Torna al sommario di Comunicazione Filosofica Comunicazione Filosofica n. 7 - luglio 2000 Fabio Minazzi LA FILOSOFIA COME ANIMA VIVENTE DELLA CULTURA La filosofia può essere insegnata a tutti i cittadini? Naturalmente questa domanda preliminare si pone inevitabilmente se si ipotizza di inserire l'insegnamento della filosofia nell'ambito della scuola dell'obbligo. Tuttavia, questa domanda pregiudiziale, concernente, più direttamente, la sola, eventuale, possibilità dell'insegnamento della filosofia entro la scuola dell'obbligo, ne implica immediatamente un'altra, non meno radicale e forse ancor più decisiva, la quale, invece, si colloca sul piano più direttamente culturale, teorico e civile: perché la filosofia dovrebbe essere insegnata a tutti i cittadini? La soluzione del problema più circoscritto e delimitato concernente l'eventuale possibilità dell'insegnamento della filosofia implica, dunque, la soluzione critica di una questione teoricamente antecedente, concernente i motivi di fondo che dovrebbero infine indurci a sciogliere positivamente il problema dell'insegnamento della filosofia nella scuola dell'obbligo: perché nella scuola dell'obbligo si dovrebbe insegnare proprio la filosofia al posto o accanto ad altre discipline? Perché dovremmo inserire l'insegnamento della filosofia tra le materie che devono far parte del patrimonio minimo, comune e indispensabile, di ogni cittadino? Ancora: perché proprio la filosofia dovrebbe costituire un ineliminabile diritto di cittadinanza per il cittadino del terzo millennio? I due ordini di problemi testé indicati - quello della possibilità e quello dell'opportunità e della doverosità (civile e culturale) dell'insegnamento della filosofia nella scuola dell'obbligo - pur essendo strettamente intrecciati e serratamente interconnessi, devono tuttavia essere affrontati separatamente poiché, in verità, si collocano su due diversi piani teorici e implicano, pertanto, considerazioni affatto peculiari e distinte. Senza aggiungere, infine, che questi stessi problemi, nella misura in cui concernono una disciplina così complessa come la filosofia, soggetta a molteplici definizioni, finiscono anche per assumere curvature diverse e persino contrastanti a seconda della differente concezione che può essere difesa a proposito della stessa riflessione filosofica. Il modo stesso con cui può essere concepita la filosofia implica, infatti, una differente soluzione sia del problema della eventuale possibilità di un suo insegnamento medio obbligatorio, sia delle ragioni che dovrebbero giustificare (o meno) questa presenza della filosofie entro le discipline studiate da tutti i giovani che frequentano una scuola dell'obbligo. Naturalmente non è questa la sede più opportuna né per analizzare le differenti definizioni teoriche possibili della filosofia, né, tanto meno, per sviluppare un loro analitico confronto storico-critico. Semmai, il problema va invece ribaltato e considerato da un differente punto di vista: dando per scontata una innegabile pluralità di definizioni possibili della filosofia e preso parimenti atto che nel seno stesso dello sviluppo storico-concettuale di questa disciplina sono effettivamente affiorate accezioni profondamente diverse e persino contrastanti della pratica filosofica, come è allora possibile prospettare l'opportunità di un suo insegnamento medio e, in modo ancora più radicale, di un suo insegnamento nell'ambito della scuola dell'obbligo? In altri termini: la pluralità di accezioni concettuali della filosofia è veramente compatibile con l'idea che lo studio di questa disciplina debba costituire un momento irrinunciabile per la formazione di qualunque cittadino? Posta in questi termini la questione intrinseca (ma, forse, anche un poco disperante) dello statuto epistemico della riflessione filosofica può allora essere ricompresa e riformulata da un punto di vista più fecondo, ampio e complessivo: quale può e deve essere l'apporto che la filosofia può e deve arrecare alla formazione di base di qualunque cittadino? Se la filosofia e il suo conseguente insegnamento costituiscono veramente una dimensione irrinunciabile per l'effettiva attuazione di un reale diritto di cittadinanza, quale dovrà essere, allora, la sua funzione e il suo ruolo didattico-educativo entro il quadro di tutte le altre discipline insegnate nella scuola dell'obbligo? Anche questa domanda, per la sua stessa intrinseca natura, rinvia, nuovamente, a sua volta, ad una questione teorica e culturale di fondo: qual è il ruolo e la funzione che la filosofia svolge nel contesto dei patrimonii, storicamente determinati, tecnico-conoscitivi e culturali propri di una società e di un'epoca storica? Naturalmente nel rispondere a tutte queste domande aperte, qualunque sia la particolare posizione teoretico-culturale per la quale si inclinerà, si finirà sempre, inevitabilmente, per delineare una soluzione prospettica entro la quale emergerà una particolare accezione della filosofia e un particolare orizzonte teoretico il quale, appunto, vivificherà questa o quella determinazione concettuale e questo o quella conseguente proposta didattico-educativa. Per questa ragione di fondo ogni argomentazione addotta potrà affermarsi solo nella misura in cui sarà veramente in grado di confrontarsi criticamente con le altre risposte e con le altre argomentazioni, ma non potrà mai rescindere, comunque, i suoi legami con una determinata concezione della filosofia e della stessa cultura. In questa prospettiva, più che muovere