice significato. Negativo in quanto logica dell’illusione-parvenza (schein), positivo in quanto critica dell’illusione.

Schopenhauer riprende l’antico significato intersoggettivo del termine e considera la dialettica "una scherma spirituale" al servizio della volontà e della prepotenza umana.

In alternativa alla concezione hegeliana, che assegna alla dialettica connotazioni oggettive, Schopenhauer propone un significato di dialettica di segno opposto.

La dialettica nasce dal dibattito e dalla discussione, è l’arte del "colpire e parare" indipendentemente dal vero e dal falso.

A conferma del risaputo antihegelismo di Schopenhauer, Hegel è citato in un esempio di confutazione, nello stratagemma n.3, per "l’insensatezza dei suoi scritti."