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Comunicazione Filosofica n. 7 - luglio 2000
I M S V I R G I L I O P O Z Z U O L I (NA) INDIRIZZI
SPERIMENTALI DISOBBEDIENZA La riflessione filosofica su individuo e politica nel '900: un percorso con i testi a cura di Marianna Astino, Filomena Boscia, Imma Del Prete, Mara Guarino, Aurora Sequino, Antonella Tancredi, Antonio Trupiano, Maurizio Vignola. Premessa La riflessione sulla politica costituisce uno dei luoghi privilegiati della domanda filosofica e della costruzione di percorsi speculativi ed esistenziali, che confermano lo stretto legame della filosofia con la vita storica della cultura che la promuove. La proposta del percorso nasce da domande che i docenti ritengono fondamentali non solo per l'esercizio di una generica attività di pensiero, ma anche per la chiarificazione della loro personale ricerca filosofica e per una migliore integrazione tra le diverse generazioni. Due le motivazioni principali che hanno spinto alla costruzione di questo percorso: 1. la rilevanza della riflessione sulla politica e sulla centralità dei diritti, interpretata anche alla luce della presenza trasversale del tema nella maggior parte dei saperi; 2. la percezione spesso avvertita, ma non sempre sufficientemente problematizzata, di un individualismo di ritorno. Da un punto di vista più specificamente didattico, la logica del percorso - come ormai è proposta da anni per il rinnovamento dell'insegnamento della filosofia - intende in primo luogo far sì che gli studenti si approprino del testo filosofico, imparando ad esercitare le basilari attività di comprensione e di contestualizzazione del significato sia all'interno del quadro speculativo in cui il testo stesso si colloca, sia all'interno dell'orizzonte della loro esperienza. E' chiaro, dunque, che lavorando con i percorsi non si ha di mira l'esaustività nel preoccuparsi di insegnare il pensiero dell'autore, ma si propone un itinerario a più voci all'interno del quale gli studenti, recependo i riferimenti fondamentali da parte dei docenti, acquisiscano via via la capacità di orientarsi da soli nel pensiero e imparino a "fare filosofia". Il lavoro che presentiamo è stato realizzato durante l’anno scolastico 1999/2000. In una prima fase i docenti si sono confrontati a partire dalla esplicitazione delle loro motivazioni rispetto al tema . In una seconda fase, selezionati i principali testi di riferimento tra i molti proposti, si è costruito il percorso vero e proprio tenendo conto anche della programmazione già in atto. Le classi coinvolte appartengono al liceo socio-psico-pedagogico (tre classi), al liceo linguistico (tre classi) e all’istituto magistrale tradizionale (una classe). Gruppo di lavoro: Marianna Astino, Filomena Boscia, Imma Del Prete, Mara Guarino, Aurora Sequino, Antonella Tancredi, Antonio Trupiano, Maurizio Vignola. Classi coinvolte: V H - V I - V L - V M (Pozzuoli) IV A - V D - V F (Monte di Procida) Tempi previsti: 18 ore (compresi i tempi di rielaborazione personale a casa)
DISOBBEDIENZA, PROGETTO DI SE’ E PARTECIPAZIONEItinerario didattico per le classi finali OBIETTIVI 1. Scoprire la rilevanza della riflessione politica e della centralità dei diritti, sottesa alla pluralità dei saperi. 2. Acquisire la consapevolezza dei pericoli dell’individualismo di ritorno.3. Ristabilire le categorie conoscitive ed esistenziali del politico. 4. Problematizzare la riflessione sui diritti: dalla prospettiva del rivendicazionismo alla cultura della condivisione, della prassi e dell’impegno.5. Individuare le distorsioni operanti sulle categorie del politico ( il peso dell’economia ).6. Scoprire il valore dell’educazione alla pace e dell’educazione all’utopia come alternativa( sapere - agire oltre la frammentarietà ).
A - VISIONE DEL FILM “DEL PERDUTO AMORE”(Italia 1998, Michele Placido - 95’)Dibattito > Collettivo Nelle singole classi QUESITI 1. A tuo avviso, al di là delle specifiche connotazioni politiche, che differenza c’è tra il “fare politica” della maestra e il “fare politica” di altri personaggi del film?2. Quali potrebbero essere i presupposti etici alla base delle due diverse visioni della politica? 3. Quali sono gli elementi di continuità e quali quelli di frattura esistenti tra la vocazione religiosa del ragazzo e le sue esigenze di “partecipazione”, pur se indiretta, al progetto politico della maestra?4. In che modo “l’essere donna” della protagonista connota e, al contempo, limita la sua attività politica?
B - PERCORSO SU TESTI Avvertenza: i testi T1-T4 sono stati proposti quasi contemporaneamente in tutte le classi e sono stati oggetto di dibattiti e di brevi esercitazioni scritte. Costituiscono pertanto la parte più consistente del percorso vero e proprio. I testi T5-T8 e T9-T10, che compaiono senza quesiti e non sono stati oggetto di produzioni scritte, sono stati tenuti presenti liberamente dai docenti e in qualche caso - almeno in parte - sono stati oggetto di lettura in altri momenti dell'anno. T1 H. ARENDT: LA RESPONSABILITA’ PERSONALE E LA CRISI DELL’OBBEDIENZA SOTTO LA DITTATURA T2 J.P. SARTRE: PROGETTO DI SE' E COINVOLGIMENTO DELL'INTERA UMANITA' T3 J. HABERMAS: STUDENTI E PARTECIPAZIONE POLITICA T4 J. HABERMAS: VERSO UNA DEMOCRAZIA EFFETTIVA T5 G.W.F. HEGEL: INDIVIDUO E UNIVERSALITA' T6 H. MARCUSE: PERCHÉ LO STATO DI HEGEL NON E' PARAGONABILE ALLO STATO FASCISTA T7 K. POPPER: HEGEL PROFETA DEL TOTALITARISMO T8 K. MARX: LA CRITICA DELLA LIBERTA' FORMALE T9 C. SCHMITT: LA DEFINIZIONE CONCETTUALE DEL POLITICO T10 M. WEBER: LA POLITICA COME PROFESSIONE
ULTERIORI SVILUPPI E APPROFONDIMENTI DELL'AZIONE DIDATTICA Si indicano sommariamente una serie di approfondimenti o percorsi complementari che potrebbero essere svolti in filosofia o in altre discipline nello stesso anno di corso o in anni diversi. Filosofia Terzo anno di corso 1. Percorso complementare volto a riflettere sulle "categorie del politico" per mettere a fuoco le categorie specificamente conoscitive del tema in esame, invitando poi eventualmente gli studenti a formularne di proprie: T 1: Schmitt, La definizione concettuale del politico (amico / nemico); T 2: Weber, La politica come professione (passione, senso di responsabilità e lungimiranza come qualità decisive per l'uomo politico). Entrambi i testi sono già proposti nel percorso realizzato, ma non sono stati oggetto di analisi. 2. Percorso complementare di breve durata sul tema della pace: T 1: Kant, Per la pace perpetua; T 2: Hegel, La necessità della guerra; T 3: Marx, La guerra non è decisa dagli operai; T 4: Jaspers, La guerra e la paura di pensare. Per la scelta dei testi, eventualmente anche più articolata, può essere utile consultare E.Balducci, L.Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983; W.B. Gallie, Filosofie di pace e di guerra. Kant, Clausewitz, Marx, Engels, Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1993. 3. Filosofia della differenza: scelta di testi di H. Arendt, S. Weil, E. Stein. Secondo anno di corso 1. Intellettuale e potere nell'età moderna. A partire dalle biografie e dai documenti storici per poi esplorare il pensiero filosofico, riflettere su alcune figure dell'età moderna che hanno difeso la libertà di pensiero: Bruno, Galilei, Spinoza, Moro, Campanella, Kant ... proponendo "riletture" del '900 (ad es.: Brecht rilegge Galilei). 