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Comunicazione Filosofica n. 7 - luglio 2000

Fulvio Cesare Manara

Enrico Berti- Armando Girotti, Filosofia, Brescia, La Scuola, 2000, 21 cm., 224 pp., £ 30.000, ISBN 88-350-9732-0

L’avvio delle Scuole di Specializzazione per la formazione post-laurea degli insegnanti, assieme alle prospettive di rinnovamento degli ordinamenti e dei curricoli della secondaria, senz’altro contribuiscono alla creazione di un clima di attenzione da parte dell’editoria ai problemi posti da questi cambiamenti. Da una parte, la formazione degli insegnanti, che necessita tra l’altro della presa d’atto della necessità di distinguere fra competenze disciplinari e capacità di insegnare, ed è in gran parte una questione inedita in Italia (perlomeno di fatto, ossia dal punto di vista dei progetti formativi istituzionali). Dall’altra, la revisione dei curricoli, la questione dell’alleggerimento dei contenuti (identificazione dei “saperi essenziali”), la prospettiva di ampliamento delle possibilità di formazione filosofica, rappresentano aspetti di uno scenario aperto, in cui trovare quale sia la direzione da prendere è questione ancora aperta.

Il testo di Berti-Girotti è pensato come contributo significativo al dibattito sull'insegnamento della filosofia, in vista di un possibile utilizzo nelle Scuole di specializzazione post-universitaria, ma anche, forse più prosaicamente (ma realisticamente), come proposta per chi sta affrontando la preparazione in vista dei concorsi a cattedre. Rappresenta quindi una buona occasione per vagliare criticamente le questioni di orientamento nel presente scenario in mutazione.

Di fatto, si tratta di un contributo significativo, anche al di là del suo intento più evidente.

Gli interventi di Enrico Berti, forse l'accademico italiano più attento nel campo della ricerca didattica in filosofia, muovono da un duplice intento: 1) avanzare sensate proposte in relazione alla riforma dei curricoli - in direzione dell'identificazione dei “saperi essenziali” - (aspetto “semantico” della disciplina), nella Parte I; e 2) suggerire un'analisi accurata degli aspetti “sintattici” della disciplina, riproponendo la questione del “metodo” (o dei metodi) della ricerca filosofica, nella Parte II.

Nella prima parte, che porta il titolo di “Nuclei essenziali”, in due capitoli viene articolata una riflessione-proposta sui temi e problemi che potrebbero essere affrontati negli anni conclusivi della formazione primaria (cap.I) e nel triennio successivo della secondaria (cap.II). Dei due capitoli, pare rilevante soprattutto il primo, e non solo perché si tratta di una proposta che viene da una voce autorevole su un problema piuttosto dibattuto, fra palesi incertezze. Le note di Berti infatti sono riflessioni ragionate che si dipanano nella identificazione di percorsi possibili con stretto riferimento ai testi dei filosofi. E rappresentano una meditazione ponderata, capace di tener conto degli indirizzi, pur generici, provenienti dal Ministero, ma soprattutto di indicare percorsi fattibili e ben identificati. In sostanza, si tratta di uno schema molto utile per la progettazione dei percorsi e la sperimentazione.

Nel secondo capitolo di questa prima parte, invece, l’autore riflette soprattutto a partire dalle modalità di organizzazione del curricolo (insegnamento di tipo storico o insegnamento per “questioni”), accantonando, in parte, la questione dell’identificazione dei “contenuti” essenziali. Infatti, le brevi note dedicate all’insegnamento di carattere storico (pp.38-40) riprendono le indicazioni delle proposte della commissione Brocca, della quale lo stesso Berti ha fatto parte.