da una possibile definizione particolare e circoscritta della filosofia, mi pare più opportuno mettere in evidenza come la riflessione filosofica, nel corso dei secoli, si sia caratterizzata non tanto per una sua vocazione a costituire un sapere assoluto da imporsi sinteticamente agli altri saperi, vale a dire come una disciplina contraddistinta da propri oggetti specifici (tali da potersi contrapporre agli oggetti specifici delle altre discipline), bensì come una forma di metariflessione concettuale mobile e flessibile la quale si è sempre strettamente connessa con una considerazione critica concernente l'origine, le condizioni, i metodi, i limiti e i valori che contraddistinguono, nella loro effettiva concretezza storico-concettuale i vari saperi e le differenti discipline. In questo senso la filosofia ha cercato di delinearsi quale anima vivente della cultura, sempre capace di collocarsi là dove esiste un problema aperto per la cui soluzione è indispensabile sviluppare una particolare attitudine filosofica in grado di sviscerarne valori e limiti, origine e condizioni, metodi e configurazione specifica di ogni singola questione, sempre valutata e compresa alla luce di un determinato patrimonio conoscitivo e culturale. Con il che non voglio affatto negare come questa particolare accezione della riflessione filosofica si ricolleghi a tutta quella composita e ricca tradizione concettuale che ha insistito nel sottolineare come il compito precipuo della filosofia sia proprio quello di saggiare la validità del sapere (e delle differenti configurazioni specifiche delle varie discipline), determinandone i limiti e le condizioni effettive, studiandone, cioè, le loro effettive possibilità. Né, parimenti, nego come in questo specifico orizzonte concettuale il compito della filosofia possa essere precisato mostrando che suo dovere precipuo e primario è esattamente, per dirlo con Platone, quello di “ridiscendere” costantemente nella caverna. Discendere nella dimora comune a tutti gli uomini e contemplare gli oggetti nelle tenebre diventa, anzi, la conditio sine qua non per il filosofare, perlomeno nella misura in cui quest'ultimo si vuole costantemente confrontare con i patrimoni conoscitivi, tecnici e culturali elaborati dall'umanità nel corso della sua storia. La riflessione filosofica vive dunque, à la Mach, tra le pieghe di questi patrimoni e costituisce, pertanto, una irrinunciabile attività concettuale la quale, tendenzialmene, si colloca sempre sul piano storico-critico della stessa «effervescenza generale degli spiriti» (Condorcet), secondo le specifiche modalità con le quali quest'ultima si è storicamente manifestata. Naturalmente il procedimento tipico e specifico di questa impostazione non può non essere quello analitico in virtù del quale, per dirla invece con Kant, «la limitatezza della ragione, che viene ad essere la conoscenza, sia pure indeterminata, di un'ignoranza mai completamente eliminabile, può anche essere conosciuta a posteriori, vale a dire da questo che, in ogni sapere, ci resta sempre ancora da sapere». Studiare i limiti e quindi le condizioni del sapere umano consente, allo stesso tempo, di individuare un orizzonte culturale e civile entro il quale l'insegnamento della filosofia nella scuola dell'obbligo svolge una funzione decisiva e fondamentalmente aperta. Decisiva, perché consente di ritrovare un piano e un orizzonte che funge da collante, mobile e critico, tra i diversi saperi, con l'avvertenza che si tratta sempre di una funzione nella quale la filosofia emerge non tanto come una determinata filosofia (come un determinato ismo), bensì, per dirla questa volta con un filosofo del Novecento come Dewey, come una filosofia critica delle critiche. Aperta, poiché la sua mobilità non si radica in questa o quella forma storicamente determinata e configurata, ma abita costantemente il piano del concetto il quale trova collocazioni e configurazioni diversificate poiché come il mercurio si infila per ogni dove, così la filosofia si insinua in tutte le pieghe rilevanti di una sapere e di una cultura. Se si accetta questo quadro prospettico, la possibilità dell'insegnamento della filosofia nella scuola dell'obbligo costituisce allora un'opportunità irrinunciabile giacché introducendo l'insegnamento della filosofia si offre al discente l'effettiva opportunità di aprirsi ad un piano di valutazione storico-critica dei saperi in grado di aiutarlo a meglio valutarli nel loro valore e nei loro limiti intrinseci, precisando costantemente le condizioni concettuali entro le quali quegli stessi saperi disciplinari si sono storicamente configurati. Per questa ragione, senza ora entrare nel merito di una più precisa proposta didattico-educativa, si può dire che l'insegnamento della filosofia nell'ambito della scuola dell'obbligo si potrebbe impostare secondo una prassi squisitamente modulare, entro la quale la dimensione filosofica sia costantemente recuperata a stretto contatto con i contenuti disciplinari delineati dalle varie discipline con le quali deve interagire entro una specifica programmazione didattico-educativa. Sempre per questa ragione di fondo lo stesso patrimonio concettuale elaborato dalla tradizione filosofica potrebbe essere utilizzato come un autentico capitale da mettere a disposizione di una riflessione modulare le cui radici culturali dovrebbero essere individuate nell'interdisciplinarietà a partire dalla quale dovrebbe sempre prendere le mosse qualunque singolo progetto didattico-educativo. |