2. Libertà di pensiero e tolleranza: un percorso con testi di Locke, Spinoza, Milton, Voltaire, Bayle. Una buona scelta di testi, oltre all'analisi del classico, è offerta da R. Cortese (a cura di), La "Lettera sulla tolleranza di Locke" e il problema della tolleranza nella filoosfia del Seicento, Paravia, Torino 1990. Si veda anche S. Parlagreco, Le ragioni della tolleranza. Diritti umani, storie disumane, SEI, Torino 1995. 3. Percorso sull'utopia: 1. Breve storia dell'utopia, con riferimenti a Platone, Moro, Campanella, Bacone, Illuminismo, Rousseau, Socialismo utopistico, Kant, Comte, Marx, pensiero anarchico. 2. L'utopia nel pensiero contemporaneo: testi di Sorel, Mannheim, Bloch, Heller, Scuola di Francoforte. 3. L'utopia nella storia: Rivoluzione francese, Rivoluzione russa, nazismo, '68. 4. Diversità e utopia: l'antipsichiatria. 5. Possibilità di costruire utopie. Il percorso, realizzato tra secondo e terzo anno di corso di filosofia, potrebbe costituire un buon avvio per un'area di progetto trasversale. Primo anno di corso 1. Filosofia e politica ad Atene: un percorso con il Critone di Platone sul rapporto legge - coscienza - polis. 2. Il dibattito sulla legge nella città democratica: testi di Tucidide, Antifonte, Callicle, Trasimaco, Platone. Una buona scelta è presente in D.Massaro, G. Fornero, Fare filosofia. Temi, testi, labortaorio, vol.I, Paravia, Torino 1998 (capitolo V: democrazia e filosofia). 3. Libertà e destino: riflessione sulle condizioni e sulle implicazioni della libertà personale a partire dal Mito di Er di Platone. Pedagogia 1. La crisi del principio di obbedienza: don Lorenzo Milani, L'obbedienza non è più una virtù, interpretata anche in riferimento al contesto specificamente pedagogico dell'esperienza di Barbiana (Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 199110). 2. L'educazione alla convivenza democratica come direzione di senso sottesa ai Programmi della Scuola Elementare (1985). 3. I diritti dei bambini. Analisi degli articoli della Convenzione Internazionale; progettazione di esperienze di laboratorio utili a creare spazi e tempi per i diritti. Validi suggerimenti possono essere rintracciati nelle pubblicazioni e nei materiali didattici proposti da Amnesty International. 4. Fenomenologia della condizione giovanile: ricerca di identità nella società complessa. Può essere utile consultare i più recenti rapporti curati dal Censis sulla condizione sociale del paese e il terzo rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia (A.Cavalli, A.De Lillo [a cura di], Giovani anni '90. Terzo Rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 1993). Psicologia 1. Studio di comportamenti e fenomeni sociali quali il senso di giustizia, l'altruismo, la coesione del gruppo. Può essere utile consultare manuali di psicologia sociale quali J.R. Eiser, Psicologia sociale cognitivista, Il Mulino, Bologna 1983; K.J. Gergen, M.M. Gergen, Psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1990; M. Hewston, W. Stroebe, J.-P. Codol, J.M.Stephenson, Introduzione alla psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1991 2. Analisi della formazione di stereotipi, pregiudizi e distanza sociale, soprattutto in riferimento alla logica del consenso e ai meccanismi di persuasione. Oltre ai manuali citati al punto precedente, si può fare riferimento a studi specifici sul problema storico culturale del pregiudizio, quali M. Wieviorka, Lo spazio del razzismo, Il Saggiatore, Milano 1993 e G. Colasanti, Il pregiudizio, F. Angeli, Milano 1994. 3. Analisi dell'aggressività: confronto tra diverse interpretazioni del fenomeno. Analisi dei meccanismi di base. Possibilità di intervento per gli educatori. Valide indicazioni sulle teorie dell'aggressività possono essere trovate in A.Bianchi, P.Di Giovanni, La ricerca socio-psico-pedagogica. Temi, metodi e problemi, Paravia, Torino 1997 (Capitolo 1); G.Attili, F.Farabollini, P.Messeri (a cura di), Il nemico ha la coda. Psicologia e biologia della violenza, Giunti, Firenze 1996.
VERIFICA CONCLUSIVA Dopo aver analizzato il documento proposto tratto dall'introduzione al terzo rapporto IARD sulla condizione giovanile condotto nel 1992, si rifletta sui temi della disobbedienza, del progetto di sé e della partecipazione così come sono stati approfonditi durante il percorso filosofico, avendo cura di considerare eventualmente anche problematiche storiche contemporanee. Si produca, quindi, un saggio breve, avendo cura di specificare il titolo, il destinatario, l'occasione in cui viene elaborato. Le nuove generazioni appaiono meno orientate alla strumentalità rispetto al passato e più interessate alla vita di relazione. Ciò che più volentieri ricordano della scuola sono i rapporti con i compagni; degli insegnanti si apprezzano le capacità relazionali e l'attenzione alle esigenze degli allievi; nel lavoro si cercano ambienti capaci di offrire buone possibilità di rapporti gerarchici e tra pari; le attività di partecipazione politica e sociale vengono apprezzate quando consentono di mettere in sintonia bisogni individuali ed esigenze collettive [...]. In un mondo in profonda trasformazione i giovani sembrano auspicare una società che sia fondata più sul principio di relazione che sul principio di prestazione. L'attenzione verso gli altri e la richiesta di attenzione verso se stessi da parte degli altri sembra essere un atteggiamento largamente diffuso tra le nuove generazioni. Ciò significa particolare attenzione ai processi interattivi, alle relazioni interpersonali, alle capacità comunicative e, di conseguenza, al possesso dei codici necessari a leggere realtà differenziate e non riducibili a principi comuni [...]. Già le precedenti indagini avevano messo in luce la lontananza dell'universo giovanile dal mondo della politica, intesa in senso partitico [...]. I partiti, i sindacati non erano più da tempo i luoghi unificanti della visione del mondo, le istanze deputate dell'ideologia, gli organizzatori della partecipazione. Questo processo di laicizzazione della politica continua e si va rafforzando, ma sarebbe sbagliato intenderlo come rifugio nel privato e fuga dall'impegno pubblico. Basterebbe osservare che, rispetto a cinque anni fa, sono aumentate tutte le forme di partecipazione sociale per concludere che i giovani sembrano alla ricerca di nuove vie e nuovi modi di stare insieme nella società. Sono cresciuti, certamente i valori di tipo privatistico, gli interessi a carattere evasivo, ma questo non fa diminuire l'impegno nel cercare una propria collocazione anche nel rapporto con gli altri, nel sociale. Si tenta di combinare la soddisfazione nel proprio quotidiano con forme di partecipazione alla vita collettiva che contribuiscano a migliorare la vita di tutti, alla ricerca di un difficile equilibrio tra felicità privata e pubbliche virtù [...]. Il quadro complessivo non è, però, tutto roseo. Permangono forti squilibri tra il Nord e il Sud del paese, tra aree economicamente e culturalmente forti e zone depresse su entrambe le dimensioni [...] troppo fortemente pesano le sperequazioni di origine sui destini individuali, troppo rilevanti, in molti casi le diseguaglianze di genere. In questo senso la crisi economica fa sentire in modo ancora più netto il fatto che nel nostro paese l'uguaglianza delle opportunità è un obiettivo lontano. (da A.Cavalli, A.De Lillo [a cura di], Giovani anni '90. Terzo Rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna 1993).