Le pagine che egli dedica alla «Seconda ipotesi: insegnamento per “questioni”» nel triennio (pp.41-55), poi, si limitano all’identificazione dei problemi e degli autori: questioni di verità (problemi di logica e di epistemologia; problemi della natura; problemi dell’uomo; problema dell’essere), questioni di senso (problemi di etica; problema politico; problema religioso; arte e tecnica; le categorie della comprensione storica). Avremmo gradito moltissimo un suo più preciso tentativo di mostrare concretamente che alla fine le due direttrici (metodo storico e metodo “zetetico”) non sono poi così distinte fra di loro, e che, ogni volta che si tratta di costruire davvero un percorso per “questioni” si deve far anche ricorso ad una ricerca storico-critica e alla lettura degli autori. Il che avrebbe semplicemente proseguito ed ampliato la prospettiva già concretamente illustrata nel capitolo I. Nella ricerca didattica di questi ultimi anni si è parecchio al di là (e al di sopra) della polemica tra “storicisti” e “analitici”. Abbiamo lasciato alle nostre spalle ormai definitivamente quella vexata quaestio: la ricerca in didattica della filosofia ha compiuto almeno due ulteriori sviluppi: da una parte, quelli connessi con la pratica della lettura diretta dei testi, dall’altra, quelli relativi alla considerazione delle nuove tecnologie della comunicazione e delle nuove possibilità offerte da ipertesti, multimedia e telematica, nonché dai risultati delle ricerche nelle odierne scienze cognitive. Insomma, le pagine di Berti rappresentano una bozza, che, per poter divenire un vero e proprio strumento di progettazione (alla pari del precedente capitolo), necessita di ulteriore perfezionamento, con proposte contenutistiche (identificazione dei testi specifici degli autori, punto per punto). Se mi si obietta che questa puntuale identificazione dei testi significa limitare spazio alla scelta del docente, suggerirei di non dimenticare qual è l’intento dichiarato, in sintonia con le esigenze di riforma dei curricoli. Tale intento è quello di definire i “saperi essenziali”, ossia quei saperi su cui sarebbe bene uniformarsi al di qua del limite della libertà didattica. Se si dimentica questo, si finisce per rinunciare alla scelta dei “classici” di riferimento, il che comporta una sorta di deregulation assai discutibile dal punto di vista semantico, in una disciplina quale che sia. Il lavoro di Berti, in sostanza, come egli stesso ammette, su questo punto rimane ancorato troppo strettamente allo schema del Brocca, che, in merito ai percorsi, si limitava alla identificazione generica, lasciando il compito di dettagliarne i riferimenti testuali alla scelta del docente. A mio modo di vedere, oggi lo schema del Brocca deve essere di necessità rivisto, almeno se attribuiamo peso all’introduzione del nuovo criterio dell’identificazione di “saperi essenziali”, e pertanto la necessità di ridefinire i profili semantici della disciplina per quanto riguarda l’insegnamento nel “triennio”. Questo tocca tanto l’identificazione dei problemi, quanto quella degli autori, come ben mostra di aver colto lo stesso Berti, nel capitolo I della prima parte. La proposta Brocca, assai valida per molti aspetti, dal punto di vista del concreto e profondo raccordo fra identificazione degli autori “classici” e identificazione dei problemi essenziali lascia un po’ a desiderare, introducendo una specie di “dualismo” concretamente di difficile sanabilità, e in sostanza, rimandando l’identificazione dei testi essenziali, tanto per la sezione “autori” quanto per quella “problemi”. La direttrice più coerente con la prospettiva delineata da Berti sarebbe quella appunto di precisare, a fianco della rosa di temi e problemi, già ben identificati, anche una serie di testi precisi di riferimento per la trattazione di tali problemi. Si tratterebbe, se vogliamo, di riprendere uno schema analogo a quello adottato da Gentile nel 1923, quando nei programmi si inserirono indicazioni precise in merito alle possibili letture di autori da svolgere nel corso del curricolo.

Ci rendiamo ben conto della complessità della questione, dei suoi risvolti problematici. Ma è questo il punto, direi, lo standtpunkt sul quale ci troviamo, e queste sono, appunto, le domande aperte su cui interrogarci.