EREDITA' DEI PADRI E VOGLIA DI PARTECIPAZIONE A conclusione di ogni percorso sorge spontanea la discussione non solo sugli obiettivi che erano stati prefissati, ma anche sui modi di attuazione e soprattutto sulle tracce che possa lasciare sia nei docenti che negli studenti. In qualche modo si presenta la domanda che spesso accompagna ogni lavoro di tipo intellettuale, se l'attività svolta abbia una ricaduta sulla formazione e se addirittura si possa intravedere un influsso anche in un ambito più vasto, quale può essere - trattandosi di una riflessione su filosofia e politica - quello della sfera pubblica. E' stato interessante confrontarci tra docenti con questa domanda in termini forse non molto lontani da quelli in cui si espresse Hannah Arendt in una conversazione televisiva con Günther Gaus nel 1964: GAUS - Il suo lavoro - vi ritorneremo in modo più dettagliato - è in gran parte dedicato alle condizioni in cui l'azione e il comportamento politico sono possibili. Con tale attività lei intende esercitare un influsso anche in un ambito più vasto, o ritiene che nella nostra epoca ciò non sia più possibile, oppure questo effetto sul pubblico le è indifferente? ARENDT - E' di nuovo una questione complicata. Se proprio devo parlare in tutta sincerità, devo dire che quando lavoro non sono affatto interessata all'effetto. GAUS - E quando il lavoro è finito? ARENDT - Beh, io finisco con lui. Vede, per me si tratta essenzialmente di questo: io devo comprendere. In questa comprensione rientra anche la scrittura. La scrittura è per me parte essenziale del processo di comprensione. GAUS - Quando lei scrive, la scrittura è al servizio di una conoscenza più ampia. ARENDT - Sì, perché in quel momento delle cose determinate sono state stabilite. Supponiamo di possedere una memoria così buona che si riesce a trattenere tutto ciò che si pensa. Io dubito molto, conoscendo la mia pigrizia, di essere mai riuscita ad annotare qualcosa. Ciò che mi importa è il processo stesso del pensiero. Quando io lo esercito sono molto contenta. Quando riesco ad esprimerlo in modo adeguato nella scrittura, di nuovo sono molto soddisfatta. Lei mi domanda se mi interessa l'effetto. Se mi consente di esprimermi in modo ironico, questa è una domanda maschile. Gli uomini vogliono sempre ottenere un'influenza; ma io vedo tutto ciò dall'esterno. Ottenere io un'influenza? No, io voglio comprendere. E quando altri comprendono - nello stesso senso in cui io ho compreso - allora provo una soddisfazione comparabile a quella che si prova quando ci si sente a casa propria (Heimatgefühl). Pur nelle evidenti differenze - il nostro lavoro non è stato prima di tutto un lavoro di scrittura - il testo riportato è adatto ad esprimere alcune considerazioni. In primo luogo, la questione dell'effetto. Saremmo ipocriti se negassimo il nostro interesse agli effetti esercitati da un percorso culturale. Eppure, nel discutere delle varie aspettative, dei tanti interessi attivati e della difficoltà ad esprimere il tutto in risultati ben verificabili, ci siamo resi conto di quanto la domanda sugli effetti sia, almeno in certi termini, espressione di una deformazione. Lavorare su questioni filosofiche, suscitando interrogativi anche sul proprio orizzonte di valori e di scelte, è qualcosa che non si traduce molto facilmente nella visibilità degli effetti, a meno che non si voglia includere tra gli effetti anche il comprendere: allora la questione si pone in termini del tutto diversi. I testi filosofici - e ovviamente anche i film - hanno fatto nascere nei ragazzi un forte desiderio di capire e di confrontarsi, così da poter dire che la dimensione politica è diventata più familiare. Riflettendo su testi e su temi di simile portata, non si va facilmente oltre il livello teorico, che già rappresenta una conquista di rilievo. Sarebbe ambizioso, e forse anche alquanto ingenuo, pensare che gli studenti facciano immediatamente il passo verso la maggiore responsabilizzazione. Non per questo, però, sarebbe saggio nascondere alcune difficoltà che sollecitano una riflessione più generale sul nostro compito di docenti e in particolare di docenti di filosofia. Ad esempio, in tutte le classi è stato riscontrato un forte divario tra le modalità di partecipazione - forte vivacità in fase di dibattito, interesse, apprezzamento del coinvolgimento esistenziale - e le modalità di rielaborazione personale del percorso realizzato. Quando si tratta di oggettivare alcune considerazioni, cercando di mantenere l'equilibrio tra la dimensione personale e il livello della discussione più formalizzata, i ragazzi tendono a perdersi o a rispondere nei termini del "desiderabile", sui quali la scuola non dovrebbe avere molto da obiettare. Per certi aspetti il saggio breve, rispetto ai quesiti posti volta per volta sui testi filosofici, richiedeva una elevata capacità di rielaborazione e di argomentazione. Tuttavia anche il riscontrare questi limiti ha sollecitato interrogativi che sollecitano il nostro lavoro verso obiettivi estremamente vitali per il senso del nostro insegnamento e della formazione degli studenti: si tratta di proporre non semplicemente una scuola che interessi sempre di più, ma un modo di fare cultura che riesca a coniugare la concretezza della dimensione personale con il rigore della costituzione dei saperi, di quelli non semplicemente "accolti" dai ragazzi perché immediatamente più entusiasmanti, ma elaborati in prima persona in modo rispondente al proprio e all'altrui orizzonte di senso. La tanto declamata centralità dell'alunno non ci esime dal fare delle scelte di percorsi, di testi, di modalità concrete di lavoro che sono ovviamente sempre filtrate da una nostra lettura dei bisogni degli allievi e del concreto contesto storico nel quale operiamo. La lettura condivisa, però, non è sinonimo di improvvisazione, di spontaneismo didattico, né tanto meno di uniformazione di contenuti e metodi. E'interessante, in questo senso, una battuta scappata ad uno dei ragazzi durante il dibattito sul film "Missing": Il film è stato per voi insegnanti così coinvolgente che da qualche minuto state facendo il dibattito tra voi... dicendo anche cose diverse (Francesco). Non ci è sembrato di scorgere il sospetto che stessimo prevaricando, ma ci siamo sentiti osservati nella nostra discussione, motivati a chiarire un groviglio di problemi storico-politici che presenta tuttora forti ripercussioni sul presente. Chi ha visto al centro Francesco: noi o loro? ... O non è piuttosto emerso uno scambio di letture, forse anche un passaggio di consegne tra una generazione e un'altra, quella di chi ha vissuto direttamente le domande, le paure, le interpretazioni del golpe in Cile e quella di chi ha accolto la memoria della generazione precedente e osserva che ... si discute ancora? Rispetto agli obiettivi prefissati, nonostante la consapevolezza del bisogno di tempi più lunghi di quelli a disposizione e della necessità di avviare un percorso di questo tipo sin dal primo anno di filosofia, certamente i primi quattro sono stati conseguiti. Anche su questo si tratta, però, di intendersi: conseguire l'obiettivo significa che quanto proposto non è più estraneo ai ragazzi, è diventata parola condivisa, inquietudine comune, ulteriore domanda. Siamo forse ancora troppo lontani dall'ambito dell'agire, che diventa il severo banco di prova della nostra cultura? Forse, con maggiore fiducia, potremmo dire che abbiamo intravisto l'inseparabilità di parola e azione, e per questo non temiamo di sostenere le potenzialità della parola che è capace di riformulare continuamente la nostra cultura: Ad ogni modo, senza essere accompagnata dal discorso, non solo l'azione perderebbe il suo carattere di rivelazione, ma anche il suo soggetto; non uomini che agiscono, ma robot che eseguono realizzerebbero ciò che, umanamente parlando, rimarrebbe incomprensibile. L'azione senza discorso non sarebbe più azione perché non avrebbe più un attore, e l'attore, colui che compie atti, è possibile solo se nello stesso tempo sa pronunciare delle parole. L'azione che egli inizia è rivelata agli uomini dalla parola, e anche se il suo gesto può essere percepito nella sua nuda apparenza fisica senza accompagnamento verbale, acquista rilievo solo l'espressione verbale mediante la quale egli identifica se stesso come attore, annunciando ciò che fa, che ha fatto o che intende fare. Molte sono state le "parole" dei ragazzi, dette anche per chiarire o mettere in discussione il loro stesso agire. Hanno apprezzato il forte legame del percorso compiuto con la loro vita, ma non hanno risparmiato la critica severa ad un certo modo di intendere la politica. E' ancora molto diffusa la percezione che la politica sia dettata "dall'alto", che sia patrimonio "dei padri". Non è un caso che sia emersa una interessante dilatazione della categoria del politico, benché non sempre mantenuta in modo coerente anche da parte della medesima persona ("ho provato interesse per l'esistenzialismo, non per la politica"!...), e che sia stata espressa una forte insofferenza al discorso politico inteso come questione partitica: La vecchia generazione intende che il saper fare politica comporti la conoscenza o l'appartenenza a partiti, ma secondo me far politica vuol dire attivarsi per far sì che le cose cambino in meglio. Anche la rivolta degli studenti del '68 è stata un far politica. Dalla visione del film "Del perduto amore" ho capito chiaramente la differenza esistente tra quelle persone che facevano politica solo con la loro appartenenza ad un partito e quella donna che con il suo insegnamento dava maggiore consapevolezza ai ragazzi e perciò faceva più politica degli altri. E poi, come sostiene Habermas, il far politica dei giovani è molto più leale e sincero del far politica di persone appartenenti all'élite funzionale (Michela). Da tempo è stata messa in luce la lontananza dell'universo giovanile dal mondo della politica, intesa in senso "partitico". I partiti, i sindacati, non sono più, da tempo, i luoghi unificanti della visione del mondo, le istanze deputate dall'ideologia, gli organizzatori della partecipazione (Nunzia). Il termine politico non risulta necessariamente lontano ed estraneo, a patto che si rispettino alcune condizioni: Viviamo in una società in cui il termine "politico", soprattutto nel mondo giovanile, dovrebbe esprimere volontà di cambiamento, progetto, futuro, speranza ... Le persone dovrebbero iniziare dalle piccole cose, dal quotidiano e superare il pregiudizio di una politica lontana e corrotta ..., perché il progresso non può rimanere legato solo alla tecnologia, ma deve mostrare i segni di un mondo che è stato superato anche spiritualmente e storicamente da un punto di vista ideologico (Maria Anna). Per alcuni, in ogni caso, la politica viene ancora intesa come un mondo da cui ci si allontana volentieri, ma non senza motivazioni: L'informazione è limitata, non è sufficiente per la nostra formazione politica, siamo "bombardati da propaganda politica", raramente ascoltiamo discorsi che potrebbero servire ad ampliare le nostre conoscenze (Simona). I giovani non avvertono l'esigenza di affrontare il discorso politico, forse perché hanno paura di confrontarsi con la realtà (Laura). La ragione per cui i giovani si allontanano dalla politica è che in essa vedono solo un insieme di norme e regole da rispettare .. ma non vi trovano opportunità e diritti per i quali il singolo ... dia il proprio contributo alla comunità (Monica). Non manca chi, alla fine del percorso, avverte il bisogno di porsi in modo nuovo rispetto al modo abituale di intendere la politica, a partire dal confronto con i propri genitori: A casa mia si vota il personaggio che si vede di più in televisione, perché è sorridente, è ben vestito, parla bene ed è rassicurante (Ndr: Berlusconi). A me dispiace che i miei genitori, per mancanza di cultura, si lascino imbrogliare da certe persone. Secondo me, c'è in giro molta demagogia e non si fa politica veramente. Ora io capisco che c'è bisogno di essere informati e di possedere una formazione culturale; questo è già un passo avanti dal punto di vista politico. Proprio in questi giorni sono tornata a casa ed ho cominciato a parlare della responsabilità politica con mio padre. Abbiamo litigato... (Rachele). Anche Barbara, esprimendo delle considerazioni sul senso del percorso fatto, condivide la tesi di Habermas sulla maggiore libertà degli studenti, resa però spesso innocua da chi si limita a "lasciarli fare", e attribuisce grande importanza all'acquisizione di nuove consapevolezze che non sono destinate a rimanere sul piano del "teorico": Io sono d'accordo con l'analisi di Habermas sulla posizione privilegiata degli studenti riguardo alle scelte politiche, ma mi rendo conto anche degli interessi economici che sono condizioni vincolanti. Non voglio dire che la politica è un lusso, perché, tanto, gli studenti sono a carico dei genitori che provvedono a loro, ma che sicuramente per loro è più facile. Questo fatto, da un lato mi fa pensare che gli studenti siano più liberi di manifestare le loro idee politiche, tanto non cambiano in realtà quasi niente e quindi li lasciano fare; dall'altro lato, questo percorso fatto a scuola mi ha fatto capire che è importante avere delle idee, perché pure queste possono avviare dei cambiamenti. Dopo questo percorso e queste discussioni, io mi rendo conto di aver preso coscienza di problemi sui quali finora non mi ero mai interrogata seriamente (Barbara). Apprezziamo le attività di partecipazione politica e sociale, quando esse consentono di mettere in sintonia bisogni individuali ed esigenze collettive (Valentina). Le considerazioni di Barbara, di Rachele, di Valentina, non esprimono soltanto il sogno solitario di chi si augura di cominciare a costruire un