Nella seconda parte dell’opera, «Metodi di ricerca», poi, Berti affronta la questione “sintattica” relativa all’identificazione delle “vie di ricerca ancor oggi praticate e praticabili” in filosofia. Anche da questo punto di vista le riflessioni di Berti sono stimolanti ed utili. Il suo contributo si caratterizza per il suo taglio storico-critico, volto alla identificazione dei seguenti metodi: “geometrico”; “sperimentale”; “scettico” o “trascendentale”; “dialettico”; “fenomenologico”; “analitico-linguistico”; “ermeneutico”; “dialogico-confutativo”. Attorno a questo particolare aspetto della ricerca didattica in filosofia, vorrei ribadire l’estrema urgenza di tornare sul problema (spesso disertato, per la sua complessità apparentemente irriducibile) dello statuto epistemologico della disciplina. Berti affronta la questione, onestamente, confessando il proprio punto di vista, ma, in sostanza, mostrando che un fertile dialogo con differenti prospettive metodologiche è fondamentale.

Abbiamo visto che nelle proposte di riforma si pone la questione della presa d’atto del riassetto dei saperi e della necessità di cogliere l’essenziale in ciascun settore. Il pregio del contributo del saggio di Berti, consiste proprio nel richiamare l’attenzione sull’urgenza di rendere esplicito quel che si intende per lo specifico della filosofia, del filosofare, oltre che dal punto di vista semantico, anche da quello sintattico. Piuttosto che a) accettare brutalmente l’appiattimento della filosofia sul sapere, e b) ricondurre ad una prospettiva di unità (che risulta forzosa e forzata, data la plurivocità della tradizione filosofica) mi pare opportuna l’insistenza sul fatto che la filosofia è una attività che si svolge ai margini dei saperi, come interrogazione radicale sul senso dei saperi stessi, ossia sulla loro fondatezza (questione “che cosa so veramente?”) sulle loro condizioni di possibilità, e sui loro limiti. La pratica filosofica fa questo consentendo al soggetto che la esercita di conseguire una “autocoscienza epistemica”, che è, mi pare, quanto anche Berti intende indicare, stimolando la riflessione sulla pluralità delle “vie “ e delle “pratiche” del filosofare, in vista di una consapevolezza integrale dei “metodi” filosofici e della loro valenza. Filosofare significa “tutto domandare”: esercizio dialettico che consta nel “mettere alla prova”, saggiare, valutare criticamente le opinioni e i saperi, così come i metodi e rispettivi endoxa della ricerca filosofica stessa. La filosofia incrocia molte delle questioni oggetto di studio in altri ambiti disciplinari, di ogni area (dalla tecnica alla scienza alle scienze umane e alle discipline umanistiche) ma li incrocia con uno sguardo suo proprio (è questo il suo “specifico”). Essa poi è significativa perché non opera questo interrogare radicale “astrattamente”, bensì concretamente, in quanto coinvolge personalmente chi prende parte al gioco: non può essere la semplice pratica di un sapere, ma è un praticare i saperi e i loro confini nella prospettiva del prendere coscienza di questo praticare e delle domande radicali che pertengono al suo valore, permettendo a chi la pratica di darsi una visione del mondo consapevole e critica e conseguentemente una “dottrina di vita” (ethos filosofico).

La domanda “cos’è sapere di base in filosofia?” può essere quindi letta - oltre che nel senso di chiedersi quali siano i “nuclei fondamentali” dell’identità della filosofia come disciplina -anche nell’ottica seguente: quali sono gli stili di pensiero e le pratiche di pensiero che la filosofia ha messo in campo come sua “via” specifica? Mi pare che in questo capitolo dell’opera Berti ci induca a sollevare queste questioni, anche al di là dell’itinerario espositivo da lui scelto, che è di tipo storico-critico.

Del resto, è probabilmente impossibile sfuggire ad una relativa aporeticità, quando, pur constatando l’intrinseca plurivocità dei metodi filosofici, e la varietà dei temi cui la filosofia si rivolge, intendiamo comunque indicare un insieme di “saperi essenziali” e uno “specifico disciplinare” (il che presuppone una nozione unitaria del campo disciplinare, l’idea di un sistema del sapere in qualche modo organico ed unitario).