ponte dalla teoria alla prassi. Altre voci invitano a realizzare un modo nuovo di fare politica, a partire dalla difesa del pluralismo e della legalità: Io credo che uno dei principi per fare correttamente politica sia quello della tolleranza e dell'accettazione delle idee di altre parti; cioè il pluralismo è fondamentale. Non posso accettare l'idea che un'altra persona, che è semmai un mio amico o parente, possa diventarmi intollerabile solo perché ha un'altra ideologia; purtroppo nei piccoli centri come il nostro è molto difficile dividere invece la vita privata e i rapporti di parentela dalle idee politiche o di partito (Maria Rosaria). In risposta alla compagna, sottolinea Rachele: Così mi pare che fai come Hegel che in fondo metteva tutti d'accordo a livello di pensiero. Questo è un modo per giustificare il fatto che vogliamo starcene quieti a pensare ai fatti nostri e non vogliamo agire. Se già cominciassimo, non dico a fare politica di partito, ma a rispettare la legalità, sarebbe già una gran cosa perché, chi più, chi meno, contribuiamo tutti a togliere pietre a questa casa dello stato (Rachele). Di notevole interesse è stato rilevare l'atteggiamento dei ragazzi nei confronti della memoria, che per molti aspetti è risultato ambivalente. Molto frequente il desiderio di capire le ragioni di ciò che è stato, soprattutto di ciò che sembra sfuggire a qualsiasi ragione o che ormai sembra non appartenerci più: Non bisogna guardare al passato come a qualcosa di antico, lontano da noi, ma bisogna riflettere sul ciclo della storia considerandolo come una grossa guida verso scelte giuste (Patrizia). La conoscenza della storia consente di rovesciare la propria sottomissione a ciò che "si" dice, a ciò che altri vorrebbero farci dire: Impariamo a conoscere, ad informarci prima di fare critiche e obiezioni, solo allora potremo giustificare le nostre affermazioni, che saranno basate su qualcosa che non ci è stato suggerito, ma abbiamo maturato da soli (Maria Anna). Non siamo lontani dal sostenere che la memoria è capace di generare autonomia di giudizio. In particolare quelli che si sono confrontati con la lettura di varie pagine di H. Arendt sono stati affascinati dal tema della disobbedienza, dalla ricerca sulle origini del totalitarismo e dalle considerazioni sulla banalità del male. Al tempo stesso, però, i ragazzi hanno espresso il loro disagio rispetto all'eccesso di memoria, che ancora potrebbe essere significativamente formulato con le parole con cui Nietzsche ha caratterizzato la storia antiquaria: quando il senso storico non conserva più ma mummifica la vita, allora l'albero muore, innaturalmente, disseccandosi a poco a poco verso la radice - e da ultimo generalmente perisce la radice stessa. [...] Qui si fa chiaro come l'uomo abbia molto spesso necessariamente bisogno, accanto al modo monumentale e antiquario di considerare il passato, di un terzo modo, quello critico: e anche di questo per servire la vita. Egli deve avere, e di tempo in tempo impiegare, la forza di infrangere e di dissolvere un passato per poter vivere: egli ottiene ciò traendo quel passato innanzi a un tribunale, interrogandolo minuziosamente, e alla fine condannandolo. Ma anche la conoscenza del passato finalizzata ad infrangere ciò che è stato per poter agire da protagonisti nel tempo proprio, viene avvertita talvolta come paralizzante o come oggetto da archiviare in fretta, laddove fa presente la forza del crimine e dell'irrazionale. Così è accaduto dopo la visione del film "Missing", quasi da tutti giudicato di grande interesse perché capace di far conoscere un "pezzo" di storia vicina ancora poco conosciuto, benché se ne sia discusso molto per le note vicende del caso Pinochet. L'insistenza con cui la generazione più adulta propone riflessioni critiche a partire dalla violazione dei diritti umani e al tempo stesso l'esposizione dei prodotti di quello che potremmo definire "il mercato del crimine", che ogni giorno i mezzi di comunicazione offrono alla nostra attenzione senza ritegno e spesso senza alcuna proposta di rielaborazione critica, vengono avvertiti dai ragazzi come un peso non più sopportabile, rispetto al quale si è desiderosi di far scattare meccanismi di archiviazione prematura. Espressamente qualcuno ha fatto riferimento al "sovraccarico" trasmesso da generazioni precedenti: Oggi assistiamo ad una caduta di ideali fra i giovani, forse come reazione all'impegno eccessivamente politicizzato della generazione del '68 (Roberta). In buona parte si può anche ipotizzare che la memoria smetta di essere privilegio e si trasformi in peso, quando diventi prevalente il monopolio della comunicazione tecnologica: al racconto si sostituiscono immagini con forti effetti subliminali, al passaggio di consegne donato dai testimoni - perché di dono si tratta - si sostituisce l'affastellarsi di tracce consumisticamente divorate senza possibilità di rielaborazione o - nel caso di eventi tragici - senza possibilità di elaborazione del lutto dovuto. Non la memoria in quanto tale, allora, sembra costituire il vero problema, quanto piuttosto la perdita di alcuni requisiti della comunicazione che sono indispensabili per il costituirsi di relazioni sane e significative. All'angoscia provata di fronte all'orrore mercificato fa poi eco la spontanea e disarmante domanda: «cosa possiamo fare?». La domanda a dire il vero è emersa anche durante il dibattito su "Missing" ed è stata accolta nella sua semplicità, dando modo di riflettere sul lavoro di associazioni umanitarie (come ad esempio Amnesty International) e su tante iniziative che possono introdurre una logica diversa a partire dal semplice, "banale" quotidiano. L'atteggiamento dei ragazzi, però, a nostro avviso non deve essere semplicemente liquidato con una sia pur valida lezione sull'etica del bene qui ed ora possibile, ma deve essere accolto come stimolo per ripensare i modi correnti di "fare memoria" e gli interventi culturali finalizzati a superare la fase della denuncia, per scoprire insieme i luoghi e i tempi dei diritti difesi, possibilmente accogliendo il desiderio di trovare nuove possibilità che non siano solo eredità delle generazioni precedenti. Molto importante è stato considerato il confronto con la figura e con il pensiero di Hannah Arendt, sia in riferimento al testo proposto sul rapporto tra obbedienza e consenso sotto i regimi totalitari, sia in riferimento al modo in cui porsi rispetto a quel che è stato. Come dice Arianna, H.Arendt ha dimostrato che è impossibile non fare politica: Io sono d'accordo su quanto dice la Arendt a proposito della responsabilità politica. Chi non si interessa di politica, comunque fa la politica del più forte o del potere. In fondo, se pure si rimane nell'ottica di fare il puro e semplice interesse particolare, senza tener conto di quello generale, comunque bisogna essere attivi e trasformare le cose tenendo conto di tutti (Arianna). In un breve scambio tra due classi, alcuni ragazzi hanno posto al centro dell'attenzione la questione della difficoltà del giudicare e al tempo stesso della impossibilità di non giudicare, uno dei temi centrali negli scritti della Arendt: C'è nella nostra società una diffusa paura di giudicare, che non ha nulla a che fare col "non giudicare, e non sarai giudicato", e tanto meno poi col "non scagliare la prima pietra", se questo si vuole intendere con quella paura. Giacché dietro il rifiuto di giudicare su qualcosa che uno ha fatto si cela il sospetto che in realtà nessuno agisce liberamente, e perciò si dubita che qualcuno possa mai essere veramente responsabile e rispondere dei suoi atti. [...] Fintantoché le radici di tutto ciò che Hitler ha fatto vengono ricondotte a Platone o a Gioacchino da Fiore, a Hegel o a Nietzsche, o ricercate nella scienza moderna, nella tecnologia, nel nichilismo o nella rivoluzione francese eccetera, allora tutto è in regola. [...] dove tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. Alle parole della Arendt fa eco l'inizio del dibattito gestito dai ragazzi: E' necessario secondo voi giudicare su crimini o bisogna astenersene per la difficoltà del giudizio a posteriori? (Anna, Francesco). Il giudicare spesso introduce una serie di problemi: ad esempio molte volte il giudicare fa leva su una serie di presupposti che si danno per scontato (qui il giudizio non è altro che un pregiudizio!) (Pietro). Entrando maggiormente nell'argomento, viene fuori che la possibilità di giudicare rinvia ad una questione altrettanto importante e forse preliminare: il diritto e il dovere di conoscere e di capire. Possiamo e dobbiamo giudicare, ma solo se riusciamo a passare da una visione limitata ad una visione sempre più globale (Giulia). E' molto importante stabilire la differenza tra opinione e giudizio: la prima si riferisce a qualcosa di immediato, il secondo esprime una posizione formulata con ponderazione: Non voler giudicare, allora, sta ad indicare la paura di prendere posizione. Ma è necessario avere giudizi, dirli: senza giudizio non si può progredire (Blessy). Non meraviglia, allora, che in continuità con le riflessioni di Hannah Arendt, la sartriana "impossibilità di non scegliere" abbia destato forte interesse, benché al tempo stesso sia stato confessato che si trova comodo evitare di assumersi responsabilità: I giovani di oggi sono sempre più coinvolti, sembra che abbiano più ideali e voglia di cambiamento, sanno credere in qualcosa e cercano di portare il loro progetto avanti, cercano di realizzarlo. Credo che questa loro vitalità, il loro progettarsi un futuro, slanciarsi verso un avvenire - come sostiene Sartre - sia la vera dignità di ogni persona (Francesca). I ragazzi sono totalmente impegnati e totalmente liberi. Tuttavia essi devono ancora liberarsi allargando ulteriormente le loro possibilità di scelta, anche in politica. In certe situazioni - diceva Sartre - non c'è posto che per un'alternativa di cui uno dei termini sia la morte. Occorre fare in modo che noi, in ogni circostanza, possiamo - anche in politica - scegliere la vita (Nunzia, Valentina). I giovani sentono sulla propria pelle i disagi e le problematiche della società come se non più degli adulti (il futuro fa paura proprio per questo: che ci farebbero se no uomini e donne trentenni ancora in casa coi genitori?) (Francesco). E ancora Francesco: «Non sempre è possibile realizzare i propri progetti», in buona parte perché «una massificazione dei mezzi è stata accompagnata da una massificazione dei desideri ... e quindi ancora la società deve operare una selezione (in base a quali criteri?)», benché si riconosca che la mancata realizzazione di un progetto non comprometta la dignità di chi si è impegnato. Forte è la sensazione di non riuscire a guardare oltre i confini piuttosto ristretti della vita personale: Ma noi giovani, poi, che cosa possiamo fare? Io sono d'accordo con Sartre, non voglio vivere come "putridume", ma quale spazio c'è di progettazione della nostra vita? Io sì e no, riesco a intravedere che cosa voglio fare della mia vita personale, figuriamoci poi se riesco realmente a pensare alla vita collettiva! (Maria Grazia) La scelta, la decisione capace di coinvolgere anche altri e di non rinchiudersi negli angusti confini della singola esistenza, viene più facilmente rintracciata nel personaggio di eccezione (M.L.King, Gandhi, il questore Palatucci), nell'eroe o, al negativo, nel mostro (Hitler). In modo poi a dir poco strano, la maggior parte di decisioni che riguardano il proprio personale futuro vengono considerate esempio di realizzazione individualistica, anche nel caso del tutto naturale e banale di «andare a comprare un pantalone» o in quello più articolato di «frequentare dei corsi di informatica». Qualche volta è emersa la consapevolezza che «anche nelle decisioni più banali la nostra vita influenza quella degli altri: come quando ascoltiamo lo stereo a tarda sera e influenziamo la scelta degli altri che non possono dormire» (Alfonso), così come al posto dei personaggi di eccezione sono stati proposti uomini giusti della nostra storia più recente: Giovanni Falcone entra a far parte della magistratura non semplicemente per far carriera, ma per smascherare l'atteggiamento di indifferenza della popolazione siciliana nei confronti della malavita (Alfonso). In pochi casi le proprie decisioni sono state interpretate come portatrici di forte spessore intersoggettivo: Anche a me qualche anno fa è capitato di scegliere per me stessa, ma allo stesso tempo per molte altre persone. Dopo lunga meditazione ho deciso di entrare a far parte degli scout, perché desideravo fare un certo tipo di esperienza, come quella di trascorrere dei giorni lontano da casa, in maggiore autonomia, e di fare qualcosa di utile all'ambiente. Così ho deciso non solo per me stessa, ma per l'intera umanità (Michela). Accanto al tentativo di ridefinire la categoria del politico, ricorre il rifiuto dei tanti luoghi comuni sulla generazione più giovane, così come forte è la consapevolezza della complessità in cui ci si trova a vivere: La condizione giovanile, oggi, non presenta chiari parametri: non è più l'entità di massa che accomuna i giovani; le identità che la definiscono sono molteplici, diversificate e nascoste; i bisogni che esprime si individualizzano e perdono la forza aggregante che in altri periodi storici avevano avuto ... E' necessario avere una visione della condizione giovanile non pregiudicata da stereotipi del tipo: gioventù "bruciata", "violenta", "disimpegnata", "drogata", ma attenta ai comportamenti reali e ai processi di socializzazione, così da problematizzare l'azione educativa e la progettualità sociale (Alfonso). Compare anche una certa stanchezza nel sentirsi continuamente oggetto di analisi e considerazioni, talvolta espressa con toni retorici: Siamo