Gli interventi di Armando Girotti, nome noto per le sue valide pubblicazioni nell'area della metodologia dell'insegnamento filosofico, puntano invece ad offrire una guida organica per chi intende misurarsi nella progettazione di percorsi formativi. Egli affronta infatti gli aspetti “metodologico-didattici” (terza parte) e di “ricerca” (quarta parte) della disciplina filosofica.

Nella terza parte, “Progetti Didattici”, assistiamo ad una vera e propria “modellizzazione didattica”, attraverso la quale si propongono in modo esauriente e piuttosto articolato quattro percorsi: «il primo sulla progettazione di una mostra aperta al pubblico intorno al problema del bene e del male, il secondo sulla produzione ipertestuale intorno al problema esistenziale dell’uomo, il terzo sulla costruzione di un diario-epistolario su uno dei temi molto sentiti dai giovani, l’amore, l’ultimo, forse più complesso degli altri, sulla progettazione di una drammatizzazione sul concetto ‘libertà’» (p.115).

In ciascuno di questi percorsi, l’autore mostra le linee direttrici della costruzione di un progetto di azione didattica, tenendo conto di una pluralità di variabili e di elementi: le motivazioni delle proposte, l’analisi di obiettivi e finalità, l’analisi del problema, sia dal punto di vista concettuale che nelle sue varie sfaccettature, la presentazione di una rosa di attività possibili, e l’attenta considerazione delle modalità di svolgimento del progetto stesso. Non solo: per ciascun percorso troviamo una accurata selezione di testi per la lettura e lo studio, nonché opportune indicazioni in merito alle operazioni che possano consentire un esame di questi materiali testuali. La modellizzazione fa comprendere come l’attività di progettazione di un’azione didattica debba identificare per ogni componente del gruppo di lavoro le specifiche operazioni (non solo per gli allievi, quindi, ma anche per il docente, per gli altri docenti, per persone esterne). Si presentano anche griglie abbastanza articolate per la redazione di questionari (sia iniziali, che per il lavoro in itinere e per la valutazione conclusiva), si mostra come sia opportuna la razionalizzazione dei tempi, e si prevedono schemi per le esercitazioni.

Insomma, un ottimo esempio di progettualità didattica, il quale ha una forte valenza formativa, se non altro pensando alla fruibilità e praticabilità per imitazione di simili modelli. Alla base di questa proposta di Girotti sta la profonda convinzione che la progettazione didattica è l’ultimo momento della attività del filosofo che vuole autenticamente comunicare il suo pensiero, e quindi provvede a razionalizzare, fin dove possibile, le sue pratiche, in vista di un coinvolgimento diretto e significativo dell’interlocutore.

L'ultima sezione (Parte IV), dal titolo “Itinerari bibliografici per l’aggiornamento”, sempre a cura di Girotti, in tre capitoli suggerisce un percorso bibliografico ragionato per chi volesse orientarsi in questo settore. Il capitolo d’apertura, “Intorno al dibattito sull’insegnamento”, propone in poche pagine acute osservazioni, anche sotto forma di bilancio storico. Questo bilancio e quest’analisi a tratti assumono forse toni un po’ pessimisti, critici ed amari, mai sostanzialmente cancellando la prospettiva entusiastica dalla quale l’autore appare guidato e che egli non riesce a celare nelle sue parole.

La prospettiva adottata da Girotti in quest’ultima sezione è evidentemente volta ad offrire un contributo significativo, concreto e organico alla formazione e all’autoformazione dei futuri candidati all’insegnamento (problema al quale l’autore si sta dedicando all’interno della Commissione Didattica Nazionale della SFI).

Il testo in questione, come si vede, si inserisce con una sua peculiare identità all'interno del dibattito sul rinnovamento della didattica della filosofia.