stanchi di dover ubbidire agli adulti e di essere considerati degli scansafatiche! Anche noi abbiamo un ruolo nella società e soprattutto una "dignità" che va rispettata. Dobbiamo essere liberi di poter esprimere ciò che pensiamo, di prendere delle decisioni, di proiettarci verso un avvenire, di costruire il "nostro" destino» (Annalisa). I giovani sono stanchi di sentirsi dire che sono poco interessati, privi di valori e prospettive ... Tante scelte sono dettate dal bisogno di trovare la propria identità, collocarsi in una prospettiva negativa o in una positiva all'inizio non ha molta importanza, in quanto ciò che più preme è instaurare una relazione interpersonale, avere in comune qualcosa con persone che si avvertono vicine e danno il senso di completezza (Daniela). Una protesta, questa di Daniela, contro l'ansia degli adulti di manovrare dal di fuori le scelte dei figli, dando direttive, modelli di vita già pronti, senza rendersi conto che così facendo si rendono responsabili di fenomeni di devianza, come mette in luce Alessia: Gli adulti vedono spesso i ragazzi come un pericolo, come un problema da risolvere ... Essi stessi spingono la nuova generazione ad evadere dal contesto sociale e accusano invece i ragazzi di seguire la più stupida e pericolosa strada per pura e semplice scelta individuale (Alessia) Anche l'eccesso di aspettative, oltre che di critiche, è avvertito dai ragazzi come un impedimento alla loro autonoma progettazione: Noi giovani amiamo vivere con tranquillità il nostro tempo. Non dimentichiamo che il mondo giovanile è molto instabile e in continua trasformazione e spesso abbiamo dato prova di saper mutare e operare scelte imprevedibili e profonde (Emanuela). Un monito, quest'ultimo, rivolto anche alla nostra ansia di docenti che vorrebbero subito il riscontro dei risultati delle loro provocazioni. Viene inoltre fortemente criticata la tendenza ad appiattire la condizione giovanile su parametri di omogeneità destinati a non scorgere eventuali capacità progettuali: Nella società consumistica vi sono giovani "deviati", che la società stessa disorienta inducendoli a non avere più ideali ben definiti e a costruirsi identità deboli e dunque incapaci di abbracciare l'insieme dei valori sociali; vi sono però anche giovani attivi e intraprendenti, che vogliono combattere per affermarsi in una società che tende a generalizzare troppo ciò che può metterla in discussione e ostacolarla (Maddalena). Il rifiuto dello stereotipo giovanile che i ragazzi hanno proposto non può non tener conto del considerevole apprezzamento espresso nei confronti dell'associazionismo giovanile (per effettivo interesse o perché "desiderabile"?), ma poco è emerso sul proprio reale coinvolgimento in merito (per difficoltà a parlare realmente di sé?), laddove sarebbe molto interessante verificare la reale consistenza dell'associazionismo organizzato. Già il 26° Rapporto sulla situazione sociale del paese a cura del Censis (1992) aveva messo in luce che circa il 17% dei giovani aderiva a più di un'associazione e che nel passaggio agli anni '90 è aumentato il livello di partecipazione tra le associazioni studentesche e quelle di volontariato, ma, in connessione con la crisi delle grandi ideologie, è diminuita la partecipazione nelle associazioni politiche e sindacali. La riduzione del conflitto verticale con l'autorità familiare o scolastica, la diffusa omogeneità di valori, comportamenti e aspettative del mondo giovanile con quello degli adulti e la tendenziale chiusura dei giovani entro confini circoscritti fanno sì che venga a mancare il principio basilare su cui si era costruita l'identità di passate generazioni di realizzare il superamento del mondo dei padri attraverso la gestione di una forte conflittualità. Il Rapporto del Censis rintraccia le cause di queste trasformazioni in buona parte nel comportamento dei genitori che, fluttuando tra libertarismo, atteggiamenti democratici, creatività, tolleranza e scarso peso riconosciuto alla tradizione, esprimono di fatto una pedagogia piuttosto incerta, aperta a molte istanze innovative, ma spesso debole in termini valoriali e di conseguenza "insufficiente a creare un polo di opposizione funzionale al processo di identificazione dei figli". La valorizzazione delle esperienze associative e di volontariato sembra costituire una delle possibili vie di progettazione per le generazioni più giovani. L'analisi sembra ancora valida e confermata anche dalle risposte dei nostri ragazzi: Avvertiamo l'esigenza di valori fondamentali quali la moralità e la giustizia e se da una parte mostriamo un distacco dalla politica, dall'altra riversiamo il nostro impegno nella vita sociale: scendiamo in piazza per manifestare contro la mafia, contro il crescere dell'inquinamento ed entriamo a far parte dei sempre più numerosi gruppi di volontariato (Emanuela). A proposito poi del progetto di sé che coinvolge l'intera umanità, Michela sostiene che gli attuali giovani sappiano mobilitarsi: infatti sul territorio si avverte la presenza di molte associazioni giovanili che combattono e collaborano per il perseguimento di sani ideali. La mia speranza è che l'associazionismo giovanile, come tante altre iniziative, continui a crescere e riesca soprattutto ad essere una forza in grado di prendere decisioni autonomamente, senza mai perdere la propria dignità (Michela). Il forte senso di insicurezza nel futuro è vinto dalle giovani generazioni attraverso il vivo bisogno di associarsi. Se un tempo l'impegno sociale si esplicava automaticamente in quello politico-sindacale, attualmente assistiamo ad una particolare deviazione di tale orientamento che si caratterizza in un aumento di tutte le forme di partecipazione sociale con connotati apolitici (Maria Rosaria). Se è vero che la partecipazione alla vita di gruppo si rivela particolarmente idonea per consentire al soggetto il processo di identificazione con gli altri, secondo la nota tesi di Mead che mette in evidenza come il processo di conquista dell'identità personale passi attraverso la dialettica di identificazione/individuazione, non si può negare che in presenza di una società ampiamente diversificata il processo di ricerca di identità rischia di indebolirsi e di non riuscire adeguatamente a rapportarsi alla molteplicità di opportunità che vengono offerte. Di fronte alla complessità, l'individuo tende a ritirarsi in uno spazio ristretto, a dedicarsi alla ricerca ansiosa delle proprie radici, che spesso può degenerare in fenomeni di chiusura nel particolarismo o in forme di aggressività e di intolleranza nei confronti di tutto ciò che minaccia le proprie sicurezze. Non c'è da stupirsi, dunque, se assistiamo - e non solo per le giovani generazioni - al coesistere di un clima da globalizzazione con forme di particolarismo esasperato (si pensi al ritorno dei nazionalismi o, ad esempio, al caso Haider che è stato più volte richiamato durante le discussioni). Ovviamente ciò non significa sostenere che la crisi di identità serpeggi in tutte le famiglie e in tutti i contesti giovanili, ma è innegabile - come acutamente rileva L. Sciolla - che nelle nostre società un numero sempre maggiore di persone cercherà di "compensare" la mancanza di radici e di identificazioni "indiscusse" con sostituti di vario tipo. E' così che atteggiamenti e motivazioni tendenzialmente innovatori si combinano con ambigui richiami alla tradizione. Si assiste spesso al recupero di identità collettive forti (movimenti etnici, movimenti ecologisti, movimenti religiosi fondamentalisti) con tutti i pericoli derivanti dalla assolutizzazione della lotta al loro servizio. Si assiste anche all'attaccamento a sostituti deboli (la fiducia nell'astrologia, l'adesione a specifici modelli di consumo) o alla diffusione di individualismi esacerbati, involuzioni narcisistiche della personalità, smanie di protagonismo. Non è un caso che i ragazzi ritengano di vivere in modo nettamente distinto pubblico e privato, anche se si dichiarano insoddisfatti di questa giustapposizione: Il più allarmante degli attuali progressi è il confinare l'individuo alla sfera del privato, la società al di là da questa ... Noi giovani dovremmo recuperare il terreno perduto e avvertire la società come bene comune (Angela). La società ha bisogno di tutti gli individui, come un puzzle ha bisogno, per essere completo, di tutti i suoi pezzi (Daniela). E' avvertita con forza, però, la difficoltà di conciliare vita personale e vita collettiva, soprattutto quando ci sono in gioco interessi economici, sia pure nel senso lato del termine: Secondo me, bisogna fare molta attenzione al concetto di "interesse", perché io vedo che dietro ogni discorso riguardante gli interessi della collettività, si nasconde un interesse privato o di parte. Quando un problema tocca da vicino l'interesse privato, allora siamo attivi e ci diamo da fare; l'interesse di tutti ci pare invece qualcosa che riguarda sempre gli altri. Da questo punto di vista, io penso che l'ideologia è proprio la copertura degli interessi della classe a cui si appartiene; cambiando stato sociale, facilmente si cambia anche ideologia (Mena). All'intervento sincero di Mena, segue però un coro di proteste altrettanto sincero, come ad esempio la voce di Barbara: Ma non è possibile che sia solo come dici tu; noi dobbiamo credere che, almeno teoricamente, sia possibile pensare ad una situazione in cui si possa fare l'interesse di tutti; altrimenti, che speranza abbiamo? Se pure è un'utopia che non potrà mai realizzarsi, almeno deve servire a noi a capire quello che succede (Barbara). Emerge dunque la consapevolezza di trovarsi innanzi a nuove possibilità: La fine delle "grandi visioni" del mondo è dunque motivo primo dell'attuale ricerca di nuove vie e nuovi modi di stare insieme che però non vanno confusi con l'apparente rifiuto dell'impegno pubblico o con l'esigenza di isolarsi all'interno della sfera privata ... Diviene dunque importantissimo, a mio avviso, rilanciare l'impegno politico all'interno delle nuove generazioni per non permettere loro di subire decisioni e di sottostare ad una cieca obbedienza (Maria Rosaria). C'è però chi mette in guardia da un eventuale pericolo: tra coloro i quali partecipano alle manifestazioni di protesta (contro chi, è secondario), oltre a quelli che ci credono, c'è anche chi ci va per "giocare al '68" (Francesco). La consapevolezza della diffusa complessità che caratterizza la società contemporanea consente anche di individuare alcuni dei vizi della nostra democrazia: La nostra è una democrazia fittizia, liberale, viva soltanto nella formalità (Alessia). Il film "Missing" non fa altro che confermarmi che Marx aveva ragione: quei crimini sono stati compiuti per mantenere interessi economici (Blessy). Molte volte le incertezze, gli sbandamenti nascono proprio dalla sensazione dei giovani di non poter influire sul proprio futuro ... La cultura allarga i nostri orizzonti e accresce le nostre attese, ma non sempre è utile sul mercato del lavoro e l'uguaglianza delle opportunità resta un obiettivo lontano (Daniela). Ciò non impedisce, però, di riconoscere con un certo orgoglio che i ragazzi hanno superato il principio di prestazione, che - come diceva Marcuse - impegna tutte le energie psicofisiche dell'uomo per scopi puramente produttivi e lavorativi, reprimendo la felicità e il piacere (Francesca). La critica dei vizi della democrazia non comporta di necessità atteggiamenti rinunciatari: E' importante che si partecipi allo sviluppo democratico del paese contrastando qualunque tentativo di limitare le libertà civili, poichè soltanto attraverso l'impegno individuale ci si può sentire soddisfatti (Gilda). La consapevolezza dell'emergere di nuovi riferimenti, anche se non sempre espressa in modo del tutto chiaro, traspare almeno dalla coscienza della crisi delle grandi ideologie e dall'insoddisfazione verso qualcosa che adesso non basta più: Il problema è che, ormai, dopo il crollo delle grandi ideologie non c'è rimasto quasi più nulla per continuare le lotte degli anni '70 così come erano poste allora: fascisti contro comunisti, "Sistema" contro operai, PCI contro DC; oggi, al massimo, abbiamo un centro-destra contro un centro-sinistra, un Berlusconi contro un D'Alema. Gli estremismi vanno scomparendo con le ideologie forti, mentre tutto si appiattisce sul moderatismo (Francesco). I tempi sono cambiati rispetto al '68 e i punti di riferimento ideologici, Marx e Marcuse, seppur sempre gli stessi e cioè coloro che hanno ispirato la lotta del '68, non ci bastano più e con ciò voglio dire che le rivolte non devono rivelarsi fughe dalla realtà, ma devono servire a far valere i principi della realtà contro quei sistemi che pur facendoci credere di seguire la nostra volontà, ci rendono schiavi dei loro meccanismi (Anna). Se è vero che gran parte dei giovani ha perso quei valori che hanno caratterizzato gli anni '60 e gli anni '80, c'è un'eredità delle lotte giovanili che può essere rintracciata nella formazione di movimenti non violenti, come ad esempio i movimenti ecologisti: basta ricordare Claudio Miccoli - scrive Angelo - un giovane napoletano che incarna l'immagine della non-violenza, difensore della natura, ucciso dai neofascisti la notte del 30 settembre 1978, benché avesse cercato la possibilità di chiarire il perché di quella violenza con i suoi stessi aggressori. In modo significativo per il cambiamento semantico che rappresenta, Angelo stesso afferma che Claudio Miccoli «non si interessava di politica, ma riteneva importante tenersi informato, era democratico ed antifascista». Segno probabilmente del tramonto di un'eredità dei padri, al tempo stesso riappropriazione di una dimensione di impegno e di partecipazione, slancio verso un futuro di cui poter essere maggiormente protagonisti. |